“fastidiose voci umane”

 

.. a volte si,

sono fastidiose, ma di più, taglienti, orticanti.
Quelle voci di approdi mai attraccati, di burrasche mai sciolte, di nodi mai liberati.

Quelle voci di nuovi comandanti occasionali sempre stati mozzi, incapaci e non competenti in luoghi e ruoli diversi.

La forza del potere, la stanchezza della fatica di anni di lavoro.
Sulle navi si sa, viaggi lunghi, spesso lontani da casa,
tra la certezza di una famiglia che aspetta e l’evasione in un tradimento che soddisfa.

Nella voglia di gridar rivalsa e nella continua e costante riproposizione di ferite mai chiuse, mai curate, mai perdonate.
Il desiderio di provare e la certezza di un inganno.

L’incapacità di ripartire, anche nuovi, anche diversi.

Urlare.

Infliggere e infliggersi dolore.

 

Un 15 ottobre

Piove.

Mattinata a casa, lavoro un po’, pranzo.
Decido di uscire.

Metto il kway, tolgo gli occhiali, infilo auricolari e musica, mascherina in tasca, chiavi in mano.

Tempo e orario mi vedono padrona del parco.

Mi incammino, poi corro, poi cammino, poi corro, poi cammino..
Mi cadono gli auricolari,
..Sento il respiro, il cuore, la pancia, le gambe
l’affanno, la forza, il calore, il sudore..
Non li rimetto. Ascolto.
Anche il fruscio, anche il fiume, anche le pozzanghere, anche la ghiaia, tutto fa rumore.

Il cappuccio mi copre la testa, il viso guarda il cielo grigio pallido, niente striature, niente nuvole, niente spiragli, ma piange.

Corro fino al limite e poi riassetto il respiro camminando.
Mi affascina il manto rosso-giallastro sotto ai faggi, hanno la chioma multicolore, e trionfano per l’ampiezza, la potenza, l’immensità. Immagino uno scricchiolio sotto i piedi a calpestare le foglie cadute e invece no, il terreno bagnato su cui si posano accompagna il passo, ammorbidendo l’orma.

Un ultimo giro e mi fermo,
salgo la montagnola, mi avvicino al tronco di quel faggio.
E’ liscio e completamente bagnato, appoggio la mano, è freddo, profuma d’autunno.
Poso la nuca, guardo verso quell’intreccio di rami, cade una goccia d’acqua e mi riga il viso.

Sto, respiro, saluto e scendo.

Torno sui miei passi.