Luoghi Perduti
l'introvabile dove...tra sensazione e coscienza
Post n°33 pubblicato il 25 Luglio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Il Portogallo ai tempi della dittatura. Due ragazze Una finisce in carcere. Il mistero sulla sua sorte e una ricerca disperata Lo Hot-Dog era un locale minuscolo, con un bancone e pochi tavoli. Non era molto affollato, per fortuna. Quella sera non avevo voglia di folla. Ma forse in quella nebbiosa sera di domenica i lisbonesi non erano in vena di sentire il jazz. Sulla porta c’era un manifesto con scritto: Il sassofono di Tecs. E poi, sotto: Omaggio a Sonny Rollins. Mi sistemai a un tavolo d’angolo. Il cameriere arrivòsollecito e mi chiese se volevo mangiare subito o dopo la musica. Dipende da quanto dura la musica, risposi. Sono solo due pezzi, disse lui, stasera la sassofonista fa solo due pezzi, èstanca, ieri era sabato e ha suonato fino alle tre del mattino. Convenni che era meglio mangiare dopo l’audizione e il cameriere mi chiese se volevo un aperitivo. Gradirei un assenzio, dissi. Lui non si scompose minimamente e replicò con ghiaccio o senza ghiaccio? Perché chiesi io, l’assenzio si serve anche col ghiaccio? Noi qui sì disse lui, nel nostro locale si serve col ghiaccio. Senza ghiaccio, dissi tanto per contrariarlo, voglio un assenzio serio, come lo bevevano un tempo. Fonte: ANTONIO TABUCCHI - la Repubblica Lunedì 23 Luglio 2012 |
Post n°32 pubblicato il 18 Giugno 2012 da Ufficioluoghiperduti
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Post n°31 pubblicato il 17 Giugno 2012 da Ufficioluoghiperduti
Il filosofo Giulio Giorello presenta stamattina alla Biblioteca Ragionieri la nuova traduzione italiana di 'Ulisse' Firenze, 16 giugno 2012 - Primo Bloomsday 'libero' in tutto il mondo, oggi, dopo la scadenza dei diritti d'autore sulle opere dello scrittore irlandese James Augustine Aloysius Joyce, per tutti James Joyce, (1882-1941), entrati nel pubblico dominio lo scorso 1 gennaio. Finora chi voleva organizzare celebrazioni con letture pubbliche dell''Ulisse', pubblicato per la prima volta nel 1922, doveva fare i conti con le severe restrizioni del nipote dello scrittore, Stephen Joyce , 80 anni, che vive a Parigi, erede dell'autore di 'Gente di Dublino'. Con l'edizione 2012 del 'Bloomsday' e' possibile utilizzare liberamente il testo dell'Ulisse'' senza dover chiedere l'autorizzazione agli eredi di Joyce. Come di consueto fulcro delle celebrazioni e' Dublino, dove il Il romanzo 'Ulisse' si svolge nell'arco di una sola giornata (il 16 giugno 1904) a Dublino, protagonista Leopold Bloom. Per celebrare la festa laica in onore di Joyce e del suo capolavoro nella capitale irlandese In Italia, dunque e' Sesto Fiorentino il comune che festeggia ufficialmente il 'Bloomsday'. Il filosofo Giulio Giorello presenta stamattina alla Biblioteca Ragionieri la nuova traduzione italiana di 'Ulisse' (Newton Compton). Insieme a Giorello Enrico Terrinoni, traduttore e curatore della nuova edizione che arriva oltre cinquant'anni dopo la prima, e finora unica, traduzione del fiorentino Giulio De Angelis, data alle stampe da Mondadori nel 1960. Il 'Bloomsday' di Sesto Fiorentino sara' arricchito da letture della nuova traduzione di Terrinoni a cura dell'attore Emanuele Levantino e da un aperitivo irlandese. Data alle stampe nel gennaio scorso, alla Giorello, filosofo e matematico, insegna filosofia della scienza all'Universita' di Milano ed e' considerato uno dei piu' importanti epistemologi europei. Enrico Terrinoni, docente di letteratura inglese Intanto è aperta la battaglia legale sui manoscritti inediti di Joyce: La Biblioteca Nazionale d'Irlanda aveva annunciato la pubblicazione online nel corso di giugno di un'ampia collezione di autografi dello scrittore irlandese, fra cui appunti e prime bozze di 'Ulisse' e 'Finnegans Wake', ma uno studioso di Joyce , il saggista ed editore dublinese Danis Rose, ha protestato contro questa iniziativa, citando la Biblioteca Nazionale davanti all'Alta Corte di Dublino, definendosi danneggiato in quanto nuovo detentore legittimo del copyright degli inediti. Gli stessi manoscritti, infatti, sono stati recentemente pubblicati da Rose presso l'editore americano 'House of Breathings' in un'edizione critica, con ciascun volume venduto a un prezzo che oscilla da 75 a 250 Lo studioso ha definito l'iniziativa della Biblioteca Nazionale d'Irlanda "precipitosa" ed anche "poco saggia". Da parte sua la Biblioteca, tramite la direttrice Fiona Ross, ha precisato che il progetto di messa on |
Post n°30 pubblicato il 04 Giugno 2012 da Ufficioluoghiperduti
“Dove mi porta, dove mai vuole che arrivi, questo cammino di deliquio. A un ravvedimento, a una conversione? Sciocco non ci fu rancore, ci fu sola e sovrana l’opera del tempoe della vita che ora si risente in tutta la sua tortuosa serpentina di amore e di dolore, traverso le stagioni e i volti e le persone… C’è questo, sì, e c’è perché tu sei il mondo nel vivo della vita”.
