La Maca (Lepidium meyenii) è una pianta spontanea e perenne, diffusa sulle cime del Perù ad un altitudine di 3000 metri.
Cresce su depositi alluvionali del Quaternario, formati da conglomerati di argilla nera, bituminosa o carbonifera.
La pianta della Maca impoverisce il terreno in cui viene coltivata, al punto da non poterci coltivare altro per diversi anni.
Nelle tribù precolombiane del Perù, come hanno dimostrato i numerosi ritrovamenti archeologici, la Maca veniva considerata come un “dono degli Dei”.
Inoltre si coltivava come alimento e, a volte, era usata come condimento nelle cerimonie di danza religiosa.
Il frate Antonio Vásquez de Espinoza, in una descrizione del 1598, fa menzione del consumo di questa pianta da parte delle popolazioni locali, che la utilizzavano come un forte ricostituente afrodisiaco, capace di aumentare il desiderio sessuale, negli uomini e negli animali, promuovendo la fertilità.
Solo nell’anno 1980, si mostrò interesse per questo potente tubero, anche grazie alle tante ricerche fatte da tedeschi e americani, tanto che la Maca fu rinominata “Coltura persa degli Incas”.
La Maca è utilizzata, quindi, dalle popolazioni andine fin dai tempi degli Incas.
La parte utilizzata è la radice tuberosa, nota per le proprietà afrodisiache e per gli effetti positivi sulla fertilità.
Il primo e più immediato impiego della radice di Maca è stato di tipo alimentare.
La Maca, infatti, crescendo alle altitudini più elevate, ha costituito per le antiche popolazioni andine e per il loro bestiame, una fonte di energia facilmente reperibile ed un alleato contro la fatica fisica.
In virtù delle sue eccellenti qualità nutrizionali, molto simili a quelle dei cereali, la Maca è un alimento completo che, essiccato, può mantenere inalterate per anni le sue caratteristiche nutritive.
Di questa pianta se ne conoscono diverse qualità, che si distinguono principalmente per il loro colore: Maca Gialla, Maca Rossa e Maca Nera. Maca rossa: il tipo più raro tra le tre, che contiene il maggior numero di antiossidanti e aminoacidi ed è nota per essere la più efficace per bilanciare gli ormoni (in particolare per la depressione e lo stress), oltre ad aumentare la forza e la resistenza.
Maca nera: nota soprattutto per aumentare la libido, aumentare la memoria e l’energia ed è anche un booster dell’umore. Si ritiene inoltre che questa varietà aumenti la fertilità negli uomini.
Maca gialla: questa è la più comunemente vista nei negozi. È piuttosto di un colore marrone chiaro piuttosto che giallo. È nota per la sua capacità di migliorare l’umore universale e si pensa che bilanci specificamente gli ormoni nei corpi delle donne.
La Maca può essere consumata in piccole quantità su pane tostato, in vellutate, salse, zuppe, ecc.
Oltre all’uso come cibo, essa è utilizzata nella medicina popolare come ricostituente, per aumentare le facoltà fisiche e mentali.
Nonostante sia una pianta con apparato vegetativo composto da foglie, la parte della pianta più utilizzata è la radice tuberosa.
Infatti la Maca peruviana ha delle radici carnose e somiglia alla patata, al ravanello o alla rapa, per crescita, dimensioni e consistenza.
Per quanto riguarda le proprietà afrodisiache, essa nell’uomo, non solo favorisce la produzione di spermatozoi, ma ne migliora anche la mobilità riducendo il grado di ossidazione.
Nella donna, la Maca peruviana incrementa la produzione di estrogeni che, a sua volta stimola la produzione follicolare aumentando la fertilità.
Si ritiene che sia anche una cura efficace contro l’impotenza.
L’Aloe è una pianta grassa dalle foglie succulente.
Il nome deriva dal greco “als, alos” = “mare, acqua marina, sale”, poiché il suo habitat naturale è in zone marine.
Oppure il vocabolo potrebbe discendere dall’arabo “alua” = “amaro”, come in effetti è amaro il succo della pianta.
Sotto il nome di Aloe sono elencate circa 250 specie del genere Liliacee.
La pianta assomiglia molto all’agave, sia per forma che per caratteristiche climatiche. Le differenze principali sono che l’Aloe non muore dopo la fioritura, le foglie sono più carnose e presentano sulle estremità delle spine. Qualche varietà può avere aculei sulla pagina inferiore e su quella superiore.
Gli usi antichi di questa pianta sono gli stessi di oggi, infatti è definita un vero “toccasana per tutti i mali”.
Duemila anni fa, gli Assiri usavano l’Aloe per contrastare la cattiva digestione e l’ aerofagia.
Nel mondo egizio, era simbolo di immortalità ed era posta all’ ingresso delle piramidi, per accompagnare i Faraoni nella loro vita ultraterrena. Cleopatra e Nefertiti la utilizzavano insieme con i bagni di latte, per rigenerarsi e, collocata all’ interno delle abitazioni, si pensava assorbisse le energie negative.
La cultura greco romana, invece, ne sfruttava le proprietà cicatrizzanti e cosmetiche, oltre a farne uso per curare disturbi di stomaco, calvizie e irritazioni.
L’Aloe Vera è conosciuta da millenni per le sue proprietà medicinali. Infatti, è citata nell’Antico Testamento, nei Vangeli ed in documenti antichissimi, che tramandano l’uso dell’Aloe presso gli Egizi, i Cinesi, gli Indiani ed i popoli Arabi.
Nel Papiro di Ebers (circa 1500 a.C.), attualmente conservato all’Università di Lipsia, sono elencate le proprietà salutari della linfa di questa pianta, utilizzata nell’antico Egitto ed inserita nella formulazione dei preparati adoperati per il processo d’ imbalsamazione.
Ippocrate, il maggiore medico dell’antichità, fondatore di una scuola medica che ha tramandato i suoi insegnamenti in una collezione di oltre 60 libri, cita ripetutamente l’uso dell’Aloe nei suoi trattati.
Dioscoride, medico greco, autore del più antico trattato di farmacologia, il “De materia medica”, descrive ampiamente i benefici effetti dell’Aloe per la guarigione di piaghe, cicatrizzazione di ferite, protezione e sollievo contro scottature, pruriti ed infiammazioni cutanee.
Durante il Medio Evo ed il Rinascimento, l’uso medicinale dell’Aloe si diffuse in Europa, probabilmente introdotto dai missionari spagnoli.
Da quel momento, la coltivazione della pianta si diffuse dapprima nei Caraibi e successivamente in Messico e Sud America.
In un passo del vangelo di Giovanni, si dice che Gesù venne sepolto con Mirra ed Aloe.
In Perù, si ritiene che il potere protettivo dell’Aloe sia talmente forte che, se il malocchio è molto potente, la pianta, sistemata in vaso vicino alla porta d’ingresso, muore ma non lo lascia passare.
