Creato da nagel_a il 27/12/2008

la finestra

gli scenari dell'anima

 

Come acqua

Post n°455 pubblicato il 21 Ottobre 2011 da nagel_a


"Pochi, così pochi questi fortini che si lasciano cancellare da sabbie e venti piuttosto che sfasciarsi in alberghi e carovaniere."
(C. Campo, Gli imperdonabili)

Ci sono persone che sanno essere piene, colme, maestose, come quei fiumi che sono vita per i terreni che attraversano. Che riescono a condursi, senza riguardo ai chiacchericci delle rive, alle argille e alle balze.
Ci sono persone che hanno estri stagionali o giornalieri, a carattere torrentizio, secondo il capriccio del tempo. Sanno trascinare, persino rovinosamente, in piene impreviste e strabordanti, ma poi seccano e lasciano un letto arido di pietre smussate. Fino alle prossime piogge.

Sono un torrente. Le mie acque si esauriscono in poche onde, il resto è limo e trote pescate sotto un ponte.

 

 
 
 

i mostri

Post n°454 pubblicato il 18 Ottobre 2011 da nagel_a

E' inutile. Oscillo tra rabbia e pietà. Per qualcosa che vorrei non aver visto e che ormai sta come immagine fissa qui dietro. Una rabbia che strappa bestemmie, tanto è impotente e disarmata. Tanto smisurata è l'indecenza, l'impossibilità di nominare ciò che è stato.
La pietà si sovrappone. Senza bordi. Per quell'infanzia calpestata nell'indifferenza. Indifferenza sorda a qualsiasi pianto che dev'essere stato lacerante.

Non so se sia ancora pietà quella che giunge oltre. Che assiste all'alienazione in cui l'uomo è caduto. Alla perdita di ogni senso del sacro, di ogni fede anche istintiva nella propria sopravvivenza. L'uomo non deve credere nemmeno più in se stesso, se arriva ad essere cieco verso i propri cuccioli.

Yue. Aveva 2 anni.

 

"Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei giusti" (Sal 102)

Vaffanculo

 

 
 
 

La porta

Post n°453 pubblicato il 13 Ottobre 2011 da nagel_a



L’uomo uscì sbattendo la porta ed ella rimase lì, senza nemmeno il fiato per piangere. Quante volte si era immaginata quella scena, percorrendo mille possibili sfumature. Sguardi arroganti, parole taglienti, gesti d’orgoglio e di ribellione. Ogni espressione portata al limite del suo significato, all’estremo della sua durezza. Come fosse una battaglia da siglarsi senza prigionieri.

Aveva, nelle sue false premonizioni, reagito sdegnosamente a insulti e minacce, racchiusa intangibile in un silenzio impenetrabile, mentre fuori avrebbe infuriato una nube di accuse dalle punte acuminate.

Ogni variabile era stata scandagliata dalla sua mente, la posizione di ogni movimento, persino la luce che avrebbe illuminato ogni parola.

Ora rimaneva lì. Annientata. Muta. Spenta ogni sua immaginazione. Ogni eroica pretesa di superiorità. L’uomo se ne era andato senza una parola, senza un gesto che anticipasse la porta sbattuta. Solo uno sguardo fondo come la notte. E in quella notte lei era rimasta smarrita, perduta come una bimba nel bosco. Nessuna battaglia e nessun prigioniero.

Giaceva lì, sul letto sfatto, marionetta immobile nel corpo e nella mente, i fili recisi da quel colpo secco.

 

 

 
 
 

Guerra fratricida

Post n°452 pubblicato il 12 Ottobre 2011 da nagel_a


Ora basta! disse guardandosi allo specchio. La voce dura in un ordine tagliente per schiacciare lo scetticismo letto in quel volto affacciato.
Si chiedeva se il suo sguardo fosse davvero quello riflesso o se non si fosse invece sdoppiata e dietro la superficie non comparisse piuttosto quel suo io più fragile e sottomesso. La sua voce e la sua decisione non potevano avere quello sguardo fondo e a tratti smarrito che vedeva. Ecco, oltre un vetro opaco doveva stare.
Racchiusa, anzi rinchiusa lì. Relegata. E forse allora avrebbe avuto il pieno controllo della sua volontà, senza cedimenti e senza tentazioni. La guardò ancora, e non capiva se la piega amara della bocca fosse la rimostranza superba della prigioniera o la consapevolezza sconfitta della carceriera.

