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Le più belle poesie si scrivono
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I miei cinque incipit

Post n°633 pubblicato il 27 Maggio 2007 da ventodamare
 
Tag: libri



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Ecco i miei cinque incipit.
Dopo aver steso ed aggiornato la lista infinite volte, ho deciso di scegliere solo fra quelli che hanno segnato la prima parte della mia adolescenza, perche' i libri che mi hanno segnato in tutta la vita sono ben piu' di cinque e non riesco a rinunciare a qualcuno di loro.




1) Charles Schulz  "Era una notte buia e tempestosa.."

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2)  Cesare Pavese  "La casa in collina"

"Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. Per esempio, non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai da bambino e adesso vivo: sempre un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni.

3)   Marcel Proust "
Alla ricerca del tempo perduto"

A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: "Mi addormento". E, mezz'ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava; volevo posare il libro che credevo di avere ancora fra le mani, e soffiare sul lume; mentre dormivo non avevo smesso di riflettere sulle cose che poco prima stavo leggendo, ma le riflessioni avevano preso una piega un po' particolare; mi sembrava d'essere io stesso quello di cui il libro si occupava: una chiesa, un quartetto, la rivalità di Francesco I e Carlo V.


4) 
Curzio Malaparte  "La pelle"

"Erano i giorni della "peste" di Napoli. Ogni pomeriggio alle cinque, dopo mezz'ora di punching-ball e una doccia calda nella palestra della P.B.S., Peninsular Base Section, il Colonnello Jack Hamilton ed io scendevamo a piedi verso San Ferdinando, aprendoci il varco a gomitate nella folla che, dall'alba all'ora del coprifuoco, si accalcava tumultuando in Via Toledo.
Eravamo puliti, lavati, ben nutriti, Jack ed io, in mezzo alla terribile folla napoletana squallida, sporca, affamata, vestita di stracci, che torme di soldati degli eserciti liberatori, composti da tutte le razze della terra, urtavano e ingiuriavano in tutte le lingue e i dialetti del mondo. L'onore di esser liberato per primo era toccato in sorte, fra tutti i popoli d'Europa, al popolo napoletano: e per festeggiare un così meritato premio, i miei poveri napoletani, dopo tre anni di fame, di epidemie, di feroci bombardamenti, avevano accettato di buona grazia, per carità di patria, l'agognata e invidiata gloria di recitare la parte di un popolo vinto, di cantare, batter le mani, saltare di gioia fra le rovine delle loro case, sventolare bandiere straniere, fino al giorno innanzi nemiche, e gettar dalle finestre fiori sui vincitori."

5)  Emilio Salgari  "I pirati della Malesia"

"- Mastro Bill, dove siamo?
- In piena Malesia, mio caro Kammamuri.
- Ci vorrà molto tempo prima di arrivare a destinazione?
- Birbone, ti annoi forse?
- Annoiarmi no, ma ho molta fretta e mi pare che la Young-India cammini adagio.
Mastro Bill, un marinaio sui quarant'anni, alto più di cinque piedi, americano puro sangue, sbirciò con occhio torvo il suo compagno. Questi era un bell'indiano di ventiquattro o venticinque anni, di alta statura, d'una tinta molto abbronzata, di lineamenti belli, nobili, fini, cogli orecchi adorni di pendenti e il collo di monili d'oro che gli ricadevano graziosamente sul nudo e robusto petto."



 
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