“FRATELLO D’ALBA’NIA” SESTO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

 

BUONGIORNO! pubblichiamo oggi il sesto capitolo del racconto; qualcuno mi ha chiesto, se quello che ho scritto nel racconto è riferito ad eventi veri. Come già chiarito nella prefazione al primo capitolo, date ed eventi ufficiali sono realmente occorsi in quei giorni ed in quelle date; I disordini in “Albània”; la tensione aspra fra Serbia ed Albania, a causa del Kossovo, sfociata poi nell’intervento “umanitario” dei “buoni” bombardando Belgrado nell’anno successivo, il 1999. In quelle date sono stato presente in quei luoghi per altri motivi che esulano dalla vicenda narrata, che, ripeto è di fantasia…ma, come leggerete nei prossimi capitoli, vanno a fondersi con molti eventi reali  che intersecano la vicenda e la sua storia, andando a sfociare in un episodio che mi è realmente accaduto e che diventa storia reale per un tratto…fino a quando la fantasia si riprende il suo protagonismo. Il video che proponiamo, a seguire, si riferisce ad una festa di matrimonio in Albània… Buona lettura, buona visione e buon ascolto. 

 

 

Capitolo VI

 

“Possibile?!!? Non hai rotto un braccio?” Diniego.

“Una gamba?” ancora diniego. Sono in macchina con Osman e Gilibert, che mi incalza.

“Un dito?”

“No Gilibert!”

“Perché?”

“Perché Fatmir faceva solo un <lavoro>; il grosso della responsabilità è di altri. Lui ne ha solo una piccola! Poi, aveva un mitra!”

“Piccola responsabilità: rompi dito mignolo!” Deduce il mio amico, ignorando il mitra.

“No Gilibert. Te lo ripeto. E Fatmir, potrà servirci ancora! So come trovarlo.”

“E allora lo rompiamo dopo.” Sentenzia.

Alle dodici e trenta, arriviamo a Golem. Per strada ho telefonato ad Eris, e gli ho anticipato i fatti, invitandolo a raggiungerci a pranzo.

Ci troviamo nel solito bar: Osman, Gilibert, Landi, Benni, Eris ed io.

“Così ci sono stati quattro omicidi, fatti dalla stessa mano, negli ultimi giorni.”

“Quattro omicidi tu dici… ma noi abbiamo solo tre cadaveri!”

“Come sarebbe?”

“Ho controllato.” Continua Eris…” Abbiamo Saffet: quello morto per strada; abbiamo quello ammazzato al porto… a proposito! Si chiamava Phatos Sami; viveva in Italia con regolare permesso di soggiorno, ed abbiamo la donna; la convivente di Fatmir. Non abbiamo quello ammazzato in questa grotta che dice Fatmir…”

“Questo significa che non è stato ancora trovato?”

“Esatto!” conferma.

“Allora dobbiamo andare a cercare noi!” dice Gilibert.

Finiamo di pranzare e ci rechiamo nella zona indicatomi da Fatmir. Ci sparpagliamo nella fitta boscaglia e, qualche minuto dopo, Benni urla di aver trovato la grotta ed il suo abitante!…

Lo stato di decomposizione è avanzato.

Puzza! (Lo so: non ve ne frega! Tanto non la sentite…)

Gilibert lo fruga. Nelle tasche non trova niente. Nessun documento. Eris va a telefonare in questura.

Dopo un’ora la zona è piena di gente.

Siamo tornati a Golem; Eris è tornato a Tirana. Mi farà sapere notizie del defunto in Italia, visto che il prosieguo delle indagini si sposta sul <suol natio> (il mio!).

Partiamo la sera stessa: Gilibert ed io. Questa volta siamo stati attenti! Abbiamo verificato di non essere seguiti.

Osman e gli altri, cercheranno di rintracciare l’albanese che accompagnava il <Tedesco> anche se penso che non ci riusciranno… navighiamo verso Bari.

Abbiamo un fatto: Arben è in Italia!

Abbiamo un nome. Anche se di un defunto!

Non siamo messi poi tanto male!…

Do un’occhiata all’elenco avuto dal direttore, e che Landi mi aveva dato. Sono tanti!

Quarantadue bambini scomparsi solo da gennaio ad agosto!

In quell’elenco ci sono anche quelli traghettati da Fatmir!

Se non altro hanno un nome!

Sono dodici di quei quarantadue. Il tredicesimo lo conosciamo bene!

 

17 settembre, ore 09.00

 

Non appena sbarchiamo, ci rechiamo in questura a Matera, dove avevo qualche conoscenza. Ci occorrono due ore ed una favoletta, per avere notizie di Phatos Sami.

Risulta titolare di un permesso di soggiorno da luglio novantaquattro, in virtù di un contratto di lavoro, fattogli da un certo Francesco Biondi, residente in Altamura. La qualifica dichiarata è: pastore. Prendiamo i dati relativi al signor Biondi e ringrazio il funzionario che me li ha forniti.

