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Ecco chi e' Bobo Craxi

Post n°687 pubblicato il 10 Luglio 2008 da albert.z
 

Bobo Craxi ha pronunciato ieri durante il congresso del suo partito delle parole vergognose nei miei confronti. Non accetto insulti da parte di una persona che si presenta nel mondo della politica con delle credenziali che lascio alle pagine di "Se li conosci li eviti" di Marco Travaglio e Peter Gomez il compito di illustrare.
In quattro parole: "tale padre tale figlio".

Anagrafe: Nato a Milano il 6 agosto 1964.
Curriculum: Diploma di maturità classica; libero professionista fin da giovanissimo, grazie alla raccomandazione del padre Bettino, è segretario cittadino del Psi e capogruppo al Consiglio Comunale di Milano, fin dal 1992; dopo Tangentopoli, aderisce al Nuovo Psi di De Michelis e nel 2001 viene eletto deputato a Trapani con la Casa delle Libertà; nel 2006 fonda I Socialisti, passa al centrosinistra, viene rieletto con i Ds e promosso sottosegretario agli Esteri con delega ai rapporti con l'Onu; 1 legislatura (2001);
Segni particolari: Una legislatura con la destra e una con la sinistra sono l'emblema di questo giovanotto viziato e raccomandato che nel 1992 andava in giro a minacciare i cronisti giudiziari milanesi, colpevoli di raccontare lo scandalo di Tangentopoli prima e dopo l'arresto di Mario Chiesa. Un giorno del marzo '92 il pupo del Capo, telefona al responsabile della cronaca di Milano de "il Giornale" di Indro Montanelli per lamentarsi di Peter Gomez che sta documentando i suoi affettuosi legami politici, elettorali e personali con il neo-galeotto Chiesa. "Dopo le elezioni del 5 aprile - minaccia - ci sarà un repulisti, molte teste cadranno al Giornale. Prima di parlare col vostro padrone [Berlusconi, nda], vi ripeto che dovete smetterla di rompere i coglioni. Siete il solito giornale veterofascista, leghista, filodemocristiano". Montanelli scrive una lettera ai redattori minacciati:

Pur ricordandovi che la nostra regole è quella di non tener conto delle interperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso ne animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare a suddetto signore [Bobo, nda], se ve ne capita l'occasione, che l'unica "testa" in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, caso mai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.

Quando arrestano Chiesa, Bobo ha 31 anni. "Certi episodi di corruzione - commenta a caldo - a Milano sono meno frequenti che in altre aree del Paese o in altre metropoli europee". E' il 17 febbraio 1992. Poi Chiesa confessa. E Bobo: "Sono sbalordito, ma la situazione è imbarazzante per Chiesa, non per me. Che ne potevo sapere, io? L'abbiamo espulso dal partito. Il Psi è estraneo a questa vicenda, che deve insegnarci comunque a tenere gli occhi aperti, a essere pronti a denunciare, noi per primi, eventuali casi di tangentomania" (8 marzo 1992). Poi Chiesa comincia a fare i nomi degli altri. Compreso il suo. E Bobo avverte ai giudici: "Non si credano che tutti i mesi possono far scoppiare un caso Chiesa" (19 aprile 1992). "La democrazia ha i suoi costi e i partiti non vivono d'aria" (28 aprile 1992).
Il fatto è che le sue campagne elettorali le pagava Chiesa. Con i soldi delle mazzette del Pio Albergo Trivulzio, l'ospizio dei vecchietti a Milano. "Ho fatto - racconta Chiesa - tutto ciò che avrei fatto se fossi stato candidato io. Senza lesinare una lira. Craxi mi aveva chiesto di aiutare il figlio e il suo successo mi sarebbe servito a dimostrare la mia capacità di trasferire 7000 voti".
Dal 1989 Mario Chiesa ha un unico obiettivo: diventare sindaco di Milano. Per questo, abbandonati i vecchi protettori, si lega alla famiglia Craxi e mette a disposizione di Bobo i suoi quattrini e il suo pacchetto di voti per le amministrative del 1990. "Bobo - rivela a Di Pietro - deve a me la sua elezione al Consiglio comunale, almeno al 50 per cento". Bobo insorge: "Un cumulo di falsità. Mi ha aiutato il mio cognome, non Mario Chiesa". Ma un biglietto d'auguri lo smentisce. E' un invito datato 20 dicembre 1991, che dice: "Tutti insieme sotto l'albero. E auguri di Buon Natale con i compagni Paolo Pillitteri, Bobo Craxi e Mario Chiesa". E' la prova dello stretto legame politico fra Bobo e il "mariuolo". Per l'ultimo Natale prima di Mani Pulite, quello del 1991, Chiesa ha organizzato una manifestazione insieme al figlio e al cognato di Craxi: la manifestazione si è aperta con un "dibattito sulle prospettive degli enti locali", per poi proseguire con una festa, "spettacolo, estrazione di premi, brindisi e panettone". Da un paio d'anni, del resto, Chiesa e Bobo fanno coppia fissa in dibattiti, inaugurazioni, incontri e iniziative politiche. Memorabile la Festa della Donna organizzata a Milano l'8 marzo 1991, nella sede di un Consiglio di zona: tra i relatori non c'erano signore, in compenso non mancavano Mario Chiesa e Bobo Craxi.