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Dolce mio tesoro, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c'eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando: se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire, che con la rabbia del corpo mi mangio le strade e ti raggiungo e dopo voglio proprio vedere. La mia parte egoista vorrebbe anche sapere se si infelice come me, perché vedessi come sono stanco di camminare da solo dentro la tristezza, a volte capita che piango senza sentirmi il singhiozzo. vorrei anche sapere se, quando è l'ora che il tramonto si siede sopra il sole, spingendolo giù, giù fin sotto il mare, sei sempre là, davanti alla finestra, ad osservare quel trapasso e a pensarmi. Una volta lo facevi, ed oggi? ti scongiuro tanto, mandami a dire. Cara, com'è assurdo questo nostro amore, che viveva meglio quando stavamo peggio, ma dentro quel peggio poi è venuto qualcuno e ci ha detto "Eccovi la libertà! prendere e andare". Che brutto affare è stato, se è vero che oggi siamo prigionieri della distanza. Sapessi che rimpianto quando mi giro e guardo la nostra cronaca di ieri, ora pagherei tutta la fatica che ho per prendermi le spalle e mettermele davanti, trasformando il nostro passato in futuro; succede anche a te? Se sì, mandami a dire, sarà meno dura sperare. |
Post n°28 pubblicato il 01 Giugno 2012 da Ufficioluoghiperduti
«“Nel fondo potremmo essere come in superficie, – pensò [Lucas], – però dovremmo vivere in un altro modo. E che significa vivere in un altro modo? Forse vivere assurdamente per stroncare l'assurdo, lanciarsi in sé con una tale violenza che il salto finisca fra le braccia di un altro. Sì, forse l'amore, però la otherness dura quanto dura una donna, ed inoltre solo per quanto riguarda quella donna. In fondo non esiste otherness, appena la piacevole togetherness. Certamente è già qualcosa...”. Amore, cerimonia ontologizzante, dispensatrice di essere. E per questo gli veniva in mente in quel momento ciò che avrebbe dovuto venirgli in mente fin dal principio: senza possedersi non esisteva possesso dell'alterità, e chi si possedeva davvero? Chi era di ritorno da se stesso, dalla solitudine assoluta che significa non fare assegnamento neppure sulla compagnia di se stesso, essere obbligato ad entrare in un cinematografo, in un postribolo o nella casa degli amici, in una professione assorbente o nel matrimonio per trovarsi almeno solo-fra-gli-altri? Così, paradossalmente, il colmo di solitudine portava al colmo di gregarismo, alla grande illusione della compagnia altrui, all'uomo solo nella sala degli specchi e delle eco. Ma persone come lui e tante altre, che accettavano se stessi (o che si rifiutavano, però a ragion veduta) entravano nel paradosso peggiore, quello di trovarsi forse alle soglie dell'alterità e di non poterle varcare. La vera alterità fatta di delicati contatti, di meravigliose compensazioni con il mondo, non poteva realizzarsi con un solo termine, alla mano tesa doveva corrispondere un'altra mano da fuori, dall'altro» Julio Cortázar, Il gioco del mondo, Einaudi, Torino 1969 |
Post n°27 pubblicato il 18 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Dal 22 al 26 maggio in Azerbaijan si terrà l'Eurovision Song Contest,il vecchio Eurofestival; la manifestazione canora voluta e pagata dal Presidente Aliyev (l'Italia per anni non ha mai partecipato)che ha dato in mano alla moglie Mehriban l'intera organizzazione dell'evento,investendo pare più di 50 milioni di euro,spicca sul golfo la sontuosa Baku Crystal Hall,23 mila posti vista Mar Caspio Così si accende la luce sul Paese del presidente Ilham Aliev,poco aperto, moderno e vivibile, in pochi giorni non si potranno cancellare anni di soprusi e minacce ai giornalisti che ci vivono e ci lavorano. Difficile che questo importante evento che andrà in Eurovisione e sarà visto da milioni di persone cancelli in un attivo le violazioni alla libertà di stampa. Nel paese dell'ex Urss, secondo Human Rights Watch, sono 50 i giornalisti che nel 2011 sono stati vessati o aggrediti, mentre Reporter senza frontiere mette l'Azerbaijan al 162° posto (su 179) della lista della libertà di stampa dell'anno 2011/2012.
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Post n°26 pubblicato il 18 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
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Post n°24 pubblicato il 07 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Cioran pillole. Posologia. Hanno ragione Ceronetti e Rigoni: Cioran è un amico e la sua lettura risulta, in ultima analisi, corroborante. Ma come tutti gli anti-depressivi va maneggiato con cura, necessita di un libretto d'istruzioni. Pertanto non fate come me, leggetelo con moderazione, distacco e soprattutto diluitelo in qualche romanzo rosa o d'appendice. Se i rivenditori avessero un po' di coscienza lo dovrebbero vendere con un Harmony in offerta. Forte della fresca lettura dell'opera omnia (seppur negli angusti limiti del mio intelletto) vorrei far partire queste "precauzioni d'uso" dalla confutazioni di due luoghi comuni su quest'autore: il suo debito con Nietzsche e con il nichilismo in genere è inferiore a quanto si dica; non è vero che il miglior Cioran è quello degli aforismi (i suoi saggi brevi sono altrettanto portentosi se non superiori). Parlare di Cioran come di un nietzschiano, non vuol dire semplicemente avere travisato il suo non-messaggio, ma averlo ribaltato, capovolto. Situato agli antipodi della "volontà di potenza", la sua distruttività filosofica (meglio viscerale) ha poco da spartire con il fervore visionario e fanciullesco (non a caso parlerà, con un sorriso, di "ingenuità" di Nietzsche) del filosofo tedesco. Scettico molto più che nichilista, scosso da raptus metafisici costantemente frustrati dalla schiavitù del corpo, Cioran ha un unico grande nemico: se stesso. E se le sue imprecazioni si declineranno in grida "esulcerate" contro la Storia, la Filosofia, il Pensiero, il Linguaggio, la Letteratura, gli Uomini e soprattutto Dio sarà sempre sotto questo minimo comun denominatore. Patrono della contraddizione, profeta delle terre di mezzo, Cioran si muove, come un infermo epilettico, tra poesia e prosa, tra convento e storia, tra civiltà e barbarie, tra filosofia e puttane (o meglio nella filosofia delle puttane). Odia la psichiatria e scrive per terapia. Detesta la parola, gabbia insopportabile inadatta alla comunicazione; infatti