In Egitto, l’Aloe ancora oggi viene sistemata davanti alla porta di casa, per assicurarsi felicità e lunga vita.
Presso la tribù degli Indiani Seminole, in Florida, era chiamata “Fonte della Giovinezza”. L’acqua proveniva da un gruppo di piante giganti di Aloe, con i rami così larghi, che soltanto le persone più giovani riuscivano a farsi strada attraverso di loro. Dei vecchi Saggi vi si recavano, si bagnavano nell’acqua e tagliavano le foglie, applicandole sui loro corpi, per conservare la loro eterna giovinezza.
Esistono in commercio the con fiori di Aloe molto aromatici, numerose creme ed idrogel.
In Esoterismo, se una foglia di Aloe è tenuta in nella mano sinistra durante il parto, o posta sulla fotografia della partoriente con farina di riso, facilita la nascita.
L’Aloe è un potente afrodisiaco, che aumenta le capacità amatorie.
In magia, la pianta ha un posto d’onore nelle pratiche legate al fuoco, piromanzia.
In Africa è utilizzata per proteggersi dagli spiriti dei defunti, come amuleto contro gli incidenti e, piantata vicino all’ingresso di casa, protegge da ladri ed incendi.
Nelle pratiche magiche messicane, l’ Aloe è considerata pianta di protezione, associata a San Michele Arcangelo. Per esempio, per proteggersi da demoni e spiriti maligni, si prepara una fumigazione con Aloe, angelica ed iperico, chiamata “Sahumerio de San Miguel”.
A Mali è considerata porta fortuna e si appendono delle ghirlande in casa.
Questa pianta è associata ad un ideogramma giapponese, dal significato: “non serve dottore”.
L’Aloe è anche utilizzato nei rituali propizianti il denaro.
Mazzetti di Aloe appena tagliata, appesi in casa, portano protezione, fortuna, denaro.
Pianeta: Luna
RITUALE PER ALLONTANARE UNA PERSONA NEGATIVA
In una notte di luna calante, prendere un foglio e scrivere il nome della persona negativa per 3 volte. Successivamente bruciare il foglio sulla fiamma di una candela nera, precedentemente accesa.
Prendere la cenere formatasi dal foglio e deporla in un vaso di Aloe, che dovrebbe essere all’ingresso di ogni casa, anche per proteggerla dalle negatività quotidiane.
“Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita.” Albert Einstein
L’Ape è un insetto originario dell’Europa, Africa e parte dell’Asia, in seguito introdotta nei continenti americano ed australiano.
Nel 1758, fu classificata da Linneo col nome di “Apis mellifica”.
Nella società animale è l’insetto più studiato ed ammirato.
Nell’alveare, essendo una società matriarcale, vivono una regina (unica femmina fertile), circa 100.000 operaie (femmine sterili che difendono e mantengono la colonia), circa 2.000 maschi (fuchi, destinati esclusivamente alla riproduzione).
Compito della regina è di deporre le uova e di assicurare la coesione della colonia; essa è provvista di un pungiglione, che usa quasi esclusivamente per uccidere le regine rivali, sue sorelle.
Le Api imparano a distinguere i segnali identificativi dei loro simili, effettuando una auto ispezione, per riconoscere il proprio odore ed associarlo a quello delle loro sorelle. In alcuni casi, all’ingresso di ogni colonia è presente un’Ape operaia vigilante, che indaga tramite l’olfatto, per concedere o meno l’accesso alla visitatrice.
L’Ape è un indicatore biologico della qualità dell’ambiente e, attualmente, rappresenta una delle emergenze ecologiche in corso. Infatti, le Api muoiono per varie cause, non sempre del tutto identificate: cause ambientali, mutamento climatico, la “varroa” (acaro parassita), altri antagonisti naturali, otre all’uso indiscriminato dei fitofarmaci.
L’Ape ha un valore simbolico ricollegato alla sua operosità, per la sua capacità di trasformare il polline in miele, pertanto si accomuna al lento lavoro iniziatico.
In esoterismo, si dà un grande valore alla produzione del miele, che serve alla preparazione dell’ambrosia, bevanda sacra presso i Celti, i Germani ed i Greci, o della cera, per la composizione delle candele, oggetti rituali e sacri.
L’Ape è l’emblema dell’eterna rinascita e del rinnovarsi della natura, perché sparisce nei mesi invernali e ritorna in primavera.
Nell’antico Egitto l’Ape, paragonata all’anima, riportava in vita il defunto, qualora entrasse dalla sua bocca. Gli Egiziani credevano che, per la luce ed il colore dorato del miele, l’ Ape fosse nata dalle lacrime del Dio Sole “Ra”. Quando le sue lacrime caddero a terra, vennero trasformate in Api, che costruirono arnie e produssero miele. Per questo motivo, la cera d’Api era onorata come sacra e le candele, fatte con la cera d’api, venivano usate unicamente dai capi spirituali.
La cera era usata dagli Egizi anche per la mummificazione. Però il termine “mummia” non è di origine egizia, ma deriva dall’arabo “mum” o “moum”, cioè la cera con cui i figli del Nilo impregnavano le fasce nelle quali avvolgevano i cadaveri, ma che pure i Persiani e gli Sciiti adoperavano, per ricoprire i loro morti, al fine di impedirne la decomposizione.
Nella cultura greco-romana, le sacerdotesse di Eleusi erano chiamate “le Api”. La statua della Diana di Efeso mostra la dea circondata da diversi animali tra cui le Api, per esprimere la ricchezza della natura.
Agli occhi degli antichi, era una messaggera, che “viaggiava sui sentieri della luce”, portando con sé i messaggi che gli uomini inviavano agli Dèi.
I Greci erano soliti consacrare le Api alla Luna e Platone, nella “Dottrina della Trasmigrazione delle anime”, sosteneva che le anime delle persone oneste e placate rinascessero sotto forma di Api.
In Grecia, lo stesso Zeus fu nutrito del solo miele da sua madre Melissa. Il nome di Melissa deriva dal greco “meli” =miele e significa, letteralmente, “colei che offre il miele”. Melissa, in origine, era dunque considerata un’Ape mellifera, la regina di tutte le Api.
Melissa fu definita “vergine Dea”, perché aveva la facoltà di essere autogenerativa, proprio come le Api che possono riprodursi senza l’ unione sessuale con il maschio. Quando Zeus crebbe, per ringraziare la principessa delle sue dolci cure, decise di liberarla del suo semplice corpo di donna mortale e la trasformò in Ape. Le api, inoltre, chiesero a Zeus (divenuto un dio) di poter avere un pungiglione, per potersi difendere dagli uomini che rubavano il miele. Zeus non gradì la loro richiesta, ma le accontentò, avvertendole che, qualora avessero usato il pungiglione, avrebbero pagato con la vita.
In Gran Bretagna, le Api erano anche chiamate “uccelli di Dio”; in Germania, “uccelli di Marte”.