Casa! Dolce casa!

Non potete immaginare cosa significa vedere l’acqua uscire dai rubinetti, ogni volta che li apri!…

Mia moglie mi aggiorna.

Realizzo un <Conte di Montecristo> trasmesso su Mediaset, una fattura da pagare, una esibizione col mio gruppo programmata per il ventisette prossimo ed un appuntamento a mio nome con lo psicologo, il giorno successivo…!

Gilibert gioca con mio figlio ad un videogame.

Lo guardo ed ho un pizzicore dentro…!

 

18 settembre, ore 15.00

 

Ho trascorso la mattinata, aspettando che passasse…

Ora eravamo diretti ad Altamura. Avevo chiamato al telefono il signor Biondi, chiedendogli di incontrarlo a proposito di Phatos. Si: sapeva che era stato ucciso.

No: non sapeva il perché.

Era disponibile a concedermi dieci minuti del suo preziosissimo tempo, purché fossi puntuale alle 16.15, nel suo studio di commercialista.

Non è <amore a prima vista>, quello che provo, quando gli stringo la mano!

Anzi!… la verità è che mi sale subito sulle palle!

“Phatos ha sempre lavorato con me; fin dal suo arrivo in Italia” mi dice il sig. Biondi, … il dottor Biondi, così come attesta il diploma di laurea che è appeso alle sue spalle.

Gilibert è rimasto in macchina ad aspettarmi.

“Lo ha portato un suo cugino che già era alle mie dipendenze.”

“E che lavoro svolgeva per lei, dottore?”

“Ho una azienda agricola, con annesso allevamento ovino, su per la murgia, verso Gravina di Puglia. Sa: al giorno d’oggi, bisogna diversificare gli investimenti. E poi, la vita di campagna mi è sempre piaciuta! Io vengo dalla terra: i miei erano contadini. Ho altri tre albanesi che lavorano per me; curano le greggi. Anche Phatos lo faceva.”

“A quanto pare, lei predilige mano d’opera extracomunitaria! Capisco… i nostri, di certi lavori non ne vogliono più sapere!”

“Ha detto bene! Questi albanesi poi, si sanno accontentare… il che non guasta!” sorride sornione.

“Le risulta che Phatos aveva a che fare con qualche individuo poco… pulito?” Cerco di andare al sodo.

“Cosa vuol dire? Sul lavoro non ha mai creato problemi. Cosa faceva quando era libero non lo so. Comunque non era il tipo da frequentare certa gente. Perché mi ha fatto questa domanda?”

Già … perché?

“Sembra che, qualche tempo fa, abbia portato in Italia una sua cugina; questa donna è finita male… fa la prostituta in qualche posto. I genitori pensano che Phatos c’entri in qualche modo.”

Sono soddisfatto della storiella che improvviso lì per lì! Quasi quasi la bevo anch’io!

“Ho ricevuto l’incarico di rintracciarla e di portarla a casa. Se è possibile.”

Il dottor Biondi ci mette un po’, prima di parlare.

“Guardi: non mi risulta che Phatos abbia mai portato con se una donna, tanto meno sua cugina. Può averlo fatto a mia insaputa! Ma ne dubito. Ma, con questo non ha risposto alla mia domanda: perché avrebbe dovuto frequentare gente poco pulita, come ha detto lei?”

“Mi sembra logico” rispondo “se ha fatto quello che i suoi zii credono, potrebbe aver avuto bisogno di qualcuno… qualche teppistello locale, affinché lo aiutasse a far <lavorare> la ragazza!”

“Ora capisco! Ma non posso aiutarla! Le ripeto: per me Phatos era una persona a posto.”

“Sembra il capolinea della nostra conversazione. Sto per accomiatarmi; “ah!… spero non le dispiaccia dottore, se parlerò con i compagni di lavoro di Phatos, visto che me li ha nominati; potrebbero sapere qualcosa. Sa com’è… tra loro…!”

“Assolutamente! E quando intende farlo? Oggi stesso?”

“Non credo proprio; magari domani. Ho qualcos’altro da fare.”

“Bene. Mi dia un colpo di telefono, così glieli faccio trovare qui.”

“Non vorrei disturbare! Posso andare io nella sua azienda.”

“Ma no! Nessun disturbo! Le metterò una stanza a disposizione.”

Quando lo saluto, ringraziandolo per la collaborazione, ho la sensazione che ci si sia sistemato ancora più comodo!…(mi riferivo alle palle). No! Il dottor Biondi non mi piace! Non mi piace per niente!…Confermo!

“Cos’hai?” mi chiede Gilibert.

“Non lo so… ma qualcosa ho!” metto in moto e mi avvio.

“Dove andiamo ? A casa?”

“No.” Rispondo “andiamo a dare un occhiata all’azienda del dottore.”

“Bene. Sai come ci arriviamo?”

“Chiederemo a qualcuno!”