non scrive, compone. La poesia, regno del vago, ha così corrotto il suo stile che leggerete musica: il Cioran del "Sommario", della "Tentazione", della "Caduta" e del "Funesto" sembra trasformare in lettere le note del "suo" Bach. Ma apprezzarne cadenza e metrica può indurre nella tentazione di lasciar sfilare sullo sfondo i contenuti, è per questo che suggerisco un paio di letture dei suoi testi. Cioran va seguito come una dolce marea che ci porti non a riva ma in alto mare. Disintegrato ogni appiglio, ogni scoglio, quest'uomo ci abbandona in una terra di nessuno, patria del non sense. Fluttuanti come la sua malinconia, le sue opere vanno vissute come ferite (ce lo ricorda lui stesso nell' Apolide metafisico), lacerazioni con le quali confrontarsi, odiandolo e odiandosi per poi, sintesi inspiegabile, uscirne rinfrancati, purificati. Il pensatore rumeno parte spesso dal razionale per poi dimettersene, approdando all'ignoto per necessità, logica, "lucidità" (termine che ama forse più d'ogni altro). Considera persino l'essere, il più ostinato degli atti, una convinzione da debellare, un pregiudizio da fanatici. Tanto accanimento contro l'Uomo sembrerebbe nascondere un talento mistico, un "fanatico della rinuncia" e qui entra in gioco Cioran il fallito, tra tutti forse il più affascinante dei suoi aspetti. Di fronte alla sua incapacità, reo-confessa, di raggiungere "l'estasi" se non tre o quattro volte in vita sua per brevi momenti, troviamo la chiave meravigliosa di tutti i suoi scritti: insufficienza (forse, come sostiene lui, "endemica" per un occidentale) di trascendere lo "Spirito" ed abdicare la carne. Inchiodato da intelletto e fisiologia alla croce del Tempo, la sospensione dell'attimo resta una chimera, un bastione inespugnabile. Così, mimetizzata nel suo sarcasmo, la passione per i barboni e per Diogene il "cane" (prediletto tra tutti i filosofi), passa per una provocazione molto più di quanto non lo sia. In questo senso è più esplicita, didascalica direi, la sua venerazione per la biografia di Teresa D'Avila (letta cinque volte), invidiata eroina a cui credere, in fondo, per disperazione, unico carburante di cui disporre a dismisura. Gli appunti personali pubblicati postumi per volontà della compagnia Simone Boué, i Quaderni, ci raccontano, più che altrove, un Cioran attaccato a fama e "io" e soprattutto un Cioran irritato, direi anzi infuriato con se stesso per questo. Pagine che, in realtà, avevamo già letto generalizzate nel meraviglioso saggio breve "Odissea del rancore" all'interno di Storia e Utopia o mirabilmente condensate nella sua j'accuse al Romanzo nel capitolo "Oltre il romanzo" della Tentazione di esistere. "Non mi perdonerò mai di essere più vicino al primo venuto dei romanzieri di quanto non lo sia al più superficiale dei saggi di un tempo". Ad essere franchi, risulta estremamente difficile svelare o scoprire questo o quell'aspetto di quest'autore perché svelarsi e scoprirsi è appunto ciò che lui persegue, con reiterato successo, in ogni pagina. Diretto, essenziale, sincero fino all'esasperazione, ripetitivo come un mantra, elegiaco, terribilmente ironico, Cioran ci mostra il suo (e il nostro) scheletro e fa mostra dei suoi orrori, con un'eleganza di stile che, inspiegabile equazione, ha poco o niente della maniera. Per quanto, qui sì con Nietzsche, ci inviti a dubitare di chi scrive troppo bene, spiegandoci come forma e sostanza non vadano mai a braccetto, il tormentato rumeno risulta, in tutta o quasi la sua opera, la confutazione di questo assunto. Oppure, a ben pensarci, la conferma: Cioran è prima di tutto un aspirante del Vuoto, messia ripiegato della vertigine mancata del Nulla. Brevi note biografiche
Emil Michel Cioran (1911-1995) nasce in Romania e studia Filosofia all'università di Bucarest. Studia Schopenhauer, Kant e Nietzsche. Influenzato dagli studi tedeschi, nel 1933 si trasferisce a Berlino. Pubblica i primi libri in lingua rumena ma dal 1937 si trasferisce a Parigi e dal 1945 scriverà solo in francese, lingua definita cavalleresca dallo stesso. Dotato di un'ironia fuori dal comune - e soprattutto apparentemente ignota ai vari filosofi e pensatori del periodo - e di una penna affilata e dissacratoria, è stato uno dei maggiori pensatori pessimisti giambo arlechino, feb 09 Cioran Emil Michel - Confessioni e anatemi - nic
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Quando Afrodita Chionchin mi ha proposto questa intervista riguardante la letteratura romena in Italia destinata al suo sito «Orizzonti culturali italo-romeni» ho avuto molte esitazioni. Conosco l'argomento molto meno rispetto a quanto vorrei. Il mio settore di studi ha riguardato e riguarda la letteratura italiana, e, per quello che concerne le letterature straniere, soprattutto il mondo anglofono e quello francofono. Ma, vista la cortesia della mia interlocutrice e la sua grande competenza, sia come studiosa che come traduttrice, ho accettato questo invito all'esplorazione, questo incitamento a ridurre, almeno in parte, quella che con un eufemismo potrei definire socratica «coscienza del non sapere».
«Il decreto», di Ivano Mugnaini
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Post n°22 pubblicato il 07 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
La scrittura di Herta Müller Premio Nobel per la Letteratura 2009 Così inizia L'altalena del respiro, libro intenso e non facile ma un'opera importante, una testimonianza necessaria. Far le valigie Tutto quel che ho lo porto con me. Giacomo Feltrinelli editore 2010
