Buongiorno! In questo post diamo la notizia che giorno 8 dicembre c.a. così come annunciato in un articolo precedente, si è tenuta l’assemblea costituente del coordinamento nazionale NO NATO. Pubblichiamo motivi ed impegni che l’organizzazione si prefigge. La preghiera è come sempre di leggere il tutto… le dittature oggi, sono molto più subdole, perché non hanno uniformi e svastiche come i nazifascisti ante e durante la seconda guerra mondiale, o come i nazi ucraini di oggi; le si può riconoscere solo cercando fonti diverse dalla narrativa delle tv e dei giornali complici e megafoni del potere. Personalmente voglio segnalare abusi e soprusi che il governo ha posto in essere contro chi ha agito segnalando democraticamente e denunciando all’opinione pubblica cosa accade dietro tg platinati, partite di pallone, san remo che canticchia, quiz stupidi e prime alla scala…a proposito una nefandezza italica: impedito ad un soprano di fama mondiale di eseguire la sua performance perché cittadina russa! Tipica azione da vigliacchetti italici per far contenti Washington!
Bologna, 16.12.2024
In data 8 dicembre, presso la Sala Consiliare – Quartiere Porto del comune di Bologna, si è tenuta l’assemblea costituente che ha sancito la nascita del Coordinamento Nazionale No Nato. (articolo mutuato da “donchisciotte.org”
In data 8 dicembre, presso la Sala Consiliare – Quartiere Porto del comune di Bologna, si è tenuta l’assemblea costituente che ha sancito la nascita del Coordinamento Nazionale No Nato. Di seguito riportiamo sinteticamente il contenuto degli interventi che si sono susseguiti durante l’iniziativa.
Nel suo intervento introduttivo Emanuele Lepore (ANVUI), dopo aver sottolineato che la partecipazione all’assemblea ha raggiunto numeri inaspettati dagli organizzatori, afferma che l’Italia è un Paese tutt’oggi occupato militarmente allo scopo di ribadire la subordinazione a USA/NATO, nonché partecipe a tutti gli effetti alla III Guerra Mondiale in corso per il sostegno incondizionato a Israele ed Ucraina e da ultimo la connivenza con chi ha favorito le organizzazioni terroristiche in Siria e alle operazioni di delegittimazione dei risultati elettorali in Romania e Georgia invisi agli USA e alla NATO. Evidenzia la crescente militarizzazione degli spazi pubblici, a cominciare da quelli educativi come scuole ed università, le politiche repressive incarnate dal ddl n. 1660 e le politiche di riarmo confermate da ultima legge di bilancio come componenti di una più generale politica di guerra.
E’ intenzione del costituendo Coordinamento Nazionale NO NATO (d’ora in avanti CNNN) tenere insieme realtà diverse ma animate dalla stessa volontà di contrastare la propaganda di guerra e far sentire meno sole le singole realtà già attive contro la NATO localmente. Si tratta di un percorso iniziato a marzo 2024 in vista del 75° anniversario della nascita della NATO, con diverse mobilitazioni realizzate nei vari territori gli scorsi 4 aprile, 2 giugno e nella settimana dal 2 al 10 novembre. Il Documento Programmatico diffuso ai partecipanti all’assemblea odierna, di cui vengono puntualizzati i pilastri, va inteso come base di una discussione politica da condurre per rendere più unitaria la mobilitazione già in essere, contrastando il senso di impotenza percepito dalle masse popolari. L’opposizione alla NATO è un movimento d’opinione che ha necessità di darsi una organizzazione nei diversi territori affinché la mobilitazione contro la NATO possa essere lotta per ripristinare la sovranità popolare sulle politiche decisive per il futuro del Paese, in quanto l’attuale orientamento euro-atlantico va contro gli interessi della maggioranza della popolazione. Se l’uscita dalla NATO rappresenta l’obiettivo di lungo termine, nel breve e medio termine vanno progettate mobilitazioni e iniziative che non si pongano comunque in concorrenza con iniziative analoghe già in corso, ma anzi convergano il più possibile.
Beppe Corioni (Donne e uomini contro la guerra Brescia) denuncia da sempre la presenza di testate atomiche USA dispiegate presso l’aeroporto militare di Ghedi, formalmente base italiana, e recentemente è stato depositato anche un esposto presso la competente Procura della Repubblica. Si tratta delle nuove B61-12, presenti in venti unità; ogni cacciabombardiere F-35 dispiegato a Ghedi può caricarne due in stiva. La base di Ghedi è ormai diventata meta di visite guidate delle scolaresche in virtù di un protocollo di intesa siglato dai Ministeri della Difesa e dell’Istruzione nel 2014. Lo scopo è quello di educare le nuove generazioni all’obbedienza ed abituarle agli scenari di guerra.
L’attivismo di “Donne e uomini…” ricorre alle più diverse pratiche e recentemente sono stati organizzati anche momenti di confronto con le istituzioni pubbliche dai quali è emersa l’assenza di piani per la gestione di eventuali emergenze all’interno della base che possano danneggiare la popolazione residente nelle aree limitrofe alla stessa.
Conclude il suo intervento con un appello ad adottare quanto prima modalità di lotta adeguate ai tempi correnti che vedono ormai ridotta od annullata l’agibilità democratica. L’appello consiste nel fatto che i comitati a livello territoriale e lo stesso coordinamento nazionale No Nato deve pensare a mettere in campo iniziative di tipo nuovi, a pensare a costruire lotte di tipo nuove e non attestarsi ai vecchi schemi.
Patrick Boylan (Rete No War – da remoto) auspica che la lotta contro la NATO faccia ricorso ad un rinnovato concetto di egemonia culturale, al fine di coinvolgere esponenti del ceto intellettuale che costituiscono naturalmente il tramite per pervenire ad un dialogo con le masse popolari. Delinea tre possibili direttive di azione: 1) le istituzioni politiche locali, dove presentare all’approvazione della risoluzioni contro la NATO; 2) i giornalisti, quali possibili alleati per contrastare la narrazione ufficiale su natura e scopi della NATO; 3) le scuole, dove organizzare assemblee per spiegare agli studenti cosa è veramente la NATO. Propone di abbandonare l’abitudine di ricorrere esclusivamente a complessi documenti programmatici, compresi principalmente dall’ambito di “militanti”, ma partire da questi per sviluppare iniziative e campagne specifiche e di utilizzare le reti social frequentate dai più giovani per veicolare contenuti contro la NATO.
