Messaggi del 08/04/2015
La massima ha anche un risvolto positivo: essa è stata storicamente l’antidoto comunitario alla sottocultura guappesca invalsa altrove; grazie all’obbligo di sentirsi pari, in Sabina non è mai nata la camorra e può risultare comodo, perfino bello, quel sentirsi, nell’abbraccio della massima, uno dei tanti. C’è perfino chi la massima la confonde con il comunismo, chi interpreta cioè l’aspirazione alle pari opportunità come condanna alla mediocrità, come i sindacalisti del Pubblico Impiego che avrei visto trattare da nemici i laureati, solo per la colpa di avere una laurea. Sul trono della massima “la gente”. Suo piedistallo, credo, i complessi d’inferiorità. Né la massima è un vizio dei soli Sabini, se si diceva perfino in Palestina che “nessuno è profeta al suo paese”. E di massima avrei trovato intriso il mio grande borgo nazionale, il quale, sconfitto dal secondo conflitto mondiale subito dopo il suo risorgimento, sconfitto soprattutto psicologicamente, mi sarebbe apparso sempre più frustrato, predisposto quindi più alle fregature che agli stimoli, incapace di una autoctona evoluzione culturale e sempre più succubo della cultura e della rozza vitalità del grande vincitore d’oltreoceano. Di massima, infine, sembrerebbe permeato anche il borgo dei lettori, al quale, a sentire gli esperti, non devi mai mostrarti capace di suggerire o (peggio) di insegnare qualcosa; ma un debole, un insicuro, un malato; magari un pentito. Io, invece, essendomi proposto di narrare la storia di una liberazione dagli involucri della menzogna, sono costretto a mostrarmi come il bravo ragazzo che sono sempre stato, per fortuna non privo di difetti. Meno dei difetti i Sabini riconoscono le proprie qualità positive, pur avendo dato a Roma cinque re su sette e la famiglia imperiale meglio tollerata (si disse addirittura amata), i Flavi. Tra queste qualità la cordialità, la sincerità, l’ironia (e l’autoironia), lo spirito critico, la musicalità. I canti delle livarole di Monteflavio e il loro folclore erano apprezzati anche dove i monteflaviesi, soprattutto donne, scendevano all’orta (i neutri plurali in a,come gli u al singolare, alla latina,sono una caratteristica del dialetto sabino) o per la vendemmia o per la raccolta delle olive di campagna. Sott’alla mia sottana / ci sta un bel boschetto / All’erta giovanetto / te lo farò vede’… |
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