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Post n°20 pubblicato il 06 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Nel gennaio del 1969 Georges Perec intraprende un vasto progetto di scrittura che sembra prefigurare l'impresa del miliardario Percival Bathelbooth, il personaggio principale della Vita istruzioni per l'uso. Il progetto di Bartlebooth prevede la composizione di 500 acquerelli dipinti in altrettante località marittime sparse per il globo terrestre, la loro trasformazione in puzzle, la risoluzione dei 500 puzzle così prodotti e la successiva dissoluzione degli stessi nei luoghi in cui sono stati eseguiti gli acquerelli. Un giro del mondo che si dovrebbe stendere nell'arco di 50 anni e che viene interrotto dalla morte del miliardario, sopraggiunta durante la risoluzione del puzzle numero 439. Lieux (Luoghi, questo il titolo del progetto di Perec), meno ambizioso quanto all'estensione temporale, deve durare dodici anni. Al contrario di quella di Barthelbooth inoltre, l'impresa di Perec non prevede grandi spostamenti: dodici luoghi di Parigi (strade, piazze, un passage, incroci), legati al vissuto dello scrittore, sono l'oggetto di una duplice scrittura. Ciascuno dei luoghi scelti dev'essere descritto una volta all'anno sul posto, nel modo più neutro possibile, e in un altro momento dello stesso anno dovranno essere rievocati i ricordi ad esso legati. La rievocazione dei ricordi deve avvenire lontano dal luogo in questione. Un algoritmo matematico (biquadrato latino di ordine 12, creato appositamente per Perec dal matematico indiano Chakravarti) dispone la distribuzione dei 12 luoghi in modo da evitare ripetizioni e sovrapposizioni. Una volta conclusi, i testi sono imbustati e sigillati. All'occorrenza possono entrare nelle buste anche fotografie scattate sul luogo o testimonianze della presenza dello scrittore (biglietti della metropolitana, scontrini di cassa, biglietti del cinema, volantini). Alla fine dei dodici anni di lavoro previsti Perec avrà messo da parte 288 buste sigillate. Alcune delle 133 buste accumulate in circa sei anni di scrittura non restano a lungo sigillate e sono pubblicate in sedi diverse tra il 1977 e il 1980, tutte sotto il titolo generico di «Tentative de description de quelques lieux parisiens» (Tentativo di descrizione di qualche luogo parigino). Nel ‘76 Perec pubblica un nuovo testo, filiazione diretta di Lieux, intitolato «Tentative d'epuisement d'un lieu parisien» (Tentativo di esaurire un luogo parigino), consistente nella descrizione del carrefour Mabillion (uno dei 12 luoghi scelti per Lieux) operata in loco e nel corso di tre giornate successive. Anche Inventario esce dal grande cantiere concettuale di Lieux, la sua genesi è però complicata dal fatto che il testo nasce come complemento di un lavoro per la radio. Il 19 marzo del 1978, dentro un furgone-studio di France Culture, Perec si piazza al solito carrefour Mabillion e comincia a registrare ad alta voce tutto quello che vede. Per circa sei ore le parole dello scrittore si sforzano di restituire fotograficamente ogni particolare del paesaggio urbano, di inseguire la vita, il ritmo, i micro-avvenimenti del luogo. È l'impresa paradossale di un linguaggio che cerca di essere contemporaneo alla realtà («Un'insegna al neon Pizza Verdi lampeggia: Pizza accesa spenta accesa spenta accesa spenta accesa spenta accesa»). Questa registrazione verrà poi trasformata in una trasmissione radiofonica della durata di due ore, trasmessa il 25 febbraio del 1979 all'interno dell'Atelier de Creation Radiophonique di France Culture. Il lavoro di riduzione, oltre che sulla soppressione delle parti meno interessanti, si baserà sulla redazione e sulla recitazione dell'Inventario. In pratica Perec ha riascoltato le sei ore di registrazione e repertoriato ogni singolo elemento della lunga descrizione orale, stabilendo un vero e proprio catalogo di tutto ciò che è visibile nel Carrefour Mabillion nel corso di un pomeriggio qualunque . Non stupisce tanto zelo da archivista, se si pensa che l'autore de La vita istruzione per l'uso ha raccolto alcuni dei suoi più interessanti testi teorici in un libro che s'intitola Pensare/Classificare La costellazione di scritti prodotti a partire da Lieux ci porta direttamente a quella che potrebbe definirsi la poetica perecchiana dell'infra-ordinario. Nel corso degli anni settanta Perec è invitato ad animare, insieme a Paul Virilio e Jean Dauvignaud, la rivista Cause Commune, diretta da quest'ultimo. I testi di questi anni, alcuni dei quali pubblicati proprio sulla rivista, risentono nettamente del taglio sociologico-antropologico di Cause Commune. Tra i principali obiettivi della rivista era quello di definire un'antropologia della contemporaneità e di intraprendere «un'investigazione della vita quotidiana a tutti i suoi livelli nei suoi recessi e nei suoi anfratti generalmente disdegnati o rimossi». Un simile progetto di rivalutazione del quotidiano affonda le radici in un terreno già ricco. Una parte importante del pensiero francese del dopoguerra si era confrontata con la tematica della quotidianità: Fernand Braudel, Michel de Certeau, Marcel Mauss, Henri Lefebvre, Maurice Blanchot, ad esempio, ciascuno nell'ambito delle proprie ricerche specifiche, avevano mirato a una rivalutazione della dimensione più superficiale delle pratiche di vita e puntato sulla forza rivelativa della quotidianità contro l'egemonia dello spettacolare, dell'evento e dell'ideologico. «quello che succede davvero, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov'è? Quello che succede ogni giorno e che ritorna ogni giorno, il banale, il quotidiano, l'evidente, il comune, l'ordinario, l'infra-ordinario, il rumore di fondo, l'abituale, come renderne conto, come interrogarlo, come descriverlo?» Il linguaggio adottato, secondo Perec, dovrà muoversi alla stessa altezza del suo oggetto, privo di tecnicismi, quasi passivo, piatto. In Specie di spazi ritorna a più riprese su questioni metodologiche relative alla rivelazione dell'infra-ordinario: «Bisogna procedere più lentamente, quasi stupidamente. Sforzarsi di scrivere cose prive di interesse, quelle più ovvie, più comuni, più scialbe. (...) Sforzarsi di esaurire l'argomento anche se sembra grottesco, o futile, o stupido. (...) Costringersi a vedere più piattamente». La posta in gioco sono le infinite possibilità di abitare gli ambienti, gli spazi, il mondo: di impossessarci dei nostri luoghi. L'Inventario delle cose viste al carrefour Mabillion è, in questa prospettiva, un esercizio di riappropriazione attraverso lo straniamento: «Continuare fino a quando questo luogo diventi improbabile, fino a sentire, per un breve istante, l'impressione di essere in una città straniera o, meglio ancora, fino a non comprendere più quello che succede o che non succede». Soltanto a questo punto sarà possibile ritrovare: «la sensazione della concretezza del mondo: qualcosa di chiaro, di più vicino a noi: il mondo non più come un percorso da rifare senza sosta o come una corsa senza fine, non più come una perenne sfida da accettare senza tregua, non come unico pretesto per un'esasperante accumulazione né come illusione d'una conquista, ma come ritrovamento d'un senso, come percezione di una scrittura terrestre, d'una geografia di cui abbiamo dimenticato di essere gli autori».