Vincenzo Brandi (GA.MA.DI – Rete No War) ripercorre l’esperienza del Comitato No Guerra No NATO fondato da Giulietto Chiesa e Manlio Dinucci e conduce un excursus storico sulla NATO dalla fondazione ad oggi.
Se l’obiettivo strategico è indubbiamente quello di uscire dalla NATO, nel breve e medio termine va creata una rete delle organizzazioni attive nei territori, rispettando la loro diversità, che hanno il compito di informare e sensibilizzare i cittadini sulla NATO; rimane scettico sulla disponibilità dei giornalisti a farsi portatori di analisi critiche sulla NATO. Sottolinea che nella auspicata costruzione della rete va scongiurato ogni tentativo di egemonia da parte di qualcuno degli aderenti, pur se la rete deve comunque dimostrarsi efficiente nello svolgimento delle mobilitazioni ed efficace nel conseguire l’obiettivo finale dell’uscita dalla NATO.
Emanuele Montagna (Coordinamento Paradiso) sottolinea che la NATO è strumento del capitale finanziario USA per affermare propria egemonia mondiale. Sono veramente forze democratiche ed antifasciste quelle che si battono contro le politiche belliciste in corso già dal 2020 in epoca di pandemia e che nel 2022 hanno fatto un salto di qualità con l’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina. Utilizza l’espressione “Uccidente” per far risaltare la propensione occidentale all’assassinio al fine di preservare la propria egemonia mondiale.
Il CNNN deve essere costituito da una rete non virtuale ma reale, cioè da organizzazioni composte da persone che si conoscono e si incontrano a cadenza regolare. Si tratta di creare un’unione di scopo qui in Italia perché il ns Paese è la chiave di volta di ciò che USA/NATO hanno fatto e vogliono fare in futuro nell’area mediterranea, è l’anello spezzato il quale può venir meno il loro potere. Mette infine in guardia circa il fatto che il movimento di crescente dissenso nei confronti delle politiche di guerra sia a rischio di essere infiltrato da agenti provocatori.
Gabriele Abrotini (Coordinamento Regionale Emilia-Romagna No NATO) presenta il dossier elaborato dal Coordinamento emiliano-romagnolo puntualizzandone le principali aree tematiche (presenza militare della NATO in regione, aziende industriali con produzioni indirizzate anche ad uso militare, rapporti di collaborazione tra la NATO e le università del territorio). Esso è liberamente scaricabile dal seguente collegamento: https://drive.proton.me/urls/XH82Z1KT0M#BpZzwUrPVHzJ
Michele (Giovani Palestinesi d’Italia) ribadisce l’impegno dei Giovani Palestinesi nell’opposizione al sionismo inteso quale massima espressione dell’imperialismo di colonizzazione. Stigmatizza gli accordi tra importanti aziende italiane come Leonardo ed ENI con lo Stato di Israele e ricorda le mobilitazioni condotte dalla sua organizzazione per informare su (e contrastare gli) accordi di collaborazione tra l’Alma Mater Studiorum di Bologna e gli enti universitari e di ricerca israeliani. Sottolinea che tali accordi peraltro si inseriscono nel più generale processo di aziendalizzazione dell’Università italiana e che, in considerazione di ciò, sono state da loro attivate sinergie con realtà sindacali come SiCobas per boicottare le aziende del territorio firmatarie di accordi con controparti israeliane.
Virginia Dessì (No MUOS) si sofferma sul ruolo operativo delle basi USA/NATO situate in Sicilia nei conflitti in corso e sull’azienda Leonardo quale uno dei principali fornitori di armamenti ad Israele. Condanna la militarizzazione delle scuole e l’impoverimento delle masse popolari, auspicando che la crescente rabbia che queste esprimono venga indirizzata contro la subordinazione alle politiche governative di guerra. Infine formula un invito a partecipare al campeggio No MUOS di Niscemi previsto tra il 29 dicembre 2024 e il 3 gennaio 2025 (per info www.nomuos.info).
Alessio (Gruppo Autonomo Portuali Livorno) presenta la natura e gli scopi della sua organizzazione, rimarcando l’importanza della legge n. 185 del 1990 che vieta l’esportazione di armamenti ai Paesi in guerra. Sottolinea che la città di Livorno è un importante centro logistico in tema di armamenti anche a causa della vicinanza con la base USA di Camp Darby. Ricorda la partecipazione alla campagna contro il genocidio in Palestina dello scorso mese di agosto, in occasione della quale è stata avviata una interlocuzione con l’amministrazione locale per dichiarare Livorno un porto di pace. Giudica l’assemblea un momento importante per stabilire contatti con altre realtà dell’attivismo contro la NATO e favorire lo scambio informazioni tra tutti gli organismi presenti.
Alessio Gasperini (Miracolo a Milano) confida che l’assemblea sia utile per creare una unità di azione tra i partecipanti. Ricorda l’imminente anniversario della strage di Piazza Fontana realizzata con esplosivo che, da recenti inchieste, si ipotizza fosse in dotazione alla NATO, i verbali del Comitato Tecnico Scientifico per la gestione della pandemia recentemente desecretati che rivelano la presenza alle riunioni dello stesso di un ufficiale in rappresentanza della NATO e le parole pronunciate da un ministro dell’attuale governo olandese circa l’ingerenza della NATO nelle decisioni assunte nel suo Paese in passato per contrastare la pandemia. Quindi non solo l’influenza della NATO nella politica estera del nostro paese ma anche il suo intervento diretto nella politica interna. Sottolinea la sua contrarietà a qualsiasi tentativo egemonico nei confronti del funzionamento del CNNN ma che allo stesso tempo è necessario adottare una strategia idonea ad operare in un contesto sociale che è divenuto autoritario. Il CNNN deve acquisire l’autorevolezza necessaria a condurre una lotta che ormai riguarda la stessa sopravvivenza fisica ed economica delle masse popolari.
