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punto sul rosso

il teatro il delirio l'oblio

 

 

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Esercitazione da Malerba

Post n°198 pubblicato il 25 Settembre 2008 da le_corps

La donna gli offriva la sua schiena nuda ed esposta, adagiata su un fianco. Respirava in modo regolare come se dormisse come se sognasse, un giro in barca una barca in alto mare e un mare di pesci e conchiglie, di stelle marine e fondali sabbiosi. La linea dell’anca era un profilo di duna, sabbia morbida e volatile, da toccare e annusare prima che il vento s’alzasse. La linea dell’anca era un lungo ragionamento sull’impermanenza della vita. E sapeva di sale, la lingua non mentiva. E sapeva di pietre cotte al sole e ciottoli bagnati e lucidati dalla risacca.
 La donna gli offriva la sua schiena nuda e respirava profondamente, respirava assorta come se contasse conchiglie. Lui le sollevò i capelli, e trovò sul collo un nodo.  Un nodo grossolano da sciogliere con un dito. Un nodo messo lì come indizio. E lui era bravo a leggere gli indizi, a comporre il quadro delle prove a decifrare i segnali. Scioglimi, sussurrò il nodo. E lui ubbidì.
Ora anche il collo era nudo:  l’anca di lei ebbe un sussulto. Come una duna che si apprestava a cambiar sembiante, pensò l’uomo, e quel pensiero guidò la sua mano a sfiorare la risalita del fianco, un fianco caldo che esalava pensieri marini. La sua mano si fermò e premendo il fianco diede all’uomo la spinta per affacciarsi al viso della donna e sussurrarle qualcosa. Qualcosa tipo una voglia qualcosa tipo un giro in alto mare con tutto quel mare che c’era, lì, nella stanza, e con tutti quei pesci che erano lì ad osservare.
La donna aprì un occhio, guardò il mondo tra le ciglia, e disse no: ho da fare, no: ho ancora molte conchiglie da contare; la donna richiuse le ciglia e aspettò. Aveva il respiro di lui sulla bocca ma sembrò non curarsene.
Il respiro di lui era un respiro profondo e calmo tipo di bestia che ascolta l’orizzonte in cerca di un fruscio, un fruscio di preda.
Lei era la sua preda assopita, con la schiena offerta e il collo, quel suo collo liberato che lui rimirava, e rimirandolo si ricordò del nodo appena disfatto e si soffermò sulla facilità con cui i nodi di lei si disfacevano: per mano di chiunque, forse. Come tre anni prima, come quella volta in cabina o in alto mare come quella volta che lei nuotava e rideva con quel tipo peloso, dal muso di uccello, che attentava a tutti i suoi nodi. Era accaduto tre anni prima sulla spiaggia di Kursaal: era una domenica.
La sua memoria era ferma e netta, e lui aveva fissato ogni particolare di quel giorno: i suoi nervi tesi e la mandibola serrata mentre osservava le nuotate del tipo peloso assieme alla sua donna, alla sua Miriam.
Miriam l’aveva conosciuta solo l’estate successiva, è vero, ma un tradimento è un tradimento: il tradimento non conosce barriere temporali, e predilige la retrospettiva.
Ripensò a quella domenica: era lei, era sicuramente lei, era già lei; ripensò a quella domenica di tre anni prima mentre osservava quel collo liberato con troppa facilità.
Si accostò all’orecchio di lei e le disse: “chi era quell’uomo peloso sulla spiaggia di Kursaal?”.
La donna ne aveva contate 167, di conchiglie tutte di foggia diversa, quando sentì pronunciare Kursaal e ripetere Kursaal, sì, a Kursaal tre anni fa.
Pensò che ci fosse un errore un equivoco, e perse il conto. Intanto il corpo di lui premeva sul suo.
Le sembrò naturale resistere, e resistette.
Lui la incalzava chiedendole di un tipo, di un tipo peloso con uno slip stinto che aveva approfittato di lei in una cabina, una domenica di tre anni prima sulla spiaggia di Kursaal.
