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Un nuovo riconoscimento per il nostro blog!!! grazie a tutti!!!

Post n°12545 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema

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Sokurov: la salvezza per l'Europa arriva dal Louvre, lo dice la Storia

Post n°12544 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa04/09/2015
VENEZIA. “Francofonia è un collage più che un racconto in ordine cronologico, un percorso che segue i meandri fantasiosi del pensiero”. Alexandr Sokurov torna in Concorso alla Mostra, dove nel 2011 con Faust vinse il Leone d’Oro, con un film, accolto alla prima per la stampa con lunghi applausi, fuori delle regole classiche.Francofonia  è un potente grido d’allarme non solo per il Vecchio Continente, al centro della narrazione, ma universale. 
Il film, che verrà distribuito da Academy Two, ha come location principale il Louvre, che tra l'altro ha co-prodotto il film, con i suoi tesori e visto durante l’occupazione nazista della Francia. Il regista racconta l’incontro e le biografie di due uomini di cultura eccezionali e realmente esistiti: il direttore del grande museo parigino, Jacques Jaujard, e l'ufficiale occupante  nazista il conte Franziskus Wolff-Metternich. Il destino li vuole su opposte barricate ma tacitamente alleati nel salvare le opere d’arte del Louvre dalle distruzioni e devastazioni belliche.

Questa emblematica vicenda, accaduta in pieno conflitto mondiale, ci dice che l’arte e la cultura sono l’unico punto fermo, un’ancora di salvezza per l’umanità anche nelle peggiori catastrofi, a cominciare proprio dalla guerra. Certo per Sokurov l’esito non è così scontato, se guardiamo alla metafora, nel film, di quella nave nell’oceano in tempesta con il suo prezioso carico di opere d’arte che si disperde in mare. “La nave che affronta la tempesta è come il destino, nella sua forma più pura e ineluttabile: quel che sarà, sarà”.

Francofonia è ricco di immagini di repertorio, tra cui: la vita a Parigi durante l’occupazione nazista, il collaborazionista Petain, un Hitler ridicolizzato mentre percorre in macchina gli Champs-Élysées, Leningrado (oggi Pietroburgo ) assediata dove persero la vita un milione e 250mila persone tra civili e militari sovietici, oltre alle tante vittime tedesche. Di contro nelle sale del Museo risuonano, ripetute più volte,da Marianne, personificazione della Repubblica francese, le parole: liberté, égalité, fraternité. C’è anche un insolito Napoleone orgoglioso di aver riempito le sale del Louvre di bottini delle sue spedizioni e guerre. 

Ma non lasciatevi ingannare dalle scelte stilistiche di Sokurov, prima fra tutte quel mix nella stessa scena di personaggi del passato e di contesti odierni. “Un tempo mi interessava la scelta formale, oggi invece conta il significato delle cose. L’opera artistica deve aiutare tutti voi a capire, a reagire, a creare un fermento nella mente ma anche nel cuore”. L’attore Louis-Do De Lencquesaing ricorda la prima scena girata nei giardini con i costumi dell’epoca in mezzo a bambini di oggi appena usciti dalla scuola: “La conferma che Sokurov mescola le epoche per raccontare qualcosa di eterno e universale”.
Anche l’attrice Johanna Korthals Altes ribadisce che il regista russo nel film “ha voluto il massimo della contemporaneità per rendere il tutto più vivido”.
Qualcuno chiede al regista perché quel titolo? “Mi piaceva il suono di questa parola, la sua tonalità. Di come la musica pervade il film. Il titolo dice tutto il mio amore per la Francia e per gli ideali rappresentati, ma forse gli ideali non esistono più”.

Il continente europeo si scontra con nuovi e complessi problemi che richiedono risposte simili, ma che non arrivano dai politici. “Forse anche prima non sapevano darle. Nonostante le esperienze vissute, gli stati non hanno conosciuto un rinnovamento, non è cambiato nulla”. E il cinema come ci può aiutare? “La sua forza sta nel rivolgersi alle emozioni, agli animi, ai cuori di voi spettatori”, risponde sicuro Sokurov.
Nel film insistente è il richiamo all’importanza dei ritratti pittorici conservati nei musei: “Guardandoli ci consentono di capire chi siano gli europei, osservando le particolarità del viso riusciamo a vedere le diversità da noi”.
E poi un appello agli italiani, ai francesi, ai tedeschi: “Noi russi amiamo la cultura europea, ma conservate la vostra individualità, non mescolatevi”.
Quanto al proposito annunciato di realizzare un ciclo di film d’arte al Prado e al British Museum, Sokurov chiarisce che il suo intento non è specializzarsi in film sui musei. “Lo fanno magnificamente le televisioni mondiali e gli stessi musei producono lavori simili. Non ho pianificato nulla, questo film narra una storia unica e separata nella quale il museo è il mio personaggio”.

 
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Johnny Depp: con la mia parte malvagia siamo vecchi amici

Post n°12543 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino04/09/2015
Johnny Depp, dopo l’apertura con Jake Gyllenhaal e Jason Clarke, è decisamente la star più attesa della Mostra con Black Mass
Il divo americano è protagonista con Benedict Cumberbatch e Joel Edgerton di Black Mass, un gangster movie alla Scorsese, in cui indossa pancia e capelli finti e compie orrendi misfatti. Si tratta di una storia vera. Quella di James “Whitey” Bulger, criminale irlandese cresciuto a Boston, capobranco malavitoso negli anni ’70 e ’80, fratello di un senatore, amico intimo di un agente dell’FBI che lo convinse a diventare un informatore per garantirgli l’immunità e far fuori la concorrenza della mafia italiana. Capelli radi e bianchi, pancia prominente, reduce da Alcatraz, con traffici fino a Miami, droga, prostituzione, gioco d’azzardo, perfino lotterie truccate, almeno 19 omicidi sulla coscienza una tragedia in famiglia che acuisce la sua aggressività trasformandolo definitivamente in una bestia assassina. Un Depp intenso che ha di nuovo l’occasione di far ricorso alle sue doti di trasformista, in un thriller asciutto e stilisticamente impeccabile grazie alla mano ferma di Scott Cooper (Out of the furnace – Il fuoco della vendetta). 