Valeria (movimento “A Foras” per la chiusura delle basi militari in Sardegna, le bonifiche, la restituzione delle terre alle comunità) esprime la propria preferenza per la denominazione “Coordinamento generale No NATO”. Ricorda che A Foras è movimento nato nel 2016 in una regione, quella sarda, dove è concentrato circa il 65% del demanio militare complessivo dell’Italia e si tratta in particolare dei poligoni dove vengono testati i nuovi armamenti e dismessi quelli non più funzionanti. La loro presenza ha provocato l’emigrazione dai territori interessati e il conseguente spopolamento. Inoltre in Sardegna ha sede l’azienda bellica RWM la quale fa grande ricorso ai contratti di lavoro flessibili e precari mentre nella sua comunicazione istituzionale sostiene di rappresentare una importante risorsa a disposizione del territorio. Cita quindi gli indennizzi riconosciuti ai pescatori sardi impossibilitati a svolgere il proprio lavoro perché le acque del mare sono interdette alla navigazione a causa di esercitazioni militari oppure perché la pesca è vietata per l’inquinamento marino: indennizzi che diventano strumento di ricatto e assoggettamento della popolazione locale. Ricorda anche la questione dei cittadini residenti vicino ai poligoni che sono affetti da malattie difficilmente curabili causate dalle sostanze disperse nei poligoni medesimi e i procedimenti penali aperti contro i presunti responsabili che normalmente non giungono a condannare gli alti gradi militari coinvolti. La mobilitazione contro la NATO in Sardegna tradizionalmente ha mirato a condurre occupazioni temporanee di aree del demanio militare. Da poco sono stati inoltre creati due “tavoli di lavoro” per approfondire le ricadute che le attività svolte nei poligoni militari ha sulla salute fisica e mentale dei residenti e per analizzare nonché contrastare la propaganda bellica indirizzata alle giovani generazioni soprattutto in contesti scolastici. Per concludere, cita il testo “Isole in guerra. Occupazione militare e colonialismo in Sardegna, Sicilia e Corsica” pubblicato l’anno scorso insieme a realtà politiche delle altre due isole mediterranee e applaude alla mobilitazione in corso in Sardegna contro gli espropri di terre rivolti ad insediare impianti di produzione energetica cosiddetti green (pale eoliche e pannelli fotovoltaici), nella logica dell’imposizione di una economia di guerra.
Silvia Monici (Mantova per l’Italia) ricorda il ruolo della NATO, recentemente rivelato dai verbali desecretati del Comitato Tecnico Scientifico, nella gestione del periodo pandemico. Mantova per l’Italia, organismo la cui nascita risale appunto a quel periodo, esprime la volontà di aderire al CNNN e sotto questo riguardo ha recentemente organizzato una presentazione pubblica del testo scritto dal giornalista Filippo Rossi “NATO per uccidere. I crimini contro i civili in Afghanistan”
Luigi Borrelli (delegato sindacale USB presso l’aeroporto civile di Montichiari) ricorda la vicenda che lo ha visto colpito da due sanzioni disciplinari di sospensione dal lavoro per un totale di 14 giorni, in quanto responsabile di aver segnalato la movimentazione di armamenti nelle strutture dell’aeroporto civile dove è in servizio. Confida che le mobilitazioni contro la militarizzazione continuino nonostante la prossima probabile introduzione di normative liberticide (DDL 1660) e si rende disponibile a future iniziative.
I portavoce della Piattaforma Antimperialista Mondiale, provenienti dalla Corea del Sud, evidenziano la necessità che le mobilitazioni in corso contro la NATO abbiano un carattere unitario, successivamente attraverso la lettura di un apposito comunicato riepilogano la situazione geopolitica mondiale, dedicando particolare attenzione al conflitto russo-ucraino ed alle crescenti tensioni in Asia orientale. Interpretano come conseguenza di tali tensioni il tentativo di proclamazione lampo della legge marziale in Corea del Sud da parte del Presidente Yoon Suk-yeol. Rilevano che durante l’anno in corso sia aumentato notevolmente il numero di esercitazioni belliche tra forze armate sudcoreane e statunitensi per simulare un’aggressione alla Corea del Nord e citano la propaganda occidentale sul presunto dispiegamento di truppe nordcoreane nella Federazione Russa quale pretesto per aumentare la tensione anche in Asia orientale. Concludono sostenendo che la lotta contro la NATO di per sé ha caratteristiche rivoluzionarie.
Michela (Freedom Road Socialist Organization USA) si dice onorata di partecipare all’assemblea. L’imperialismo è al tramonto, sebbene le spese militari USA siano in costante aumento a partire dal 2000, alimentando conflitti ai quattro angoli del mondo. Il contestuale peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari ha provocato rabbia contro tale aumento, producendo altresì nuove forme di protesta e facendo emergere nuovi organizzatori delle mobilitazioni. Questo attivismo che coinvolge soprattutto le giovani generazioni ha tratti rivoluzionari e si indirizza sempre più contro la NATO e le politiche di guerra, come si è visto al recente vertice NATO di Washington.
E’ necessario adottare strumenti di lotta efficaci per ottenere risultati tangibili, al fine di motivare i nuovi attivisti i quali sono consapevoli che il sistema della guerra capitalista è marcio e va abbattuto.
Mario Cichero (attivista senza affiliazioni) sostiene che c’è bisogno di opporsi non soltanto alla NATO ma al militarismo nel suo complesso e propone l’obiezione fiscale alle spese militari come strumento di lotta. Auspica che lo strumento dell’obiezione venga utilizzato anche nei confronti delle attività scolastiche che si svolgono dentro strutture militari.
Ugo Mattei (Generazioni Future) distingue l’attivismo contro la NATO dal pacifismo “peloso” e ricorda il patto di collaborazione che Generazioni Future ha siglato con altre organizzazioni sociali lo scorso ottobre presso lo Spin Time di Roma. Quale strumento per la sensibilizzazione dei cittadini propone di utilizzare la forma del referendum autogestito, ossia una raccolta di firme diffusa nei territori.
Pietro Vangeli (Segretario Nazionale del Partito dei CARC) sostiene che è possibile fermare la 3° guerra mondiale in corso e che si tratti di una lotta per la sopravvivenza dell’umanità. L’economia di guerra va combattuta perché sposta risorse economiche dall’impiego nello Stato sociale alle produzioni belliche, mentre la relativa propaganda addormenta le coscienze dei cittadini nel quadro della militarizzazione della società e della repressione del dissenso. Non tutti i popoli subiscono la guerra guerreggiata ma in generale gli effetti della guerra si fanno sentire ovunque nel mondo, causando danni che non vengono contabilizzati. Per quanto riguarda il nostro paese, misura immediata deve essere quella di cacciare il Governo Meloni e qualsiasi altro governo delle Larghe Intese e imporre un governo che faccia gli interessi delle organizzazioni popolari: la costruzione del Coordinamento Nazionale No Nato che il P.CARC ha sostenuto fin dall’inizio e che sostiene è strumento molto utile se contribuisce a questo orizzonte politico. È politica la soluzione per farla finita con le scorribande di USA e NATO in Italia.
