Creato da gratiasalavida il 09/09/2007

Rubra domus

Paole parole parole

 

Messaggi di Luglio 2014

Il vento

Post n°2194 pubblicato il 23 Luglio 2014 da gratiasalavida
 

Asciutti

gli occhi

delle donne.

Le gonne, scure,

il vento le dipana in pianto

anch'esso

asciutto

come il canto

di una estate morta.

L'albero

della vita

ha perso

foglie.

Non le raccoglie

il vento.

Non evoca

la brezza

che la sorte

spezzata

da un addio.

Dove dimora

terra

senza

Pace

l'estate

si consuma presto:

in mormorio

di vento

asciutto.

 
 
 

In dispari...

Post n°2193 pubblicato il 13 Luglio 2014 da gratiasalavida

In dispari...

 
 
 

Give Peace a chance

Post n°2192 pubblicato il 13 Luglio 2014 da gratiasalavida

Presumo che amassero la vita.

Anzi, ne sono certa.

Tutti i ragazzi poco più che adolescenti amano la vita, e quei quattro ragazzi, di cui ho impressi nel ricordo gli occhi vispi e i sorrisi da bambini appena appena cresciuti, molto probabilmente la amavano.

Probabilmente erano innamorati.

O forse no.

Forse ancora non avevano conosciuto la ragazza che ti fa battere forte il cuore, la cui sola vista ti mozza il respiro.

Probabilmente erano cresciuti in fretta.

Vivere in un'area dove la guerra è perenne non ti permette di crogiolarti a lungo nella inconsapevolezza dell'infanzia.

Probabilmente erano cresciuti in fretta, ma senza perdere quella freschezza  di sguardo, quella luce viva negli occhi che rende gli adolescenti di tutto il mondo bellissimi.

Bellissimi anche quando magari non sono belli nelle fattezze.

Quei quattro ragazzi erano belli. Anzi bellissimi.

E probabilmente cercavano di vivere la loro vita nel migliore dei modi possibili, come sempre si cerca di fare quando la vita è sul punto di sbocciare e offrire i doni più preziosi.

Gli adolescenti vivono sempre nell'aspettativa dei doni preziosi che la vita tiene in serbo per loro, anche quando si ha la consapevolezza di vivere in un'area di guerra.

Credo che il fatto di vivere in un'area dove la guerra è perenne, anzi, amplifichi

l'amore per la vita e le aspettative sulla vita.

Un dono reso ancora più prezioso dall'incalzare della morte.

Gli adolescenti non pensano mai alla morte.

Avranno avuto, quei quattro ragazzi, i loro momenti di malinconia, di fragilità, di paura,

di incertezza.

Perché l'adolescenza è un'età in cui la luce piena è venata talora di ombre.

Tanto più in un'area ove le ombre lunghe della guerra rischiano, in ogni momento, di dilagare nel campo del possibile e dell'auspicabile, che è il campo aperto ove si spiegano e si dilatano i sogni a occhi aperti degli adolescenti.

Quattro ragazzi bellissimi.

Non ho scritto tre israeliani e un palestinese.

Ho scritto "quattro ragazzi".

Sono convinta  che se si fossero potuti incontrare in un campo neutro, il campo aperto

del possibile e dell'impossibile, ove si spiegano e si dilatano i sogni a occhi aperti degli

adolescenti, di tutti gli adolescenti della terra, se si fossero potuti incontrare, si

sarebbero piaciuti.

Sarebbero andati insieme, tutti e quattro, in cerca di ragazze.

Avrebbero gioocato insieme a calcio, o a ping pong.

Avrebbero ascoltato la stessa musica, magari.

E avrebbero ballato insieme, fino a stordirsi.

Fino a notte fonda.

E magari si sarebbero innamorati tutti e quattro della stessa ragazza.

E si sarebbero picchiati, come spesso accade tra gli adolescenti, quando si picchiano

per rivalità in amore.

E poi avrebbero dimenticato il motivo per cui si erano picchiati.

E sarebbero andati a bere una birra insieme.

Come spesso capita, tra gli adolescenti.

Presumo, anzi, ne sono certa, che quei quattro ragazzi amassero tenacemente la vita.

Sono stati uccisi, quei quattro ragazzi, in nome di una guerra perenne.

Chi li ha uccisi non ha avuto alcun riguardo per la loro età, per i loro visi freschi di

ragazzini appena sbocciati all'adolescenza, per i loro sentimenti.

Chi li ha uccisi, da una parte e dall'altra, voleva un pretesto per costringere una

guerra perenne a impennarsi in una parabiola ascendente.

Se quei ragazzi avessero saputo di morire per diventare il pretesto utile a incrudelire

una guerra già fin troppo crudele, credo sarebbero morti due volte.

L'amarezza, li avrebbe uccisi, prima ancora che la mano dei carnefici.

Pace.

Una parola forte.

Una parola forte che sicuramente trovava accoglienza nelle pieghe segrete dei sogni

più reconditi di quei quattro ragazzi.

Nel campo aperto dei sogni, anche l'impossibile trova accoglienza.

Nel campo aperto dei sogni, ne sono certa, trovava accoglienza anche il sogno

impossibile di una pace possibile.

Quei quattro ragazzi sono morti, massacrati da mani guidate da menti che hanno

perso la capacità di sognare.

Quando si guarda alla realtà con occhi resi opachi dalla incapacità di sognare, la realtà

diviene un ambito ristretto, così miserabilmente ristretto da sembrare un budello.

In un budello non ci sono orizzonti da guardare.

In un budello si diventa ciechi.

Mi piacerebbe.

Mi piacerebbe che ai morti fosse concesso di parlare.

Quei quattro ragazzi non ci sono più.

La guerra, invece, c'è ancora e vive una fase di espansione.

E quei ragazzi, divenuti pretesto per incrudelire la guerra, sono morti due volte.

Perché, ne sono certa, se ai morti fosse concesso di parlare, quei quattro ragazzi

morti proferirebbero

una sola parola.

Pace.

 

 
 
 

In dispari...

Post n°2191 pubblicato il 03 Luglio 2014 da gratiasalavida

In dispari...

 
 
 

No name...

Post n°2190 pubblicato il 03 Luglio 2014 da gratiasalavida

Quando lo spinsero malamente sul fondo della stiva.

Quando spinsero malamente, sul fondo della stiva, tanti altri come lui.

Di nessuno conosceva il nome.

Nessuno chiamava lui, per nome, ignorandolo.

Nessuno chiamava nessuno per nome.

Tutti gridavano e cercvano di farsi avanti, per arrivare al boccaporto.

Tutti spintonavano tutti.

Tutti urlavano.

Non c'era tempo per i nomi.

Non la voglia di conoscersi.

Bisognava farsi avanti, tra un intrico di gambe, braccia, gomiti appuntiti, piedi

puzzolenti.

Farsi largo a cercare l'aria.

Quando comprese, dopo ore di agonia, che non sarebbe arrivato all'aria.

Quando tutti compresero, dopo ore di agonia, che non sarebbero arrivati all'aria.

Quando tutti compresero, dopo ore di agonia, che il portellone del boccaporto era

stato serrato.

Quando tutti compresero che la morte aveva già disteso le sue lunghe dita ossute sui

loro corpi ossuti.

Urlarono.

Urlarono.

Urlarono.

Lui urlò.

Gli sembrò di urlare più forte degli altri, ma era solo un'illusione.

La pietà umana era un'illusione.

La speranza era un'illusione, in quella stiva fetida dove non c'era mai stato posto per

la speranza.

C'era posto per la morte, invece, per le lunghe dita ossute della morte che si

distendevano, aperte, sull'intrico di braccia, gambe, piedi, teste di esseri urlanti che

una volta erano stati uomini.

Quando non ebbero più la forza di urlare.

Qaundo non ebbe più la forza di urlare.

Si abbandonò, inerme, sul torace di un altro come lui, sussultante per le convulsioni.

I piedi puzzolenti di un altro come lui a premergli la nuca sul torace in preda ai sussulti

delle convulsioni.

Il vomito di un altro come lui a insudiciargli la maglia buona che aveva indossato alla

partenza.

Quando non ebbe più la forza di urlare.

Quando non ebbe più la forza di urlare, si abbandonò sul torace di un altro come lui,

scosso dalle convulsioni.

Poi anche le convulsioni ebbero fine.

E lui comprese che l'altro come lui era stato toccato dalle lunghe dita ossute della

morte.

L'altro come lui era morto. E lui non poteva nemmeno scorgerne il volto.

Ne sentiva il torace, ormai rilasciato.

E il puzzo di morte.

E comprese che puzzavano alla stessa maniera, lui e l'altro come lui che era già

morto.

E comprese che tutti, in quella stiva fetida, puzzavano di morte.

E che tutti loro non avrebbero visto l'alba.

Si adagiò, ormai quasi inerme, sul torace inerme di un altro come lui, pressato dalla

stretta mortale di decine di altri corpi come il suo, ormai quasi inermi come il suo,

ormai rassegnati, come il suo, a ricevere dalle lunghe dita ossute della morte il tocco

leggero che segna il passaggio.

Se lo chiese.

Come sarebbe stato, il passaggio.

Aveva solo diciassette anni.

E nessuno gli aveva chiesto il nome.

E lui a nessuno, di quanti, come lui, erano adagiati tra le dita ossute della morte,

aveva chiesto il nome.

E' venuta, la morte.

E non mi chiamerà per nome.

Si limiterà a toccarmi.

Non era pronto, ma rassegnato: la morte già gli era accanto, per portarlo con sé.

Non era pronto. Solo rassegnato.

La morte gli era accanto.

Non la speranza.

Non un solo istante la speranza gli si era seduta accanto, almeno la speranza, a fargli

compagnia.

 

 

 

 

 

 
 
 

NOTA DELL'AUTRICE DEL BLOG

Tutti i testi qui pubblicati

sono esclusivo frutto della mia creatività. Cinzia M.

Tutti i diritti sono riservati.

Ho scorto su You Tube un canale intitolato Rubra Domus.

Non ha a che fare con me, che sono unicamente l'autrice

di questo blog e dei testi che vi sono quotidianamente

inseriti.

Cinzia M.

 

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