Tracce del sodalizio politico tra i due erano emerse anche nell'inchiesta Duomo Connection, sugli affati milanesi di una famiglia mafiosa siciliana. Tra il materiale sequestrato a un indagato, c'erano le videocassette di uno spot elettorale di Bobo Craxi, accompagnate da una lettera del 13 aprile 1990 su carta intestata di un circolo socialista, il Club Turati: "Le invio, come d'accordo con l'ingegner Mario Chiesa, le cassette con gli spot da trasmettere su Telestar e su Canale 6, sulla base di quanto concordato con lo stesso ingegner Chiesa". Firmato: Bobo Craxi. Il gruppo di indagati della Duomo Connection, in effetti, gestiva su alcune emittenti lombarde ampi spazi televisivi, per pubblicizzare e vendere appartamenti e villette a schiera. In questi spazi, "sulla base di quanto concordato con lo stesso ingegner Chiesa", avrebbero dovuto essere trasmessi gli spot elettorali di Bobo (non risulta però che siano mai andati in onda).
E' tutto scritto nelle sentenze di Mani Pulite, dove il numero di righe dedicate a Bobo è direttamente proporzionale alla statura politica del personaggio: dunque è bassissimo. Ma non per questo meno illuminante. La prima sentenza è quella emessa il 3 giugno 1994 dalla V sezione del Tribunale nel processo per le tangenti dell'Aem e di altri enti municipalizzati, che ha portato alle condanne definitive degli ex sindaci socialisti Paolo Pillitteri e Carlo Tognoli. I giudici rievocano la parabola di Chiesa nella Milano da bere. Da quanto Tognoli scoprì il suo talento e lo lanciò nel firmamento politico, a quando Mario il Mariuolo si spostà poi su Pillitteri e infine direttamente sulla famiglia Craxi, ungendo le ruote di papà Bettino e del piccolo Bobo:

Le formule politiche di Chiesa si legano al Psi e a chi, di volta in volta, nel partito dispensa la maggiore forza a livello cittadino. Dunque Tagnoli sino al 1986, Pillitteri da quella data in poi (...). E' tutt'altro che incredibile che Chiesa, a partire dal 1986-87, abbia deviato le contribuzioni per parte Psi, fino ad allora elargite al Tagnoli, sul Pillitteri e altrettanto ovvia è la ragione del perchè egli abbia cessato di farsi intermediario di tangenti verso il Pillitteri all'incirca a fine '89: a quell'epoca Chiesa aveva ormai stretto rapporti con il segretario nazionale del partito Craxi, aveva centrato l'obiettivo da tempo prefissosi ed era conseguentemente scemata la necessitò di seguitare a "compiacere" il sindaco Pillitteri. Chiesa sintetizza il tutto nell'interrogatorio del 23.2.92 quando dichiara che "l'ultima volta che ebbi a dare del denaro è stato all'ex sindaco Pillitteri circa nel 1989 (...). A partire dal 1990, siccome ero riuscito a instaurare un rappporto diretto con il segretario del partito Bettino Craxi e con la sua famiglia, a seguito della sponsorizzazione del figlio Bobo, non avevo più nessuna necessità di sovvenzionare economicamente altri politici del Psi. Nel 1990 era direttamente Bettino Craxi che si preoccupava della mia relazione politica, tant'è vero che fu lui personalmente che impose la mia riconferma al Pat, dando ordine in tal senso al sindaco Pillitteri.

Altra sentenza: quella del processo All Iberian, per i famosi 21 miliardi passati dalle tasche di Berlusconi a quelle di Bettino nel 1991-92. Il 6 novembre '98 la II sezione del Tribunale di Milano (presidente Marco Ghezzi) ricostruisce il "sistema Raggio". La storia è nota. All'inizio del '93 Craxi capisce che Di Pietro è a un passo dai suoi conti personali in Svizzera: Northern Holding e International Gold Coast (presso la Bankers Trust di Ginevra), Constellation Financiere e Arano (presso la Sbs di Chiasso). Cosi chiede all'ex barista di Portofino di svuotarli e di portare il contenuto ("40 miliardi") al sicuro. Tra Panama e le isole Cayman. Raggio ne spenderà poi una quindicina per la sua latitanza e "il mantenimento della sua detenzione" in Messico, durata poco meno di due anni, con la contessa Francesca Vacca Augusta. Il resto lo riconsegna a Craxi, latitante ad Hammamet. E come spendeva quei miliardi rubati dall'ex leader socialista? Acquistò un "veicolo 'Sitation' del costo di 1 milione e mezzo di dollari", poi ordinò a Raggio di diversi "bonifici in favore di banche elvetiche", un altro al finanziere arabo Zuhair al Katheeb e un altro ancora, datato 23 maggio 1994, per "$40mila/sFr. 50mila alla Bank of Kuwait Lnd" e "utilizzato in pagamento del canone relativo ad un'abitazione affittata dal figlio Craxi in Costa Azzurra". A Saint-Tropez per la precisione. La sentenza d'appello (26 ottobre '99) conferma l'intera lista delle spese del latitante: non per il partito, ma per i fatti suoi.