(...) Diverse centinaia, se non diverse migliaia, di passanti dei due sessi, tra i quali, in ordine sparso |
Post n°19 pubblicato il 06 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Che la letteratura argentina contemporanea abbia dato nuovo spazio vitale a un glorioso genere narrativo quale il "racconto fantastico" è cosa nota: basterebbe il nome di Borges a provarlo. Ma la prima caratteristica di Julio Cortazar, capofila della generazione che segue a quella di Borges, più ancora che la capacità d'astrazione è la precisione realistica in cui la trasfigurazione visionaria affonda le radici: i vari quartieri di Buenos Aires, gli ambienti altoborghesi o piccoloborghesi o popolari, le atmosfere familiari, i locali dove si balia il tango... Il misterioso, l'irrazionale, il tragico germogliano dalla più corporea descrizione del quotidiano. È in questa pregnanza ambientale che salti nel tempo, scambi di destini, apparizioni, stregonerie arcaiche prendono forma e senso: la vita segreta di una società si popola di tensioni misteriose e inquietanti. "Bestiario" una raccolta di racconti. CASA OCCUPATA Julio Cortázar Ci piaceva la casa perché oltre ad essere spaziosa e antica (ora che le case antiche soccombono alla più vantaggiosa liquidazione dei loro materiali) conservava i ricordi dei nostri bisavoli, del nonno paterno, dei nostri genitori e di tutta la nostra infanzia. Ci abituammo, Irene ed io, a persistervi da soli, cosa che era una follia perché in quella casa potevano vivere otto persone senza darsi fastidio. Facevamo le pulizie il mattino, alzandoci alle sette, e intorno alle undici lasciavo a Irene le ultime camere da spolverare per andare in cucina. Pranzavamo a mezzogiorno, sempre puntuali; non restava molto da sbrigare, tranne pochi piatti sporchi. Era piacevole pranzare pensando alla casa profonda e silenziosa e a come bastassimo noi soli per mantenerla pulita. A volte arrivammo a credere che fosse lei a impedire che ci sposassimo. Irene rifiutò due pretendenti senza seri motivi, e a me morì Maria Esther prima che decidessimo di fidanzarci ufficialmente. Ci affacciamo alla quarantina con l'inespressa convinzione che il nostro semplice e silenzioso matrimonio di fratelli fosse la necessaria conclusione della genealogia fondata dai bisavoli nella nostra casa. Un giorno saremmo morti là, cugini improbabili e schivi avrebbero ereditato la casa e l'avrebbero rasa al suolo per arricchirsi con il terreno e i mattoni; o meglio, noi stessi l'avremmo abbattuta come giustizieri prima che fosse troppo tardi. Come potrei dimenticare la distribuzione della casa. La stanza da pranzo, una sala con arazzi, la biblioteca e tre grandi camere da letto rimanevano nella parte più interna, quella che guarda su Rodríguez Peña. Solo un corridoio con la sua massiccia porta di rovere isolava quella parte dall'ala frontale dove si trovavano un bagno, la cucina, le nostre camere da letto e il living centrale, con il quale comunicavano le camere da letto e il corridoio. Si entrava nella casa attraversando un atrio con maioliche, e la porta finestra dava sul living. Di modo che si entrava attraverso l'atrio, si apriva il cancello e si passava nel living; si avevano allora sui due lati le porte delle nostre camere da letto, e di fronte il corridoio che conduceva nella parte più interna; continuando per il corridoio, si oltrepassava la porta di rovere e più oltre cominciava l'altro lato della casa, oppure si poteva girare a sinistra proprio davanti alla porta e proseguire per un corridoio più stretto che portava in cucina e in bagno. Quando la porta era aperta ci si accorgeva subito che la casa era molto grande; altrimenti dava l'impressione di uno di quegli appartamenti che si costruiscono adesso, fatti per muoversi appena; Irene ed io vivevamo sempre in questa parte della casa, quasi mai oltrepassavamo la porta di rovere, salvo che per fare le pulizie, perché è incredibile quanta terra si accumuli sui mobili. Buenos Aires sarà una città pulita, ma lo deve ai suoi abitanti e non ad altro. C'è troppa terra nell'aria, appena soffia un po' di vento si palpa la polvere sui marmi delle consolle e fra i rombi dei centrini di macramè; è una vera fatica toglierla bene con il piumino, vola e resta sospesa in aria, un momento dopo si deposita di nuovo sui mobili e sui ripiani. Lo ricorderò sempre con precisione perché fu semplice e senza particolari inutili. Irene stava lavorando a maglia in camera sua, erano le otto di sera e all'improvviso mi venne in mente di mettere sul fuoco il bricco del mate. Mi avviai per il corridoio fino a trovarmi davanti alla porta di rovere che era socchiusa, e stavo girando verso la cucina quando sentii qualcosa nella sala da pranzo o nella biblioteca. Il suono arrivava indistinto e sordo, come il rovesciarsi di una sedia sul tappeto o un soffocato sussurro di conversazione. Lo udii anche, nello stesso momento o un secondo più tardi, in fondo al corridoio che andava da quelle stanze alla porta. Mi gettai contro la porta prima che fosse troppo tardi, la chiusi di colpo appoggiandomici con il corpo; fortunatamente la chiave era infilata dalla nostra parte e inoltre feci scorrere il grande chiavistello per maggior sicurezza. (Quando Irene sognava ad alta voce io mi svegliavo subito. Non mi sono mai potuto abituare a quella voce da statua o da pappagallo, voce che viene dai sogni e non dalla gola. Irene diceva che i miei sogni erano fatti di grandi scossoni che qualche volta facevano cadere la coperta. Le nostre camere da letto erano divise dal living, ma di notte si sentiva tutto nella casa. Ci sentivamo respirare, tossire, presentivamo il gesto che conduce all'interruttore della lampadina, le mutue e frequenti insonnie. (Tratto dalla raccolta Bestiario, Einaudi, Torino, 1974, a cura di Ernesto Franco, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini e Vittoria Martinetto)
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Los libros de Cortázar El martes 14 de febrero de 1984 se enterraba en París, en el cementerio de Montparnasse, a Julio Cortázar. Al día siguiente, según figura en el colofón, se terminaba de imprimir en Bruselas La Puñalada/El tango de la vuelta, un curioso libro del pintor holandés Pat Andrea y del propio Cortázar, cuya pista se perdió a partir de ese momento entre Europa y América, y del que 17 años más tarde se recuperarían 240 ejemplares.
Tras la muerte de Franck, los libros, que nunca llegaron de hecho a distribuirse, desaparecieron definitivamente más allá de algunos ejemplares que aparecieron en la galería y que se distribuyeron en librerías y mercados de ocasión. Nadie en los siguientes quince años volvió a tener noticias del libro.
Los libros llegaron a Madrid en julio de ese año, en seis cajas de cartón, algunos, los menos, dañados y con marcas de humedad. En total, se salvaron 240 ejemplares. Nadie sabe cuántos se editaron, ni dónde está el resto. Todo parece indicar que Elisabeth Franck envió al menos una parte de la edición a Florida para distribuirlos desde allí. Al desentenderse de sus negocios, los libros quedaron definitivamente olvidados. En noviembre de 2005 los 34 originales de Pat Andrea se expusieron en el MACUF -Museo de Arte Contemporáneo Unión Fenosa-, en La Coruña, con motivo de una exposición antológica del pintor. Centro Virtual Cervantes © Instituto Cervantes, 1997-2012.