Riccardo Paccosi (attore e regista) auspica che oltre all’organizzazione di eventi di carattere nazionale sia necessario dare riconoscibilità temporale e spaziale alle mobilitazioni contro la guerra, UE, NATO, sionismo e governi bellicisti tramite lo svolgimento di appuntamenti di piazza in tutte le città.
Simona Cucchiella (CLN e Libera Resistenza Lecco) afferma che Libera Resistenza Lecco, organismo nato durante il periodo pandemico, si è evoluto nella comprensione del carattere ormai antidemocratico del Paese in cui viviamo. Ritiene che la propaganda di guerra sia il nemico più pericoloso e che essa vada combattuta in maniera il più possibile unitaria, coinvolgendo ad esempio anche lo storico Comitato No Guerra No NATO fondato da Chiesa e Dinucci.
Mario Marcuz (avvocato) si occupa professionalmente di repressione e diritti negati. Ricorda il vertice NATO di Lisbona del 2010, in occasione del quale venne definito un nuovo “concetto strategico” che individua le principali aree di interesse e di azione dell’Alleanza Atlantica valide ancora oggi. Nella prospettiva di adottare nuove modalità per opporsi alla NATO, cita l’appello formulato all’Unesco contro l’insediamento di un Comando della NATO a Firenze di cui lui stesso si è occupato collaborando con il Comitato No Comando Nato né a Firenze né altrove, in forte contraddizione con la vocazione culturale e artistica della città così come mondialmente riconosciuta.
Leonardo Mazzei (Fronte del Dissenso), riconoscendo l’importanza della nascita del CNNN, evidenzia la specificità delle mobilitazioni in corso contro la 3° guerra mondiale, seppure essa non sia pienamente dispiegata. Per conseguire l’importante obiettivo di portare l’Italia fuori dagli scenari bellici in cui è coinvolta per la sua sudditanza a USA/NATO, le mobilitazioni devono assumere un carattere di massa; siamo quindi davanti ad una sfida difficilissima.
Pamela Volpi (Insieme Liberi e Coordinamento No Green Pass e Oltre Trieste) spiega che Insieme Liberi è una confederazione politica di carattere nazionale, nata in occasione delle ultime elezioni regionali in Friuli-V.G., che comprende al suo interno anche organismi attivi in campo culturale. Auspica che nasca un fronte compatto contro la NATO pur conoscendo le innegabili differenze esistenti tra le diverse realtà attive nei territori; ritiene che le voci dissenzienti presenti all’interno delle strutture di governo locale possano rappresentare un importante strumento di sensibilizzazione dei cittadini ed a questo proposito cita l’operato del consigliere comunale di Trieste Ugo Rossi e della repressione che ha subito.
Fabrizio Guerra (Assemblea Antifascista contro il Green Pass Bologna) ricorda la strumentalità del green pass durante il periodo pandemico per controllo e disciplinamento sociale. Guerra e pandemia sono elementi di una medesima strategia di dominio portata avanti sinergicamente da governi, apparati industriali ed università. Il genocidio del popolo palestinese assume una valenza simbolica perché coinvolge tutti gli attori degli scenari di guerra storicamente accertati.
Andrea Martocchia (Coordinamento Nazionale Jugoslavia) ricorda la nascita del Coordinamento Nazionale Jugoslavia negli anni novanta del secolo scorso, quando l’allora Jugoslavia fu vittima delle sanzioni economiche occidentali e delle tecniche di disinformazione strategica per fomentare il dissidio inter etnico e la frammentazione sociale. Oggi esso opera come associazione culturale e come tale intende partecipare al CNNN, ritenendo discriminante la condivisione di un orientamento antimperialista.Ribadisce la volontà di aderire al coordinamento nazionale No Nato e di voler contribuire al suo lavoro, invita ad utilizzare con prudenza le reti sociali e a creare un sito internet dedicato come mezzo di comunicazione esterna.
Francesco Sciortino (Log-In) sostiene che la guerra non costituisce solamente un problema di tipo morale ma anche materiale per i danni che produce non soltanto alle popolazioni direttamente coinvolte negli eventi bellici ma anche ai cittadini dei Paesi non belligeranti. Il significativo aumento delle spese militari sancito da ultima legge di bilancio allude alla futura partecipazione ad avventure belliche, facendo cadere il mito costituzionale della guerra solo a scopi difensivi. Auspica che il CNNN riesca ad avviare un percorso unitario fra soggettività distinte che possa attivare anche i comuni cittadini ostili alla guerra e, allo stesso tempo, che i membri del CNNN non coltivino la presunzione che le masse popolari debbano uniformarsi alle decisioni prese dalle avanguardie politiche senza capirne la portata.
Massimo Aliprandini (Lega Obiettori di Coscienza – Milano) ritiene che lo stato di guerra mondiale duri ininterrottamente dal 1945 e che la stessa Guerra Fredda sia stata una forma di guerra mondiale, lamentando che l’ONU abbia nel frattempo perduto il suo ruolo di arbitro autorevole nelle contese mondiali. Avanza la proposta di elaborare, congiuntamente agli altri organismi lombardi aderenti al CNNN, un dossier che mette in fila i presidi bellici relativo alla regione Lombardia analogo a quello realizzato dal Coordinamento Regionale Emilia-Romagna No NATO per l’Emilia-Romagna. Propone inoltre di costituire un pool di avvocati disponibili ad assistere gli attivisti del CNNN in caso di bisogno.
Marinella Ambretti (Fondo Comunista di Firenze e attivista del Comitato No Comando NATO né a Firenze né altrove) sostiene di rappresentare una istanza popolare che durante la lotta per opporsi all’insediamento di un Comando NATO a Firenze, tuttora in corso, ha subito delle infiltrazioni del nemico al suo interno. Ricorda che l’appello rivolto all’Unesco per la preservazione della rilevanza culturale ed artistica della città (citata da Marcuz nel suo intervento) è soltanto l’ultima di una lunga serie di iniziative condotte dall’inizio della mobilitazione. Riferisce infine che tra i membri del comitato è ancora in divenire la discussione se aderire o meno al CNNN e che lei sostiene la linea di aderire al coordinamento nazionale No Nato.
