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Tanti evasori perché cullati dal sistema delle punizioni blande

Post n°288 pubblicato il 05 Luglio 2007 da albert.z
 
Tag: TASSE

Il viceministro
Vincenzo ViscoAlle cinque della sera del mercoledì il rito dello spriz trasforma il centro di Padova in un paradiso fiscale: 3 mila ragazzi si riversano nei bar del centro storico, dove fino a mezzanotte si servono bicchieroni di vino bianco colorati con Aperol. A spanne, con un solo spriz a testa già si fa un fatturato di 15 mila euro. Quasi tutto in nero. "Sparite le fatture per l'acquisto dell'Aperol, diventa impossibile stimare quanto se ne consuma. Così si può evitare anche di emettere lo scontrino", dicono all'Ufficio delle entrate. È allora che 'la squadra' passa all'azione. Un gruppo di finanzieri in borghese si mischia ai giovani e annuncia al padrone del locale: "Stiamo con voi fino alla mezzanotte". Poi si mette a contare. Il volume degli scontrini a quel punto vola, raddoppia, quadruplica anche, con un effetto sicuro: il gioco degli spriz in nero sarà d'ora in poi troppo rischioso, e il giro d'affari del bar da confessare al fisco al momento della dichiarazione dei redditi diventerà più vicino al vero.

Questa tecnica gli uffici tributari del Veneto la chiamano pressing: non è né una vera indagine né un accertamento, ma un far sentire il fiato sul collo. E funziona benissimo usata anche il venerdì pomeriggio nei saloni di parrucchiere per signore, dove le clienti salgono improvvisamente da quattro a 20, dai barbieri, dai veterinari oppure nelle discoteche. Ovunque si ottengono straordinari effetti moltiplicatori sui ricavi. E si dimostra quello che il popolo degli artigiani e dei commercianti non ama sentirsi dire: che nella piccola impresa si annida ancora una bella porzione di evasione fiscale su cui l'Italia vanta numeri record. Cento miliardi di euro, il 7 per cento del Pil, secondo la più recente stima del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, il doppio di quella che si registra in Gran Bretagna, Francia e Germania, quattro volte l'Olanda, l'Austria e l'Irlanda. Di questa vergogna nazionale artigiani e commercianti non si curano. Anzi, proprio da loro parte la rivolta contro il governo che sta animando le piazze del Nord, dove si lamenta l'ignobile tartassamento perpetrato dal responsabile delle Finanze Vincenzo Visco, colpevole di avere deciso di stringere le maglie della rete attraverso cui passano i comportamenti scorretti. Cioè di avere reso un po' più difficile far sparire quote di reddito, insomma evadere.


Il terreno su cui si è infiammata la battaglia tra fisco e autonomi è quello degli studi di settore, che sono la griglia attraverso cui il singolo imprenditore, in quel settore e in quel territorio, può stimare il suo ricavo statisticamente più probabile. Il sistema serve a indurre chi ha la coda di paglia ad adeguarsi, mentre chi invece ha sufficienti motivi per non rientrarci, può tranquillamente denunciare le sue difficoltà. In questo caso gli uffici vorranno vederci chiaro, ma ciò non dovrebbe fare paura. Comunque, il sistema è costruito "non per fare dichiarare tutto", come ammette Giampietro Brunello, amministratore delegato della Sose, la società che costruisce gli studi di settore, ma per non evadere troppo. Quindi, gli studi di settore tendono di fatto a sottostimare la realtà. Nonostante ciò, dalla loro introduzione gli studi hanno fatto emergere una parte del giro d'affari che prima si svolgeva al riparo dale tasse. Nel caso dei parrucchieri, su cui è stata fatta una indagine, se prima denunciavano un terzo dei ricavi reali, oggi sono arrivati al 50 per cento, ma è ragionevole che una cifra simile riguardi tutte le attività dei servizi alla persona, dagli idraulici ai tappezzieri.

Nella parte degli agnellini azzannati dall'erario i tre milioni di contribuenti degli studi di settore non appaiono quindi credibili. E non lo sono neanche quando protestano contro l'intervento di Visco. Cosa ha fatto il viceministro? Visto che gli studi di settore non venivano aggiornati da tempo, e che comunque la loro applicazione aveva messo in evidenza qualche magagna, ha introdotto lo scorso marzo i cosiddetti indici di normalità da applicare subito, sui redditi del 2006 su cui si stanno facendo ora le dichiarazioni. Si tratta in pratica di parametri per valutare meglio la verosimiglianza dei costi vantati dai contribuenti: voce fondamentale, perché è quella che riduce i ricavi su cui si pagano alla fine le imposte. Per esempio, i tempi di rotazione delle scorte (per i bar 71 giorni, 50 per i ristoranti) devono essere credibili, e altrettanto il valore aggiunto prodotto da un dipendente (almeno 15 mila 800 euro l'anno per quello di un albergo; almeno 16 mila per quello di un bar, peraltro ridotti alla metà rispetto a quelli stimati dalla contabilità nazionale). L'effetto, tanto per fare un esempio, sarà quello di rendere più difficile a un pescivendolo di portare in detrazione scorte di pesce fresco per otto mesi. O a quel venditore di tappeti di dichiarare rimanenze di magazzino superiori a quelle di inizio anno: vuol dire che ha venduto in nero, non pagando l'Iva, ma andando in credito per questa imposta. Credito con cui può compensare anche altre tasse, dall'Irpef all'Ici. Con un effetto di evasione a catena. O, ancora, di attirare l'occhio del fisco su quel commerciante di abbigliamento che, pur dichiarando un ricavo assolutamente in linea con la 'normalità economica', sotto sotto taroccava i costi facendo scomparire il reddito. Tutti casi veri, truffe da manuale scovate dal fisco in cui non si può non scorgere lo zampino dei signori commercialisti.
ESPRESSO (02 luglio 2007
Se all'evasore si infliggesse una pena certa e consistente l'evasione cesserebbe.

 
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