Gli antichi Babilonesi ( 1600 a. C. circa) veneravano il dio Mithra, che era rappresentato come un leone che teneva nelle sue fauci un’Ape.
Presso i Celti, il miele era utilizzato dai Druidi, per preparare i medicinali e l’idromele, bevanda sacra utilizzata durante cerimonie e matrimoni. Essi erano soliti allevare le Api in tronchi cavi o in alveari fatti di corde di canapa o paglia, al limitare delle foreste dove terminavano i campi coltivati ed i pascoli.
I Celti consideravano le Api messaggere degli Dei, simbolo di perfezione, saggezza e immortalità dell’anima, perché erano in possesso di una conoscenza segreta derivante direttamente dall’oltretomba.
Le Api erano creature associate alla conoscenza del futuro ed all’ispirazione divina.
Esistevano delle antiche leggi druidiche irlandesi, “Leggi di Brehon”, che proteggevano le Api e gli alveari.
Sull’isola di Man, rubare Api era considerata un’offesa capitale. L’alveare stesso, era l’immagine di una comunità ideale, riproposta nelle tombe-alveari o nelle camere iniziatiche.
Durante la Santa Inquisizione, si credeva che una strega, che avesse mangiato un’Ape prima di essere catturata e interrogata, avrebbe sopportato le torture senza rendere confessione.
Per il Cristianesimo, l’Ape era simbolo di castità e virtù: da qui la credenza secondo cui le Api causino un forte ronzio poco prima di mezzanotte della vigilia di Natale, in onore del bambin Gesù.
Un’altra leggenda narra, che dalle lacrime di Gesù fuoriuscirono delle Api. Sant’Ambrogio paragonò la Chiesa all’alveare ed i membri di una comunità alle Api, le quali sono in grado di cogliere il meglio da ogni fiore.
San Bernardo di Chiaravalle considerava l’Ape un simbolo dello Spirito Santo, probabilmente perché si pensava che le Api vivevano solo del profumo dei fiori, dando così un’immagine di grande purezza e continenza.
La Massoneria utilizzava l’Ape come simbolo dell’operosità laboriosa di tutti i Fratelli.
Una delle tante leggende su questo insetto narra che le Api debbano essere informate della morte del loro apicoltore, altrimenti se andranno o moriranno. Se invece muore il capofamiglia, nel momento in cui l’estinto verrà portato fuori per il funerale, gli alveari devono essere girati dalla parte opposta.
Oppure, quando un’ape vola, un’anima ascende.
Inoltre, che una persona sarebbe stata accolta alla vita ultraterrena, se un’Ape fosse stata presente al momento della sua morte.
Il ronzio delle Api nell’alveare è, altresì, connesso con la profezia oracolare femminile e l’uso dei mantra. Infatti, il sacro OM, strumento della pratica religiosa e meditativa induista, se correttamente intonato, dà origine ad un suono molto simile al ronzio delle Api. Questo mantra ed il suo suono, quindi, sono collegati all’omphalos, il centro, “il grande alveare”, la sede dell’enunciazione sacra e della vibrazione ronzante della vita.
Oltre alla simbologia legata al successo, prosperità e buoni risultati nel lavoro, disciplina, società regolata, lavoro di squadra, sforzo collettivo, amore felice e fertiile, l’Ape ha anche un significato negativo, di minaccia, fastidio e pensiero molesto.
Nel folklore comune:
-se le Api sciamano dall’alveare verso la vegetazione, vi sarà una morte in famiglia.
-le Api non vanno mai spostate il venerdì santo, altrimenti moriranno.
-se molte Api entrano in alveare senza uscirne, sicuramente pioverà.
-molte Api, che volano nei pressi di un bambino che dorme, preannunciano una vita felice per quel bambino ma, se un’Ape muore in casa, la sfortuna è assicurata. Infatti, la cosa peggiore è uccidere un’Ape in casa perché energie negative pervaderanno l’abitazione per molti anni.
-presso le popolazioni del Mississippi è credenza comune che, se si sogna uno sciame di Api che si posa su una casa, certamente arriverà la malasorte.
-una ragazza vergine può tranquillamente passare attraverso un grosso sciame di Api senza essere punta mentre, se le Api rimangono stanziali in un alveare per molto tempo, presagiscono l’arrivo di una guerra.
– incise sulle tombe significano immortalità.
La tradizione vuole che le Api abbiano anche proprietà terapeutiche nella cura dei reumatismi.
Ora passiamo ai sogni:
– Sognare un’Ape gigante, può avere un significato positivo di successo e ricchezza, oppure uno negativo di minaccia e pericolo.
-Sognare un’Ape regina, rappresenta una figura femminile sessualmente potente, che tende ad accentrare su di sé tutte le attenzioni ed a sbarrare la strada ad altre donne.
-Sognare Api che inseguono o che pungono, rappresenta una minaccia, un pericolo di cui si ha paura. Questo sogno solitamente si presenta, se hai subito traumi di recente. senti perseguitato da qualcosa (persone moleste, pensieri, preoccupazioni). Possono essere anche un simbolo di rabbia e aggressività che ti ‘pungola’. La puntura d’ape può anche avere un significatol’innamoramento, il sentimento d’amore che si fa strada in te; potrebbe crearti spavento o confusione.
-Sognare Api addosso, sul corpo o che vengono vicino, è un buon auspicio. Ad esempio, sognarle in testa è in genere un buon sogno, perché la testa è la sede delle idee.
-Sognare api nelle orecchie, indica pensieri fastidiosi, sospetti, oppure maldicenze di cui si è oggetto.
-Sognare Api in bocca è simbolo di parole cattive che si è detto, pettegolezzi o problemi di comunicazione. Mangiare un’Ape è, invece, di buon augurio, perché si incorporano le sue qualità.
-Sognare Api sottopelle o nel naso, indica la necessità di liberarsi, di tirar fuori ciò che si ha dentro, per sentirsi meglio.
-Sognare Api in casa, porta fortuna, perché portano ricchezza, salute, prosperità, felicità.
-Sognare un alveare con il miele, o Api che fanno il miele, è molto positivo perché rappresenta ricchezza, prosperità, fortuna, felicità e realizzazione, sia nel lavoro che in amore.
-Sognare di allevare Api, annuncia fortuna e benessere.
-Sognare di uccidere un’Ape , o morte, rappresenta povertà o anche scarsità di idee. Però, se si tratta di un’Ape minacciosa, la sua morte può rappresentare la vittoria su un pericolo.
Nei tatuaggi, l’Ape è amata dalle donne, rappresenta protezione, simboleggia l’intraprendenza, la laboriosità e la famiglia.
Può rappresentare anche la richiesta di un messaggio da parte di qualcuno, la voglia di novità e cambiamento. I suoi segni distintivi, sono anche la purezza, l’intelligenza, il coraggio, la cooperazione.
