Il_Giorno-1

La Passeggiata

Passeggiando lungo la strada acciottolata di via Vodickova, dove i palazzi in stile liberty si illuminano delle luci al neon verdi e dei colori delle insegne dei negozi e dove antico e moderno si fondono in una sola e unica creatura che è la città di Praga, perla adagiata sulle coste della Moldava, si incontra il Kino Svetozor. Sotto una pensilina che dà sul marciapiedi decorato con un mosaico dalle forme geometriche e gremito di passanti, campeggia l’insegna al neon sporca e annerita dal tempo “KINO SVETOZOR” in caratteri rossi e bianchi. Il Kino altro non è che una sala da cinema indipendente, una struttura che sembra essere rimasta ferma al periodo socialista degli anni settanta e ottanta. Entrando nella galleria inglobata all’interno di un imponente palazzone squadrato dal colore scuro ci sono una serie di negozietti, una mensa che un tempo era destinata ai lavoratori del settore industriale e che ora continua ad offrire cibo tipico come attività folcloristica per i turisti ed alcuni altri piccoli esercizi dove è possibile acquistare ogni tipo di stuzzicheria alimentare. Mentre cammino su quel pavimento di mattonelle bianche e usurate dal tempo mi perdo in mille fantasticherie mentre la mia immagine si riflette nelle teche di plexiglass dove sono esposte le locandine dei film in proiezione. Penso a quelle piccole salette cinematografiche pregne di fumo bluastro, alle poltroncine di tessuto bordeaux impregnate dell’odore del tabacco e con segni di bruciature. Sembra di vedere il fascio luminoso che proietta dall’alto le immagini sbiadite sullo schermo bianco; un mondo che oggi non ha nulla a che vedere con la modernità delle grandi sale da cinema ipertecnologiche e super accessoriate. Voglio pensare che questa sala sia rimasta ancora come un tempo, uno degli ultimi baluardi di antichità per i nostalgici avventori. E’ una tarda mattinata d’agosto non eccessivamente calda, la brezza tiepida accarezza le braccia nude e all’interno della galleria coperta si avverte da subito il fresco refrigerio. E’ l’ora in cui l’appetito inizia a farsi sentire, stimolato anche dalla lunga passeggiata mattutina. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, in ogni angolo c’è una tavola calda con la sua insegna al neon o il suo menù dai colori sgargianti che sembra chiamarti per offrirti le sue specialità; c’è un chiosco che offre specialità russe, un altro che offre piatti elaborati di cucina cinese, ma la mia attenzione è rivolta all’ Ovocny, un moderno e luminoso take away che offre spuntini semplici della cucina locale. Mi faccio strada nella ressa, tra i banconi bianchi lucenti e le vetrine stracolme di ogni tipo di pietanza, dal dolce al salato. E’ un tripudio di colori; il bruno della glassa caramellata sulle torte, il rosso acceso dei frutti di bosco e delle fragole che guarniscono invitanti pasticcini, il giallo vivo e caldo delle spremute di frutta e delle creme. Scegliere è una impresa ardua. Opto per i classici chlebicky assortiti e ritiro il mio pacchetto gentilmente preparato da una ragazza biondina e sorridente con un cappellino rosso e una maglietta a mezze maniche bianche. Le ricambio il sorriso come forma di ringraziamento e di saluto e mi incammino per la mia strada. Superata la galleria dalla volta vetrata che la fa somigliare più ad una specie di serra senza arbusti mi trovo in una piccola strettoia all’aperto, sulla mia destra un piccolo negozietto di capi d’abbigliamento alquanto kitsch. La vetrina mi sembra allestita in modo grossolano e confuso e all’interno tutto sembra tacere e i manichini stessi sembrano più inanimati del solito ed avvolti in una penombra di quieta sonnolenza. Ma ad un certo punto mi ritrovo dinanzi ad una grande porta in ferro battuto decorata da illustrazioni in bassorilievo, dinanzi a me si estende la valle dell’Eden, un giardino tranquillo, pieno di colori che luccicano ai raggi del sole caldo. Come attratto dai richiami delle ninfe che popolano quel piccolo polmone verde entro e in punta di piedi, delicatamente come per non disturbare la magia di quel luogo, inizio a passeggiare guardandomi intorno. La maestosa chiesa della Vergine della neve sovrasta l’antico giardino e lo osserva da secoli come un guardiano dalle sue alte ed imponenti finestre. Sembra di aver varcato il portale per un’altra dimensione dove il tempo non esiste più. Tutto intorno sembra risuonare la musica delle danze slave di Dvorak in quel tripudio di colori e sotto ai porticati grondanti rose rosse. Gli archi in ferro battuto laccato di bianco sono adornati di rampicanti e sembrano fantasie pittoriche di Mucha e tutto intorno è un dedalo di squadrate siepi di tasso. Perdersi in quell’isola verde è così sublime che la mente viaggia e immagina, al posto delle figure di uomini e donne adagiati pigramente sulle panchine, danzanti ballerini sui prati verdi e tra gli alberi da frutto o dietro le siepi di piante aromatiche che sprigionano afrori che si disperdono nell’aria come nuvole colorate che affrescano tele di pittori di altre e remote epoche. Uomini con cappelli a cilindro, bastoni da passeggio e folti baffi bianchi si accompagnano a dame dai vestiti pomposi e sgargianti dando loro il braccio e che diffondono un dolce e fresco profumo floreale. Sorridono gioviali e passano oltre. Una distesa di alberi come soldati schierati fianco a fianco coprono la vista dei palazzi circostanti come voler preservare quel luogo sacro dove vige il dominio della natura e delle sue creature dai molteplici colori. Attraverso gli alberi dai frutti rossi e maturi si imbocca il sentiero che conduce all’uscita. Altri pochi metri nel labirinto verde e ritorna la coscienza del tempo presente; un tram che sferraglia sulle rotaie, una macchina ferma in sosta, i soliti negozi dalle insegne al neon. Si ritorna ahimè alla vita.

La Passeggiataultima modifica: 2020-03-14T13:37:11+01:00da Dr.Prometheus