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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 18/05/2015

LA VOcAZIONE - 11

Post n°1903 pubblicato il 18 Maggio 2015 da anonimo.sabino
 

     Di solito, la meta dei piccoli era uno dei due ruscelli che, dopo aver dissetato alcuni casali, scendevano al fiume Pescia lungo i lati del colle, più esili d’estate ma a quel tempo purissimi e freschi. Al Fontanone, sorgente intermedia di quello di sinistra, c’erano spesso donne a lavare i panni:

     “O bimbi, ‘un entrate in acqua, ché c’è l’aspide”, ci dicevano, per non farcela sporcare. A volte di là proseguivamo,tra la macchia e le vigne, fino a Collecchio; o anche a Colleviti, per una partita contro i fratini francescani.

     Una volta arrivammo a Collodi, il paese di Pinocchio, che pure faceva parte del comune di Pescia, con la splendida villa che avrebbe potuto essere la residenza della Fata Turchina. Era stato indetto in quegli anni il concorso per il monumento al celebre burattino di Carlo Lorenzini, per me stravolgente e gretta speculazione turistica. Lo scrittore era chiamato come me con il nome del suo paese; e magari anche lui andava cercando per questi luoghi, da bambino, qualcosa da mettere sotto i denti, gènzole (come da noi) o giuggiole che si chiamassero, ciliege marine o corbezzoli;  non certo i brandelli di cuoio o di gomma che pure cercavamo noi per i nostri zoccoli…

     La meta dei grandi era di preferenza la Pineta. Chiamavamo così una radura tra pini e castagni, non lontana dal Monte, che avevamo trasformata in campo sportivo a furia dicalpestarla. Là si potevano raccattare pigne e castagne (dopo il 1° novembre la consuetudine dava facoltà a tutti di raccoglierne), mentre bacche di lauro e corbezzoli si trovavano un po’ ovunque. E di là, quando si aveva a disposizione l’intera giornata, si poteva proseguire per le Cupole, portandoci il pranzo al sacco: una festa per tutti, boccate di ossigeno per il recluso sabino che l’atmosfera della Svizzera Pesciatina e profumi e voci della macchia mediterranea riportavano nell’abbraccio forte e tenero delle sue montagne.   

     Poteva succedere che, approfittando della distrazione del prefetto, qualcuno assaltasse una pianta di ciliege. E una volta vedemmo sopraggiungere, dietro il prefetto, un burbero con tanto di Unità in bella evidenza. Ci prendemmo una bella paura. Invece, mentre il prefetto ci redarguiva, il burbero, ignorandolo, si diresse direttamente verso di noi:

     “Mangiate, mangiate, bimbi! Ché que’ pretacci lì ‘un ve ne daran punto. Ma badate a ‘un rompere miha i rami”.

 
 
 


 

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