digione

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SITO TURISTICO                     www.visitdijon.com

Storia

In origine Digione era un “castrum” romano sulla strada fra Lione e Magonza con il nome di Divio

Nel 1016 il re di Francia Roberto il Pio la diede in feudo al figlio Enrico: nacque così il Ducato di Borgogna con capitale Digione. Finita la dinastia dei Capetingi con Filippo di Rouvre, i sovrani di Francia ripresero il ducato, che però il re Giovanni il Buono assegnò al suo quarto figlio, Filippo l’Ardito, fondatore della dinastia dei Valois (che regnò fino al 1476).

In questo periodo il ducato conobbe un grande sviluppo culturale con i quattro duchi Filippo l’Ardito (1364-1404), Giovanni Senza Paura (1404-1419), Filippo il Buono (1419-1467) e Carlo il Temerario (1467-1476), morto in battaglia lasciando un’unica figlia, Maria, sposa di Massimiliano d’Asburgo e madre di Filippo il Bello. La scuola artistica di Digione, sorta verso la fine del Trecento fece fiorire un movimento franco-fiammingo attivo nella letteratura , nella musica e nelle discipline figurative. Sotto i re di Francia Digione godette di una certa autonomia amministrativa.

Tra leggenda e storia è il racconto di come si risolse nel 1513 l’assedio imposto alla città dalle truppe imperiali composte da forze svizzere e tedesche molto superiori a quelle di Digione. I cittadini pensarono di iniziare le trattative offrendo grandi quantità di vino agli assedianti, che gradirono l’offerta. Perfino gli svizzeri, che erano i più bellicosi, apprezzarono il vino. Terminò così l’assedio, con soddisfazione della popolazione; meno soddisfatto fu il re, costretto dall’accordo a rinunciare alle pretese sul Ducato di Milano. (L’episodio è molto simile alla “Bevuta Magistrale” che si dice salvò la cittadina bavarese di Rothenburg ob der Tauber dall’assedio delle truppe svedesi nel 1631).

Nei secoli dal XVIII al XIX, Digione, che con la fine della dinastia dei Valois aveva perso d’importanza, si riprese e alla fine del Settecento era giudicata ancora una bella città con case vecchie ma strade larghe, ben pavimentate e munite di marciapiedi, cosa che sembra fosse rara nella Francia del tempo.

Durante la guerra fra Napoleone III e i Prussiani, nel 1871, a difendere Digione accorse anche Giuseppe Garibaldi coi suoi volontari. Nel 1944 fu nuovamente assediata e liberata il 11 settembre dello stesso anno.

Da vedere

• Il Palais des Ducs et des Etats de Bourgogne e la Place de la Libération

Alla fine del XIV secolo i Duchi Valois di Borgogna trasformarono il castello ducale diDigione in un fastoso palazzo che fu in parte ricostruito tre secoli più tardi per accogliere gli Etats de Bougogne, e oggi ospita un museo. Di fronte c’è una delle più belle piazze di Francia: la Place de la Libération.

• La Torre Philippe-le-Bon, che domina la città dall’alto dei suoi 46 metri

Eretta a metà del XV secolo, la torre simboleggia il prestigio e la potenza dei Duchi diBorgogna.

• La civetta, simbolo della città

La piccola civetta scolpita sulla facciata nord della chiesa di Notre-Dame ha la fama di portare fortuna e per questo la si accarezza con la mano sinistra esprimendo un desiderio.

• La Certosa di Champmol e il Pozzo di Mosè

Alla fine del XIV secolo il Duca di Borgogna Philippe Le Hardi fa costruire alle porte diDigione una certosa perché possa accogliere la sua tomba e quella dei suoi discendenti. Al centro del chiostro si trova il Pozzo di Mosè, capolavoro della scultura medievale dellaBorgogna.

• Le maison e gli hôtel particulier, come, ad esempio, l’Hôtel Chambellan, l’Hôtel de Vogüe, la Maison Millière e la Maison Milsand

Tradizionali maisons à colombages (case a graticcio), case con archi a mensola, sontuosi edifici in pietra di Borgogna dai celebri tetti dalle tegole smaltate… Ognuno di questi edifici porta in sé una parte della storia della città.

• Le chiese

Dalla cattedrale Saint-Bénigne alla chiesa di Saint-Michel, passando per Notre-Dame e il suo Jacquemart (orologio con due fantocci che battono le ore), questi ammirevoli monumenti sono profondamente distintivi del paesaggio urbano di Digione, soprannominata “la città dai cento campanili”.  Da non perdere la chiesa di Saint Philibert, unica chiesa romanica di Digione e antica cappella dei novizi dell’abbazia di Saint-Bénigne

• I musei (Musée des Beaux-Arts, Musée Archéologique, Musée de la Vie Bourguignonne, Musée d’Art Sacré, Jardin des Sciences, Musée Magnin…).