Con il miele si possono fare incantesimi e legamenti, per addolcire o influenzare un giudice in un procedimento giudiziario, un prestito in banca, un datore di lavoro al quale si vuole chiedere un aumento, un insegnante a scuola, un amante col quale ci si vuole riconciliare, un parente che ci ha calunniato, un amico col quale si ha litigato per un motivo superfluo.
INCANTESIMO PER ATTRARRE L’AMORE
Ingredienti : Miele, vaso contenitore, carta, matita.
Prendere la carta e scrivere, per 3 volte, il nome della persona che si vuole riconquistare o trarre a sé.
Girare a 90° il foglio e scrivere il proprio nome 3 volte, facendo in modo che i due nomi si incrocino.
Concentrarsi su ciò che si vuole ottenere e scrivere il proprio desiderio attorno ai nomi, senza sollevare la matita, facendo in modo che le parole si colleghino. Finito di scrivere, si possono fare i punti sulle” i” e incrociare le “T”.
Piegare il foglio e metterlo dentro il vaso riempito con il miele. Facendolo, toccare il miele con le proprie dita, pronunciando ad alta voce la seguente formula: “Così come questo miele è dolce, così sarà per me”.
Sigillare il vaso e metterlo in un luogo sicuro. Accendere una candela sul tappo del vaso, nei seguenti colori, a seconda della motivazione:
-Candele marroni (situazioni di casi giudiziari, se si vuole addolcire un giudice o giuria).
-Candele rosse (amore appassionato).
-Candele rosa (per l’affetto di una persona).
-Candele bianche ( per uso generale).
Accendere la candela, una volta ogni settimana nello stesso giorno. Buona fortuna!!!
L’Alloro (Laurus nobilis) è una pianta aromatica officinale, sempreverde, diffusa lungo le zone costiere settentrionali del mar Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia e nell’Asia Minore.
Simboleggia la sapienza divina; il suo profumo può portare la mente ad elevarsi su piani sottili, risvegliando l’ispirazione, sollecitando l’espressione interiore della creatività.
Negli antichi riti, i contadini romani legavano tre ramoscelli d’Alloro con un cordoncino rosso: questo propiziava l’abbondanza del raccolto, aiutava il grano a maturare e donava benessere.
Ancora oggi, si racconta che mettere alcune foglie d’Alloro sotto il cuscino solleciti i sogni profetici.
Secondo un’antichissima credenza, l’Alloro non verrebbe toccato dai fulmini, se non come presagio di una qualche grave disgrazia.
Al tempo dei Romani era considerato anche simbolo di vittoria e di trionfo. La pianta di Alloro adornava la porta di ingresso della casa del Console in carica ai tempi della Repubblica e dell’Impero Romano.
L’Alloro (Dafne in greco antico, Laurus in latino) è quindi un arbusto sacro al culto del Dio del Sole, Apollo, simbolo di immortalità, di rinascita, ispiratore dei poeti e con poteri divinatori.
Il mito racconta della metamorfosi in Alloro della sua amata Dafne, che spiega l’unione del Dio col mondo vegetale. Col suo aiuto, Apollo pronunciò vaticini, purificò se stesso, dopo l’uccisione del serpente e drago Pitone, e Oreste dopo l’uccisione della madre Clitennestra.
I boschetti di Alloro circondavano i santuari di Apollo; la Pizia, sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, masticava foglie di Alloro, quando saliva sul treppiede ornato dai ramoscelli dell’albero sacro.
L’Alloro (insieme con l’edera) era inoltre sacro a Dioniso, dio dell’estasi, e nella Roma antica anche a Giove.
Simbolicamente, indicava la pace raggiunta dopo la vittoria sui nemici.
I messaggi e le armi della vittoria venivano cinti di ramoscelli d’Alloro e adagiati in grembo all’effigie di Giove. Ritualmente, questi ramoscelli purificavano inoltre dal sangue versato.
Secondo una leggenda, l’Alloro era l’unico albero tra tutti quelli piantati dall’uomo a non essere mai colpito dal fulmine.
Durante i sacrifici venivano bruciati ramoscelli d’Alloro, il cui crepitare era considerato un segno propizio.
Le corone d’Alloro e i ramoscelli venivano rappresentati su monete e pietre preziose come attributi di Giove e Apollo.
Anche il protocristianesimo aveva in gran conto le foglie d’Alloro per la loro natura sempreverde, come simbolo della vita eterna, in modo particolare della nuova vita dischiusa dall’avvento redentore di Cristo.
Nei secoli, la figura allegorica di Nike (in latino Victoria), dea della vittoria, è stata rappresentata mentre tiene in mano la corona d’Alloro, che porrà sul capo degli eroi vittoriosi.
Infine, la denominazione di “laurea” ha avuto origine dall’uso di incoronare con l’Alloro chi superava certi esami o prove, simbolizzando la sapienza.
In esoterismo, l’Alloro è una pianta solare, usata per la chiaroveggenza e la saggezza e per portare prosperità.
E’ un’erba di protezione e purificazione d’eccellenza, e viene indossata come amuleto per scongiurare il male e le negatività, bruciato o sparso intorno durante i rituali di esorcismo, e persino appese per allontanare i fantasmi.
Stimola la volontà e l’energia fisica, propiziando il successo e la riuscita.
Foglie di Alloro, miste a legno di sandalo, possono essere bruciate per rimuovere maledizioni e annullare incantesimi di magia nera.
Miste invece a cannella e benzoino, messe in un sacchettino o bruciate come incenso, propiziano affari e prosperità
Propizia la chiaroveggenza e la buona salute.
L’Allora si usa per trionfare, riuscire nei propri intenti, attirare l’abbondanza e, soprattutto, per scaricare le negatività e per proteggersi dai nemici; infatti è una pianta che spezza il male.
Si può bruciare, impiegare nei bagni o utilizzare come scopino nelle spazzolature magiche.
Secondo la tradizione, è indispensabile contro i Poltergeist e anche per atleti e sportivi, perché facilita le vittorie.
Nei bagni è utile anche per vincere al gioco e propiziare la fortuna in genere.
Incantesimo d’amore per fare innamorare
o 3 foglie di alloro
o 1 carta bianca
o 1 matita
Scrivere il nome della persona amata e il desiderio a cui si aspira sulla carta.
Piegare il foglietto in tre parti, mettere le foglie di Alloro in mezzo e piegare di nuovo in altre tre parti.
Ripetere 10 volte il desiderio e conservare il foglio in un luogo scuro.