 

 

 
 
 

segni e salmi

Post n°451 pubblicato il 11 Ottobre 2011 da nagel_a


Ci sono fogli dalle cifre segrete. Dediche nascoste che allacciano fili celati. Musiche condivise, immagini comuni in un unico puzzle. E' il gioco di un treno sul confine dell'olocausto, un pianoforte sul fondo dell'oceano con una scarpa fluttuante per sentinella.
Sono porte dai vetri smerigliati quelle oltre cui si spinge lo sguardo, su una visione torbida come fondo di stagno.
Carte da decifrare rimangono questi pensieri, queste paure, questi stupori.

E tu assisti meravigliato al salto del passerotto dal nido che vola e non cerca mani tese per nutrirsi.

 

 
 
 

Camera di ospedale

Post n°450 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da nagel_a


Ho visto un uomo. Un vecchio ormai. L'ho sempre visto dormire. Un tubicino portava nutrimento al suo corpo disteso. Un altro tubicino gli permetteva di non rantolare liberandolo dai liquidi venefici del suo torace.
Ho visto un vecchio sempre solo, forse perchè dormiva e nemmeno si sarebbe accorto di una visita. Immerso in un sonno pietoso che addolciva i segni di quel tumore strisciante nei suoi polmoni. E ho pensato a tutti gli altri che ho visto, così indifesi, agli adulti, ai ragazzi, alla terribilità dei bambini.
Mi sono detta che un vecchio ha già vissuto ed è meno "grave" vederlo mentre muore. Ma questo non mi ha consolata: la morte non dovrebbe avere artigli ma solo passi felpati.

 

 
 
 

...

Post n°449 pubblicato il 05 Ottobre 2011 da nagel_a


Ho sempre creduto che il corpo fosse la pelle dell'anima, sua voce e sua identità segreta, porta e maschera. Ho sempre pensato che l'anima in qualche sotterraneo modo "assomigliasse" al corpo, non per manifesta bellezza o eventuale disarmonia, ma per un linguaggio segreto dei gesti e delle espressioni.

Mi sbagliavo. Ci sono anime che gridano dolorosamente in corpi muti o estranei.

 

 
 
 

Il fuoco e la falena

Post n°448 pubblicato il 30 Settembre 2011 da nagel_a


Ci sono danze che articolano movimenti ancestrali in un corteggiamento che non ha sbocchi se non l'assoluto. Perchè ogni essere vivente, relegato a un tempo ben scandito, può avere un assoluto (solo) nella sua stessa vita.
Ci sono danze che raccontano un amore forse incompreso, danze che conducono alla morte come nella più pura cristallizzazione di ciò che è perfetto.
Un rituale convulso che si consuma in un cerchio di luce. Al centro è la fiamma, con il suo intercalare di lingue e faville. Attorno è la falena, notturna creatura di velluto spesso. E' un assedio alla rovescia, dove la conquista coincide con la perdita. La falena avanza con la cieca incoscienza di un Icaro dalle ali di cera. Dev'essere un amore che incede incurante, attrazione per l'abisso che invoca vittima sacrificale. E il volo si fa ardito finchè il calore svapora il velluto e la farfalla torna bruco.
Il fuoco è l'anima del possesso, avvinghia, avvolge e scioglie. Forse patisce la condanna della sua natura e maledice il suo tocco che tramuta in cenere. Forse avvampa nella sua arroganza di potere. Forse si ritrae in qualche fiamma azzurrina per la pietà che coglie l'impotente di fronte all'impellenza del destino. Forse rimane indifferente ripiegato sul suo centro che vive di consunzione.

A fuoco spento rimane il corpo bruciacchiato della falena.