Almeno 7 musei, testimoni della storia della città dei Duchi, riflettono tutti gli aspetti culturali della capitale della Borgogna: belle arti, archeologia, etnologia, storia e scienze naturali… ce n’è per tutti i gusti!

• Per gli appassionati di Arte contemporanea: il Consortium.

Attivo da 35 anni e col marchio Centre d’Art nel 1982, questo centro di arte contemporanea ha come obiettivo la produzione e l’esposizione di opere contemporanee, l’arricchimento del patrimonio pubblico, la promozione, la diffusione e la formazione all’arte e al pensiero. Lily van der Stokker, Jean-Luc Godard, François Pompon, Rachel Feinstein, Cindy Sherman, Christian Boltanski e Yang Pei Ming, solo per citare alcuni degli artisti più famosi.

• I parchi e i giardini (Jardin Darcy, Parc de la Colombière…)

Digione non  è soltanto una città di pietra, ma può, al contrario, vantare anche 700 ettari di parchi e giardini, sia privati che pubblici. Apprezza quest’armonia tra architettura e natura che rispecchia a meraviglia quell’arte di vivere che Digione ha sviluppato e coltivato nel corso dei secoli.

TERRA DI ECCELLENZA DI VINI E GASTRONOMIA

 Una delle maggiori attrazioni di Digione è la gastronomia. E’ questa la città produttrice per eccellenza della mostarda, del pain d’épices e della crema di ribes nero (cassis) utilizzata per il tipico aperitivo francese, il Kir. La bontà del territorio in cui si trova la città e una tradizione culinaria di tutto rispetto, hanno stimolato, inoltre, la nascita di numerosi ristoranti di alta gastronomia. Infine, va ricordato che Digione si trova in una delle zone di produzione del vino più importanti della Francia e, infatti, ospiterà, a partire dal 2016, una delle quattro “Città della gastronomia” francesi, che rappresenterà il polo di riferimento per la cultura della vigna e del vino in Francia.

 


Agliè- Chiesetta Sant’anna

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Cappella di Sant’Anna. Eretta, probabilmente, nella prima metà del XVII secolo, di proprietà della famiglia Mautino, era dotata di una cancellata in legno e di un portico con colonne in mattoni.

Oggi esiste un comitato che sta cercando di salvarla dall’inevitabile degrado del tempo.

E’ un luogo magico. dove poter sostare in silenzio sulle due panche all’ombra, lasciando che la mente accarezzi ogni singolo dettaglio, si lasci trasportare dalla magia della storia e della natura.

il molino di bairo (TO)

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I Mulini

Il mulino ad acqua o mulino idraulico è un impianto destinato ad utilizzare energia meccanica prodotta dalla corrente di un corso d’acqua, condotta alla ruota del mulino tramite opportuna canalizzazione.

Storia

Tra i primi documenti riguardanti i mulini ad acqua ed il loro funzionamento vi sono quelli di Vitruvio nel trattato De Architettura (25 a.C.).
L’uso dei mulini ad acqua in Europa è antecedente all’utilizzo dei mulini a vento.
Il loro sviluppo è avvenuto parallelamente alla fine della schiavitù a partire dal IX secolo: l’utilizzo di energia idraulica al posto di quella animale o umana permise un aumento della produttività senza precedenti nell’antichità.
Il mulino ad acqua,così come il mulino a vento,fu soppiantato nel XIX secolo dall’avvento del motore a vapore e,inseguito,dal motore elettrico.

Utilizzo

I mulini ad acqua sono stati impiegati per molteplici usi prima dell’era industriale.
Alcuni degli utilizzi più frequenti erano:

  • Macinatura di cereali, l’utilizzo più antico
  • Funzionamento delle segherie
  • Per azionare telai,nell’industria tessile
  • Lavorazione dei metalli,per azionare macine,forge e martelli per forgiatura
  • Per azionare pompe idrauliche
  • Per la produzione di elettricità,con l’utilizzo di un generatore

Tecnologia

L’acqua viene deviata da un fiume e condotta alla turbina o alla ruota idraulica attraverso un canale o una tubazione.
La forza del movimento dell’acqua,unita all’effetto delle pale di una ruota,determina la rotazione dell’asse che aziona gli altri macchinari del mulino.
Il passaggio dell’acqua è controllato da paratoie che permettono la manutenzione e sono una minima misura di controllo dalle inondazioni.
I mulini,pur mantenendo caratteristiche tecnologiche comuni,erano strumenti studiati di volta in volta alla destinazione d’uso funzionale ai compiti che dovevano svolgere e perfettamente integrati all’ambiente prelevavano la forza motrice.
In montagnosi sfruttava il salto d’acqua,quindi la forza d’urto di una maggiore pressione ma con minore portata,privilegiando la spinta”per di sotto”con ruote piccole,molto robuste e tecnologia rudimentale.
In pianura,non disponendo di adeguati dislivelli nel salto dell’acqua,si optava sempre per la tecnologia “per di sotto”,ma data la grande e costante quantità d’acqua disponibile nel canale alimentazione e la bassa pressione e velocità, la ruota doveva essere molto grande e la tecnologia molto sofisticata,con le pale molto curate,al fine di catturare la maggior spinta possibile.
I mulini ad acqua possono essere suddivisi in 3 categorie:

  • Ruota idraulica orizzontale
  • Su asse verticale
  • Ruota idraulica verticale su asse orizzontale

I più antichi sono i mulini orizzontali,in cui la forza dell’acqua,colpendo una ruota a pale posta orizzontalmente,in linea con il flusso della corrente, faceva ruotare la pietra della macina che era collegata direttamente all’asse di rotazione attraverso un ingranaggio.
Nella maggior parte dei casi però la ruota idraulica è posta verticalmente, con l’asse di rotazione orizzontale, come nel mulino di Bairo.

Il Mulino di Bairo

La storia del Mulino di Bairo inizia contemporaneamente all’apertura della Bealera Briccaca o piu’comunemente conosciuto come il Canale di Caluso, avvenuta nel dicembre 1559 dopo appena 3 anni di lavoro.
Opera fatta per iniziativa del maresciallo Charles de Cossè de Brisach, comandante delle truppe francesi che occupavano in quegli anni parte del Canavese.

Il maresciallo ottenne, nel 1556, da Enrico II di Francia, il permesso per la costruzione di un canale per condurre l’acqua da Spineto, frazione di Castellamonte , fino alle sue terre di Caluso.

In questo modo con l’irrigazione dei campi coltivati, si sarebbe assicurata l’acqua anche per i suoi cavalli e soprattutto si sarebbero potute allagare, in caso di attacco nemico, le campagne a sud di Caluso, a quel tempo attraversate da ampie zone acquitrinose per il ristagno dei coli della collina morenica.

Ottenuta da Enrico II, la facoltà di derivare dal fiume Orco 48 piedi Liprandi ( = 0,514 metri circa) d’acqua e di attraversare i territori in suo dominio:
Castellamonte, Bairo, Aglié quindi arrivare a Caluso passando dai territori di San Giorgio, Montalenghe, Orio e Barone , allora sotto il dominio del Duca di Monferrato.

Si diede l’incarico all’Architetto vicentino Francesco Orologi di realizzarne il progetto.

L’istrumento del 20 maggio 1561, stipulato tra la Comunità di Bairo e il maresciallo Cossè de Brisach (o Brissac) conveniva che:

la Comunità di Bairo potesse costruire sulla Bealera, in località Brailasca ,un edificio a tre ruote da molino e una pesta della canapa, praticando per il giro delle ruote di questo molino un salto solo;
che dovesse la medesima Comunità riconoscere in perpetuo l’uso dell’acqua per tale edificio;
che si potessero costruire ponti per uso pubblico e privato sopra la Bealera”

In seguito a tale accordo la Comunità di Bairo poteva finalmente costruire il proprio mulino e i ricavi rimanevano all’amministrazione bairese.

Il mulino venne dato in affitto annualmente ad un privato che, per contratto, doveva riconoscere ai cittadini di Bairo alcune agevolazioni, in particolare nel pagamento del macinato e sui giorni di macinazione dei cereali.

 

Nel 1776 il mulino e la pesta della canapa erano affittati a Guglielmo Perono per 682 lire e 10 soldi.

Nel 1780 era composto da tre ruote da macina ed una quarta a pesta per la canapa

Nel 1820 il Comune affittava il mulino a Giuseppe Scala di Agliè per 981 lire e per 6 anni.

Nel 1840 era composto da due ruote per la macinazione di meliga e segala, una ruota per il grano ed una per pestare la canapa.

Si susseguirono numerosi affittuari fino ad arrivare al 1853 quando il mulino era affittato al signor Chiarovano che, per debiti contratti durante la sua gestione, fu costretto a chiuderlo.

Il fallimento del mulino comportò per il Comune di Bairo la perdita delle 1900 lire che venivano versate come affitto.
Venne indetta un’asta pubblica per trovare un nuovo affittuario del mulino.
L’asta ( col “rito delle candele accese”) aggiudicò il mulino, con annesso batticanapa, al signor Domenico Felizzati di Castellamonte per 5 anni, al canone di 3400 Lire.

