Saranno tutti contenti, credo. A breve, tra pochissimi minuti, tornerà in onda una trasmissione storica della televisione italiana, ossia Novantesimo Minuto.
Abbiamo corso un rischio colossale, ossia quello di non vederlo più per un altro po' di tempo. Ma alla fine tutto s'aggiusta, e si torna all'antico. E Novantesimo sia.
Come se fosse sempre lo stesso modo di concepire il calcio. Una volta, e parlo di parecchi anni fa, il calcio era ancora uno sport che muoveva più appassionati e meno soldi. Una volta c'erano sedici squadre in serie A, e venti in serie B, che giocavano fra di loro, tutte alla stessa ora, e tutte allo stesso giorno. I campionati iniziavano sempre in questo periodo, e, dato che era molto caldo, le partite si giocavano tutte alle 16. Poi, a mano a mano che la stagione andava avanti, si arrivava a far cominciare le partite alle 14.30. Ed era il sintomo che si era ormai entrati in inverno. Mentre il segnale più evidente che si stava andando verso la bella stagione era dato dallo spostamento in avanti dell'inizio delle partite, ovvero alle 15.
Era un tempo in cui le squadre scendevano in campo con giocatori tutti italiani, o, al massimo e negli ultimi periodi, con non più di tre stranieri schierati o in panchina. Non c'era la ricerca affannosa di improbabili parenti, bisnonni o biscugini italiani o comunitari: se uno era nato a Rio de Janeiro era brasiliano, se era nato a Buenos Aires era argentino. Quindi erano stranieri, anche se si chiamavano Mario Rossi o in qualsiasi altro nome simil-italiano.
E i giocatori che scendevano in campo avevano le maglie numerate rigorosamente dal numero 1 al numero 11. Il portiere era il numero 1, l'attaccante aveva il 9 o l'11, il libero era il 6: impossibile vedere il 99, il numero 80, o vedere un tale in porta con maglione sgargiante e guantoni che avesse sulle spalle il numero 14. Ed in panchina c'erano solo 4 alri giocatori: portiere di riserva, rigorosamente con il numero 12, più altri 3.
Non c'erano procuratori, società di procuratori, o roba simile. Se c'erano, non erano coloro che tenevano in pugno le società, con ricatti continui: non andavano a chiedere "il ritocchino dell'ingaggio" dopo una sola stagione. I contratti venivano rispettati, punto e basta. E riduscussi solo alla fine.
Non c'erano posticipi, anticipi e posticipi degli anticipi. Le coppe europee si giocavano rigorosamente al mercoledì, e solo tre squadre per nazione potevano disputarle: chi aveva vinto il campionato giocava la Coppa dei Campiono, i classificati dal secondo al quinto posto andavano in coppa Uefa, la vincente della coppa Italia andava a giocare la Coppa delle Coppe.
Non c'erano decoder satellitari, decoder digitali terrestri, tessere di improbabili emittenti ex-porno da comprare, e successivamente maledire per la copertura del segnale. Non c'erano commenti dopo gara in diretta, non c'era niente.
Tutti giravano per le strade con la radiolina sintonizzata su Tutto il calcio minuto per minuto, seguendo le mitiche voci di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Alfredo Provenzali, Roberto Bortoluzzi, aspettando di sentire qualcuno dire la famosa frase "Scusa Ameri...", il che significava che un risultato stava cambiando. E si aspettava, impazienti, che Ezio Luzzi passasse finalmente la linea allo studio, e riducesse, e parecchio, il racconto sull'unico campo di serie B collegato.
E poi, alla sera, il rito: Novantesimo Minuto. Con Paolo Valenti che dirigeva l'orchestra composta dai vari Giorgio Bubba, Gianni Vasino, Franco Strippoli, Tonino Carino, Marcelli Giannini. E in quella mezz'ora si vedevano tutte le partite, tutti i gol, tutte le azioni salienti. Mentre per l'approfondimento c'era la Domenica Sportiva, dopo le dieci di sera, che raccontava meglio le partite, tutte le partite e non solo quelle delle squadre che fanno più "odiens".
Tempi che furono. Tempi passati. Novantesimo c'è sempre. Mancano i personaggi di una volta, ma l'etichetta c'è ancora. Così come c'è sempre Tutto il calcio.
Solo che è cambiato, e profondamente il calcio: non è più uno sport, ma è una macchina da soldi.
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