Quando si realizzerà il desiderio, bruciarlo. PIANETA: Sole SEGNO ZODIACALE: Leone
L’alchimia è un complesso di esperimenti esoterici/scientifici che nacque nell’antico Egitto e non è niente più e niente meno che il precursore delle odierne chimica e fisica. Il termine presumibilmente deriva da “Al Kemi” che in egiziano significa “arte egizia”. Secondo la leggenda, le conoscenze alchemiche vennero donate dal Dio della conoscenza Thot agli Egiziani. Questo incredibile popolo, fu il primo a capire il ciclo della vita, di come l’energia passasse dalla terra alle piante, poi agli erbivori e infine ai carnivori, per poi ritornare nella terra; proprio per cercare di impedire questo processo, provarono a privare i loro cari defunti della putrefazione e della decomposizione, sperando così di preservarne perfino l’anima, seppellendoli al di sotto di una piramide (simbolo esoterico molto importante).
testo sulla filosofia e l’alchimia islamiche scritto dal filosofo e mistico persiano Al-Ghazali (XI secolo)
L’alchimia comprendeva diverse discipline: metallurgia, astrologia, astronomia, chimica, fisica e medicina. Gli alchimisti erano solitamente uomini e donne molto istruiti, colti ed eruditi, che ricercavano il sapere in tutte le sue forme, cercavano una cura per guarire da ogni malattia, deformazione o problema mentale, ricercavano la risposta alla domanda delle domande: “da dove veniamo?”. Si interessavano della crescita del proprio io, della propria anima e coscienza, la ricerca dell’immortalità, alcuni ricercavano ricchezza e fama, mirando molto in alto, alla trasformazione del piombo in oro, la cosiddetta pietra filosofale. Qualunque fosse il traguardo utopico, gli alchimisti erano concordi nell’affermare che l’universo tendesse alla perfezione, e la ricercasse in ogni sua forma, pertanto credevano che il segreto dell’immortalità risiedesse nell’ineluttabilità dell’oro, nella sua forma di perfezione e incorruttibilità.
libro che descrive diversi tipi di processi alchemici (XV secolo)
Diffusasi in tutto il mondo, l’alchimia si discostò ben presto dalle religioni che, come anche nella scienza odierna, rappresentavano soltanto un peso e un vincolo a credenze illusorie e ignoranti. L’alchimia era ricerca del vero, era conoscenza, era libertà. Fino al 1700 l’alchimia fu considerata una vera e propria scienza, basti pensare che Isaac Newton dedicò decenni della sua vita allo studio delle discipline che la rappresentavano.
disegno rappresentativo di alcuni procedimenti alchemici legati all’astronomia
Il processo alchemico per eccellenza era quello dell’opus alchemichum o magnum opus (la grande opera, in latino), ovvero il processo di ricerca della pietra filosofale che prevedeva quattro macro processi: putrefazione (nigredo), distillazione o calcificazione (albedo), sublimazione (citrinitas) ecoagulazione o solidificazione (rubedo). In sintesi ogni processo chimico-fisico corrispondeva ad una fase di trasformazione e cambiamento anche dell’alchimista stesso, della sua anima. Egli partecipava attivamente, totalmente al processo, cercava di diventare un tutt’uno con l’universo, per plasmarlo a suo volere ed aiutarlo nella ricerca della perfezione. Tutti i processi erano collegati alla numerologia, alla natura ed al simbolismo. Erano state scelte varie specie di uccelli per rappresentare i quattro stadi, in quanto dal più “puro” al più “oscuro”, erano comunque animali dotati di ali, da cui la ricerca di libertà insita negli alchimisti. Durante il processo la materia prima veniva mescolata con zolfo e mercurio (e talvolta sale) e scaldata nella fornace Athanor (“senza morte” perché era in grado di lavorare all’infinito senza guastarsi, fondendosi con lo spirito umano dell’alchimista che lo utilizzava e traendo da esso energia, come parte di un immenso e complesso meccanismo universale). Lo zolfo e il mercurio venivano visti come essenze primordiali: una di combustione ed una volatile, con diversi gradi di purezza e complementari tra di loro. I metalli “base” erano collegati ai 7 pianeti dell’astrologia antica ed ognuno aveva il suo simbolo, e ad ognuno corrispondeva anche un organo principale del corpo umano. Il sole governava l’oro ☉ , la luna l’argento☽, mercurio il mercurio ♂,venere il rame♀, marte il ferro☿, giove lo stagno♃, e saturno il piombo♄.
mappa celeste del cartografo olandese Frederik de Wit, 1670
Il processo di nigredo, era simbolicamente rappresentato dall’elemento della terra e dal colore nero. Corrispondeva allo stadio della putrefazione, dell’annerimento (da cui il termine nigredo), della decomposizione. Lo scopo primario era distruggersi (per poi successivamente rinascere dalle proprie ceneri) perché solo in questo modo una persona poteva realmente modificarsi e risalire, purificarsi e migliorarsi, cercando di mirare alla perfezione. Il simbolo animale era il corvo nero. Gli ingredienti, soprattutto il piombo, venivano “cotti a fuoco lento” nella fornace alchemica, finché si maceravano, fondendosi in una massa nera liquamentosa. La materia, così come l’anima dell’alchimista, ritornava nel suo stadio primitivo, quello della creazione del tutto. Questo processo era governato a livello cosmico da saturno, pianeta dei misteri, della pesantezza e della gravità. L’alchimista si chiudeva nei suoi alloggi, rifiutava ogni forma di socializzazione, si chiudeva nei suoi pensieri e non di rado veniva colto da allucinazioni, depressione o sogni ad occhi aperti, in cui ripensava a tutta la sua vita, agli errori commessi, ai fallimenti.
illustrazione tratta dal libro “Il mistero delle Cattedrali”, che rappresenta il processo di nigredo, E.O. Jean Schemit, 1926
Il processo di albedo, era simbolicamente rappresentato dall’elemento dell’acquaper la sua valenza purificatrice e dal colore bianco. Corrispondeva allo stadio della distillazione o della calcificazione, della purificazione (il termine albedo significa bianchezza). Lo scopo di questa fase dell’esperimento era trasformare il piombo in argento. L’alchimista era purificato, pronto ad accogliere un nuovo modo di vivere, a ricominciare in un nuovo modo, a imparare tutto ciò che il mondo aveva da offrirgli, cogliere i frutti dei suoi studi come un bambino che impara a stare al mondo. Gli alchimisti solitamente passavano questa fase a leggere, scrivere, imparare, erano al culmine del loro potenziale di apprendimento e lo sfruttavano al massimo. É uno stadio che rappresenta la fanciullezza, la purezza. Il simbolo animale era il cigno bianco. Era governato a livello cosmico dalla luna.
fonte dell’acqua mercuriale, illustrazione tratta dal Clavis Artis (1738)
Il processo di citrinitas (fase del giallo, dell’oro), era simbolicamente rappresentato dall’elemento dell’aria, per la sua natura mutevole e dal colore giallo. Corrispondeva allo stadio della sublimazione. Alcuni alchimisti lo includevano direttamente nel processo finale di rubedo. Lo scopo di questa fase di esperimento era trasformare l’argento in oro. In questa fase l’alchimista si sentiva saggio, aveva imparato moltissime nozioni in pochissimo tempo, si sentiva “pieno” e “sazio” di sapere, in grado finalmente di comprendere cose più grandi di lui, saperi antichi e primordiali. Il simbolo animale era il pavone, in quanto la sua coda colorata rappresentava perfettamente il giogo di colori che avveniva nella fornace a questo punto del processo. Era governato a livello cosmico dal sole.