In conclusione dei lavori assembleari, viene rimarcata la necessità di rendere il Coordinamento ambito in cui ogni organismo che intende attivarsi contro la NATO può esprimersi, portare il proprio contributo, mettere il proprio pezzo nella lotta più generale che deve vedere il coinvolgimento attivo di tutti su poche parole semplici e chiare: No alla NATO, No alle politiche di guerra, No alla propaganda di guerra. Viene sottolineato l’invito al campeggio invernale promosso dal Movimento No Muos e come principali linee di sviluppo vengono individuate
– la creazione di un dossier (che deve vedere il contributo di ogni organismo attivo nella lotta contro la NATO) di mappatura delle basi USA e NATO in Italia e dei principali presidi di guerra (infrastrutture, aziende, ecc.);
– lo sviluppo di iniziative di presentazione del Coordinamento in diverse città d’Italia, da concordare e portare avanti a partire dall’inizio del 2025.
Per il coordinamento nazionale No Nato
Federico Roberti
Coordinamento Nazionale NO NATO Dichiarazione programmatica
Capitolo 1 – Perché siamo contro la NATO
1) L’occupazione di suolo italiano da parte della NATO attesta o certifica la nostra posizione di paese a sovranità limitata
Fin dal 1945 gli imperialisti USA si installano in Italia con proprie forze. Il dopo-guerra fu caratterizzato dalle infiltrazioni degli USA nella vita economica, politica e sociale del nostro paese. Tale contesto preparò il terreno per l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico (4 aprile 1949) che spianò la via alla sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA e a rendere l’Italia uno dei principali avamposti della NATO nel mondo. Questo fu possibile tramite una serie di trattati fra cui l’Accordo tra gli Stati membri del Trattato Nord Atlantico sullo status delle Forze Armate (Londra, 19 giugno 1951 – cosiddetto NATO SOFA), normante la presenza di personale di uno o più paesi Nato sul territorio di un altro Paese dell’Alleanza, oppure l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA) tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia, firmato il 20 ottobre 1954, che garantiva la disponibilità del territorio italiano per l’installazione di basi militari USA e NATO.1 Emerge chiaramente che gli USA hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo della cosiddetta “Prima Repubblica”, inquinandone i processi democratici di partecipazione collettiva e facendo dell’Italia un loro retroterra strategico in Europa.
2) L’attività della NATO è anti-costituzionale
2.1) L’attività della NATO stride con uno dei principi fondamentali della Costituzione, l’articolo 11, nella misura in cui esso statuisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La portata precettiva ha un ambito applicativo esteso alla forma di guerra offensiva, ammettendo, in linea di principio, solo una guerra in chiave di risposta difensiva. Invece, l’azione della Nato è connotata storicamente da una portata offensiva: essa si è espressa a partire dal 1949 tramite operazioni di intelligence di destabilizzazione e sovversione, e poi, esplicitamente, col “nuovo concetto strategico”, risalente al vertice di Washington del 1999, che ammette “operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza”.2 Questo è il terreno in cui si inserisce la partecipazione attiva dell’Italia, a partire dall’aggressione della NATO all’ex Jugoslavia nel 1999, alle operazioni di guerra offensiva promosse dalla NATO, in piena violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana.
2.2) Inoltre, l’articolo così seguita: “l’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” ovvero prevede reciprocità nelle limitazioni di sovranità territoriale come sono, ad esempio, le basi militari straniere. È normata, dunque, la reciprocità nell’installazione di basi: a ogni base militare USA sul suolo italiano ne deve seguire una italiana su suolo statunitense: ciò non è mai successo e questa è un’ulteriore violazione costituzionale.
Infine, l’occupazione militare del nostro paese da parte degli imperialisti USA-NATO viola esplicitamente il principio costituzionale della rinuncia alla sovranità territoriale esclusivamente in funzione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, dal momento che il documento Guida alla Pianificazione della Difesa per anni fiscali 1992-1999 proveniente dal Pentagono, la cosiddetta “Dottrina Wolfowitz”, chiarisce che per esercitare la loro leadership globale, gli USA devono impedire che altre potenze, compresi i vecchi e nuovi alleati possano diventare competitive nei loro confronti. Citando il documento in questione, il Pentagono afferma che “il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale”.3 Questo prova che l’attività della Nato non assicura pace e giustizia fra le Nazioni ma persegue l’obiettivo dichiarato degli Usa di conservare la loro egemonia in Europa, il che rende l’attività della Nato incompatibile con ogni parte dell’articolo 11 della Costituzione, e quindi, in definitiva, incompatibile con i valori della nostra Costituzione.
2.3) Lo status del territorio su cui insistono le basi militari NATO non è da considerarsi extraterritoriale: le basi sono territorio italiano e, dunque, sono soggette alla giurisdizione italiana. Diversamente, le basi USA sono territorio statunitense e quindi sono basi extraterritoriali. L’azione dei militari dell’Alleanza è tutelata dall’art. VII del SOFA NATO in cui è definito che la riserva di giurisdizione appartiene allo stato di origine se il reato è stato commesso da un proprio membro nell’esercizio delle proprie funzioni o se la vittima è un connazionale, in tutti gli altri casi va applicata la giurisdizione dello stato di soggiorno. La sottomissione politica del nostro paese al potere degli imperialisti Usa-Nato, però, garantisce una totale impunità ai militari statunitensi per i crimini commessi su territorio italiano: la strage del Cermis nel 1998 è l’episodio più tragico, ma sono numerosissimi i casi di violenze sessuali, percosse, sequestro di persona, omicidio stradale o reati stradali di vario tipo in cui la giustizia italiana ha demandato all’equivalente statunitense l’esercizio del potere giuridico, de facto assicurando la dispensa dalla pena per i reati commessi.
