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Post n°1953 pubblicato il 28 Luglio 2015 da anonimo.sabino
Solo alla fine di dicembre ricevetti la prima lettera di Vittorio, che ci aveva lasciato nell’estate; e mi fece un enorme piacere, quantunque fosse, al solito, assai poco allegra. Caro Fabio… In classe a Corato siamo 32 ed è scuola mista. Allora, mi dirai, c’è da divertirsi. Beh, non so cosa dirti. Per me non ho ancora la forza di aggiungere vuoto a vuoto: sono di quelli che vivono buttando pietre ai castelli di carta degli altri e che non intendono fabbricarne uno per dare il gusto agli altri di buttarlo giù… Scrivimi a lungo… e perdonami se in questa non trovi nulla di interessante e tutto inconcludente: ognuno è quello che è. Buon anno. Tuo Vittorio. Ognuno era quello che era… E lui era il “pessimista” più autentico. Quanto a noi, ci sapeva così emarginati che dedicò un notabene di una pagina al nostro aggiornamento sulla situazione calcistica nazionale. Io mi ero rituffato nei miei studi personali. Da poeta diventavo topo di biblioteca e precoce pozzo di cultura; lo stornellatore felice di vivere e di vincere la sua battaglia contro la miseria, suo unico problema, si ritrovava filosofo, costretto com’era a districarsi dalla menzogna; costrettovi da chi condannava come vanità e offesa a Dio tutto ciò che l’istinto sentiva come bello e buono: la donna, la libertà, la vita. Le mie ossessioni razionalistiche sorprendevano perfino me. Ma poeta o no, la poesia della fede senza ragioni non mi seduceva più: una fede abbracciata volontaristicamente e conservata con l’esercizio come virtù, per sua stessa natura, non poteva produrre che gli orrori del fanatismo. Figuriamoci se non sentivo con Chesterton la poesia del Natale o non apprezzavo con Claudel l’atmosfera mistica delle basiliche cristiane: ancora oggi, per respirarla, entro in tutte quelle che mi capita di visitare. Ma io non ero il Chesterton che, svincolato dalla legge del bisogno, non aspirava che ad emozioni e a raffinate sensazioni estetiche; non ero il Paul Claudel che da ricco borghese sazio di benessere poteva sentenziare a pancia piena sulla necessità del sacrificio. Io stavo provando sulla mia pelle che una fede religiosa non è innocua fantasia: è il sacrificio della intelligenza a un complesso di dogmi, di certezze categoriche abbracciate in luogo della verità; è un sovrapporre alla verità la certezza fasulla attraverso un credere a chissà chi; e poteva comportare, come nel mio caso, il sacrificio non della sola intelligenza, ma della vita stessa. |
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