 

 
 
 

La foresta dei pugnali volanti

Post n°447 pubblicato il 28 Settembre 2011 da nagel_a


Mi chiamo Siao Mei. Un nome d'acqua che scorre.
Non sono andata a scuola e non conosco la scrittura. Guardo i suoi segni misteriosi, tagli di sangue sulla carta. Ma non saprei riconoscere il mio nome scritto.
Non ne so il significato. Non so nemmeno se ne abbia uno. So solo che è comune a molte fanciulle.
Se il mio nome dovesse avere un significato, oltre al suono d'acqua che scorre, vorrei  fosse "danzante". Perchè io so danzare e la grazia della danza s'insinua in ogni mio movimento. Sono giunco d'acqua.
Persino quando combatto, i nemici si piegano, perdendosi nella contemplazione della bellezza dei miei gesti. Così muoiono nell'estasi, colpiti dalla mia lama, racchiudendo nel loro ultimo sguardo il volo d'airone delle maniche del mio chimono.
Sono una danzatrice e sono una ribelle. Ho scelto di scrivere un destino romantico nei caratteri del mio nome. Un fiore che schiude i suoi petali al palpitare dell'aria. Un fiore che semina germogli rossi in pegno alla terra.
Sono Siao Mei. Ero invulnerabile. Danzando fuggivo lame e  frecce. Danzando mi levavo dal fango della strada.
Poi è arrivato un uomo. Dolce e prepotente come il vento. E ha dettato i passi del mio danzare. Così sono caduti i miei veli. E una lama mi ha colpito il cuore.
Ho sepolto nella neve il mio germoglio rosso.

 

 
 
 

Il doloroso dovere della libertą *

Post n°446 pubblicato il 23 Settembre 2011 da nagel_a


Credo vi sia un'accezione di libertà che sovrintende a tutte le facoltà dell'uomo. 
La sua natura non è semplice "condizione" o status.
E' come se occupasse un livello ulteriore, che travalica i concetti di dignità, rispetto, uguaglianza. Un mantello di stelle che avvolge il mondo.
La immagino come una sorta di remota iscrizione nel progetto del nostro essere. Forse quell'informazione prima sull'elica del dna, che nulla può scalfire se non il nostro "sistema immunitario", dal di dentro.
Guardare lo sconfinato spettro della libertà che si dispiega nel recesso senza fine dei precordi, dà le vertigini. Un horror vacui come quello che costringeva a popolare lo spazio delle chiese barocche. 
Forse con la stessa origine, con lo stesso timore, gremiamo di vincoli i pensieri. Una sorta di difesa all'impotenza, un alibi alla nostra vigliaccheria.
(Per questo diviene eroico chi costruisce nonostante i limiti?)
Forse quella libertà sostanziale permetterebbe il dispiegamento del pensiero in ogni direzione. Ma chi ne sopporterebbe la portata senza la follia?

[ci sono persone che non sanno essere libere e cercano catene]

* titolo rubato a Hermann Broch

 

 
 
 

la grande sfinge dal volto illuminato

Post n°445 pubblicato il 15 Settembre 2011 da nagel_a


Ci sono uomini che hanno accesso al privilegiato mondo dei bambini e degli attori shakespeariani. Vi entrano con il raro dono del contrappunto e ne traggono forme dalle delicatezze inaccessibili e sognanti, davanti alle quali rimaniamo a bocca aperta. Sono i momenti in cui avvertiamo nitidamente sospesa la nostra discendenza divina. Un barlume solitario nel vuoto infinito siderale: barlume umano confuso nell'immensa indifferenza delle stelle.
Allora questo grumo inaspettato, poetico nella sua fragilità, commuove oltre l'atteso e riscatta di ogni inutilità e banalità l'esistenza. E' uno straordinario modo di occupare lo spazio, quello che piega la materia alle leggi dell'assenza, raccontando il mondo con fili d'ottone e sogni di ferro. Un ossimoro lirico.
Sono sciamani quelli che riescono e ci offrono visioni, perduti nelle quali torniamo bambini stupiti e felici per le magie sciorinate dinnanzi agli occhi.