3) La presenza della NATO aggrava gli effetti nel nostro paese della guerra esterna e interna
3.1) Coinvolgimento negli scenari di guerra: tra il 1991 e il 2011, l’Italia ha partecipato ad almeno 38 operazioni militari promosse dalla Nato che interessano vaste aree come il Medio Oriente, i Balcani, l’Africa e l’Asia. I governi italiani sono stati complici dei bombardamenti di Belgrado durante l’aggressione all’ex Jugoslavia, hanno condotto l’operazione Antica Babilonia in Iraq, hanno contribuito con interventi dell’aeronautica militare durante l’invasione della Libia, per citare alcune fra le maggiori responsabilità dell’Italia in guerre offensive condotte dall’Alleanza. Attualmente sono in corso 7 operazioni militari nell’ambito dell’attività internazionale della Nato a cui partecipa l’Italia.4 Inoltre, le basi militari Usa-Nato nel nostro paese costituiscono un retroterra tattico per numerose operazioni di sostegno a conflitti Nato: dalla base siciliana di Sigonella sono partiti droni che fungono da ricognitori e guida per i missili Atacms utilizzati nell’ambito degli attacchi delle forze armate di Kiev contro obiettivi militari e civili russi oppure mezzi dell’aviazione statunitense, destinati al trasferimento di sistemi d’arma, munizioni, equipaggiamento in supporto allo Stato sionista di Israele.5
3.2) Risorse nell’industria bellica: dal 2019 a oggi sono stati investiti dal Ministero della Difesa circa 140 miliardi di euro. A queste cifre vanno aggiunti i finanziamenti privati proveniente da soggetti terzi: è eclatante il caso della banca Intesa Sanpaolo che dal 2016 a oggi ha destinato al settore degli armamenti più di 2 miliardi di dollari.6 Emerge che l’Italia rimane impegnata a muoversi verso i parametri definiti dall’Alleanza Atlantica, secondo i quali ogni paese deve investire il 2% del PIL in spesa militare mentre il sistema pubblico è devastato e necessita di urgenti finanziamenti che negli anni, non solo non aumentano, ma diminuiscono.
3.3) Salute pubblica e inquinamento ambientale: Uranio impoverito, torio 232, arsenico, trizio, sono solo alcuni dei metalli pesanti utilizzati all’interno dei sempre più sofisticati e potenti armamenti in dotazione agli eserciti NATO. Questi armamenti sono prima testati nei poligoni militari a uso NATO su suolo italiano (Poligono Interforze di Salto di Quirra – PISQ, Capo Teulada, Capo Frasca in Sardegna; il Dandolo in Friuli Venezia Giulia; Monte Romano nel Lazio) e successivamente utilizzati nelle operazioni di guerra e saccheggio in cui gli eserciti NATO sono coinvolti, con lo strascico di patologie tumorali e inquinamento ambientale provocato ai danni di civili italiani che vivono nei pressi dei poligoni, dei civili stranieri che subiscono i bombardamenti, dei militari di truppa e sottufficiali che li adoperano. L’inquinamento bellico, come dimostrano i territori della Sardegna, della ex Jugoslavia, dell’Iraq e altri, va ben oltre i bombardamenti: i metalli pesanti restano nel terreno, nell’aria e nelle falde acquifere nei casi minori per diversi decenni, addirittura centinaia di anni. A ciò è connessa la produzione bellica: una produzione energivora e che si basa in gran parte sull’estrattivismo selvaggio (metalli e altri minerali, combustibili fossili, ecc.).
3.4) Militarizzazione della società: le scuole e le università stanno sempre più diventando terreno di conquista di una ideologia bellicista e di controllo securitario che si fa spazio attraverso l’intervento diretto delle forze armate (in particolare italiane e statunitensi) declinato in una miriade di iniziative tese a promuovere la carriera militare in Italia e all’estero, e a presentare le forze armate e le forze di sicurezza come risolutive di problematiche che sono invece pertinenti alla società civile. Questa invasione di campo vede come protagonisti rappresentanti delle forze militari addirittura in qualità di “docenti”, che tengono lezioni su vari argomenti (dall’insegnamento dell’inglese da parte di personale NATO a tematiche inerenti la legalità e la Costituzione) e arriva a coinvolgere persino i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) attraverso l’organizzazione di visite a basi militari o caserme. Il tutto suffragato da protocolli di intesa firmati da rappresentanti dell’Esercito con il Ministero dell’Istruzione, gli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali e le singole scuole.7 Nelle Università la NATO entra in progetti di ricerca e di didattica con collaborazioni come quella relativa a “Science for Peace and Security Programme”, ma anche attività condotte insieme alla Marina Militare come “Mare Aperto”, una vera esercitazione di guerra che si svolge ogni anno nel Mediterraneo. In altri casi, ci sono accordi fra Università e NATO per lo svolgimento di tirocini curriculari o extracurriculari presso Comandi o basi NATO. Oltre agli accordi quadro su didattica e ricerca, si evidenzia come nel caso dell’Università di Bologna alcuni percorsi di laurea prevedono al loro interno la possibilità di partecipare al NATO Model Event, una simulazione di gestione di crisi internazionali condotta da esperti NATO.
Questo processo coincide con la crescente militarizzazione delle strade cittadine, consolidando l’approccio militare al governo dei territori: lo dimostra l’estensione dell’uso di tecnologie nell’ambito del controllo dell’ambiente urbano come la videosorveglianza, il tracciamento biometrico e i droni equipaggiati con nuove piattaforme satellitari. A questo si aggiunge l’estensione di tattiche (già in uso in zone urbane militarizzate come Baghdad o Gaza) come la creazione di aree di protezione fortificate intorno ai centri finanziari o politici, l’uso di armi non letali per il controllo dell’ordine pubblico durante le manifestazioni oppure la dotazione di armi a impulsi elettrici per le polizie locali. Ciò comporta una massiccia presenza delle forze di polizia su tutto il territorio, con presidi permanenti, posti di blocco stradali e procedure di identificazione (ved. le operazioni “Periferie sicure” e poi “Strade sicure” condotte dall’Esercito italiano per “la pubblica sicurezza”). Chiude il cerchio della militarizzazione sociale, la deriva repressiva che i governi degli ultimi anni hanno intrapreso con l’introduzione di norme per restringere le libertà politiche delle masse popolari. Va in questa direzione la proposta del disegno di legge 1660 che introduce nuovi reati e nuove aggravanti di pena per chi manifesta, sciopera e in generale esprime forme di dissenso. Infatti, il DdL 1660, da un lato, arriva a limitare la libertà di parola punendo “la detenzione di scritti che inneggiano alla lotta” e, dall’altro, “prevede la totale impunità per le forze dell’ordine, le quali saranno ulteriormente tutelate nei casi sempre più frequenti di “abuso in divisa” e potranno portare armi anche fuori servizio”.8
4) Le basi NATO violano il diritto internazionale
4.1) Sul piano normativo, la NATO è legalmente vincolata allo Statuto dell’ONU, il quale stabilisce che sul piano internazionale, il monopolio dell’uso della forza appartiene all’ONU. In generale, l’ONU vieta la guerra e permette esclusivamente funzioni difensive – l’articolo 51 qualifica che “nulla in questo statuto invaliderà il diritto intrinseco di autodifesa individuale o collettiva se avvenisse un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, finché il consiglio di Sicurezza abbia preso misure necessarie a mantenere la pace e la sicurezza internazionali”. Inoltre, non permette la minaccia o l’uso della forza in guerre preventive o operazioni di sabotaggio di cui è ricca la storiografia della NATO – l’articolo 2 statuisce che “tutti i membri nei propri rapporti internazionali si tratterranno dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualunque stato”. La dottrina NATO del 1999 confligge in modo sostanziale con queste due norme dell’ONU perché espande l’ambito territoriale dell’Alleanza al mondo intero, ammettendo l’intervento anche in scenari non previsti dall’Articolo 5 del Trattato istitutivo della NATO sulla mutua difesa dei Paesi membri.9
4.2) Il Consiglio d’Europa (organizzazione per i diritti umani) ha evidenziato che nelle basi NATO vengono attuate operazioni di extraordinary rendition (“consegna straordinaria”), ovvero l’arresto di individui con procedure extragiudiziali.10 Ciò costituisce un uso non lecito delle basi oltre che una violazione del Diritto che è tale anche qualora l’operazione sia stata consentita dallo stato ospitante.
