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Post N° 562

Post n°562 pubblicato il 14 Marzo 2008 da albert.z
Foto di albert.z

Da Repubblica

Quando Tremonti epurò il vertice della Gdf

ROMA - Per fulminare Romano Prodi e la sua evanescente maggioranza sul caso Visco-Speciale, per rendere nitida la gravità di un brutale tentativo di spoils system nella Guardia di Finanza, Silvio Berlusconi ha usato un argomento di indubbia efficacia: "Io mi domando se fosse successo a noi...". Bene. E' successo. Cinque anni fa. Quando - ministro dell'Economia Giulio Tremonti - venne prima rimosso in ventiquattro ore il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, perché ritenuto politicamente inaffidabile, e quindi avvicendata l'intera catena di comando delle Fiamme Gialle a Milano: il comandante regionale, il comandante provinciale, il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria. Non si levò un fiato. Nessuno ebbe a indicare inopportuni incroci con le allora indagini sui diritti tv di Mediaset, né che tra i promossi ai nuovi incarichi vi fosse l'aiutante di campo del ministro Tremonti. Non ci fu il tempestivo e preoccupato intervento dell'Avvocatura Generale per verificare la limpidezza professionale degli ufficiali che venivano messi alla porta. Non furono sollecitate lettere allarmate alla Procura della Repubblica. Non fu chiamato in causa il capo dello Stato.


La vicenda non ha nulla di segreto, ha il pregio di mettere a nudo qualche ipocrisia e, per quel che se ne sa, è tra quelle che il viceministro Visco, in questi giorni, ha ricostruito nel suo dossier consegnato a Palazzo Chigi e di cui il senato discuterà domani. I fatti, dunque.

Settembre 2001. Giulio Tremonti è da qualche mese il nuovo ministro dell'Economia. Comandante generale della Guardia di Finanza è il generale di corpo d'armata Alberto Zignani, anche lui nuovo nell'incarico (è stato nominato in marzo). Di fatto, la Guardia di Finanza ereditata dal governo di centrodestra è quella che, per quattro anni (1997-2001), ha governato e riformato il generale Rolando Mosca Moschini, uno dei migliori e più brillanti ufficiali del nostro esercito, apprezzato all'estero, integrato per lungo tempo nei comandi Nato. Mosca Moschini, oggi consigliere militare del Presidente della Repubblica, è fumo negli occhi per il centrodestra. Nella sua lunga stagione di comando in viale XXI aprile ha aggredito un grumo di potere che ha coltivato, con il rancore, voglia di rivincita. Si è liberato di Nicolò Pollari, sostituendolo dopo neppure due mesi con un nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Giovanni Mariella, un pugliese solare, un galantuomo di buon carattere che, di fatto, nel settembre 2001, quando Moschini lascia il comando ne raccoglie l'eredità.

Mariella dura poco. Alla fine di settembre del 2001, il centrodestra se ne libera in ventiquattro ore, sostituendolo con il generale Nino Di Paolo. Delle ragioni della sua destituzione il comandante generale Zignani non offre nessuna spiegazione. Né, soprattutto si comprende, perché, una volta avvicendato, Mariella finisca nel magazzino delle scope del Comando. Per lui non ci sono incarichi di prestigio. Non ci sono poltrone da vicesegretario del Cesis (che, a quanto pare, sono invece un esito di carriera naturale se gli ex capi di stato maggiore si chiamano Nicolò Pollari ed Emilio Spaziante). C'è solo un lungo esilio da comandante interregionale della Guardia di Finanza dell'Italia meridionale. Fino a quando, quattro mesi fa, non se lo porta via una malattia fulminante. Ai suoi funerali a Napoli, lo scorso 24 febbraio, nella basilica di san Francesco di Paola, in piazza Plebiscito, sono presenti sia il comandante generale Roberto Speciale che l'ex comandante Mosca Moschini. Ed è lui a pronunciare un ricordo che convince Speciale a lasciare infuriato la chiesa prima del feretro, per un caffè al "Gambrinus" insieme al suo seguito di ufficiali.

Ma torniamo a quell'autunno 2001. Perché accade qualcosa di più. Contemporaneamente alla destituzione di Mariella, su sollecitazione di Tremonti, viene ridisegnata competenza e gerarchia degli uffici periferici del II Reparto, l'intelligence della Guardia di Finanza (che Mariella, prima di diventare capo di Stato maggiore, ha comandato), stanza di scambio e compensazione con il Sismi, la nostra intelligence militare. Delle informazioni che raccoglieranno sul territorio, i "nuovi" reparti informazione non risponderanno più al Comando generale, ma ai comandi regionali. La "riforma" coincide con l'allontanamento di alcuni dei responsabili del reparto informazioni a Milano, come a Roma. Rende i comandanti regionali centri nevralgici nella raccolta delle informazioni, accrescendone il potere. E annuncia quel che accadrà nell'ottobre del 2002.

In un unico giro di avvicendamenti, viene sostituita l'intera catena di comando della Guardia di Finanza di Milano. Il comando interregionale della Lombardia viene assegnato al generale Emilio Spaziante. Uomo di Pollari, suo luogotenente in una piazza che esprime la nuova classe dirigente politica, i suoi interessi economici. Comandante provinciale è nominato il colonnello Rosario Lo Russo. Ma, soprattutto, al Nucleo regionale di polizia tributaria arriva il colonnello Stefano Grassi. L'ufficiale è aiutante di campo del ministro Tremonti. Ha lavorato al ministero dell'economia insieme a Marco Milanese, capo della segreteria del ministro, altro brillante ufficiale della Finanza che ha avuto quale suo compagno di corso Dario Romagnoli, poi passato allo studio tributario di Milano dello stesso Tremonti.

Gerardo D'Ambrosio, allora procuratore della Repubblica di Milano, oggi senatore dei Ds, ha un ricordo sfumato di quegli avvicendamenti. Sicuramente non prese carta e penna per redigere lettere allarmate. "Perché - dice - la legge stabilisce che il procuratore della repubblica e il procuratore generale non hanno alcun potere di intervento sui trasferimenti di ufficiali al vertice della catena di comando locale della Guardia di Finanza a meno che non si tratti di ufficiali di polizia giudiziaria. Perché in questo caso, non solo devono essere informati ma è addirittura necessario il loro consenso. Sicuramente, nessuno in quell'occasione, al contrario di come mi pare sia invece accaduto nel caso Visco, venne a sollecitare un mio interessamento a quel che stava accadendo". Aggiunge l'ex Procuratore: "La verità è che da questa storia ho tratto delle convinzioni che, domani, proverò a comunicare all'aula del Senato. Un ufficiale come il generale Speciale è pericoloso innanzitutto per la Guardia di Finanza. Se le cose fossero andate come lui dice, un anno fa avrebbe dovuto prendere la porta e denunciare Visco alla competente Procura di Roma per poi dimettersi un minuto dopo. Non mi risulta lo abbia fatto. Perché?".
 
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