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Post n°17 pubblicato il 06 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Eclettico, imprevedibile, folle o geniale a seconda dei punti di vista... o delle giornate, Vinicio Capossela sorride quando mi presento. "Mangialibri? Un bellissimo nome, pensa che una delle mie parole preferite è mangiadischi!". Feeling immediato, una domanda tira l'altra e voilà: l'intervista. Un bruto, uno che non capisce le leggi. Per Vaneigem, il campione del mondo di nichilismo dada. Uno che ha dato corpo alla sfida di Arthur Rimbaud contro la civiltà. Ma che corpo, signori, che carcassa: 105 chili su due metri e cinque. Tutti di muscoli. Intestati a Arthur Cravan, pronipote di Oscar Wilde, sedicente campione dei pesi massimi in Canada e guastatore del dadaismo internazionale. Lo avvistano, agli inizi del Novecento, a Losanna, Parigi, Madrid e New York. Disertore professionista, durante la Grande Guerra cambia continuamente cittadinanza e identità per disertare di nuovo, e alla recidiva aggiunge il cambio di genere: riesce a passare una frontiera travestito da donna, anzi: da donnone. E lo vedono in mille altri posti. Conferenziere farneticante, invece di declamare versi si spoglia e offre dimostrazioni di pugilato. Poi spara con la sua rivoltella sopra la testa del pubblico e se ne va per fondare una rivista di critica brutale, Maintenant, che vende lui stesso su un carro da verduraio davanti agli altari delle avanguardie europee. Insulta letteralmente tutti i poeti dell'epoca e tra i prosatori copre di merda il povero Gide, che non ha il coraggio di dirgli assolutamente niente. E c'è da capirlo, poveretto. Giunto per vie fortunose a Madrid, il pittore e scrittore Picabia lo inserisce nel jet set: con una camicia di seta strabordante di muscoli balla il tango e va in giro accompagnato da un paio di meretrici. Poi conosce Jack Johnson, il campione del mondo scappato dagli Stati Uniti perché inseguito dall'odio dei suprematisti bianchi. I due pugili decidono di applicare il dadaismo alla noble art e inscenano la grande truffa dei pesi massimi. Allestiscono in Spagna un incontro che dovrebbe essere il match del secolo. Jack Johnson all'epoca è un mito, il più grande pugile prima di Muhammad Alì. Si accordano per una borsa enorme anche per chi perderà. Il palazzo dello sport non riesce a contenere le migliaia di spettatori: suona il gong, dopo un paio di jab telefonati, Cravan si mette in ginocchio e toccando i piedi di Johnson lo supplica: «Non picchiarmi, mammina, ti voglio bene!» Il pubblico non la prende bene e cerca di linciare i due pugili. Loro scappano e si sbronzano in periferia. A quel punto Cravan fa perdere le sue tracce. Ricompare in America. A New York vive nei parchi, nel nord del Canada si dedica alla pesca dei merluzzi. In Messico vive di espedienti, poi gestisce una palestra di lotta libera e prepara una conferenza sull'arte egizia. Conosce la poetessa inglese Mina Loy, si innamora perdutamente e la sposa, nonostante fosse già sposato con un'altra. Non capisce le leggi e si chiede incuriosito perché lo accusino di bigamia. Alla fine Mina scappa a Buenos Aires, lui le scrive lettere colme di poesia. Secondo André Breton, che lo inserisce nella Antologia dello humour nero, Cravan una notte si ubriaca come un pazzo in una spiaggia messicana, ruba una barchetta e prende il largo a remi, fiducioso delle proprie braccia e convinto di poter ricongiungersi col suo amore a Buenos Aires. Scompare nell'oceano Mina lo aspetta per un po', poi torna in Inghilterra. Lo cerca per tutte le carceri e i bordelli e le palestre degli Stati Uniti. Poi si arrende. Lo dichiarano scomparso nel 1918, quando aveva 31 anni. Sulla sua morte ci sono altre ipotesi: secondo Blaise Cendrars finì accoltellato in una bettola. Secondo altri la sua scomparsa sarebbe un trucco per fottere i creditori: arrivò a Buenos Aires, cambiò identità e divenne un maestro di tango. Visse mille vite, morì mille morti. Alberto Prunetti 1
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A Vitebsk tutto vola: un vecchio ebreo col giaccone nero, una capanna aerostatica, un cavallo fuggito dalle stalle di Giotto. Volano le vacche, gli sposi, i giorni e un violinista sul tetto. Cosa suona nella notte in mezzo alla pianura di neve? Con quale musica culla il villaggio e spegne icone e fantasmi? Non permettete che cada il violino, testimone di nozze e di funerali. Non permettete che taccia. È forse un violino zingaro inventato dal diavolo? È forse un violino per guidare i viaggiatori delle grandi steppe? Violino rotto della tragica Russia? Nessuno sa cosa porta dentro il suo sacco, il suo rozzo sacco, il vecchio ebreo dal giaccone. Forse nasconde un libro che racconta la lotta di Giacobbe con l'angelo? Se è un violino, meglio che cada nelle mani di Chagall. Allora tutto vola, i tetti rossi, i candelieri, le mani cerate del rabbino, la luce intermittente della sinagoga. |
Post n°15 pubblicato il 05 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
Sermone ai cuccioli della mia specie Cari cuccioli, vi ho guardato a lungo. Ero lì nascosta nel buio e vi guardavo giocare, nascosta nel buio come una carogna, come una spia che studia il nemico, come un ladro che aspetta il momento buono, come un terrorista che guarda a distanza e fa i suoi piani d’innesco. Io vi guardavo ammutolita, intenerita da voi, cari cuccioli della mia specie, e poi anche disgustata da voi che eravate lì inermi a un palmo dal mio naso. Siete indeboliti cuccioli. Siete spaventati e soli. Siete avidi. Siete sazi. Siete svuotati. Sfiniti siete. Siete vinti. Io vi guardavo da una quasi nausea, da tutto quel buio: ricordavo un’antica infelicità d’infanzia, un’antica paura. ricordavo bene quell’essere fra gli altri, spersa, sola. La mia paura me la ricordavo, guardando la vostra. Ricordavo bene il mio sguardo, come se lo avessi sempre visto da fuori: sbigottito, quasi non ci credevo d’essere in questo mondo, non me lo spiegavo, il mondo, non mi raccapezzavo. Come precipitata ero, dalle altezza caduta molto giù, molto di lato, nel mondo degli uomini e delle donne. Nel mondo delle case di mattoni. Nel mondo dove si lavora e si mangia e si dorme e si fa la cacca ogni giorno e ogni giorno si fa la pipì tante di quelle volte e si mangia e si dorme e ci si lava la faccia. Da dentro quello sguardo, chiusa lì dentro nella mia fortezza io guardavo il mondo dei grandi e provavo una grande pietà. Io li sentivo che piangevano dentro. Sentivo che non ce la facevano. Li sentivo gridare dentro. Con muri dentro, con scarafaggi e muffe, dentro. E un giorno, quando ero molto piccola, ho fatto un giuramento, un giuramento infante, senza le parole, ma chiarissimo e sonante: io me