5) La NATO rende l’Italia complice di violazioni dei trattati internazionali sul disarmo
5.1) La presenza di testate atomiche nelle basi USA-NATO presenti sul nostro territorio costituisce un’illegittimità rispetto agli obblighi previsti dalla sottoscrizione da parte del nostro paese (e anche degli Stati Uniti) del Trattato di non Proliferazione Nucleare. Esso prevede che i cosiddetti Stati-nucleari, cioè in possesso di armi nucleari, conservano il diritto di possedere tali armi ma si impegnano a non trasferirle agli Stati che ne sono privi, i cosiddetti Stati-non nucleari. Quest’ultimi sono tenuti a non fabbricare armi nucleari ma anche a non ricevere il loro trasferimento o acquisirne il controllo. In contrapposizione con questi principi, tra i novanta e i cento ordigni atomici di provenienza statunitense sono depositati nelle basi militari USA-NATO di Ghedi (BS) e Aviano (PN) all’interno del programma di condivisione della deterrenza nucleare proprio della Nato.11
5.2) Il nostro paese è vincolato dalla Convenzione di Ottawa del 1997 per la messa al bando dell’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine antipersona e per la loro distruzione. L’articolo 4 della Convenzione statuisce che:” ciascuno Stato Parte si impegna a distruggere tutti gli stock di mine antiuomo di cui è proprietario o detentore o che sottostanno alla sua giurisdizione o al suo controllo non oltre i dieci anni dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione”. Il fatto che gli Stati Uniti d’America non abbiano mai aderito a questo Trattato, unito all’esistenza e all’attività nell’ambito di numerose esercitazioni di forze come il MOMAG (cioè Gruppo mobile per l’assemblaggio di mine) e la SNMCMG2 (cioè Secondo Gruppo Nato di Contromisure per mine) ci rende potenzialmente complici di ulteriori violazioni internazionali stante il possibile commercio ed utilizzo di mine nel territorio italiano.
Capitolo 2 – Quali sono le nostre proposte
La finalità del coordinamento è quella di attuare fino in fondo l’articolo 11 della Costituzione italiana. La sua applicazione sostanziale implica e coincide con l’uscita dell’Italia dalla Nato. Un orizzonte così richiede di mettere in campo dei passi e delle tappe che si traducono in misure già praticabili che vanno nella direzione di indebolire la morsa con cui la Nato sottomette il nostro paese – e così, creare condizioni più favorevoli per la sua cacciata. Le proposte del Coordinamento sono dunque valorizzare tutto quanto già si muove e già può essere realizzato stante le agibilità democratiche e i principi della nostra Costituzione.
- Ritiro dei contingenti italiani all’estero: attualmente oltre 5000 militari italiani sono impegnati in molte missioni militari della Nato.12 La partecipazione dei militari italiani in missioni offensive promosse dalla Nato non è normata da accordi statutari dell’Alleanza dal momento che l’intervento dei paesi membri è obbligato solo in caso di attacco subito da un Paese membro: la partecipazione a queste missioni avviene tramite accordi presi di governo in governo e dunque è una precisa scelta politica di sottomissione che possiamo interrompere. La procedura di ritiro dei contingenti italiani all’estero può essere fatta in tempi brevi, tanto brevi quanto può essere l’emissione di un decreto d’urgenza che richiama in patria i militari all’estero.
- Tagli dei finanziamenti per l’industria bellica: la Nato vorrebbe portarci a investire il 2% del PIL nel bilancio del Ministero della Difesa, a cui si aggiungono gli acquisti di armamenti che via via vengono accordati tra i vari paesi NATO. Dobbiamo invertire questa china e imporre che le risorse date in pasto ai guerrafondai per finanziare la guerra siano utilizzate in altri ambiti e settori utili alla collettività.
- Applicazione della legislazione italiana ai militari stranieri in servizio in Italia: i contingenti stranieri in servizio in Italia sono storicamente connotati da un certo livello di impunità e immunità alla giurisdizione italiana. Questo è sbagliato: extraterritorialità o meno, chi commette reati nel nostro paese deve essere giudicato secondo quanto stabilito dalle leggi italiane.
- Chiudere i poligoni militari: la maggior parte dei poligoni NATO su suolo italiano non sono di proprietà della NATO o di altri paesi (non godono quindi di extraterritorialità) e possono essere oggetto dell’intervento del governo italiano senza passare dal benestare di altri paesi o delle industrie militari italiane e straniere che al loro interno vi sperimentano armi di ogni tipo, in violazione del diritto internazionale. Inoltre sono aree inquinate in cui sono state interrate tonnellate di metalli pesanti e sostanze cancerogene stante l’utilizzo di agenti tossici come l’uranio impoverito o il torio negli armamenti. Nel Memorandum d’Intesa Italia-USA del 1995 è statuito che le autorità italiane possono intervenire nelle basi Usa-Nato in qualsiasi momento se sospettano di attività che minano la salute pubblica e l’ambiente.13
- Bonifica dei territori inquinati: le esercitazioni militari della Nato in Italia hanno determinato tassi di inquinamento ambientale elevatissimi, con incidenze tumorali fuori da ogni “normalità” per quanto riguarda le aree circostanti i poligoni NATO in Sardegna.14 Questi territori vanno interdetti all’uso e bonificati utilizzando tutte le risorse economiche che attualmente vengono invece utilizzate per progettare, sperimentare e usare armamenti sempre più inquinanti.
