Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 17/11/2015

TRASTEVERE - 2

Post n°2030 pubblicato il 17 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

A Monteflavio mi ritrovò il vecchio compagno “pessimista”, Enrico Fabrizi, che con la moglie Maria Gribaudo, conosciuta all’università e ora laureanda, era venuto a cercarmi. Ce l’aveva fatta. Ma era ancora segnato dall’esperienza religiosa: quasi timoroso e diffidente, lui che avevo conosciuto scapigliato, non diceva mai ciò che pensava, pur parlando continuamente (forse la rivalsa sulla regola del silenzio), ma cercava sempre di compiacere l’interlocutore; tanto da accettare il titolo di presidente della locale Associazione dei Laureati Cattolici, lui che permase sempre nella sua cronica crisi di fede. Fui felice di averlo ritrovato, dopo aver perso i contatti con Vittorio; e legammo subito, sia io che Antonietta, con la schietta Maria, che era l’unica persona alla quale, oltre a me, Enrico non riusciva a mentire (non che non ci provasse). Accettammo l’invito a passare qualche giorno al mare nella loro casa di Nettuno, dove Enrico mi sapeva in grado di aiutare Maria (peraltro non ne aveva bisogno) nella stesura della tesi di laurea su Nevio.

 

E a Monteflavio come a Roma veniva spesso a trovarci Sabatini, anch’egli con una Maria per moglie.

 

Un giorno vi ricevemmo, graditissima, anche una visita della famiglia D’Asaro.  Fu il mio capo sezione a farmi sapere che c’era, nel ruolo esecutivo, un contingente riservato per legge agli orfani di guerra; Franco poteva farvi richiesta di assunzione ed io l’avrei segnalata poi al dottor Giulio Lo Savio. Non un favore ma un diritto.

 

Mi avevano descritto il nostro vice direttore generale come un gelido fascista. Era rigoroso; e fascista era stato; ma avrei conosciuto poche persone rette e umane come lui. Mi rimproverò per non aver seguito la via gerarchica (“anche per richieste di carattere personale, sì”); poi, quando mi ero rassegnato a non sperare nulla da un tipo del genere, mi fece sapere (per via gerarchica) che per Franco ci sarebbe stato un posto libero di applicato nel Provveditorato agli Studi de L’Aquila, se l’avesse accettato. E il dottor Fazio mi rivelò allora che era stato il dottor Lo Savio a volere la mia assegnazione al Ministero.

 

Franco accettò ben volentieri il posto fisso di lavoro impiegatizio, fosse stato anche all’inferno. E quell’anno stesso Antonietta ed io calammo giù dal mondo dei sogni il progetto di una nostra casa. Lasciando a Vanda e a Franco la casa materna (da rifare e sopraelevare) in cambio dell’orto dello Stradone, feci buttare giù dal filone Lorenzo il disegno e ottenni la licenza. I lavori, in economia, furono subito iniziati, poi lasciati e ripresi a singhiozzo, man mano che Antonietta riusciva a raschiare qualche risparmio dal bilancio familiare (lo lasciavo quasi interamente alla sua gestione), senza rinunciare ad essere sabinamente ospitale e generosa.

 

 
 
 


 

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