Ha dovuto far ricorso nuovamente al suo lato oscuro, dopo aver interpretato John Dillinger inNemico Pubblico ? 

Oh, io e la mia parte malvagia siamo vecchi amici. L’ho incontrata molti anni fa. Ma nel lavorare su Bulger ho pensato fosse corretto affrontarlo semplicemente come se si trattasse di un essere umano. Nessuno si sveglia la mattina, si lava i denti, si fa la barba e pensa: ‘Quanto sono malvagio. Oggi farò qualcosa di cattivo’. Siamo nel contesto del suo business: lui è un uomo d’affari che pensa di fare la cosa giusta, e parla il linguaggio che parlano i suoi colleghi. Magari a volte capisce di muoversi goffamente, ma crede di fare del bene. C’è qualcosa di poetico nel personaggio, e anche nella sua storia. Viene da una generazione di migranti irlandesi che erano ancorati ai vecchi valori, avevano un buon rapporto con la famiglia e il vicinato. Magari aiutava la vecchietta a portare la busta della spesa e dieci minuti dopo ammazzava brutalmente una persona. Il personaggio è interessante proprio perché ti permette di andare prima a venti, poi a novanta, poi tornare indietro e poi di nuovo a centoventi. E’ un continuo cambio di registro. E’ una sfida. Non posso dire che sia sempre stato facile o soddisfacente. La soddisfazione non è una buona cosa perché bisogna sempre tornare sul punto e sbatterci la testa. 

Cosa ne pensa dell’accoglienza così calorosa che le regalano i fan? 

Sono qui da stanotte solo per dirmi ‘ciao’, per darmi il benvenuto o per supportare il film. Io non li chiamo fan. Per me non funziona così. Quelle persone sono il mio Capo, che mettono i soldi per guardare i miei film, e io sono il loro impiegato. Questo desiderio così caloroso di condivisione è sempre commovente, non posso che ringraziarli. Recita veramente in ogni genere di film. 

Preferisce ruoli come questo, ispirati a personaggi reali, o magari fantasy come in Pirati dei Caraibi

Non è la prima volta che mi capita di entrare nei panni di un personaggio realmente esistito. E’ molto responsabilizzante, non puoi semplicemente decidere se è buono o cattivo, devi cercare di essere veritiero. Nel caso di Dillinger l’ho pensato come una specie di Robin Hood. Chi lo conosceva di persona diceva che era una persona dolce e molto divertente. Per Bulger è stato più difficile, ci sono meno filmati, se non qualcosa di sorveglianza, che viene dall’FBI, e qualche registrazione. Ho cercato di trattare le sue diverse facce: da un lato l’uomo d’affari, come abbiamo detto, dall’altro anche il padre di famiglia, amorevole e devoto alla moglie, al figlio, ma anche alla sua famiglia d’origine, mamma e fratello. Ci sono dei momenti molto brutti nel suo percorso ma è responsabilità d’attore fargli giustizia. Mi ha aiutato moltissimo la sceneggiatura, e naturalmente anche le indicazioni del regista. 

Ancora una volta si trasforma completamente, anche da un punto di vista fisico, per entrare nel personaggio. E’ un modo di tenere un basso profilo? 

Forse. Io all’inizio nemmeno volevo fare l’attore. Non è per sputare nel piatto dove mangio, ci mancherebbe. Ma ero un musicista e speravo che la mia strada sarebbe stata quella. Comunque, una volta entrato nel giro sono stato subito intrappolato in una serie tv, e mi creda, per me era frustrante. Dover dire le parole di un altro, scritte da qualcun altro, per giunta male, spesso e volentieri. I miei eroi del cinema erano tutti trasformisti: John Barrymore, Lon Chaney Senior, Marlon Brando, John Garfield. Per me è diventata presto un’ossessione. Ho sempre preferito essere un caratterista piuttosto che un ragazzino da copertina, che era quello che cercavano di fare di me all’inizio. Ma è stato più di vent’anni fa. Come dicevo prima, un vero attore ha un grado elevato di responsabilità per il pubblico, deve provare a rinnovarsi senza annoiare. E non c’è niente di più noioso che interpretare sempre sé stessi. Cambiare ruolo è meno sicuro ma più stimolante. Preferisco rischiare, magari fare la figura del cretino, ma provare a reinventarmi sempre. 

Ha deciso lei il look da adottare nel film? 

Ne ho parlato con il regista e abbiamo pensato che sarebbe stato molto importante riprodurre i tratti di Bulger fedelmente, soprattutto gli occhi blu. Io li ho neri, ma era assolutamente necessario che perforassero lo sguardo delle persone. 

Ha già portato i suoi cani a fare un giro in gondola? 

Li ho uccisi e li ho mangiati, su ordine diretto di un ciccione australiano.

 
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Tra dopoguerra e boom economico i gangster anarchici e ribelli di De Maria

Post n°12542 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa03/09/2015
La banda Cavallero, Ezio Barbieri, Paolo Casaroli, Luciano De Maria,Horst Fantazzini, Luciano Lutring, sono i protagonisti di Italian Gangsters (Orizzonti) distribuito e prodotto da Luce Cinecittà
VENEZIA. La banda  Cavallero, Ezio Barbieri, il ‘Robin Hood’ del quartiere Isola, Paolo Casaroli, ‘il Dillinger bolognese’, Luciano De Maria, Horst Fantazzini, ‘il bandito gentile’, Luciano Lutring ‘il solista del mitra’, sono i protagonisti di Italian Gangsters di Renato De Mariain concorso a Orizzonti, prodotto da Luce Cinecittà, che lo distribuisce anche, in associazione con Minerva Pictures.
Va in scena una stagione della malavita ormai lontana anni luce da quella che vedremo prossimamente in Suburra. Una malavita le cui imprese s’intrecciano con lo sforzo immane di un paese che esce dalle macerie della guerra, rinasce e conosce il boom economico. La parabola di questi banditi, diventati leggenda nell’immaginario popolare con le loro sfide temerarie ma anche sanguinose al sistema, accompagna le trasformazioni sociali.