Una lite a metà 800 contrappose la Comunità di Bairo al Regio Patrimonio, cioè il Demanio dello Stato, per via del Canale di Caluso.
Con l’atto del 18 marzo 1760 il Marchese Carlo Francesco Valperga di Masino cedette la vecchia Bealera al Regio Patrimonio il quale, in qualità di proprietario, citò davanti al Regio Delegato Cav. Curti, in Castellamonte, la Comunità di Bairo.
Il vice procuratore generale, avvocato Pullino, contestò al Comune di Bairo , rappresentato dal Segretario, Notaio Pietro Giuseppe Succio, dal Sindaco Giovanni Penoncello e dai consiglieri Giacomo Trabucco e Gio Battista Pistono, la proprietà del Mulino sul Canale.
L’avvocato Pullino ricordò gli obblighi assunti nel 1561 e che dal 1760, con molta noncuranza, avevano disatteso.
Dopo tale lite i rappresentanti del Comune di Bairo si assunsero la responsabilità di manutenzione del Canale pur di mantenere il Mulino.
Dal dicembre 1780 il Comune di Bairo si sollevò dalla manutenzione pagando un canone annuo in ragione di 250 lire.
Vennero altresì chiuse tutte le bocchette abusive fatte dai bairesi per irrigare i loro campi.

Nel 1859 il mulino era affittato al Cavaliere Enrico d’Emarese, l’affitto era stato ridotto a 2000 Lire dal Comune perché in quegli anni erano sorti altri mulini nel circondario, riducendo di fatto l’attività e quindi le entrate del mugnaio di Bairo.

Negli anni 1876-77 il Comune affrontò diverse cause contro i mugnai ,tra le quali quella contro Giorgio Magario perché cessasse l’attività e risarcisse i danni arrecati ai macchinari del mulino e allo stabile.

Nel 1885 l’affittavolo era Domenico Zanotti di S.Giorgio,che entrò dapprima in causa con il Comune perchè voleva entrare nella gestione senza pagare alcun canone.Il batti canapa era sotto la tettoia, la ruota di macina era costituita da nove gambini di quercia.
Nel 1888 Massimo Silva subentrò come affittuario per un importo annuo di 1350 Lire.
Nel 1891-96 era affittuario Giorgio Galetto per un canone di 1240 Lire.
Nel 1905 il Comune di Biro diede incarico al meccanico torinese Cesare Bavero i lavori di ammodernamento, una novità su tutte fu l’installazione dell’attuale ruota e nel 1908 venne affittato per 9 anni a Pietro Mazzola di Leinì per un importo di 787 lire l’anno.
Nel 1928 il mulino e il batticanapa funzionavano ancora ed erano affittati a Succio Caterina.
Il giorno 11 febbraio 1937 si disputava una gara di “Licitazione privata” che assegnava la prelazione d’acquisto al sig. Giachino Pietro, marito di Succio Caterina in quanto detentore del “bastoncino più lungo”.
Il 06 aprile 1937 il Comune di Bairo vendeva il Mulino al Sig. Giachino Pietro per un importo di Lire 32.000.

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Dal 1937 al 1947 Pietro Giachino e il figlio Domenico gestirono il Mulino di Bairo ma, con l’avvento della seconda guerra mondiale la domanda di macinazione calò sensibilmente.
I Giachino installarono quindi un impianto di segheria per il taglio di tronchi e produzione di assi. Il tutto azionato dalla forza idraulica ottenuta dalla ruota tuttora esistente.

I Giachino erano notoriamente una famiglia di mugnai, Marcello, fratello di Pietro, aveva in affitto il mulino adiacente al Castello di Agliè , l’altro fratello Camillo aveva in affitto il Mulino di Grugliasco.
Nel 1957, Domenico Giachino rilevò dallo zio l’affitto del Mulino di Grugliasco e lo gestì insieme alla moglie Margherita “Rita”, la vera conduttrice del Mulino. Alla morte di Pietro, avvenuta nel 1966, il Mulino di Bairo passò quindi al fratello di Domenico, Bruno che lo gestì fino alla sua morte, nel 2006. Il Mulino venne ereditato da Caterina Giachino in Pregno, figlia di Domenico che lo cedette ai propri figli, i signori Walter e Flavio Pregno, gli attuali proprietari.
Dal 2008 al 2013 vi è stata una imponente ristrutturazione con la creazione di un’ala nuova destinata ad un uso ricettivo, mentre i locali storici del Mulino sono stati mantenuti tali.

 

 

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ipotesi di viaggio

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Allora…essendo che sono un’appassionata di viaggi alternativi e low cost oggi vi parlo di una città che è interessante e che si può visitare con pochi soldi.

Ergo: parliamo di Strasburgo.

è una città della Francia orientale, capoluogo della regione Alsazia Lorena del dipartimento del Basso Reno, al confine con la Germania sulla riva sinistra del Reno.

Il suo nome è tedesco perché, in passato, il territorio dell’Alsazia era passato sotto il dominio sia della Francia che della Germania. L’Alsazia fu presa alla Francia dalla Germania (che allora era comandata da Bismark) durante la battaglia di Sedan del 1870.

Strasburgo divenne nuovamente francese dopo la prima guerra mondiale, con la sigla nel 1919 del Trattato di Versailles e di nuovo tedesca dal 1940 al 1945. Durante la guerra la sinagoga della città venne distrutta dai nazisti.