(il titolo del post è una citazione da Cristina Campo; la fotografia riproduce una scultura di Fausto Melotti... uno degli sciamani)

 

 
 
 

insofferenza

Post n°444 pubblicato il 14 Settembre 2011 da nagel_a


Non mi piacciono gli strascichi, come le estati troppo lunghe, gli inverni che non muoiono. Le cose devono evolvere e, ad un certo punto, finire.
Un progetto dovrà chiudersi una volta giunti a un prestabilito grado di definizione. Diversamente la pietra pomice avrebbe da limare per l'intera vita, poichè l'occhio di oggi sarà, se pur impercettibilmente, diverso dall'occhio di domani.
Mi rendono inquieta le transizioni quando già ho previsto l'esito. Quella parentesi di incertezza, di stasi tra uno stadio e l'altro, porta a nudo i miei fili.
Forse per quel margine di intangibilità e di impotenza di fronte agli eventi non ancora accaduti. Per quella scheggia impazzita che può intromettersi nell'ingranaggio alterando ritmo e risultati.
E io rimarrei lì, allora, con il bicchiere vuoto sotto il torchio sterile.

 

 
 
 

la bussola

Post n°443 pubblicato il 07 Settembre 2011 da nagel_a


Cè una bussola in fondo al mare dei miei cassetti.
Ne ho addomesticato l'ago qualche tempo fa.
Ora la interrogo ogni notte, come lo specchio della matrigna.
L'ago è il genio prigioniero al mio servizio: rimango forzatamente io il suo nord.
Forse per quello ogni rotta si complica e si intreccia, confondendo le mete.

C'è una bussola nel cesto dei giocattoli dismessi.
E' la reliquia sbiadita di viaggi mai navigati. Racconta tappe di desideri inevasi.
Nel silenzio delle ore buie mi racconta ancora, con voce bambina, dei sogni di allora.
I sogni di ora, invece, indossano ali brevi e parlano in sussurri per non essere smentiti.

 
 
 

Il ballo

Post n°442 pubblicato il 05 Settembre 2011 da nagel_a




Nella sala lo sfarzo delle luci abbagliava e all'ingresso si era costretti a socchiudere le palpebre. Una difesa istintiva al tenero spettro della retina. Dopo la luce si percepiva un profumo violento che aggrediva le narici, gli effluvi dei fiori recisi disseminati in grandi vasi di cristallo sui tavolini bassi e le essenze esalate dalle scollature degli abiti da sera femminili. Un brusio di fondo frustrava la pretesa di protagonismo della piccola orchestra, ma non fermava il volteggiare delle coppie che si erano decise ad aprire le danze. Era un baluginare di organza e colori pastello, un caleidoscopio di grandi corolle di stoffa dai pistilli di pelle candida.

Le grandi vetrate aperte come maglie larghe di una grossa rete, lasciavano sgusciare la festa fino al terrazzo e giù dalla scalinata fino al buio più discreto del giardino.
Le ombre degli alberi sussurravano man mano che ci si allontanava dal frastuno della casa. Come un mondo sommerso alla ricerca di un fuggevole contatto. Una selva di satiri e fauni tesi a rapire nuove ninfe.
Qualche ospite cercava un po' di refrigerio per i sensi in quell'oasi scura e mormorante. Verso il fiume la notte tornava pudica e densa, umida e nascosta, protettiva e pericolosa. La donna si avvicinò lenta alla sponda, al suadente richiamo dell'acqua. Uno sciabordio da ninnananna, che cullava la sua tristezza.
Gli alberi sulla riva piegavano i rami a dissetarne le foglie ed ella protese la mano a quella carezza chinandosi. Era così dolce la corrente, così vellutato il calore, così gonfio d'infelicità il suo cuore. Lasciò scivolare lo sguardo lungo la riva, sulla lieve iridescenza delle onde. Versò l'ultimo pensiero alla sala da ballo, a lei così estranea, a lei così distante e si lasciò trascinare in basso, in quella fonda broda scura della sua coscienza, nel limo affamato e pietoso.  "... incosciente della sua sciagura o come una creatura d'altro regno e familiare con quell'elemento"*.