Il racconto, intenso e in presa diretta, di queste biografie così particolari - dalla prima rapina all’arresto, dal carcere al rientro nella società civile - è affidato a monologhi, interpretati da attori teatrali, basati su libri autobiografici, interviste e testimonianze raccolte da famosi giornalisti.
A commento visivo delle loro gesta, i filmati d’epoca, le immagini di quegli anni dell’Archivio Luce e Home Movies, delleTeche Rai. E ancora brani di film di genere, circa una trentina, soprattutto poliziotteschi, grazie alla library di Rarovideo .

Come nasce questo film?
Dall’incontro con Roberto Cicutto  che mi ha chiesto di realizzare un lavoro con i materiali dell’Archivio Luce, partendo da un punto di vista originale. Così ho proposto una storia di questi gangster dal dopoguerra, dagli anni della ricostruzione al boom economico, attraverso le loro biografie. Erano allora figure molto popolari di cui si occupavano giornalisti come Montanelli, Biagi, Bocca, Buzzati. Raccontare questo elemento pop della loro fama, poteva essere anche la ricostruzione di un pezzo di storia italiana ma anche di immaginario collettivo.

C’è stato altro nell’accettare questa sfida artistica?
Il mio interesse, fin dall’adolescenza, per il genere crime e hard boiled, nonché la passione per i B-movies italiani. E poi perché alcune di quelle storie all’epoca mi avevano affascinato, anche grazie ai film di Carlo Lizzani Svegliati e uccidi e Banditi a Milano, e quello di Florestano Vancini La banda Casaroli.

Il suo film non restituisce solo delle biografie criminali?
E’ uno spunto per raccontare un’Italia irripetibile che veniva fuori dalla tragedia della guerra, caratterizzata da una grande crescita, da una struttura sociale più compatta, da un’identità nazionale più forte. Insomma un‘Italia che aveva speranza.

Nella scelta dei banditi, ne ha perso qualcuno per strada?
Il periodo scelto va dagli anni ’40 ai ’60, avevamo previsto di inserire anche Renato Vallanzasca, cresciuto nel mito di Lutring, ma rappresenta già un altro tipo di malavita collegata all’occupazione del territorio, a bande più strutturate e poi incrocia l’inizio del terrorismo. Abbiamo anche provato a inserire dei banditi romani come Lallo lo zoppo della banda dei Testaccini, quelli che sono stati spazzati via dalla banda della Magliana. Il suo monologo era molto bello, ma estremamente ferrato, non in sintonia con il tono del racconto di questi sei gangster.

Dunque tutto accade al Nord, tra Milano, Bologna e Torino.
Al Centro e al Sud c’erano la mafia e bande che controllavano già il territorio, mentre al Nord quasi tutti i sei protagonisti sono figli della Resistenza, spesso le loro armi sono quelle non restituite dai partigiani. Si tratta di giovani che non sono riusciti a rientrare nella vita normale alla fine della guerra.

Che cosa li accomuna?
Una sorta di individualismo anarchico, di ribellione nei confronti di una società che chiede loro di lavorare con una paga bassa. Si ribellano per un anno di vita alla grande, ma non per un progetto.

Ha una preferenza per uno dei sei banditi?
Ognuno ha il suo punto di fascino. La storia particolare di Cavallero con il suo sogno di comunismo, legato però anche a questo suo ego incredibile, un figlio di proletari che dovrebbe diventare operaio e invece si sente “un drago”. Lutring romanticissimo, ovviamente sono attratto dal fascino letterario del racconto, perché non dimentichiamo che questi uomini hanno ucciso. E poi Casaroli di cui mi ha parlato un amico scrittore che lo andava a trovare nella sua libreria, aperta una volta uscito dal carcere. O Barbieri che rubava e poi andava a distribuire la refurtiva nel suo quartiere.

Oggi la criminalità è molto differente.
Il mio film segnala questa diversità, perché la malavita odierna nasce negli anni ’80 dalla commistione con la politica. Soprattutto è conquista del territorio, dominio della città, intesa come affari su tutto, con il permesso e la connivenza dello Stato.

Quanto materiale ha visionato?
E’ stato un lavoro molto lungo, non tanto con gli attori con i quali ho girato in pochi giorni. Per costruire i monologhi, insieme a due giovani appena usciti dal Centro sperimentale, abbiamo letto libri, articoli, interviste. Abbiamo visionato molto materiale già digitalizzato dell’Archivio Luce, delle Teche Rai, e dell’Archivio Home Movies di Bologna che raccoglie super 8 familiari, documenti intimi e privati. E infine fondamentale la ricca library di Minerva Pictures, Rarovideo, in particolare alcuni film di Di Leo, Deodato, Bava, ma anche di Petri, Antonioni, Bellocchio e Sautet.

Ha scelto tutti attori di teatro per i sei personaggi.
Mi sono affidato a interpreti non cinematografici sconosciuti perché volevo dei lunghi flussi di coscienza. All’inizio ho pensato ad attori che conoscevo, poi abbiamo preferito uno stacco netto, perché la faccia sconosciuta ti consente un’identificazione più forte. L’impostazione dei monologhi è teatrale e li ho girati nel buio di un immenso teatro scelto perché volevo questa profondità da cui emergevano, come da un passato molto lontano. Abbiamo estratto dai libri questa loro lingua spontanea, per quanto filtrata dagli scrittori, quel loro atteggiamento un po’ spavaldo e arrogante. Monologhi di 9/10 pagine tutti girati senza interruzioni con piani sequenza larghi, poi medi, poi stretti.