Lei protestò la sua innocenza, ma più protestava più la voce di lui le ghermiva il collo e più la ghermiva più lei si difendeva, negando. Perché lei era forse stata a Kursaal, ma mai con un uomo peloso. Ma lui diceva di sì, che se lo ricordava bene, che era peloso e col muso di uccello e che lei era lei, e che lui le slacciava il nodo sul collo per approfittarsi di lei e che lei lo lasciava fare, quell’uomo dal muso di uccello, quell’uomo peloso che infilava le sue mani pelose ovunque e la sua lingua, anch’essa pelosa, nei nodi di lei, per scioglierli e poi berla, berla tutta.
E lei, Miriam, non opponeva resistenza, perché lei, la sua donna - sacrilegio!, la sua donna sostava nella cabina con quel tipo oltre il conveniente oltre il decoroso togliendo ogni dubbio sulla sua lascivia perché lei, sì, lei, la sua donna l’aveva tradito.
Miriam sentiva il fiato di lui insinuarsi in ogni poro della pelle ed ebbe un sussulto, e ancora protestò di non ricordare, protestò la sua innocenza, e più protestava più sapeva di alimentare la rabbia di lui e di nutrire la sua insistenza e i suoi dubbi e l’ossessione del suo ricordare.
E se avesse ragione lui? Questo pensiero le attraversò la mente, e intanto il suo corpo cominciava a sudare. Che lui avesse ragione e l’avesse scoperta? Sì, a Kursaal poteva esserci stata, anche tre anni prima, era plausibile, sì, ma lui, lui l’aveva conosciuto l’estate successiva, di questo era certa, e allora doveva negare, negare e ancora negare, ad ogni sua domanda ad ogni suo incalzare: doveva semplicemente negare. E lui sì che la incalzava e lui sì che premeva: era parola che si faceva corpo, corpo che risuonava.
Intanto lei sudava, e si sentiva stremata, come sotto una sacra inquisizione, i particolari che lui metteva nel racconto facevano vacillare le sue certezze, le certezze di donna fedele e schietta, di donna fedele al suo uomo, di donna offerta solo a lui. Resistere, solo resistere: a quelle pressioni verbali, a tutta quella pressione con cui lui voleva inchiodarla alla sua natura finalmente rivelata di donna disdicevole di donna sporca e traditrice.
Ricordo che portavi un due pezzi rosso stinto, ricordo che eri tu con lui sulla spiaggia ricordo anche la tua lingua che parlava con la sua e le vostre lingue che si promettevano cose oscene di là in cabina – lui rievocava quel fatto con precisione e crudezza. Perché lui era così: implacabile, e crudo. Perché lui era un inquisitore, l’inquisitore, e lei la sua inquisita, e perquisita e requisita.
Troia, le disse.
E lei ebbe un sussulto più grande, la sua anca balzò in aria come pesce che guizzava, e lui capì che la stava finendo, che a breve lei, quella troia che giaceva nel suo letto offrendogli la sua schiena nuda e il suo collo profanato, avrebbe ceduto, e finalmente confessato: sì, sono una troia, ero io quella domenica sulla spiaggia di Kursaal, ero io in quella cabina con quell’uomo peloso, perché è vero, mi hai scoperta, mi hai scoperta col tuo fiuto con la tua logica indiziaria che non dà scampo, ed io ora scampo non ho, io che sono troia, proprio come tu dici. Sì, ero io quella domenica in quella cabina, a fare cose indicibili tra i peli di quell’uomo, quell’uomo dagli slip rosso stinto, quell’uomo dal muso di uccello.
Quella confessione era imminente, lui lo sentiva, e le sue vene pulsavano e il suo cuore si gonfiava e si gonfiava, sì, lui l’aveva scoperta.
Aveva scoperto che era una troia quella che giaceva nel suo letto, aveva scoperto che nel suo letto giaceva una donna meravigliosamente troia.
Lei sentiva il fiato denso di lui farsi vischioso sul suo collo e sulla sua schiena, sentì che era il momento di ricordare tutto, sì, la verità era vicina, era lì a un passo pronta a farsi agguantare, e ingoiare e digerire.
E allora esplose: sì, è vero, ero lì quella domenica, su quella spiaggia, ero io, lì, con il mio due pezzi da troia, con la mia schiena da troia, perché io sono troia, e sono la tua troia.
Il cuore gonfio di lui esplose, e fu un’esplosione deflagrante: una spettacolare demolizione.
Come da copione.   

 
 
 
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