* W. Shakespeare, Amleto

 

 

 
 
 

L'uccello delle Upanishad

Post n°441 pubblicato il 03 Settembre 2011 da nagel_a


Ammiro lo scivolare chiaro e limpido di certe dissertazioni logiche. Mi piace seguirne il senso, il rigore del metodo, la sequenzialità di tesi, antitesi e sintesi. Persino i paradossi che spesso provocano la scossa di un accostamento inusuale.
E pure se il piacere intellettuale è alto, cerco altro.
Ciò che in me induce a scegliere e distinguere, quel motore che interiormente spinge e costruisce ciò che siamo, mi porta altrove. Alla ricerca di spunti di pensiero che si traducano in emozioni, lungo linee di confine tragiche e assolute come un freddo siberiano.
Mi rapiscono solo le parole che creano immagini, che forgiano mondi. Allora mi accade, percorrendole, di dimenticare l'intorno e di immergermi in quello che si conforma come un viaggio totale. 
Solo una compresenza di scenari mi permette di cogliere prospettive nuove. Come se attraverso il paese delle meraviglie riuscissi a possedere un dettaglio in più del paese reale. Come fosse tracciato un percorso liminare lungo due baratri e solo questo affacciarsi facesse sentire vivi. Come si moltiplicassero i piani della realtà e la fantasia li rendesse paritetici: un ventaglio di possibilità aperte sul tavolo dinnanzi.

La riemersione è straniamento, confusione. Una decompressione lenta e necessaria per ripristinare l'ordine delle cose nella "dimensione principale".

"Dalla contemplazione del limite - di quel necessario perdersi, nascondersi, interrompersi della visione - la vita sembra nutrirsi, come l'uccello delle Upanishad che guarda il frutto senza mangiarlo."
(C. Campo, Gli imperdonabili)

 

 
 
 

veleno

Post n°440 pubblicato il 02 Settembre 2011 da nagel_a


Dubbi e sospetti dormono silenziosi tra le zolle della terra. E' la tisana dai semi del citiso. Avvelenamento insinuante, inavvertito, fino allo squarcio della coscienza.

Un'angoscia sottile abita le ore, danza che s'imprime al ritmo di una musica macabra. Ballo su ceneri mute, con passo smorzato e guance pallide.
Ombre albergano dietro gli stipiti, sussurri disciolti tra le tende gonfiate dalla brezza che fuori disperde i baccelli letali. Dalla ghiaia di un giardino fiorentino all'erba tenera di un prato in Cornovaglia. 
Il mare assiste con il suo odor di salmastro.

Prendi la pipa giovane uomo e osserva l'estuario. Unica tua saggezza è abbandonare ogni passione. Non hai metà da cercare. Non hai metà da seppellire.

 

 
 
 

Il sole sulle rive

Post n°439 pubblicato il 01 Settembre 2011 da nagel_a


"Fa un sole su questi bricchi, un riverbero di grillaia e di tufi che mi ero dimenticato. Qui il caldo più che scendere dal cielo esce da sotto - dalla terra, dal fondo tra le viti che sembra si sia mangiato ogni verde per andare tutto in tralcio."
(C Pavese, La luna e i falò)

Capita di incontrare luoghi e persone semplici nella loro intima ricchezza, che hanno il profumo intenso e il sapore ghiotto del pane appena sfornato.
E' rinfrancante l'incontro, ha il colore azzurro della lavanda contro il grigio sabbia della pietra. Diventa magica di meraviglia la quotidianità: la colazione al sole, il racconto di orizzonti lontani, il mangiare con amici, l'armonia delle ore. Un'idea di casa.

Ritorna il piglio del gioco, avviticchiato sui tralci, sulle curve morbide delle colline. I polmoni si riempiono del gusto denso di acini e noccioli, nell'aria golosa. 
E oltre il verde e l'azzurro, c'è la declinazione dei rossi: scarlatto, purpureo, granata, cremisi, amaranto. Una storia di millenni. Una storia che si dipana tra le pieghe della terra e dei secoli, in quella fatica dell'uomo che dà frutto dolce e inebriante.