li prendo tutti nel petto e li scampo, li porto in salvo. Ho giurato così, senza dire neanche una di queste parole, ma con tutte queste parole più forti cento volte. Nel mio letto, vicino al grande armadio con lo specchio, fra le sponde altre di legno, con la sorella vicina che tossiva, giuravo forse ogni notte, per quella tosse, per la faccia stanca del mio babbo, e per tutte le facce dei grandi, coi loro segni come di grande pena. Una bambina nel suo letto ha fatto il giuramento, recitato la formula che salva, forse ha vinto sulla morte e sul mondo. Aspettavo il giorno in cui mi avrebbero detto il grande segreto. Sentivo, lo sapevo, che dietro al loro non dire niente si nascondeva la grande verità. Sentivo, lo sapevo, che loro sapevano tutto quello che io non sapevo. Sentivo che un giorno me lo avrebbero detto e io avrei capito il mondo e non avrei sofferto come loro, perché loro stavano già soffrendo anche per me. Sentivo e aspettavo. Poi molto piano, molto in ritardo, molto piano, millimetro dopo millimetro, in un lavorio di tic tac e minuti molto piccoli, piano piano, sono passata di là, sono caduta del tutto nel mondo, appiattita, schiacciata al suolo in un lento atterraggio. Adesso, cari cuccioli, io sono grande. Sono molto grande. Sono quello che mai e poi mai avrei voluto essere: una persona grande. Adesso io sono dei loro. Adesso lontanissima sono dai miei favolosi sette anni, quando ero un genio buono, uscito da poco dalla lampada, e un filosofo ero, ma senza le parole, un grandioso poeta analfabeta, un artista senz’arte. Adesso da qui, da questo esilio duro, da questo corpo con peso, da questa mente complicata, da questa mente ingombrante, da qui, da questo buio che è tutto il mio, da qui vi guardo, adorandovi. Vi chiedo aiuto. Una parte di me vi supplica, vi implora, vi chiede aiuto e aiuto. Adesso tocca a voi salvarmi, fare il giuramento. Potrete? Ci riuscirete? Mi sentite? Sentite? Dicono che siete rotti. Siete sazi, dicono. Corrotti. Rovinati siete, come tutto il resto. Anche voi nella lista lunga delle perdite: l’acqua, l’aria, il silenzio, il pudore… Anche voi. Stuprati siete, rotti. Vecchissimi e troppo stanchi per l’infanzia. Scarichi. Vuoti. Allora adesso imparate. Imparate l’odore dei nemici potenti. Sbranate, cuccioli, le loro mani piene. Scassate le loro tane come galere. Sputare sui loro piatti. incendiate le stanze gonfie di giocattoli, scappate, morsicate, tirate pietre sui televisori, scalciate, spaccate questo micidiale nostro sogno, l’inesauribile bisogno di confort, fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci per aver fatto di voi le nostre miniature, per avervi disinnescati, resi innocui, per non avervi ascoltati, nel vostro sommo sapere. Voi che eravate le porte del regno dei cieli e chi non passava da voi non passava, voi che eravate purissima gioia, voi che eravate noi bloccati nella più grande bellezza, voi che somigliavate ai cuccioli degli altri animali, voi che capivate lo splendore misterioso degli animali, voi che dormivate un sonno perfetto e benedetto, voi che vi svegliavate ridendo, voi che facevate balletti strepitosi. Voi, nostre divintà domestiche. Nascete ancora, cuccioli. Restate. Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate. Siate. |
Post n°14 pubblicato il 03 Maggio 2012 da Ufficioluoghiperduti
In un mondo di storpi, è il sano ad essere diverso. Questo è il primo paradosso che si realizza nella Casa. I suoi bizzarri abitanti sono bambini e adolescenti accomunati da una menomazione: mutilati, paraplegici, ciechi, albini, ritardati. L'invalidità diventa il segno distintivo di un'umanità eletta proprio perché reietta, il simbolo dell'appartenenza ad un mondo altro, creato su misura per loro.
All'interno della Casa questi ragazzi dimenticati sperimentano le passioni della loro età con l'intensità che solo la giovinezza concede: amicizia, rivalità, odio, desiderio di emulazione, amore, affetto. Stringono legami profondi, affrontano le sfide quotidiane, crescono nel loro piccolo e complesso universo. E soprattutto: sognano. Ma nella Casa le loro fantasie, prodigiose e terrificanti, acquistano concretezza come per magia, tessono una rete di illusioni che finisce per sostituire la realtà. La geografia della Casa viene creata e ricreata incessantemente dall'immaginazione dei suoi abitanti, dalle loro storie, paure, segreti, sogni. Ci sono luoghi proibiti, spazi che suscitano strane suggestioni, si dilatano all'infinito, mutano improvvisamente; ci sono pozioni allucinatorie e amuleti sciamanici; ci sono cacce in foreste oniriche; ci sono divieti scaramantici e obblighi sacri; ci sono metamorfosi e magie. La realtà è confinata oltre il recinto della Casa, nell'Esteriorità: banale, priva di fantasia, ostile, insensata. Ma prima o poi l'infanzia finisce e il mondo degli adulti chiama alla resa dei conti: allora si può solo fuggire definitivamente nel sogno oppure rinunciare per sempre alla condizione meravigliosa e crudele dell'adolescenza. Affrontare l'ingresso nell'età matura e la fine delle illusioni sarà la più grande e dolorosa sfida per gli abitanti della Casa. La casa del tempo sospeso di Marjam Petrosjan ha una rara dote: rappresentare perfettamente la realtà attraverso il fantastico. Non c'è modo migliore di descrivere un adolescente che come un reietto, che vede gli adulti come esseri del tutto estranei, che alimenta la propria diversità come marchio elettivo, che vive in una dimensione separata dal resto del mondo, dove la realtà è fatta di sogni e passioni. La cosa più straordinaria nel leggere questo libro è sorprendersi nel paragonare gli stravaganti storpi della Casa ai propri ex compagni di classe, o ai vecchi amici dei giardinetti, e immaginare sé stessi all'interno di quella marmaglia, affibbiarsi un soprannome evocativo, pensare in quale tribù collocarsi. La potenza immaginifica di queste pagine non restituisce solo un teatrale sense of wonder, ma descrive quel modo di sentire caratteristico dell'infanzia, in cui non c'è confine fra immaginazione e realtà. E infine ci si chiede, con un filo di amarezza, quando si è perso quel modo incantato di guardare il mondo. La casa del tempo sospeso è un libro che ti interroga su quanto sia illusorio ciò che ritieni reale e normale, e su quale sia il prezzo da pagare per diventare adulti. Mariam Petrosjan, La casa del tempo sospeso, Salani 2011
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Questa Top 5 è dedicata a quegli autori che accompagnano i loro lettori alla fine (geografica) del mondo, attraverso esperienze che portano alle colonne d'Ercole dell'avventura concepita non come mera sfida, ma come forma di sperimentazione e conoscenza di sé. Quali sono, oggi, i libri in grado di fare questo?
