A. Hitchcock

La finestra sul cortile

Quella sera c’era un po’ di malinconia e di tristezza nell’aria, una sorta di delusione che ti attanaglia quando una persona che attendevi non si presenta all’appuntamento concordato. Ma noi non avevamo un appuntamento, non ci conoscevamo, eppure sentivo un forte legame fraterno che ci legava. Ogni sera tornando a casa stanco dal lavoro, trascinandomi dall’uscio fino alla stanza da letto che racchiudeva il mio piccolo microcosmo, ero solito gettare uno sguardo al di là della mia finestra, oltre il giardino, attraverso la fila di alberi, lì verso le finestre dei miei cari dirimpettai; i miei amici sconosciuti. Facevo questo gesto abitudinario come se fossi stato un padre di famiglia che al rientro a casa saluta i suoi cari e chiede loro con interesse e curiosità come sia andata la giornata, quella stessa apprensione affettuosa. Ma stasera non c’era nessuno. Le finestre erano chiuse, le luci erano spente, tutto taceva nell’ombra come se mai nessuno avesse abitato quella casa. Dov’erano finiti? in quali intrattenimenti piacevoli si abbandonavano? La loro compagnia distante mi mancava.
Ricordo quelle serate in cui tornando nella solitudine di casa, chiudendomi la porta alle spalle e lasciando il mondo caotico e rumoroso fuori di essa, potevo bearmi della compagnia allegra, silenziosa e non invadente dei miei buoni amici. Quelle finestre aperte e sempre illuminate da una calda luce, la televisione accesa che si scorgeva vicino alla parete al margine del balcone, il placido andirivieni  tra le stanze. Sulla sinistra, una finestrella stretta e allungata che doveva dare nella cucina; già mi immaginavo le cene che dovevano preparare, i profumi della cucina, l’allegria delle tavole imbandite, l’atmosfera conviviale e dopo quelle cene, adagiarsi sul divano pigramente per chiacchierare mentre la televisione proiettava immagini variopinte di sfondo. Me li immaginavo così, come amici fraterni che condividevano la stessa casa, un luogo dove regnava l’armonia, nel quale non esistevano malumori e tutti i problemi trovavano da soli la loro giusta soluzione. Quanto mi faceva star bene spiarli da lontano, rubare  piccoli spizzichi della loro felicità. Non mi sentivo un ladro per questo, più che altro un amico distante che intimamente e con discrezione condivideva con loro dei momenti di vita.
Il fatto che io non sapessi nulla di loro e delle loro vite rendeva tutto perfetto, perché potevo immaginare tutto proprio come lo avrei voluto io, ero il demiurgo delle mie fantasie, lo sceneggiatore della mia personale commedia.
L’uomo ha viscerale necessità di idealizzare le cose per conferirgli quella poesia di cui la realtà ne è priva.

Monet: Angolo del giardino a Montgeron

Le Domeniche estive

Le domeniche estive hanno un fascino del tutto particolare che le rende diverse da tutte le altre malinconiche, banali ed insopportabili domeniche che si susseguono di settimana in settimana durante tutto il resto dell’anno. Le domeniche d’estate parlano una lingua diversa fatta di suoni, silenzi, profumi e sensazioni del tutto peculiari, come peculiare è il modo di vivere le stesse.
Il caldo si insinua tra le fessure della tapparella già di primissimo mattino, fiacca il corpo che giace nel pieno torpore di un dormiveglia continuo, insopportabile ed estatico allo stesso tempo. Un lembo di tenda dondola appena scosso da un fiochissimo alito di vento caldo, sospira e giace immobile, le foglie verdi degli alberi ondeggiano, frusciano pigramente e rispondono al cinguettio placido degli uccelletti in un dialogo naturale nel quale l’uomo non è invitato a partecipare. L’umanità in città è pressoché assente, impegnata nell’assalto delle spiagge roventi, tra sabbia, salsedine e profumi esotici misti di creme solari e oli.
Regna il beato silenzio. Le finestre dei dirimpettai sono chiuse, inanimate, buie. In lontananza, chissà da quale punto giungono flebili voci, l’abbaiare di un cane, rumori di stoviglie riposte dopo il pranzo domenicale; tutto sembra galleggiare in in’atmosfera rarefatta di pace e quiete che sarà infranta verso sera, quando ognuno ritornerà a casa e la città tornerà ad essere un campo di battaglia invaso dal frastuono, dalla vita disordinata e caotica che pullula e cerca di trovare il suo frenetico sfogo.
Noi attendiamo qui beandoci del momento ma con il cuore assediato dall’ansia, come il condannato che attende l’ora dell’esecuzione, certo che questa prima o dopo avverrà portandosi via tutto con sé…almeno fino alla prossima settimana.