processo di citrinitas, da un dipinto del XV secolo
Il processo di rubedo (rossore) era la parte finale, ed era simbolicamente rappresentato dall’elemento del fuoco e dal colore rosso. Corrispondeva allo stadio della coagulazione, della rinascita dalle proprie ceneri, della risoluzione del rebus, dell’elevazione di un elemento “povero” ad uno stadio di perfezione. L’alchimista a questo punto si elevava al di sopra del materiale, la sua anima era redenta e libera e, una volta privatasi delle membra mortali, avrebbe potuto ricongiungersi al tutto dell’universo con una nuova consapevolezza. L’oro era stato plasmato e risplendeva della sua perfezione, e si fondeva perfettamente col mercurio, veniva trasmutato insieme, trascendendo da ogni stato fisico concepibile da umana mente. Era governato a livello cosmico da mercurio e dal sole. Il simbolo animale era la fenice, uccello mitologico noto per la capacità di poter risorgere dalle proprie ceneri, proprio come aveva fatto il piombo, ma anche l’alchimista.
rappresentazione della fenice nell’ultimo processo di trasformazione della pietra filosofale
Una menzione speciale va fatta su una donna che ha fatto la storia: Maria la Giudea. Anche conosciuta come Maria d’Alessandria, fu una filosofa e alchimista vissuta nel II secolo d.C. Testimonianze sul suo lavoro risalgono al IV secolo, secolo in cui fu scritto il più antico manoscritto alchemico mai conosciuto, ed in cui fu menzionata come una dei saggi del passato. Famosa alchimista e inventrice di apparati alchemici, alambicchi e procedimenti chimici, ideò molte operazioni base che permisero poi la nascita e lo sviluppo dell’odierna scienza. A lei si deve, ad esempio, l’invenzione della cottura nel bagno di acqua bollente, a cui ha dato il nome: bagnomaria.
La Silfide (in inglese Sylph), dal greco Silphe = farfalla, è uno spirito femminile dell’aria; la sua forma maschile è il Silfo.
Nella mitologia germanica, è una figura femminile, genio del vento e dei boschi, e possiede una figura agile e snella, tanto che la parola si usa anche per indicare ragazze esili.
Paracelso, medico ed alchimista svizzero, è considerato l’inventore del termine, ne narrò ampiamente le gesta, chiamandole anche “Silvani”, ispirandosi probabilmente a figure mitiche della Cabale.
Egli le descrive come esseri elementali dell’Aria, cioè spiriti legati all’Aria intesa come uno dei quattro elementi della Natura.
Nel 1670, Nicolas-Pierre-Henri de Montfaucon de Villars (Abate di Villars) scrisse un romanzo intitolato “Le Comte de Gabalis ou Entretiens sur les sciences”, in cui descrisse le Silfidi: “L’aria è piena di una moltitudine di persone [Silfidi] dell’aspetto umano, un po’ feroce nel loro aspetto, ma docili in realtà: grandi amanti delle scienze, sottili, solleciti verso i savi ma nemici degli stolti e ignoranti”.
Secondo il letterato inglese Alexander Pope (1700), nel suo “The Rape of the Lock”, le Silfidi sono condense chimiche degli stati d’animo di donne spiacevoli. Infatti, le donne piene di rancore e di vanità diventano Silfidi quando muoiono, perché i loro spiriti sono troppo pieni di vapori scuri, per poter salire in cielo. Belinda, l’eroina dell’opera, assistita da un piccolo esercito di Silfidi, è incoraggiata da loro nella sua vanità dovuta alla bellezza.
In seguito, nel linguaggio comune, Silfide è diventato un termine per riferirsi a spiriti minori, fiabeschi, tanto da ispirare “The Sylphide”, uno dei balletti più famosi, capostipite del balletto romantico, il cui libretto è di Adolphe Nourrit, musica Jean Schneitzhoffer e coreografia di Filippo Taglioni.
Il balletto narra che, alla vigilia delle nozze di un giovane scozzese di nome James con la fidanzata Effie, una bella Silfide, innamorata di lui, gli appare danzando in sogno e svanisce al suo risveglio. James se ne innamora a sua volta, ma deve sposare Effie. Fra gli invitati al matrimonio compare la strega Madge, che rivela a Effie che James ama un’altra più di lei. James caccia Madge e i preparativi delle nozze proseguono. La Silfide ricompare, ma solo James può vederla. Lo spirito, prima della cerimonia, ruba l’anello nuziale destinato a Effie eJames la insegue nella foresta, abbandonando la fidanzata. James nella foresta incantata riceve in dono dalla strega Madge una sciarpa magica, che dovrebbe consentirgli di catturare la Silfide. Ma la sciarpa è avvelenata e, quando viene posta sulle spalle dello spirito, questa perde non solo le ali ma anche la vita, circondata dalle sue compagne. Da lontano, James vede il corteo delle nozze di Effie con un altro giovane, Gurn.
Le Silfidi sono considerate viventi nel vento e come esseri che si spostano nelle correnti aeree. Inoltre, sono creature estremamente timide, anche se non disdegnano il contatto con gli umani, spesso ingannevoli (specie quelle femminili), pur non mancando talora di apparire dolci, comprensive e utili. Sembra, infatti che, qualora ritengano che l’aiuto a loro richiesto sia giusto, siano capaci di rivoltare il mondo pur di aiutare il loro protetto.
Per poterle incontrare, si dovrebbe andare nelle pianure, sulle montagne, sulle altezze vertiginose e, comunque, i luoghi molto ventosi.
Le Silfidi comandano i venti e la pioggia e danno forma alle nuvole; il fulmine è la loro arma e il loro potere è più forte durante l’alba o il crepuscolo.
William Shakespeare immortala le Silfidi in Ariel, nella commedia “La Tempesta”. Ariel appare nella seconda scena del primo atto. Comunica al mago Prospero, suo padrone, di aver fatto naufragare la nave del Re di Napoli, senza feriti, e che tutti sono approdati all’isola, divisi in piccoli gruppi. Davanti all’approvazione di Prospero, Ariel tenta di riottenere la propria libertà. Il mago gli ricorda il suo obbligo di servirlo, in cambio della liberazione dall’albero nel quale era stato imprigionato dalla strega Sycorax. Aggiungendo che, se tutto andrà secondo i piani, e se Ariel lo servirà fedelmente, potrà essere libero entro un paio di giorni. Nel secondo atto, Ariel appare brevemente per sventare un complotto per uccidere Alonso, re di Napoli. Il fratello, Sebastiano, tenta di ucciderlo nel sonno, ma Ariel lo sveglia. Nel terzo atto, Ariel manda all’aria i piani del servo Calibano, che si è messo d’accordo con il cantiniere ubriacone Stefano ed il buffone Trinculo per uccidere Prospero ed impadronirsi dell’isola. In seguito appare fra tuoni e fulmini terrorizzando i responsabili del colpo di Stato che ha costretto Prospero a rifugiarsi sull’isola. Nell’ultimo atto, Ariel risveglia il resto dell’equipaggio, addormentato da un incantesimo di Prospero, e rilascia i prigionieri. Grazie al suo intervento Miranda, la figlia di Prospero, e Ferdinando, figlio di Alonso, si sono innamorati. Prospero, colpito dal suo successo e ormai nuovamente padrone del suo titolo, lo libera.