C’è un legame con le sue precedenti opere, come La prima linea?
Il filo conduttore c’è anche con Paz! La vita oscena perché è evidente che sono interessato a quella linea d’ombra, cioè al passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Sono attratto da quelle persone che non riescono a diventare adulte  e questo passaggio lo rendano narrazione, tragica alcune volte come in La prima linea o fumettistica come in Paz!. Anche il mio primo film Hotel paura racconta di una persona licenziata che non riesce più a rientrare nel mondo del lavoro e diventa barbone. C’è sempre dunque questo confronto tra l’individuo e la società.

Progetti futuri?
Un gangster movie la cui sceneggiatura è quasi terminata, legato a questo lavoro e ispirato a un bandito reale, con ambientazione negli anni ’80 ma contemporanei. Sarà il racconto della sua conquista del territorio a Milano. Per la televisione riprendo a lavorare con il produttore Pietro Valsecchi che mi ha chiesto di collaborare con un altro regista a Squadra Antimafia 8 con un cast rinnovato.

 
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Carlo Lavagna: "Nel corpo di Arianna il rapporto tra identità e potere"

Post n°12541 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Michela Greco04/09/2015
Il film, alle Giornate degli Autori, sarà in sala il 24 con Istituto Luce-Cinecittà
VENEZIA – "Sono sempre stato attratto da ciò che non si riesce a definire, e l'ermafroditismo coglie in flagrante proprio questo territorio di mezzo e ci permette di interrogarci sul rapporto che intercorre tra normalità e potere". Così Carlo Lavagna, regista e produttore di documentari, spot e corti, presenta il suo esordio nel lungometraggio di finzione Arianna, al Lido nella selezione ufficiale delle Giornate degli Autori. Un'opera su un tema insolito ma molto attuale, che fotografa una ragazzina adolescente nel momento in cui scopre la sua vera identità sessuale. La Arianna del titolo, interpretata dalla debuttante Ondina Quadri (figlia del montatore e regista Jacopo), è una diciannovenne acerba dagli occhi di ghiaccio che si ritrova sola nel casale di infanzia sul lago e ne approfitta per esplorare il suo corpo e la sua sessualità, scoprendo qualcosa che i genitori (Massimo Popolizio e Valentina Carnelutti) hanno scelto per lei quando era troppo piccola per ricordarsene. Prodotto da Ring Film con Rai Cinema e in associazione con Ang Film, Asmara Films ed Essentia, Arianna sarà distribuito da Istituto Luce-Cinecittà dal 24 settembre

Lavagna, come mai ha scelto questo tema e questo modo di affrontarlo? 
Tutto è partito da una reminiscenza di quando ero piccolissimo, avrò avuto 10 anni: facevo spesso il sogno di essere donna e questo naturalmente mi confondeva. Più tardi mi ha indotto a pormi delle domande esistenziali che avevano in sé delle sfumature erotiche e identitarie, domande che mi sono portato dietro tutta la vita. Quando da adulto sono andato a vivere negli Stati Uniti sono venuto in contatto con un'associazione di intersessuali e ho trovato tutto talmente interessante da volerci fare un documentario, che poi negli anni e dopo mille elaborazioni è diventato un film. 

La scelta della protagonista è stata decisiva, come è avvenuta?
 
Ero in cerca dell'attrice quando qualcuno mi ha suggerito di prendere in considerazione Ondina, che è figlia del mio amico Jacopo Quadri. Quando l'ho vista ho pensato subito che fosse la ragazza giusta, anche se rimuginavo sull'opportunità di limare in lei alcuni atteggiamenti. Immaginavo di dover prendere una ragazza e di doverla accompagnare verso una trasformazione, verso l'ambiguità, invece con Ondina ho dovuto fare l'inverso, visti i suoi modi un po' mascolini. Alla fine Ondina si è fusa con la ricerca di femminilità. 

L'attrice è stata molto coraggiosa, ci sono scene delicate di nudo nel film, come le avete affrontate? 
Ero un po' inquieto su questo, e prima di girare ho detto chiaramente a Ondina che sarebbe stato necessario che si esponesse perché nel film la nudità aveva un ruolo determinante, non era una pruderie... ma ho subito capito che non c'era bisogno che mi preoccupassi, mi ha risposto semplicemente "E che problema c'è?".

Arianna affronta anche il modo che ha la società di confrontarsi con gli ermafroditi...
Sì, anche se spero che parlando di questo tema specifico si riesca a comunicare anche altro, ovvero la necessità di essere liberi di cercare la propria vera identità e di sfuggire alle definizioni. Ma in effetti c'è un discorso sul potere e sul modo pratico in cui storicamente sono stati affrontati questi casi. Spesso l'atteggiamento dei medici non è adeguato, vedono l'ermafroditismo come un problema fisico di chi deve correggere qualcosa sul suo corpo, e se poi si aggiungono altri significati di ordine morale ci sono ripercussioni anche sulla struttura sociale. Se ad esempio la Chiesa diceva che queste persone devono essere messe al rogo o uccise, si aveva di fronte un pericolo chiaro da cui si poteva sfuggire, oggi invece dalla chirurgia estetica che viene fatta "per il tuo bene" non puoi difenderti.

 
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È in corso la raccolta delle firme per otto referendum nel silenzio dei mezzi di informazione da articolo21

Post n°12540 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

referendum

L’informazione – in particolare quella radiotelevisiva – tace completamente il fatto che in queste settimane è in corso una campagna di raccolta delle firme necessarie (cinquecentomila) per otto referendum i cui quesiti (sull’Italicum, il jobs act, la riforma della scuola e la conversione ecologica dell’economia: trivellazioni e grandi opere) sono stati presentati da Pippo Civati e altri dieci elettori alla cancelleria della Corte di cassazione lo scorso 16 luglio e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo.

Il silenzio è talmente assordante che il Comitato promotore – proprio come accadde nel 2011 – si è rivolto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni chiedendo il suo intervento, «al fine di assicurare il rispetto, da parte delle emittenti pubbliche e private, del diritto all’informazione dei cittadini». Infatti, con delibera 226/11/CSP del 5 settembre 2011, l’Autorità stabilì che «le emittenti radiotelevisive sono invitate a riservare nei programmi di informazione uno spazio adeguato all’argomento della raccolta delle firme per la promozione dei referendum popolari […] nell’osservanza dei principi di pluralismo, obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione radiotelevisiva».
Proprio quei principi che anche durante questa campagna di raccolta delle firme sono stati fino ad ora (forse più che mai) violati e che sarà ancora una volta l’Autorità – in base ai propri precedenti – a dover ristabilire.

Naturalmente la questione del pluralismo e della libertà di informazione non è certo nuova nel nostro Paese ed è stata spesso oggetto di censura da parte delle istituzioni internazionali: ricordiamo, oltre alle numerose sentenze sulla assegnazione delle frequenze, il parere negativo espresso sulla legge Gasparri dalla Commissione di Venezia all’indomani della sua approvazione, nel 2005. Normalmente, però, la questione è stata quantomeno oggetto di critiche e proteste da parte di alcune forze politiche. In questa circostanza, invece, la violazione dei principi del pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione sembra accettato – se non auspicato, diciamo – praticamente da tutte le forze politiche.

In effetti, la diffidenza nei confronti del referendum ha radici profonde, che affondano nella stessa Assemblea costituente, dove l’ampio progetto del relatore Mortati, che avrebbe reso possibile, tra l’altro, ai cittadini di votare direttamente le proposte di legge di iniziativa popolare non esaminate dal Parlamento (come di recente riproposto proprio da Civati), fu ridotto al solo referendum abrogativo. Successivamente la stessa diffidenza si è manifestata in diverse forme: dal blocco (per ventidue anni) della legge di attuazione alla previsione – quando quest’ultima è stata poi approvata – di procedure farraginose volte a ridurre le iniziative, dall’oscuramento mediatico agli inviti a «andare al mare» (per evitare il raggiungimento del quorum di partecipazione inficiando così la validità del referendum).

Nel caso che ci occupa, per il momento, come dicevamo, l’oscuramento è pressoché totale (se si escludono testate on line e Il Fatto quotidiano). Ciò rischia di impedire un confronto chiaro con gli elettori – e tra gli elettori – circa alcune riforme che, generalmente su iniziativa del governo in carica, sono state approvate da una maggioranza in continua trasformazione, senza alcun collegamento con un programma elettorale (e anzi spesso in contraddizione con quello del partito di maggioranza relativa: particolarmente evidente in proposito il caso del jobs act).

In effetti, la sfida è proprio questa: riavvicinare gli elettori, che sempre più spesso disertano le urne (i dati delle elezioni europee e regionali sono in tal senso particolarmente preoccupanti) a partire da alcune questioni concrete, mostrando che la politica non è ciò che riguarda gli eletti, ma gli elettori, appunto. Se gli organi di informazione svolgessero davvero la loro funzione, in ossequio a quei principi di pluralismo e imparzialità già ricordati, dovrebbero dare a questo il massimo rilievo.

3 settembre 2015

 
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Due pesi e due misure: Il caso Toni-De Palo

Post n°12539 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

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Accadeva 35 anni fa. Due giornalisti che scompaiono nel nulla dovrebbero fare notizia. O no? Se in più sono spariti a Beirut, in piena guerra civile, e se nella loro sparizione c’è lo zampino dei fedayin palestinesi, dei servizi segreti italiani e addirittura della P2, beh, ci sono tutti gli ingredienti per un giallo internazionale in piena regola, da sparare in prima pagina. E invece no. No, perchè in Italia ci sono giornalisti di serie A e giornalisti di serie B: i primi possono contare sulla mobilitazione del circo mediatico, sul sostegno dell’Ordine e sugli appelli del Sindacato; i secondi invece restano da soli e sono condannati all’oblio, lento ma sicuro.           

E’ il caso di Italo Toni e Graziella De Palo, due colleghi free-lance spariti a Beirut il 2 settembre del 1980. Di loro non si è saputo più nulla. Zero. Inghiottiti da un giorno all’altro dal buco nero della guerra civile libanese, che dal 1975 al 1991 ha fatto 150mila morti ed ha visto decine di migliaia di desaparecidos. All’inizio la copertura giornalistica fu discreta, ma con il passare degli anni scemò fino a cessare, anche perchè il governo Craxi, nel 1984, appose sulla vicenda il segreto di stato. Eppure c’erano tutti gli elementi per farne una battaglia civile di alto profilo: perchè Italo e Graziella erano stati sequestrati, questo è certo, e perchè i servizi segreti dell’epoca, infiltrati dalla P2, si erano distinti per i numerosi depistaggi, con cui avevano cercato di coprire (se non di aiutare) i sequestratori, appartenenti quasi certamente alla galassia dei gruppi palestinesi. Su questa storia è calato invece un silenzio di tomba. E chi sa – e sono in tanti, fra i politici dell’epoca – continua a tacere.  Restano le famiglie, che da anni in perfetta solitudine chiedono verità e giustizia. Vogliono sapere che fine hanno fatto Italo e Graziella, ma soprattutto perchè sono morti, come ormai è sicuro, a distanza di tanti anni.

La vicenda è complessa e i media, si sa, detestano le storie complicate, a meno che non abbiano risvolti politici immediatamente spendibili per gli editori. I giornalisti, poi, preferiscono votarsi alle cause già santificate, che danno maggiore visibilità e prestigio. Chi avesse voglia di approfondire può andare sul sito http://www.toni-depalo.it/, ricco di informazioni che lasciano di stucco. Per chi invece preferisse il racconto per immagini c’è una mia inchiesta per La Storia siamo noi (Un mistero di Stato – Il caso Toni-De Palo).

2 settembre 2015

 
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Rai: le scelte editoriali e strategiche pravalgano sul consueto “giro di poltrone”

Post n°12538 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

RAI-Viale-Mazzini-Roma

“Uscire  dalla dittatura degli ascolti…bisogna introdurre elementi di discontinuità nei linguaggi e nella offerta editoriale…” Questi alcuni dei passaggi dell’intervista rilasciata al direttore del Foglio, Claudio Cerasa, dal direttore della Rai Antonio Campo Dell’Orto. Vedremo quali saranno le proposte concrete e le scelte conseguenti, ma intanto non possiamo che salutare con favore questo deciso spostamento di attenzione verso il contenuto, che poi sarebbe la qualità dell’acqua in uscita dai rubinetti della Rai e destinata al cuore, alla mente e alle viscere degli spettatori, tanto per parafrasare Enzo Biagi. In queste ore, dentro e fuori la Rai, gli occhi sono puntati, ancora e per l’ennesima volta, sulle modalità del controllo del potere, sull’organizzazione del consenso, sugli organigrammi prossimi venturi.

Quanti saranno i vice direttori generali? Quando cambieranno i direttori? Chi è il più renziano del reame? Già crescono le schiere dei convertiti che, per altro, sono quasi sempre gli stessi di sempre, quelli che hanno scelto di vivere genuflessi e non certo per una scelta religiosa….

Sia come sia ci auguriamo che Campo Dell’Orto, insieme alla presidente Monica Maggioni, e al Consiglio di amministrazione, voglia  davvero anteporre le scelte strategiche ed editoriali all’ennesimo scontato e ritualissimo “giro di poltrone”.

Le donne e gli uomini che saranno chiamati a dirigere o saranno confermati (perché in questa Rai non mancano certo le professionalità ed i talenti), dovranno discendere da un progetto e da una riflessione sulla missione del servizio pubblico oggi.

Si dovrà ripartire da quel confronto e da quella discussione che, per la verità, avrebbero dovuto precedere l’approvazione di una nuova legge e la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione. Se davvero questo dibattito si farà, sarà il caso di coinvolgere il più  ampio arco di forze culturali, sociali, professionali, imprenditoriali, con l’obiettivo di uscire davvero dai circoli chiusi ed autoreferenziali e di esplorare nuovi linguaggi e nuove frontiere tecniche, tecnologiche, ma anche etiche ed antropologiche.

La  “Nuova Rai”, per fare un esempio dovrà essere più o meno libera nei confronti dei poteri, di qualunque natura e colore esso siano? Dovrà esplorare le periferie del mondo o rinchiudersi dentro i confini nazionali? Potrà farlo disponendo di tutte le piattaforme o dovrà tenere inserito il freno a mano, pur di non disturbare i competitors di sempre? Potrà e vorrà contrastare i linguaggi dell’odio, della disgregazione sociale, della diffusione del razzismo o si piegherà allo “spirito dei tempi?”
Un conto è raccontare la paura ed il malessere sociale, altro è alimentarlo, magari per conquistare qualche ascoltatori in più.

Se uscire dalla “dittatura degli ascolti” significherà anche contrastare questa deriva, la pigrizia del format sempre uguale, la tendenza alla banalizzazione, alla omologazione, alla rincorsa del modello commerciale, l’annunciata discontinuità non potrà che essere accolta con favore e con animo libero da qualsiasi pregiudizio.

Dal momento che, sin qui, le delusioni non sono certo mancate, sarà tuttavia prudente attendere il passaggio dalla fase degli annunci a quella delle proposte.

Nel frattempo sarebbe auspicabile che il governo e il Parlamento riprendessero subito la discussione per arrivare davvero ad una radicale riforma della legge Gasparri e per dare alla Rai una nuova veste normativa, magari sul modello della BBC.
Sino ad oggi questo percorso non è neppure Iniziato, ed il testo approvato al Senato non marcia certo in questa direzione.

Nella scorse legislature, per limitarci ai soli progetti del Pd, Valter Veltroni e Paolo Gentiloni presentarono proposte che riducevano davvero il controllo dei governi e dei partiti e separavano  nettamente gli indirizzi dalla gestione.
Sarà il caso di ripartire da quelle proposte e di aprire una discussione a tutto campo con  le altre forze politiche; magari senza dimenticare che l’Italia aspetta ancora di avere la legge sul conflitto di interessi e i nuovi limiti antitrust, visto che la legge Gasparri , con buona pace dei neoconvertiti, marcia esattamente nella direzione contraria!

2 settembre 2015

 
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Venezia non tradisce le aspettative

Post n°12537 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

 

A Aravena e P Baratta - Photo by Giorgio Zucchiatti Courtesy ofla Biennale di Venezia

Alejandro  Aravena, cileno, classe 1967,  una carriera prestigiosa e, soprattutto, un impegno prioritario  nel realizzare un’edilizia sociale. Nominato da poco quale curatore della 15 Mostra Internazionale di Architettura , in programma dal 28 maggio al 27 novembre 2016, nelle sedi tradizionali della Biennale, ai Giardini di Castello e all’Arsenale.  Nel presentare il programma di questa manifestazione, dal titolo “Reporting from the front”,  ha parlato di “andare oltre lo status quo”. Se lo  si fa anche solo di un millimetro è un segno di speranza per il futuro.  Nella direzione della sostenibilità e dell’equità.

Per far questo occorre saper interpretare le domande poste dalla società civile attorno alle  grandi istanze  quali l’abitare, specie in riferimento alle classi sociali meno privilegiate, ivi incluso il problema dell’accoglienza degli emigranti. Imprescindibile un’analisi rigorosa dell’esistente, ma poi occorre spostare l’equilibrio più in là. Focalizzando l’attenzione non tanto sul problema quanto sulla sua soluzione.  Sapendo che si tratta di istanze  a livello mondiale e per questo un’istituzione come la Biennale, con il suo coinvolgimento dei paesi stranieri( una cinquantina, per ora, quelli che hanno aderito) è la più adatta a presentare degli esempi concreti di realizzazioni di progetti che hanno saputo assicurare una migliore qualità della vita, in circostanze anche difficili.

Un modo, questo, secondo il presidente della Biennale, Paolo Baratta, di porre fine alla dicotomia tra le aspettative  della società  e le realizzazioni dell’architettura, per molta parte deludenti.

Con la definitiva  archiviazione del mito delle archistar e dei loro inquinanti grattacieli

3 settembre 2015

 
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Quella foto va pubblicata perchè è l’immagine della morte della nostra umanità da articolo21

Post n°12536 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

m_8wou

Non pensiate che prima di pubblicare questa foto non abbia pensato alla carta di Treviso, alla necessità di proteggere un bambino. Non lo pensate. E chi lo pensa non mi conosce. Ma quando fai il nostro mestiere, quando quotidianamente ti accorgi del fiume di parole che la politica spende per poidefinire quote di accoglienza senza poi produrre nulla o partorire iniziative pressoché ininfluenti, quando ti rendi conto che migliaia di bocche politiche da decenni si sono riempite di parole come cooperazione, aiuto ai paesi poverie poi hanno riempitole strade della Somalia di rifiuti, pensi che ci devonoessere gesti eclatanti, capaci di scuotere le coscienze.

Quando vedi come vivono i profughi nei Centri didis-accoglienza, quando hai visto i rifugiati politici dentro l’ex ambasciata di Somalia dormire in giacigli sporchi, umidi, senza acqua, senza luce, vicino agli escrementi umani e animali perché i cessi non ci sono in via dei villini a Roma, quando hai visto hangar pieni di bare, molte delle quali piccole e bianche, quando vedi madri e padri piangere per figli che muoiono in mare e ti bagni con le loro lacrime; quando vedi bambini di 6 anni sdraiati per le vie di una favela a Salvador de Bahia storditi dal crak, quando vedi i bambini guerrieri costretti alla guerra o i bambini che l’Isis manda a tagliare le teste agli “infedeli”, quando vedi le bambine vietnamite e thailandesi sfruttate dai ricchi turisti del sesso occidentale e vedi che a stento le coscienze si sanno impressionare, quando vedi i bambini malformati nei territori utilizzati per esperimenti nucleari nell’ex unione sovietica, quando vedi i bambini palestinesi e israeliani morire negli attentati, ricordi la gioventù hitleriana che correva incontro agli alleati a mani nude per difendere un regime, o le scarpe dei piccoli ebrei mandati abruciare nei forni crematori… ecco…

Quando vedi o ricordi tutto questo e tiaccorgi che nulla si è mosso o si muove per difendere coloro che non possono essere difesi se non da noi adulti mediocri o da chi ha il potere per fare qualcosa, allora devi avere il coraggio di permettere ad una foto terribile di ricordare tutto questo ad ognuno di noi.

Di ricordarlo a chi s’incazza quando a pranzo vede la pubblicità dei bambini che perdono la vista in Africa, a chi si volta dall’altra parte immaginando che queste cose non fanno parte dell’umanità, a chi pensa che gli immigrati possano essere chiusi in recinti elettrificati comei cinghiali, a chi esprime sgomento in pubblico e in privato sciala, a chi dice che quella foto non è polititically correct.

Sì, quella foto non è politicamente corretta!  Perché noi tutti non siamo politicamente corretti, o meglio, pensiamo di esserlo e invece siamo ormai privi di qualsivoglia umanità.

Perché non è umano strumentalizzare la vicenda dei migranti per provocare paure e raccogliere voti. Perché quel bambino, per troppi, da vivo faceva più paura che da morto. Quel bimbo sdraiato sulle coste turche come se dormisse, è morto. Come morta è la nostra umanità. In quella foto c’è lui, la madre e il fratello che con lui sono morti, il padre che non pensa più al Canada ma che vuole tornare a Kobane per seppellirli, anche se c’è la guerra, anche se si muore.

Perché meglio stare sotto la tua terra sconvolta dalle bombe, dall’Isis, da un regime illiberale piuttosto che in un’altra terra che si definisce democratica, libera ma che non ha saputo accoglierti, proteggerti e non ti ha voluto, e ha permesso la morte di un innocente.

* giornalista e consigliere nazionale Federazione della Stampa

4 settembre 2015

 
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Christopher Nolan. Il tempo, la maschera, il labirinto da fantasymagazine

Post n°12535 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

In uscita in questi giorni, per i tipi della casa editrice milanese Bietti, il saggio di Massimo Zanichelli sul cinema di Christopher Nolan.

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Christopher Nolan, classe 1970, di origini londinesi ma in possesso anche di cittadinanza statunitense, è senza dubbio uno dei registi più importanti dell'ultimo quindicennio. Giunto all'attenzione della critica e del grande pubblico con ilthriller-noir Memento (2000), si è successivamente dedicato alla riscrittura cinematografica di un'icona del fumetto e della cultura popolare, Batman, riuscendo con la Trilogia del Cavaliere Oscuro (2005 — 2012) a rinnovare il personaggio sul grande schermo proponendone una visione coerente e realistica e, contestualmente, a raggiungere un enorme successo al box office.

 


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Ma Nolan non è soltanto un cineasta completo (sceneggiatore, spesso insieme al fratello Jonathan Nolan, e produttore oltre che regista) che ama seguire in maniera quasi artigianale ogni fase realizzativa dei propri film. Nolan è un uomo profondamente innamorato del cinema, sin dai suoi primi approcci alla settima arte durante gli anni trascorsi allo University College della capitale britannica. In quei cortometraggi e successivamente nel primo film da lui scritto, diretto e prodotto, Following(1998), il cineasta angloamericano ha cominciato a esplorare quei temi che già allora lo affascinavano e che ruotano principalmente intorno alla complessità della mente umana e a come quest'ultima percepisca ed elabori la realtà che la circonda.

 

Proprio questi temi, assai ricorrenti nella poetica cinematografica nolaniana, insieme a molti altri aspetti di quest'ultima, si ripromette di analizzare il saggio del giornalista, docente di cinema e documentaristaMassimo Zanichelli.

Christopher Nolan — Il tempo, la maschera, il labirinto è in uscita in questi giorni nella collana Heterotopia della casa editrice Bietti di Milano, con una prefazione del critico e docente di materie cinematografiche Roy Menarini.

La quarta di copertina

La sua ultima fatica, Interstellar, ha fatto gridare allo scandalo i critici e al capolavoro il pubblico, scatenando un acceso dibattito sui social network di tutto il mondo. Ma il film con protagonista il premio Oscar Matthew McConaughey è solo l’ultimo di una serie di titoli, non lunga, che rende tuttavia Christopher Nolan il regista simbolo del XXI secolo: autore di unremake (Insomnia), da sempre interessato al Tempo come valore psicologico, fisico e cosmologico (MementoInception), attento alle dinamiche scatenate dalla mancanza e dalla perdita (la Trilogia del Cavaliere Oscuro) e agli inganni della mente (The Prestige). Grazie al libro di Zanichelli oggi è possibile conoscere il cineasta inglese in tutte le sue sfaccettature, di forma e contenuto, per storicizzarlo, comprenderlo e, magari, amarlo.

L'autore

 


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Massimo Zanichelli è docente di cinema, saggista e documentarista. Tra i suoi libri:Psyco & Psycho (Le Mani, 2010) e Fino all’ultima goccia (Mimesis, 2014).

 

 

Massimo ZanichelliChristopher Nolan. Il tempo, la maschera, il labirinto

Bietti Etherotopia — pagg. 290 con inserto fotografico — 17,00 €

ISBN 9788882483203

 
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Operazione uncle

Post n°12534 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

 
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Operazione uncle

Post n°12533 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

The Man from U.N.C.L.E.

 

Poster

Negli anni in cui la Guerra Fredda raggiunge il suo apice, l'agente della CIA Napoleon Solo e quello del KGB Illya Kuryakin sono costretti a mettere da parte le ostilità di vecchia data e allearsi per eliminare una misteriosa organizzazione criminale internazionale. Il loro unico aggancio è la figlia di uno scienziato tedesco scomparso, la sola chiave per infiltrarsi nell'organizzazione e prevenire una catastrofe mondiale.

SOGGETTO:

tratto dalla fortunata serie tv degli anni Sessanta The Man From U.N.C.L.E

 

 
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Southpaw - L'ultima sfida

Post n°12532 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Southpaw

Poster

Detroit ai giorni nostri. Billy "The Great" Hope (Jake Gyllenhaal) è un campione di boxe. E' un "southpaw", un pugile mancino, dallo stile aggressivo e brutale. E' all'apice della sua carriera, ha una moglie che adora, Maureen (Rachel McAdams), e una figlia piccola. L'incontro con il suo rivale Miguel "Magic" Canto cambierà la sua vita per sempre. Durante una violenta rissa Maureen viene uccisa e da quel momento l'esistenza di Billy è sconvolta: la sua carriera è finita, la figlia è affidata ai servizi sociali. Billy deve ricominciare dal nulla, con l'aiuto e gli insegnamenti del vecchio pugile Tick (Forrest Withaker). Giorno dopo giorno inizia la dura risalita...

  • FOTOGRAFIAMauro Fiore
  • MONTAGGIOJohn Refoua
  • MUSICHEJames Horner
  • PRODUZIONE: Escape Artists, Fuqua Films, Riche Productions
  • DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
  • PAESE: USA
  • DURATA123 Min

 
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Bolgia totale

Post n°12531 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Il vecchio ispettore Quinto Cruciani (Giorgio Colangeli), ormai alcolizzato e consumatore abituale di droghe, si fa scappare il giovane spacciatore psicopatico Michele Loi (Domenico Diele), appena arrestato. Per evitargli la sospensione, l'ispettore capo Bonanza (Gianmarco Tognazzi) gli dà tre giorni di tempo per ritrovare il fuggitivo. Comincia così una caccia al ladro che mostra i sogni e le difficoltà dei due personaggi, in uno stile che strizza l'occhio a quel genere poliziottesco tanto in voga negli anni Settanta.

 
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Storie sospese

Post n°12530 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Storie sospese

Post n°12529 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Poster

In un cantiere d'alta montagna, un gruppo di rocciatori, tra cui Thomas, lavora per mettere in sicurezza le pareti dell'impervio versante di un monte. Un accadimento improvviso causa la chiusura del cantiere e il conseguente licenziamento dei rocciatori. Thomas, rimasto senza lavoro e con una famiglia da mantenere, deve affrontare le nuove e improvvise difficoltà economiche. Arriva in soccorso la chiamata di Ermanno, un vecchio "collega di roccia" che adesso gestisce una piccola impresa: c'è un lavoro per lui in un paese abruzzese. Qui Thomas incontra Giovanna, un'insegnante combattiva, e Alessandro, un giovane geologo, che lo affianca nel lavoro. A contatto con una socialità che non è più abituato a vivere, proiettato in dinamiche lavorative "poco chiare", Thomas sarà costretto presto ad una scelta...

 
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Un'occasione da Dio

Post n°12528 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Absolutely Anything

Poster

Un consiglio intergalattico di alieni decide di radere al suolo il Pianeta Terra perché considerato un inutile pasticcio. Prima di annientarci però decidono di dare al nostro pianeta un'ultima occasione: conferiranno ad una persona scelta a caso il potere di fare tutto ciò che vuole. Se verrà utilizzato in maniera saggia il pianeta si salverà. Prepariamoci quindi alla Fine del Mondo perché il terrestre selezionato purtroppo per noi è Simon Pegg il cui unico nobile scopo nella vita è andare a letto con Kate Beckinsale.

 
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Mirafiori Luna park

Post n°12527 pubblicato il 04 Settembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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