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photo credit: Michele Ursino Per molti Bologna ha un sapore di cultura che non si toglierà mai di dosso. In tutta Italia ci sono studenti che pianificano il loro trasferimento a Bologna, e ogni anno, verso settembre, i muri della città si riempiono di volantini che offrono camere (a prezzi esorbitanti). Quella fetta di centro storico che è il quartiere universitario è fitta di biblioteche e librerie. Pensate: l'intera provincia di Bologna non raggiunge il milione di abitanti, eppure ci sono più di cento librerie indipendenti e più di duecento biblioteche. La prima libreria d'Italia a fare orario continuato è nata qui, esattamente sotto le Due Torri. Abbiamo avuto un Nobel come Carducci, abbiamo Benni, Brizzi e Cacucci; Eco lo si vede ancora girare per Bologna, e Pasolini purtroppo non lo si vede più. Se la chiamano "Bologna la dotta", un motivo c'è. Le librerie Le librerie di Bologna se la passano meglio di quelle di altre città italiane. Grazie all'università, 90.000 persone sono obbligate ad acquistare in media una ventina di libri ogni anno, spesso titoli fuori catalogo o di difficile reperibilità per le grandi catene. Come a Milano, anche le librerie indipendenti di Bologna non temono l'ebook e non sentono la minaccia di colossi online come Amazon e Ibs. Certo, i forti sconti che solo le catene possono praticare (e che in altri paesi europei sono vietati per legge) hanno chiuso tante librerie storiche, ma sono proprio le catene quelle più colpite dalla vendita online e dalla rivoluzione digitale. Ecco le prime librerie di cui vogliamo parlarvi. Nel 2005 chiude la Libreria Duomo di via Indipendenza, e una cliente offre a Nicoletta Maldini lo spazio per aprire una nuova libreria, la Libreria Trame, Via Goito 3/c. In neppure sei anni è diventata il nome che tutti citano quando si parla di librerie indipendenti. La Libreria Trame è gestita da tre donne: Nicoletta Maldini, Orsola Mattioli e Anna Vezzoli, tutte e tre forti lettrici. A differenza delle grandi catene, una libreria indipendente deve riuscire a creare dei percorsi culturali all'interno dei propri scaffali, e la Libreria Trame ci riesce. In uno spazio di soli 50 mq, questa libreria riesce a esporre più di 6.000 titoli. Difficilmente troverete pile da venti copie sul tavolo all'entrata, e ogni libro in vendita è stato scelto con criterio tra le migliaia di pubblicazioni che affollano ogni anno il mercato editoriale. Ma il vero punto di forza della Libreria Trame è il rapporto diretto coi clienti. Con il passare degli anni, le libraie hanno imparato a conoscere i propri clienti abituali, i loro gusti e le loro particolarità. Tra tutte le librerie di Bologna, la Libreria Trame è senza dubbio una delle nostre preferite.
Inaugurata a ottobre del 2010, Golconda, Via Nosadella 23/a, è la più recente tra le librerie di cui parleremo oggi. Giacomo Totani, il libraio, è un ragazzo aquilano che si è trasferito a Bologna una volta finiti gli studi. Gestisce Golconda da solo e bisogna ammettere che ha avuto delle belle idee. Golconda vende libri di ogni tipo e graphic novel. Invece di puntare sui titoli più venduti del momento, Giacomo preferisce tenere quei volumi che le librerie più grosse non tengono o hanno difficoltà a procurare. Ma la cosa più interessante di Golconda riguarda le iniziative: è partner di "Gran Spolvero", un programma radiofonico che va in onda ogni mercoledì su Radio Città del Capo, organizza reading e presentazioni, e ha ospitato un workshop di fumetti per bambini. Basta recensire uno dei libri acquistati per avere uno sconto sui prossimi acquisti, e se siete forti lettori e avete in programma di sposarvi, perché non fare la lista di nozze da Golconda?
Una delle gemme nascoste tra i portici bolognesi è Ibis, Via Castiglione 31/a. Nata nel 1983 da un gruppo di studiosi di esoterismo, lo scopo di Ibis è quello di diffondere in maniera corretta e non settaria i principali aspetti dell'Esoterismo orientale e occidentale. Questo e la scelta di titoli di qualità sono i punti di forza di Ibis. La libreria si affaccia su via Castiglione attraverso una piccola vetrina ricca di libri, e per entrare si passa da una porta a lato della libreria. Sui suoi scaffali si possono trovare libri su qualunque argomento inerente l'esoterismo, dall'alchimia alle medicine non convenzionali, dal buddhismo allo yoga alle filosofie orientali e occidentali. Ibis sponsorizza attraverso il suo sito diversi eventi e permette l'acquisto di molti titoli del suo catalogo. Tra le tante librerie specializzate di Bologna, Ibis è una delle poche a essere davvero insostituibile.
Modo Infoshop, Via Mascarella 24/b, ha intrapreso un percorso leggermente differente rispetto alle altre librerie di questa puntata di "Indie per cui". Nasce in un centro sociale di Bologna, il Link, dove vende dischi e libri portati dagli artisti che si esibiscono. Nel 2003 trova la sede attuale e comincia a contattare i piccoli editori. È una delle librerie indipendenti più grandi di Bologna. Per Fabio e Giuseppe, i librai, il modo migliore che una libreria ha per sopravvivere agli sconti delle catene è quello di ibridarsi: vendita di libri, quindi, ma anche di dischi, fumetti e DVD; ma Modo Infoshop si è trasformata da semplice libreria a qualcosa di più quando ha preso la gestione del bar affianco, creando di fatto un luogo di incontro nel quartiere universitario.
E un articolo sulle librerie indipendenti di Bologna non può dimenticarsi della Libreria Nanni, Via de' Musei 8, un'icona per i bolognesi. Con i suoi 186 anni, Nanni è la libreria più antica di Bologna. Situata sotto il cosiddetto "Portico della Morte", questa libreria incanta: davanti all'enorme vetrina, sotto al portico, sono installate delle bancarelle che ricordano le bouquinistes parigine, mentre le grandi vetrine lasciano intravedere la mole di libri esposta all'interno. Nanni vende volumi rari, spesso introvabili. Appena si varca la soglia ci si ritrova davanti a una parete fitta di libri e a un bancone con altri libri ancora; a destra e a sinistra, sempre libri. Alcuni sono tomi rilegati in pelle e passati per le mani di chissà quante generazioni, altri sono libri più recenti, appena usciti. Molti dei libri in catalogo possono essere acquistati direttamente dal sito della libreria.
Bologna ha molte altre librerie più o meno storiche che meritano di essere raccontate; queste erano solo le prime cinque. E se avete una libreria che vi sta a cuore, segnalatecela!(da Jacopo Donati)
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