John Anster Fitzgerald (pittore inglese dell’800) raffigura un Silfo alato, efebico e femmineo mentre si dondola sul ramo di un biancospino in fiore, attorniato da uccelli multicolori.
Le Silfidi sono le creature della Primavera, e i loro canti e le loro danze risvegliano la Natura. Il loro linguaggio è simile a quello degli uccelli per questo comunicano con la musica e il loro strumento preferito è il flauto.
Nel ” Element Encyclopedia Of Secret Signs And Symbols The Ultimate A Z Guide From Alchemy To The Zodiac”, Adele Nozedar riporta come la credenza dell’esistenza delle Silfidi fosse radicata fin dal tempo di Carlo Magno, tant’è che egli emise un editto che vietava che questi spiriti si mostrassero agli esseri umani.
Ne “Il magico regno di Landover “, scritto da Terry Brooks, Willow è una Silfide, moglie di Ben. Lei è la figlia del Signore del Fiume, ha la pelle color verde chiaro e capelli color smeraldo. Ha una doppia natura, umana e fatata, perché ha origini dal Mondo Fatato. Per mantenere la sua forza vitale deve trasformarsi in un salice ogni 21 giorni.
L’Acutomanzia è una pratica divinatoria effettuata prendendo, e gettando su una tavola o un’altra superficie piana, una piccola quantità di spilli o aghi. In base alla disposizione che questi assumono, si procede all’interpretazione del responso.
Questa è una mantica che risale indicativamente al ‘700 e si possono utilizzare vari tipi di materiali appuntiti, per esempio anche schegge di silice, spine di legno, lische di pesce, ossa appuntite di altri animali, ma anche pungiglioni, verghe, stele, lance. E, a seconda delle varie epoche, troviamo aghi di bronzo, di ferro, di oro, d’argento, fino ad arrivare all’acciaio.
Esistono vari metodi di divinazione: uno prevede l’uso di 7 spilli chiari ed 1 nero spezzato in due, che vengono gettati a caso su una superficie piana, interpretando le figure che risultano. Solitamente, se gli spilli sono ammassati, la risposta è negativa, se sono sparpagliati, la risposta è positiva.
Si può anche tentare di ricavare delle date, nelle quali i numeri, ovviamente, saranno in cifre romane (I, II, III, IV).
Un altro metodo consiste nel gettare 13 aghi asciutti nell’acqua, se tendono a rimanere separati, il responso è favorevole; se tendono ad unirsi, è sfavorevole.
Ancora un’altra variante, utilizza 24 aghi che possono essere gettati a caso, oppure disposti in un cerchio e si colpiscono ripetutamente con una pallina e si interpretano le posizioni assunte dagli aghi che fuoriescono dal cerchio.
Infine, per una risposta relativa all’amore, si possono prendere 13 spilli (tenuti preventivamente nell’acqua bollente) e gettarli su 7 petali di rosa rossa posti su una superficie piana, facendo la divinazione in base alla forma assunta dagli spilli.
Nell’Italia meridionale, esistono degli spilli molto particolari che, al posto della capocchia, hanno una mano con due dita distese, contro il malocchio.
L’Equinozio (dal latino “aequinoctium” =notte uguale) è quando, due volte all’anno, il Sole incontra l’equatore celeste, per cui i giorni sono caratterizzati dall’uguaglianza del giorno e della notte su tutta la Terra.
L’Equinozio di primavera è il 21 marzo, quello d’autunno è il 23 settembre.
Gli Equinozi ricorrono a circa sei mesi di distanza l’uno dall’altro; nell’emisfero boreale, quello di marzo segna la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre quello si settembre termina l’estate ed introduce l’autunno.
Invece, nell’emisfero australe, l’autunno inizia a marzo e la primavera a settembre.
Oggi parliamo dell’Equinozio di primavera.
L’Equinozio di primavera è chiamato anche “punto vernale”, o “punto dell’Ariete” o “punto gamma”.
Anticamente, i popoli nordici festeggiavano Oestara, uno degli otto sabbat pagani, festa di origine germanica, che prende il nome dalla dea Eostre, patrona della fertilità.
Essa aveva alcune affinità con divinità di culture greche, per esempio Estia, e romane, Vesta.
Oestara celebra la rigenerazione della natura e la rinascita della vita, coincidente con l’Equinozio di primavera. La vita si rinnova , l’inverno è definitivamente passato, e tutto ciò che è vecchio lascia spazio al nuovo.
Nell’antichità, le sacerdotesse della dea celebravano un particolare rito, che prevedeva l’accensione di un cero, simboleggiante la fiamma eterna dell’esistenza, che veniva spento all’alba del giorno seguente.
Questo rito è stato ripreso da alcune correnti del Neopaganesimo, soprattutto Wicca, durante il quale la rinascita della vita era esaltata e sacralizzata attraverso l’unione sessuale.
Durante l’Oestara molte delle decorazioni e dei rituali implicano l’utilizzo di uova. Infatti, il nome deriva dalla dea odinista Eostre, simboleggiata dall’uovo, che contiene in sé il principio della vita ed il bipolarismo maschile-femminile del divino.
Molte streghe festeggiavano Oestara facendo falò all’alba, suonando campanelle, decorando le uova e mangiandole ritualmente.
Ad Eostre era sacra anche la lepre, simbolo di fertilità e animale sacro in molte tradizioni. I Britanni associavano la lepre alle divinità della luna e della caccia ed i Celti la consideravano un animale divinatorio.
In seguito, Oestara venne assimilata dalla Pasqua, la cui data di celebrazione cade presso il primo plenilunio successivo all’Equinozio di primavera.
La nuova festa cristiana, ancora priva di un nome, in certe lingue assimilò anche la nomenclatura della vecchia festa. Ancora oggi, infatti, in inglese la Pasqua è chiamata Easter, ed in tedesco Ostern.
Nell’antica Roma, l’anno nuovo iniziava nel mese di marzo, dedicato a Marte.
Invece, in Mesopotamia, l’anno nuovo faceva riferimento all’Equinozio primaverile e tale data di tale avvento, coincideva con il segno zodiacale dell’Ariete.