[sigh... evasione finita troppo presto]
nella fotografia è il B&B Il sole delle rive... fonte d'ispirazione... in ogni senso

 

 

 
 
 

L'evasione

Post n°438 pubblicato il 25 Agosto 2011 da nagel_a


Mi alzo quando la luce dell'alba disegna tagli diagonali sulla parete della stanza. Il buio si divide e si dissolve assieme alla bruma dei sogni. Rimango per un po' in cortocircuito sui contatti del giorno.
Cerco nuova linfa nei cerchi scuri del caffè e immagino vie di spezie e sete, altrove, oltre l'ortensia che la porta inquadra, al di là degli orari consueti e delle abitudini certe.
Ho voglia di colline e di vigne, di altre sfumature d'azzurro e odori aspri.
E venga il bicchiere imperlato e un orizzonte a portata di mano, di sguardo, di sogno.
Accadano notti dalla veste corta e dai mattini lunghi. La brezza goduta al crepuscolo su una terrazza racconti gli ultimi sussulti dell'estate.

Metto insieme una borsa da viaggio con un sussurro e un desiderio.

 

 
 
 

gambe lunghe

Post n°437 pubblicato il 23 Agosto 2011 da nagel_a

 

Hanno gambe lunghe e gracili i ragni. Tessono tele dai fili sottili e tenaci che si imperlano di rugiada tra l'erba. Ogni gamba è un giro di valzer, il racconto di un sogno d'inverno. Ogni gamba è il passo scalzo di chi avanza nel vuoto e nel vuoto costruisce. Una ragnatela che si spiega sull'abisso e unisce sponde prima intatte. Una città che sfida il buio del fondo e vibra alla luce di vita tenue.
Un filo come una melodia, un incrocio improbabile e coraggioso di armonica e chitarra.
Gambe lunghe quelle dei ragni, dai tracciati pazienti e incoscienti. Dalla volontà testarda di sfidare l'impossibile in un disegno perfetto come quello di un sogno bambino.
Lasciano una scia i fili dei ragni. Traccia iridescente che indica una via, la via di casa.

 

 
 
 

Il groviglio dei cassetti

Post n°436 pubblicato il 21 Agosto 2011 da nagel_a


Capitano sere annoiate che decidi un inventario. Cestino da un lato, forbici dall'altro e nessuna idea di sorpresa. Poi i cassetti si svelano con le loro piccole moine, più spesso innocue e un po' ammuffite.
Dipani matasse rimaste a metà, leggi lettere che allora lasciasti in sospeso e comprendi significati che allora ti sfuggirono. Come guardare un film in cui la protagonista ti somiglia, e non per la ruga in più che è solo appena accennata. Cambia un'espressione, la profondità di uno sguardo o la morbidezza di un gesto e quella che osservi diventa un'estranea, forse lontana parente.

Ho ribaltato cassetti e gettato cose ormai morte. Altre, pure morte, per il momento rimangono lì. Stantie e fuori moda, fuori corso. Forse rimangono lì perchè provo ancora qualche tenerezza per l'io che le ha attraversate.

Tendo alla damnatio memoriae di ciò che è stato. Rimuovo, a volte consciamente, atrettanto spesso senza coscienza, ciò che mi disturba ricordare. Quello del passato che non si è trasformato in carne e sangue, lo pongo nel rogo freddo di ciò che è ormai inutile e sterile.
Nessuna contemplazione e ben poco rimpianto. Non ho spazi in soffitta per bauli abbandonati.

 

 
 
 

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"Oltre alla realtà empirica e banale c'era l'ambito dell'immaginazione, costituito da quello stesso mondo percepibile grazie alla vista, al tatto e all'odorato, ma con in più le schiere infinite degli spiriti e delle ombre. [...] Allora non mi capacitavo del fatto che la maggioranza assoluta dell'umanità appartiene al regno del senso profondo non in virtù del proprio sapere - dono assai raro -  bensì della vita, della raggiante, viva sostanza, e che, dunque, accusarli di ignoranza era sciocco e assurdo. Invece di interrogatori, inquisizioni e tormenti, avrei dovuto osservarli e comprenderli. Osservarli con tenerezza e comprenderli con intelligenza"
A. Zagajewski - Due città

 

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