- Riconversione dell’industria bellica:
La tendenza attuale dell’industria a partecipazione pubblica va in direzione opposta al disarmo, con la dismissione di interi settori di industria civile, inclusi quelli per la transizione verde e il pubblico trasporto con un aumento vertiginoso della quota di fatturato proveniente dalla fornitura di sistemi di arma. Tendenza già affermatasi negli USA con l’uscita dal settore civile di grandissime imprese, concentrate oggi sulle tecnologie militari.
Lavoriamo per ottenere una diminuzione dell’impegno bellico dell’industria a partecipazione pubblica a favore dell’impegno nella ricerca, progettazione e produzione di tecnologie per la difesa civile ed il contrasto alle minacce che incombono sulle popolazioni in virtù dei cambiamenti climatici, il dissesto idrogeologico, l’invecchiamento della popolazione e i rischi sanitari e di epidemie. In questo campo di lotta, ci battiamo per garantire ad ogni lavoratore dell’industria bellica il proprio posto di lavoro, contro i tentativi di ricatto, licenziamento, ecc. che i padroni dell’industria bellica metteranno in campo per contrapporre operai e organismi di lotta.
Il Coordinamento lotterà contro la pratica delle “porte girevoli” tra funzione politica e dirigenza dell’industria bellica e promuoverà iniziative di lotta contro l’ingerenza dei comitati d’affari dell’industria bellica nelle decisioni politiche ed economiche del paese. Il coordinamento si mobiliterà a difesa della legge 185/90 e contro il traffico di armi, contribuendo all’iniziativa che già gruppi di lavoratori in Italia (CALP di Genova, GAP di Livorno, lavoratori USB dell’aeroporto di Montichiari e altri) promuovono in questo senso.
- Desecretazione di tutti gli accordi segreti: secondo la legge 124/2007, aggiornata poi con DPCM n.3 del 2017, l’estensione temporale della secretazione di uno o più documenti non può superare i quindici anni a partire dall’apposizione del segreto e può essere prorogato fino a un massimo di trent’anni.15 L’accordo bilaterale Italia-Usa del 1950, l’accordo Italia-Usa sulla sicurezza reciproca del 1952, l’accordo tecnico aereo Italia-Usa del 1954, l’accordo bilaterale Italia-Usa sulle infrastrutture del 1954 sono tutti documenti ancora secretati.
- Riconoscimento come vittime di guerra di tutti i civili e militari morti a causa delle attività svolte nelle basi USA-NATO: tutti i civili e militari ammalati, mutilati o morti per la presenza delle installazioni militari Usa-Nato in Italia (esposizione alle sostanze tossiche utilizzate nelle basi durante le esercitazioni e non, residuati bellici, ecc.), vanno riconosciuti come vittime di guerra. La Nato è responsabile e i governi italiani sono stati complici della malattia e morte di civili e militari per le attività svolte dalle basi.
- Smilitarizzazione delle scuole e delle università: Per scongiurare che i luoghi dell’istruzione, principalmente scuole di ogni ordine e grado ed università possano trasformarsi in terreno di propaganda bellica e di manipolazione delle coscienze sul ruolo della NATO, l’azione del Coordinamento sarà volta a denunciare e boicottare le iniziative didattiche dirette e indirette che vengono programmate sulle basi di collaborazioni fra l’alleanza atlantica e le scuole o gli atenei in collaborazione con gli organismi già attivi su questo tema (ad es. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e università) con l’obiettivo di far saltare eventuali accordi di cooperazione tra i luoghi dell’istruzione e i luoghi militari o i progetti finalizzati in tal senso. La smilitarizzazione dell’istruzione deve essere portata avanti non solo sul fronte della didattica, ma anche sul versante della ricerca universitaria o dei progetti a vario titolo che coinvolgono anche le scuole.
- Abolizione dei “decreti sicurezza” contro le libertà democratiche: a fronte dello sviluppo della Terza guerra mondiale, la classe dominante ha necessità di stringere la morsa repressiva contro chi si organizza e lotta contro le politiche di guerra. A partire dal DDL 1660, il coordinamento farà un’azione di resistenza, solidarietà e lotta alle misure repressive che vincolano e ostacolano l’agibilità politica degli organismi che lottano contro la Nato, le politiche di guerra, l’economia di guerra e i suoi effetti fino all’abolizione delle principali misure repressive ai danni delle masse.
Capitolo 3 – Cosa facciamo
1) Coordinare l’esistente
Il coordinamento esprime la volontà di coordinare quanto già esistente nell’ambito degli organismi in lotta contro la Nato, la guerra e le politiche di guerra (repressione del dissenso, economia di guerra, ecc.) e favorisce la connessione con le realtà più disparate che possono confluire su tale lotta comune: da gruppi di lavoratori contro il traffico di armi nei loro posti di lavoro, a comitati ambientali impegnati contro l’inquinamento prodotto dalle basi, etc.
2) Valorizzare l’iniziativa dal basso (oppure rafforzare l’esistente)
Il coordinamento favorisce lo sviluppo di operazioni comuni, iniziative unitarie e campagne d’opinione (successive o contemporanee), che ogni realtà sviluppa in modi e forme specifiche e conformi alle proprie caratteristiche, così da sostenere e potenziare quanto già fanno gli organismi aderenti e valorizzare le iniziative di lotta e gli insegnamenti di altre realtà, mettendole in connessione, rafforzando in ognuna la coscienza della propria importanza, delle proprie possibilità e della propria forza, dando modo a ogni organizzazione di imparare e insegnare alle altre, di sostenersi a vicenda, di mettere in comune conoscenze, esperienze e strumenti di lotta. In questo processo è incoraggiata la massima agibilità sul piano locale: a nessuno è richiesto di sciogliersi nella rete.
3) Alimentare l’organizzazione contro la NATO
Il coordinamento promuove la nascita di nuovi organismi territoriali e/o tematici e la loro convergenza: l’opposizione ai processi descritti nel capitolo 1 è comune alla maggioranza delle realtà organizzate e delle masse popolari in generale, ma è attraverso l’organizzazione che possiamo far valere la forza del nostro numero.
4) Promuovere attività di ricerca e informazione
Il coordinamento promuove un’attività ordinaria di ricerca e scambio di informazioni sulle tematiche inerenti la Nato, la guerra e le politiche di guerra: dalla mappatura delle basi Usa-Nato sul territorio nazionale a quella delle aziende belliche; dalla produzione di dossier d’inchiesta sui processi di militarizzazione dei territori alla denuncia del coinvolgimento dell’Italia in vari scenari di guerra.
Conclusioni
Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia!