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No name...
Post n°2190 pubblicato il 03 Luglio 2014 da gratiasalavida
Quando lo spinsero malamente sul fondo della stiva. Quando spinsero malamente, sul fondo della stiva, tanti altri come lui. Di nessuno conosceva il nome. Nessuno chiamava lui, per nome, ignorandolo. Nessuno chiamava nessuno per nome. Tutti gridavano e cercvano di farsi avanti, per arrivare al boccaporto. Tutti spintonavano tutti. Tutti urlavano. Non c'era tempo per i nomi. Non la voglia di conoscersi. Bisognava farsi avanti, tra un intrico di gambe, braccia, gomiti appuntiti, piedi puzzolenti. Farsi largo a cercare l'aria. Quando comprese, dopo ore di agonia, che non sarebbe arrivato all'aria. Quando tutti compresero, dopo ore di agonia, che non sarebbero arrivati all'aria. Quando tutti compresero, dopo ore di agonia, che il portellone del boccaporto era stato serrato. Quando tutti compresero che la morte aveva già disteso le sue lunghe dita ossute sui loro corpi ossuti. Urlarono. Urlarono. Urlarono. Lui urlò. Gli sembrò di urlare più forte degli altri, ma era solo un'illusione. La pietà umana era un'illusione. La speranza era un'illusione, in quella stiva fetida dove non c'era mai stato posto per la speranza. C'era posto per la morte, invece, per le lunghe dita ossute della morte che si distendevano, aperte, sull'intrico di braccia, gambe, piedi, teste di esseri urlanti che una volta erano stati uomini. Quando non ebbero più la forza di urlare. Qaundo non ebbe più la forza di urlare. Si abbandonò, inerme, sul torace di un altro come lui, sussultante per le convulsioni. I piedi puzzolenti di un altro come lui a premergli la nuca sul torace in preda ai sussulti delle convulsioni. Il vomito di un altro come lui a insudiciargli la maglia buona che aveva indossato alla partenza. Quando non ebbe più la forza di urlare. Quando non ebbe più la forza di urlare, si abbandonò sul torace di un altro come lui, scosso dalle convulsioni. Poi anche le convulsioni ebbero fine. E lui comprese che l'altro come lui era stato toccato dalle lunghe dita ossute della morte. L'altro come lui era morto. E lui non poteva nemmeno scorgerne il volto. Ne sentiva il torace, ormai rilasciato. E il puzzo di morte. E comprese che puzzavano alla stessa maniera, lui e l'altro come lui che era già morto. E comprese che tutti, in quella stiva fetida, puzzavano di morte. E che tutti loro non avrebbero visto l'alba. Si adagiò, ormai quasi inerme, sul torace inerme di un altro come lui, pressato dalla stretta mortale di decine di altri corpi come il suo, ormai quasi inermi come il suo, ormai rassegnati, come il suo, a ricevere dalle lunghe dita ossute della morte il tocco leggero che segna il passaggio. Se lo chiese. Come sarebbe stato, il passaggio. Aveva solo diciassette anni. E nessuno gli aveva chiesto il nome. E lui a nessuno, di quanti, come lui, erano adagiati tra le dita ossute della morte, aveva chiesto il nome. E' venuta, la morte. E non mi chiamerà per nome. Si limiterà a toccarmi. Non era pronto, ma rassegnato: la morte già gli era accanto, per portarlo con sé. Non era pronto. Solo rassegnato. La morte gli era accanto. Non la speranza. Non un solo istante la speranza gli si era seduta accanto, almeno la speranza, a fargli compagnia.
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NOTA DELL'AUTRICE DEL BLOG
Tutti i testi qui pubblicati
sono esclusivo frutto della mia creatività. Cinzia M.
Tutti i diritti sono riservati.
Ho scorto su You Tube un canale intitolato Rubra Domus.
Non ha a che fare con me, che sono unicamente l'autrice
di questo blog e dei testi che vi sono quotidianamente
inseriti.
Cinzia M.
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