La linea del fronte tra Francia e Germania che nei secoli ha attraversato Strasburgo e la sua regione ha anche diviso le comunità e le famiglie, spesso trovatesi su fronti opposti nei diversi conflitti. Per questo il monumento cittadino ai caduti di tutte le guerre raffigura una madre che regge i corpi di due figli volutamente nudi, cioè privi di qualsiasi divisa o insegna riconducibile ad una particolare fazione.

Nel 1949 Strasburgo venne scelta come sede del Consiglio d’Europa mentre dal 1952 è sede del Parlamento Europeo.

I suoi abitanti sono chiamati strasburghesi (Straßburger, strasbourgeois). La città fa parte di un agglomerato urbano transfrontaliero di 1.145.000 abitanti che comprende anche la città tedesca di Kehl.

Strasburgo svolge il ruolo di capitale politica d’Europa, in quanto sede permanente del Parlamento Europeo e del Consiglio. La città è inoltre un importante centro universitario ed è sede, fra l’altro, dell’Ecole National D’Aministration.

Da Vedere:

La Cattedrale di Notre Dame di Strasburgo

La visita di Strasburgo non può che partire dalla Cattedrale, una delle più alte espressioni del gotico in Europa, “prodigio di grandezza e leggiadria” come la definì Victor Hugo.

La Cattedrale di Notre Dame di Strasburgo
La Cattedrale di Notre Dame di Strasburgo

La costruzione (1015) sorse sui resti di un tempio dedicato a Ercole e continuò per circa 8 secoli fino al completamento della torre avvenuto nel 1878. Dai 142 metri di altezza della guglia si gode uno spettacolo straordinario sulla Grande-Ile e su tutta Strasburgo. Il portale della facciata è considerato la più grande Bibbia del Medioevo per la straordinaria forza narrativa e simbolica. Sopra il portone sono scolpiti episodi della Vità di Gesù, negli archivolti alcuni episodi di vita sacra, ancora più in alto troneggiano le figure di Re Salomone con 14 leoni poi della Vergine col Bambino. L’interno è semplice ma molto ampio con tre protagonisti assoluti: le vetrate colorate, l’Orologio astronomico del 1572 che ogni giorno alle 12.30 (l’orologio è in ritardo è segna le 12) mette in moto un meccanismo con Cristo Benedicente, la processione degli Apostoli e un gallo che canta 3 volte. Infine, davanti all’orologio c’è ilPilastro degli Angeli con 3 ordini di statue.

Piazza della Cattedrale a Strasburgo

Piazza della Cattedrale è il crocevia del centro storico di Strasburgo su cui si affacciano alcuni degli edifici più importanti della città.

Piazza della Cattedrale a Strasburgo
Piazza della Cattedrale a Strasburgo

Oltre alla Cattedrale, da cui prende il nome, colpisce subito la sagoma della Maison Kammerzell, la più bella casa di Strasburgo che il ricco commerciante di formaggi Bronn si fece costuire su alcune botteghe in pietra (ancora visibili). La parte superiore, che ospitava l’abitazione e il magazzino di Bronn, è realizzata tutta in legno e decorata con animali, guerrieri, figure grottesche.Prende il nome dal mercante Kammerzell che l’acquistò nel 1806. Oggi la casa ospita un famoso ristorante di Strasburgo. All’angolo con la casa c’è la Farmacia del Cervo del 1268, la più antica di Francia. La piazza è il luogo più turistico e affollato di Strasburgo, nonché quello dove i ristoranti sono i più costosi e meno tipici.

La Petite-France di Strasburgo

I romanticoni che vogliono approfittare di Strasburgo per fare colpo hanno un’arma segreta: è la Petite-France, la parte più intatta e da cartolina del centro storico, per molti secoli il quartiere dove vivevano mugnai, conciatori e pescatori.

La Petite-France di Strasburgo
La Petite-France di Strasburgo

Le case sono rimaste quelle del 1500, con itetti spioventi, i balconcini con i gerani, le finestre a filo d’acqua. I fienili e i magazzini sono stati sostituiti dai laboratori artigianali e dai negozi di souvenir, ma questo non toglie nulla al fascino del luogo. Uno degli scorci più fotografati della Petite-France è i “Ponts Couverts” (“ponti coperti”) che hanno conservato il nome anche se hanno perso le coperture nel 1700. Le torrette da cui sono dominati servivano da bastioni per la difesa nel caso di attacchi alla Repubblica strasburghese. Poco distante c’è un’altra opera militare eccezionale: è la Diga Vauban, una casa-diga che prende il nome dell’ingegnere militare che l’ha progettata ed ebbe l’idea di utilizzare l’acqua per inondare tutta la parte sud di Strasburgo in caso di attacco nemico. In cima alla diga c’è un belvedere da cui godersi la vista sui ponti e sui tetti di Strasburgo.

I Musei di Palazzo Rohan a Strasburgo

Costruito per alloggiare i principi vescovi, questo bel palazzo nel centro di Strasburgo a pochi metri dalla Cattedrale oggi ospita 3 importanti musei: Belle ArtiArti decorative e il Museo archeologico.

I Musei di Palazzo Rohan a Strasburgo
I Musei di Palazzo Rohan a Strasburgo

La visita inizia dai sotterranei dove il Museo archeologico racconta la storia dell’Alsazia, dai cacciatori di mammut alla civiltà gallo-romana. Il Museo di arti decorative racconta bene quali ricchezze possedessero i cardinali di Strasburgo: porcellane, sculture, quadri, vasellame, oreficerie, tutto lasciato al museo, per fortuna! Il museo più importante del Palazzo Rohan è quello di Belle Arti, uno dei più importanti d’Europa. Un bel percorso dalla nascita della pittura al 1870. L’Italia è ben rappresentata da Giotto, Raffaello, Veronese, Filippino Lippi e Botticelli,Canaletto, Tiepolo, Cima da Conegliano. Presenti anche molte opere di artisti spagnoli, Zurbaran, Murillo, Goya, El Greco e olandesi e fiamminghi (Rubens, Van Dyck). Il 1800 è rappresentato da opere di pittori francesi tra i quali Delacroix, Chasseriau, Corot, Courbet.

Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Strasburgo

A pochi passi dalla Diga Vauban c’è il Museo di Arte moderna e contemporanea ospitato in un bell’edificio in vetro costruito nel 1998.

Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Strasburgo
Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Strasburgo

Il Museo riprende il percorso artistico che nel Museo di Belle Arti (vedi box 4) si ferma al 1870 offrendo un viaggio nell’arte dall’Espressionismo ad oggi. La raccolta permanente include opere di Picasso, Monet, Kandinsky, Duchamp, Ernst e un’intera galleria dedicata aGustave Doré. Il museo offre un bel viaggio nei movimenti più rappresentativi degli ultimi 140 anni: impressionismo, postimpressionismo, arte del Novecento, fauvismo, espressionismo, surrealismo e oltre. Oltre alla collezione permanente, il museo ospita mostre temporanee sulle tendenze artistiche attuali. Non dimenticate, come fanno molti, di salire sulla terrazza a prendere un caffè e godervi lo spettacolo sulla Petit-France e sui Ponti Coperti

 Le Istituzioni Europee

Forse non è il momento storico più adatto per andare a rendere omaggio alle istituzioni europee quindi prendetelo come un consiglio “architettonico”. I palazzi in cui sono ospitati ilParlamento Europeo, il Consiglio e la Corte europea dei diritti dell’uomo sono dei bei soggetti, anche da fotografare.

Le Istituzioni Europee
Le Istituzioni Europee

La presenza di queste istituzioni è valsa a Strasburgo il titolo diCapitale d’Europa, anche se sono pochi i cittadini europei a saperlo. Il Parlamento, costruito lungo la riva dell’III, si visita solo in gruppo, non è quindi prevista una visita individuale. Ci sono molte richieste quindi è opportuno prenotare con molti mesi di anticipo e si può fare direttamente dal sito del Parlamento. A poca distanza, sempre sul III, ci sono il Palazzo del Consiglio d’Europa (Palazzo d’Europa) e laCorte europea dei diritti umani. Il Palazzo non è visitabile all’interno e sono aperte al pubblico solo le udienze (bisogna presentarsi 1/2 ore prima). Le date sono consultabili sul sito Internet. Stesso iter anche per la Corte che richiede una prenotazione obbligatoria per minimo 15 persone (http://www.echr.coe.int/)

Un giro in battello a Strasburgo

Strasburgo è una città interamente costruita sull’acqua del Reno e dell’III, quindi un giro in battello è il modo migliore per scoprirla da una prospettiva insolita.

Un giro in battello a Strasburgo
Un giro in battello a Strasburgo

I battelli della compagnia Batorama partono dal molo vicino alla Cattedrale e offrono due diversi percorsi: Strasburgo storica e Petit-France. Il primotour, disponibile tutti i giorni dell’anno, dura 70 minuti e ci sono da 4 a 22 corse al giorno a seconda dei mesi e costa 9,60 €. Il secondo tour, attraverso il caratteristico quartiere dellaPetite-France, dura 45 minuti e c’è una sola corsa al giorno che costa 7,20 €. L’imbarco si trova a circa 150 metri dalla Cattedrale di Notre-Dame e si raggiunge andando in direzione dell’III.

Il Museo dell’Opera di Notre-Dame a Strasburgo

Ai piedi della Cattedrale in due edifici neo-gotici, c’è un piccolo museo che raccoglie il meglio dell’arte medievale e rinascimentale di Strasburgo, dell’Alsazia e di tutto l’Alto Reno.

Il Museo dell'Opera di Notre-Dame a Strasburgo
Il Museo dell’Opera di Notre-Dame a Strasburgo

Il museo merita una visita soprattutto per 4 capolavori: la coppia di statue che rappresentano la afflitta e vintaSinagoga (l’ebraismo) e la Chiesa, serena e vittoriosa; la Testa di Cristo proveniente da Wissembourg, considerata la più antica vetrata figurativa fin’ora conosciuta; il dipinto degli “Amanti Defunti” una brutale rappresentazione di una coppia ancora in piedi ma già attaccata dai vermi, una riflessione sulla vanità e la fragilità della gioventù, della bellezza e dell’amore. Infine, l’altro capolavoro che merita è il dipinto con Santa Caterina e Maria Maddalena di Conrad Witz, considerato il più importante pittore tedesco prima di Durer.

 Cosa mangiare a Strasburgo

Cominciamo dal vino e dalla birra, che di solito si mettono per ultimi (o non si mettono affatto) negli itinerari gastronomici. Ma qui siamo in Alsazia, una regione dove i birrai si sono riuniti in confederazione già nel 1200.

Cosa mangiare a Strasburgo
Cosa mangiare a Strasburgo

Ancora oggi, metà della birra che bevono i francesi è prodotta nei dintorni. Ci sono centinaia di marche e varietà e oltre alle marche commerciali più famose (Kronenbourg, Fischer, Adelscott) proliferano i microbirrifici ognuno con la propria specialità. Per quanto riguarda i vini, la vicina “Strada dei vini alsaziani” porta sulle tavole Gewurztraminer, Moscato, Pinot bianco, Tokay Pinot Grigio, Pinot Nero, Riesling e Sylvaner. A cosa si accompagnano questi fluidi magici? La cucina di Strasburgo è la sintesi della storia della città, dove convivono raffinatezza francese e consistenza tedesca. Prevale certamente l’animo teutonico nel Choucroute, il cavolo (crauti) grattugiato e messo a salamoiare nelle botti accompagnato con salumi o pesce. Sempre al lato tedesco appartengono gli knack, wurstel che prendono il nome dal rumore che fanno sotto i denti e i fleischenschneke, girelle di carne con pasta, arrotolate e bollite. Al lato francese dobbiamo il pâté de foie gras, che sembra sia stato inventato proprio a Strasburgo, diverse tarte come la flambé, quella di cipolle e la vigneronne (“pasticcio del vignaiolo”) con carni marinate e messe in una pasta sfoglia. Per gustarvi tutto questo, sedetevi in una winstub, la tipica taverna alsaziana con le tovaglie rosse, l’atmosfera rustica e l’oste gentile. Non ve ne pentirete.

Per Dormire: io consiglio di andare con Airbnb. Ci sono appartamenti per ogni tasca ed ogni esigenza, anche per coloro che girano con i propri cani.

pensieri 2

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Sto leggendo un libro di Chiara Gamberale. Carino. Lei scrive molto bene. In quelle pagine ho trovato conferma di una cosa che mi frullava in testa e che l’oroscopo di quel matto di Brezsny aveva consolidato. Io devo pensare a quel che voglio essere come se già io fossi in quella vita. Per tutto il mondo io sarò altro? Amen. Io invece sono esattamente quella che penso di essere. E sogno ed apparecchio il mio quotidiano come se.

Così questa mattina ho messo in atto il mio ennesimo piano strategico. E ho portato avanti la mia filosofia. Desidero fare un determinato percorso, finalmente, e proverò ogni via per raggiungerlo. Se poi, come sempre è accaduto, dovrò nuovamente rassegnarmi mio malgrado abbasserò le alette, ma dentro rimarrà tutto presente ed io continuerò a sognare la mia vita.

Sento che prima o poi la vinco io. Fosse solo un mese prima di andarmene.

pensieri

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Oggi mi sono spinta ancora oltre.

Se mi avessero raccontato che avrei fatto queste cose a questa età avrei riso come una pazza. Ed invece le sto facendo e mi sto divertendo. Perchè non è vero che il tempo è tiranno. Talvolta il tempo insegna che tutto può accadere. Anche quando nulla è favorevole ed il mondo ti dice che sei un cretino e che la devi smettere di sognare.

Forse, ma soltanto forse, ad un certo punto dovrò rassegnarmi nuovamente. Ma quando l’ho fatto ad un certo punto ho capito che non stavo vivendo e che non avrei potuto andare avanti in quel modo.

Perchè se lo avessi fatto sarebbe stato un supruso nei confronti di coloro che ogni giorno lottano contro la malattia, una guerra o un problema davvero serio. E quindi ci devo credere anche io e fottermene di tutti coloro che pensano che la loro vita abbia un senso maggiore della mia via vissuta in una dimensione alternativa.

così inizia il mio primo libro

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Oggi

Elisa sapeva che tornando a casa avrebbe dovuto prendere delle decisioni importanti.

Era scappata sull’isola di Sao Vicente, Capo Verde, nella speranza di schiarirsi le idee, ma soprattutto per ritrovare se stessa.

La città di Mindelo le era parsa subito brutta, sporca e caotica, piena di cani abbandonati per le strade, lontanissima dalla sua idea di Africa e dai sapori ed odori che teneva cari nel suo scrigno della memoria. A quella vista il suo cuore era diventato un groviglio di emozioni contrastanti e più che una via di uscita si era sentita chiusa in una prigione dove, nelle ultime ore, si era sentita addirittura soffocare.

Partita da Milano aveva avvertito subito una forte eccitazione.  Dopo anni in cui il suo corpo e la sua mente erano rimasti congelati in un panico sempre crescente, aveva nuovamente provato l’inebriante ebbrezza del viaggio in solitaria.

Per Elisa il viaggio era qualcosa che non tutti possono comprendere: la pianificazione dei dettagli, la preparazione del bagaglio, il poter ascoltare la gente del mondo che parla tutto intorno lingue differenti, il cogliere gli sguardi di estranei ed i visi interessanti, il testare la propria capacità di cavarsela da soli. Man mano che le sensazioni tornavano ad essere famigliari lei si emozionava sempre di più, come in un film.

Salita sull’aereo per Lisbona aveva riprovato il piacere della vita scorrerle nelle vene ed il suo sorriso non aveva più lasciato il suo volto. I suoi occhi scuri erano tornati scintillanti e divertiti e la sua eloquenza aveva sostituito la timidezza e la chiusura dei mesi precedenti. Non si era assopita neppure per un istante, sebbene si fosse alzata alle tre del mattino per poter arrivare in tempo. Aveva sfogliato la rivista patinata senza leggerla, aveva osservato ogni dettaglio ma soprattutto aveva goduto. Beata.

Arrivata a Mindelo però la delusione era stata cocente: ma quella era Africa? E quello era il capolavoro di cui aveva sentito più volte parlare?

“Accidenti, che posto del cazzo….”, furono le prime parole che le affiorarono alla mente.

Poi aveva incontrato la sua amica Carlotta con il suo fidanzato capoverdiano Francisco e si era fatta coinvolgere dai racconti, dalle risate, dai discorsi ed aveva messo in secondo piano quella sensazione negativa sebbene sapesse, nel suo intimo, che quel posto non l’avrebbe innamorata. Certo, avrebbe trovato lo speciale anche lì (in questo era bravissima, nulla da eccepire), la sua rosa tra le rose tutte uguali (tanto per citare il Piccolo Principe), ma non sarebbe mai stato un luogo da cinque stelle.

“Carlotta..ma dove ti sei venuta a chiudere?”

“Cara Elisa, nel mondo dei truzzi e della polvere, dove tutto è fiesta..”

“Ah però..”

Gli anni precedenti erano stati anni senza odori, né sapori, grigi e nebbiosi come la sua città, e la sua rosa si era praticamente appassita. Poi, un giorno, inaspettatamente lo aveva sentito: era come un piccolo terremoto sommerso, che era diventato sempre più potente ed assordante e, a quel punto, non aveva più potuto fermarlo. Si era fatta sovrastare e soggiogare. Era andata dalla direttrice della struttura dove prestava servizio e le aveva detto che se ne andava, perché doveva cambiare vita. Poi aveva informato il suo fidanzato e sua madre, dicendo loro che sarebbe anche partita.

Una rivoluzione era in corso e nulla sarebbe più stato come in quel momento: protetto ma insulso, piatto e fastidiosamente incolore. E per la prima volta dopo secoli era soddisfatta. Per tutti sarebbe stata solo una povera matta di mezza età, ma chissenefregava.

Si era fatta prendere da un’euforia baldanzosa e tutto le era apparso multicolor, con i sapori forti e gli odori cruenti della città in pieno caos, con la gente che le batteva contro e quell’effetto brioso di un bicchiere di spumante.

Tutti attorno a lei erano costernati, tutti erano stati caustici. Tutti tranne la Vikka e la dolce Carlotta, dalla quale era appunto andata per la prima tappa della nuova Elisa.

Da quel momento aveva focalizzato la sua attenzione sul suo spostamento, cercando di non sentire la paura e l’ansia, sue ottime compagne di vita degli ultimi anni. Nel recente passato aveva dovuto far fronte a due potenti crisi di panico che le avevano impedito di guidare sola in autostrada, di spostarsi con tranquillità, rendendo sempre più flebili le sue autonomie. I suoi appuntamenti avevano iniziato a diradarsi, i suoi confini si erano sempre più ridotti, il suo mondo si era rimpicciolito in modo esponenziale. La sua casa e poco altro erano i soli luoghi dove si sentiva a suo agio.

Pertanto, prima della partenza, si era obbligata a rifare cose per abbattere barriere: aveva preso Laos, il suo cane, ed era andata in auto da Ikea, prendendo la tangenziale in pieno traffico. Aveva comprato il biglietto aereo senza valutare le conseguenze. Era andata a pranzo da sola in un bar del centro senza sentire vergogna.

Si era buttata e, finalmente, aveva volato.