Creato da lost4mostofitallyeah il 04/03/2009
CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Guarda che luna. Capitolo secondo.

Post n°267 pubblicato il 02 Dicembre 2015 da lost4mostofitallyeah

 






La situazione si faceva precaria e tornai a sentire delle grida e dei richiami sincopati che aggiravano l'edificio isolato dove mi trovavo. Qualcosa di simile al verso di qualche uccello notturno in uscita alla caccia di una preda o all'esaltazione di cannibali che danzino intorno al calderone con dentro il povero, sprovveduto esploratore. Rimasi seduto con la fronte madida di sudore malgrado il freddo e riflettei su quello che era giusto fare: Uscire con grande calma e tranquillità incontro agli uomini che, ormai con tutta evi
denza, stavano circondando la mia postazione, oppure attendere finché il primo della probabile teppaglia avesse messo piede sul mio pianerottolo. Avevo ancora la beretta carica e una scorta di altri caricatori ma che senso aveva trattenersi in quel bugigattolo? Una bomba a mano avrebbe rapidamente messo fine alla mia improvvisata resistenza e non valeva la pena di lasciarsi sopraffare dalle ombre notturne: ero pur sempre un graduato dell'esercito italiano e anche avessi avuto di fronte una sacca di resistenza dei Ribelli potevo sperare in un trattamento umano e degno della mia situazione militare. Restare in quel luogo buio mentre i nemici avanzavano precorrendo una dopo l'altra le stanze dell'edificio era controproducente; avrebbe teso i miei nervi sino a commettere qualche sciocchezza, così decisi di sollevarmi e discendere le scale a chiocciola che avevo percorso poco prima, per infilarmi nel dedalo di locali abbandonati fino al cortile esterno. Ero quasi arrivato nel bureau principale che dei passi e delle esortazioni in perfetto italiano mi fecero trasalire. Superai un'ultima porta con la torcia elettrica sempre accesa e mi trovai di fronte cinque, forse sei persone che mi puntavano contro, a loro volta, dei fasci di luce. "Spenga quella torcia, per favore. Dobbiamo guardarla." Gridò una delle sei persone. Così feci e mi lasciai abbagliare mentre Io non riuscivo a intravedere nulla dei tratti somatici dei personaggi enigmatici che avevo di fronte. Avevo la pistola nella fondina e pensai bene di chiedere che me la lasciassero sfilare in segno di tregua. Ma non dissi nulla, così come non chiesi se avevo di fronte soldati del mio Esercito.
A malapena vidi le teste dei sei individui avvicinarsi e biascicare tra loro in una lingua che mi era sconosciuta. "Sono finito" Pensai "a meno che non si tratti di truppe ausiliarie del Colonnello Clerici". D'improvviso uno dei personaggi alzò il fascio di luce verso il suo volto. Era nero come il carbone, con i tipici tratti somatici africani dell'ovest, ghanese o ivoriano. Ma ciò che mi sollevò al contempo fu di notare le mostrine di capitano delle nostre truppe sulle sue spalle e una decorazione al merito fra le più basse appuntata al petto. Mi tranquillizzai: erano truppe del Colonnello Clerici. Sorrisi e mi avvicinai al graduato facendo il saluto militare e poi tendendo la mano, ma non ebbi risposta. O meglio, la ebbi pochi secondi dopo sotto forma di un cazzotto poderoso che mi fece volare sul pavimento polveroso tra le silenziose risate degli africani. "Piacere, Capitano Eberhard" fece il tizio, muovendo qualche passo nella mia direzione "E Lei, sottotenente, è la chiave che ci farà uscire da questa galera." Velocemente venni portato all'aperto dove ardeva un grosso fuoco alimentato da copertoni bruciati, plastiche, vecchie scrivanie e quant'altro. Il capitano Eberhard mi fece sedere a gambe incrociate vicino al fuoco e si accoccolò accanto a Me. La beretta mi era stata prelevata e ora potevo notare la quarantina di uomini radunati dentro quella spaventosa rovina industriale senza più l'incertezza del buio: erano tutti giovanissimi, pressappoco della mia età ed infilati nelle divise italiane delle truppe del Colonnello Clerici senza la un bottone fuori posto o uno strappo nella stoffa. Ero Io a stonare nel panorama compattissimo di quegli uomini ordinati. Erano tutti con la pelle scura e lineamenti armoniosi di cacciatori della savana, con lunghe dita sottili, labbra sporgenti e sensuali, fronti spaziose sormontate da capelli raccolti in dreadlocks, oppure rasati fino a dare la lucidità dell'olio da scarpe ai loro crani. "Disertori, vero?" mormorai al capitano che mi offriva una cicca da un portasigarette d'argento. "Da molto più tempo di Lei, sottotenente. quello che Lei vede sono i residui del XVI reggimento "Togo" e gli uomini che sono sopravvissuti alla battaglia per evitare l'accerchiamento a Verano Brianza." Trasalì e mi cadde la sigaretta dalle dita. Il reggimento Togo era una delle unità d'élite fra gli ausiliari e si era coperto di gloria con le truppe italiane in innumerevoli battaglie. Voci erano però girate che durante le ultime ore degli scontri violentissimi a Verano Brianza fosse passato armi e bagagli al Nemico, disertando in massa. "Allora era vero." Mormorai "Che cosa?" "Che siete passati a Duchamp." "Nel momento sbagliato, purtroppo. I Coloniali sono stati spazzati via dalla vostra offensiva e quando abbiamo cercato di tamponare la vostra pressione, ci siamo trovati in una sacca, qui dentro. Ma quasi Nessuno sa del passaggio delle linee da parte nostra, e su questo puntiamo per ricongiungerci con le truppe del Generale Defant senza colpo ferire, e senza che nessuno immagini quello che abbiamo passato negli ultimi giorni." Mi guardai intorno cercando di non ridere: le facce di quegli africani erano tutte puntate contro di Me :"E davvero pensate di rientrare fra gli Italiani come se nulla fosse successo? come se la vostra diserzione fosse passata inosservata? Scusate, ma lo trovo ridicolo." Uno dei Togolesi mi squadrò facendosi schermo con le dita :"Mi permetta. Sergente Dakwaafi, e penso che il piano non sia così ridicolo come Lei voglia farci credere, anche perché sarà proprio Lei a fare da garante per il nostro reinquadramento. La battaglia è stata feroce e le posizioni si sono sovraccaricate e confuse. E se abbiamo sparato sugli italiani può essere stato benissimo per la confusione e il cosiddetto fuoco amico. In pratica siamo passati al nemico per quarantott'ore. E poi, la cosa più importante, signor ufficiale, come Le ripeto sarà Lei stesso a fare da garante del nostro comportamento. Noi saremo dei poveri ausiliari dispersi nella confusione dell'Offensiva e guidati da un valoroso, anche se un po' confuso, capitano bianco : Lei stesso." "Io sono un misero sottotenente, sergente." Il capitano Eberhard alzò il cane alla sua Walther e mi piazzò la canna giusto in mezzo agli occhi, poi la riabbassò e si alzò in piedi levandosi dolcemente la giacca con le mostrine mettendomela sulla schiena. "Ora non più" sorrise, e si rimise seduto davanti al fuoco.






 
 
 
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