Non ha alcun fondamento la linea difensiva incentrata sul preteso addebito a Craxi di responsabilità "di posizione" per fatti da altri commessi, risultando dalle dichiarazioni di Tradati [Giorgio, uno dei prestanomi di Craxi, nda] che egli si informava sempre dettagliatamente dello stato dei conti esteri e dei movimenti che sugli stessi venivano compiuti, e dispose prelievi sia a fine di investimento immobiliare (l'acquisto di un appartamento a New York), sia per pagare gli stipendi dei redattori dell'"Avanti, sia ancora versare alla stazione televisiva Roma Cine Tivù (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire. Lo stesso Craxi dispose poi l'acquisto di una casa e di un albergo [l'Ivanohe] in roma, intestati alla Pieroni.

Alla quale, per soprammercato, Craxi faceva pagare anche "la servitù, l'autista e la segretaria". E poi lo diceva sempre Bettino a Tradati: "diversificare gli investimenti". Tradati eseguiva. Dagli atti risultano varie "operazioni immobiliari: due a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile". Ma Craxi non trascurava gli affetti familiari: ecco dunque una villa e un generoso prestito di 500 milioni (mai restituiti, naturalmente) per il fratello Antonio e la di lui moglie Sylvie Sarda, seguaci del Sai Baba. Il prestito doveva servire per l'allestimento di una mostra itinerante di una fondazione dedicate al celebre guru indiano. Infine - scrivono i giudici di appello - "dalle annotazioni redatte da Raggio in ordine ai movimenti sui conti da lui costituiti per conto di Craxi, risultano d'altro canto esborsi direttamente ordinati da quest'ultimo in favore di banche svizzere, riguardanti in un caso spese di locazione di una casa in Costa Azzurra da parte del figlio". Insomma, i conti di Craxi servivano "alla realizzazione di interessi economici innanzitutto propri". Se qualche dipendente del Psi è stato licenziato, ora sa anche il perché: invece del suo stipendio, bisognava pagare la villa in Costa Azzurra al piccolo Bobo. Ottanta milioni per pochi mesi d'affitto. Ma - come ha spiegato Raggio ai pm milanesi - "il figlio di Craxi aveva affittato una villa sulla Costa nell'ottobre-novembre '93 per sottrarsi al clima poco favorevole creatosi a Milano". Anche lui, in fondo, era in esilio. Anche lui aveva dovuto riparare in Francia, sulle orme di Turati, Saragat, Pertini, Nenni, dei fratelli Rosselli e di tanti altri rifugiati politici. e chissù se è vero che affermano alcuni abitanti di Portofino, che giurano di aver visto Bobo Craxi anche in anni recenti a Villa Altachiara, dopo la tragica morte della padrona di casa Francesca Vacca Agusta, mentre litigava animatamente con l'inquilino Maurizio Raggio, il custode dei conti esteri di papà Bettino.
Fedina penale: Condannato nel 1999 dal Tribunale di Brescia per diffamazione aggravata ai danni del procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, a 1 mese di reclusione e 25 milioni di lire tra riparazione pecuniaria e risarcimento del danno, si è salvato in appello grazie alla prescrizione. In un'intervista del 18 febbraio 1996 al "Corriere della Sera", aveva affermato: "Ricordo bene quando, nel 1990, Borrelli bussò alla porta di Pillitteri perchè lo aiutasse a diventare procuratore capo di Milano". Una menzogna assoluta, riconosciuta come "diffamazione e lesiva dell'onore e della reputazione di indipendenza" di Borrelli anche dalla Corte d'appello di Brescia che, pur applicando la prescrizione, ha confermato la condanna ai risarcimenti e al pagamento delle spese legali, con una sentenza divenuta definitiva nell'ottobre del 2007 per mancanza di ricorso in Cassazione da parte di Craxi junior. Il quale, divenuto sottosegretario, non ha mai pagato una lira ne un euro, infischiandosene della sentenza.

Postato da Antonio Di Pietro

 
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