Anche Sham El Nessim (letteralmente “fiutare il vento”), la più antica festività di primavera egiziana, le cui tracce risalgono a circa 4700 anni fa, cade il lunedì e coincide con l’Equinozio di primavera. In epoca faraonica, era una ricorrenza legata all’agricoltura, si chiamava semplicemente “Shamo” (rinnovo della vita), rappresentava l’inizio della creazione ed i suoi riti di fertilità furono anch’essi inglobati dal Cristianesimo nei riti pasquali.
La data del festival non era mai fissa e veniva annunciata ogni anno la sera prima del suo inizio, ai piedi di una grande piramide. In quel giorno era onorato l’intero Pantheon e gli Egiziani solevano offrire pesce salato, lattuga e cipolle alle loro divinità.
Oggi, il giorno di Sham el Nessem, le strade ed i prati delle città egizie si riempiono di gente, coperte e colori. Si fanno pic-nic all’aria aperta e si consumano: i Fiseekh (pesce salato), per garantire un buon raccolto, fertilità e benessere; Uova bollite (simbolo della rinascita e del Cosmo), che ancora oggi vengono appese dipinte nei templi; Termis (semi di lupino).
Poi si mangiano le cipolle verdi, il simbolo più complesso della festa. Infatti, sono state ritrovate delle mummie con gli occhi imbottiti di cipolle, così come affreschi sulle pareti delle tombe egizie raffigurati l’ortaggio. Si suppone che esse siano il simbolo della vita eterna, oltre ad essere considerato un amuleto contro il malocchio e l’invidia.
Un’antica leggenda narra che, un tempo, un Faraone ebbe un unico figlio, che però fu colpito da una malattia sconosciuta e restò a letto per alcuni anni. Il popolo amava talmente il Faraone, che decise di unirsi al suo dolore, astenendosi dal celebrare ogni festa. Il re convocò il gran sacerdote del Tempio di Oun, che diagnosticò al bambino una malattia causata dagli spiriti maligni. Quindi ordinò di collocare sotto la testa del piccolo una cipolla. Il sacerdote tagliò a fette un’altra cipolla e la mise sul naso del ragazzo, per fargli respirare i vapori. Così il principe recuperò le forze e guarì. Nel palazzo si tennero sontuosi festeggiamenti per celebrare l’occasione, che coincise con l’inizio della primavera. Quindi, come gesto d’amore, il popolo appese dei grappoli di cipolla sulle porte delle case, da qui la tradizione viva ancora oggi.
Infine, nel giorno di Sham el Nessem, si mangia anche la Lattuga, che rappresenta il sentimento di speranza con l’inizio della bella stagione.
Un’altra antica festa, coincidente con il 21 marzo, è il festival di Nawrūz (Nuovo giorno), che affonda le sue radici nello Zoroastrismo, rievocando la storia della creazione e l’antica cosmologia del popolo iraniano. E’ una festa di speranza e di rinnovamento, osservata non solo in Iran, ma anche nei Paesi di origine musulmana, anche se con altri nomi. Essa dura 13 giorni, durante i quali la popolazione dà il benvenuto al nuovo anno, purificando le case e saltando su falò allestiti per le strade.
In Iran, i rituali sono Khane Tekani (pulizia della casa) e Chahârshanbe Sûrî (festa del fuoco). In quei giorni si comprano vestiti nuovi e si decorano le case con fiori, in particolare giacinto e tulipano.
Durante la notte del Chahârshanbe Sûrî, si esce nelle strade e si appiccano piccoli e grandi falò, sui quali i giovani uomini saltano cantando i versi tradizionali. Si dice che in questa notte gli spiriti dei morti possano tornare a far visita ai loro discendenti vivi. E’ prevista anche la rottura di alcune anfore di terracotta, in un auspicio di buona fortuna (Kûzeh Shekastân), e il Gereh-goshâ’î (l’atto di fare un nodo ad un angolo di un fazzoletto e successivamente chiedere a qualcuno di scioglierlo, atto simbolico beneaugurante).
Molto importante, infine è l’Haft Sîn (Sette S), la preparazione di una tavola con sette elementi, i cui nomi iniziano con la “sin” (‘esse’) in persiano. Il sette è un numero sacro e simboleggia i sette arcangeli con l’aiuto dei quali, quasi tremila anni fa, Zarathustra ha fondato la sua religione. L’Haft Sin porta agli abitanti della casa fortuna, salute, prosperità, purezza spirituale e lunga vita. La tavola viene adornata nel modo più bello possibile, con fiori, il libro sacro seguito dalla famiglia, la bandiera tricolore persiana, Verde Bianco e Rosso in orizzontale (patria, fede, rosso sangue versato dagli eroi). Non mancano mai le candele accese, una ciotola di acqua a simboleggiare la trasparenza della vita ed una foglia sull’acqua per la caducità della vita, e lo specchio per essere visibili come siamo. I 7 simboli sono:
sabzeh– chicchi di lenticchie, orzo o frumento, germogliati a simboleggiare la rinascita
samanu– un impasto di orzo germogliato e tostato, a simboleggiare l’abbondanza
senjed– frutti secchi di Elaeagnus angustifolia,, è legante, a simboleggiare l’amore
sîr– aglio, a simboleggiare la salute
sîb– mele scrupolosamente rosse, a simboleggiare la bellezza
somaq– bacche di Sommacco, a simboleggiare l’asprezza della vita
serkeh– aceto, a simboleggiare la pazienza e la saggezza.
In Giappone, il giorno dell’Equinozio di primavera, si celebra Shunbun no Hi, una festa nazionale ufficiale, che si trascorre visitando le tombe di famiglia e celebrando le riunioni di famiglia.
Lo Shunbun no Hi è inserito in un periodo di sette giorni, chiamato Haru no Higan (Equinozio di primavera).
Higan significa “altra sponda” ed indica il passaggio da una stagione all’altra ed anche il periodo del risveglio, passaggio da uno stato di quiete (metaforicamente ignoranza) ad uno stato di illuminazione, di meraviglia e di bellezza.
La popolazione prega, per consolare gli spiriti degli antenati ed invocare la loro protezione. Le tombe sono ripulite dalle erbacce e purificate con l’acqua, poi adornate con fiori ed incensi ed infine, per rallegrare le anime dei defunti, si offrono gli “ohagi”, dolcetti a forma di palline, preparati con Kinako (farina di soia tostata) e ripieni di marmellata di “azuki” (fagioli dolci).
E’ interessante sapere, che il giorno del pianeta Terra venne celebrato inizialmente il 21 marzo 1970, giorno dell’Equinozio di primavera, ed attualmente è celebrato in diversi Stati, il 22 aprile.
Infine, esiste la “Giornata Mondiale della Narrazione”, una celebrazione globale dell’arte orale della narrazione, che viene celebrata ogni anno durante l’Equinozio di primavera nell’emisfero nord, mentre il primo giorno dell’Equinozio di autunno nell’emisfero sud.