Ustica: la collisione fra un caccia alleato ed il dc9 la causa del disastro occorso il 27 giugno 1980

 

BUONGIORNO! OGGI NEL BLOG una rassegna musicale di canzoni contro la guerra, le dittature e la pulizia etnica; ancora uno sport praticato sul pianeta: gli israeliani quelli più “bravi”, seguiti a ruota dai naziucraini, entrambi avevano imparato dai nazisti  come si fa…gli Usa invece sono stati autodidatti, sterminando oltre 58 milioni di indiani d’america. Ma prima voglio dire la mia parola fine su Ustica: dopo 44 anni e la trasmissione di Gilletti di martedì scorso, unite ad informazioni confidenziali pervenutemi nei mesi e negli anni scorsi, di cui ho potuto ma anche voluto dire poco, personalmente, sono giunto alla conclusione che l’ipotisi più realistica di quanto accaduto, fu la collisione accidentale fra un caccia alleato in assetto di combattimento, ed il DC9 a causare il disastro! Quella sera, in volo vi era un mig libico, (di questo ne ho avuto informazioni certe)  e non due, come accreditato da più fonti, di cui uno con a bordo il colonnello Gheddafi, che si voleva abbattere uccidendo il passeggero. Ma come già scritto, Gheddafi aveva viaggiato su un mig diretto a Belgrado, per poi raggiungere Varsavia, ma almeno 3 giorni prima. Quella sera, in volo vi erano almeno altri tre aerei da caccia, alleati Nato, che avrebbero dovuto eseguire la missione di eliminare Gheddafi; due Mirage francesi, ed un caccia forse americano o addirittura Belga. Il pilota del Mig libico, cercò in tutti modi di evitare di essere abbattuto, come poi avvenne sui monti della Sila; ma uno degli aerei killer, nel cercare di colpirlo, volò talmente vicino al DC9  causandone la caduta per una collisione, e probabilmente precipitando esso stesso. L’unico indizio poco conosciuto (il resto era noto…anche se si è omessi di parlare della lunga serie di morti suicidi o per incidenti o per assassinio, collegati alla tragedia: lo abbiamo fatto noi ieri nel blog.) La novità che andrebbe ad avvallare l’ipotesi della collisione in volo è che sul fondale del mare dove era adagiato il rottame del DC9, a circa 3.500 metri di profondità, quando finalmente l’equipe francese incaricata del recupero dei resti del velivolo,  scese sul fondo per la prima volta, effettua delle riprese; il filmato mostrato nella trasmissione di Gilletti, mostra dei segni regolari sul fondale, di un veicolo, almeno uno, che poteva essere sceso precedentemente…se così fosse, non è vero che il recupero avvenne alla prima ed unica immersione , ma. probabilmente e segretamente si era gìà proceduto alla rimozione di rottami e carcasse molto compromettenti e che niente avevano a che fare con l’aereo civile precipitato! E mi fermo qui. Ora la proposta musicale annunciata: alcuni pezzi, famosi e non che mettono i brividi su cosa è la guerra! La guerra non è mai giusta! Alla faccia del polacco papa, fatto santo che affermò “non sempre le guerre sono ingiuste…”Io sono ateo, ma se fossi stato credente e nei panni di San Pietro, avrei spedito quel papa direttamente all’inferno! A seguire un articolo su come gli USA di genocidio in genocidio si sono poi specializzati in “guerre democratiche”!                        

 

https://youtu.be/PhpSwSBbdxM

usa: gli usa sono una nazione dell’america del nord , specializzata in genocidi; nell’articolo ne parliamo ampiamente. Provate a leggerlo!

DI GENOCIDIO IN GENOCIDIO, GLI USA SONO ARRIVATI AD OGGI! DOPO AVER STERMINATO DEL TUTTO GLI INDIANI DI AMERICA,PER MANTENERSI IN FORMA SI COMPRARONO LE FILIPPINE E STERMINARONO CIRCA TRE MILIONI DI CIVILI!

Buongiorno! Oggi proponiamo integralmente un articolo che “vaga per il web” da oltre due anni, e che ci racconta dettagliatamente il genocidio dei Filippini da parte dei “Buoni” che abitano a Washington. Evidentemente avendo completato lo sterminio dei pellerossa nella patria usurpata ai nativi, per non perdere l’abitudine, gli USA si comprarono per una ventina di milioni di dollari di allora, l’arcipelago filippino dalla Spagna. Ma senza trascurare di abbattere o imporre governi fantoccio in quasi tutta l’America latina. Di questo, in un  articolo precedente, abbiamo proposto un video molto interessante. Mi auguro che vogliate leggere questo articolo fino in fondo…conoscete il proverbio “dimmi da dove vieni…ti dirò chi sei”…Ecco: scoprirete anche che a partire dalla guerra di Corea, questo popolo e questa nazione hanno sempre avuto l’abitudine che persiste ancora oggi, di fomentare guerre “democratiche” per il loro esclusivo interesse! Dal Nicaragua in poi, ogni volta si sono impantanati  in guerre da cui poi sono dovuti fuggire in fretta e furia, lasciando i paesi aggrediti, occupati e devastati, tornandosene via sconfitti o non vincitori! Fu un bene per l’umanità la sonora lezione inflitta loro in Vietnam! Ma anche il recente abbandono dopo 20 anni di guerra ed occupazione dell’Afghanistan, tornato nelle mani dei talebani.  Ma, a quanto sembra, riferendosi alla vicenda ucraina e non solo, il vizio americano è duro a morire!

Nonostante tutta la propaganda in cui si viene immersi ci sono stati episodi storici in cui gli Usa hanno utilizzato metodi brutali tipicamente attribuiti ai nazisti o ai sovietici, contro cui viene aizzata una generale demonizzazione. Ecco quello che non sapete sulla repressione statunitense contro la rivolta delle Filippine, in cui si utilizzarono concentramenti di civili, stermini e perfino l’uccisione di tutti i maschi superiori ai 10 anni di eta’. E’ probabile che la maggior parte della popolazione italiana non sappia nemmeno che e’ esistito questo conflitto cosi’ sanguinario. Strano pensare che pochi decenni dopo gli Usa si sono battuti contro Hitler… Anche la religione cristiana venne utilizzata come pretesto per questo genocidio.

 

Soldati statunitensi a Manila, durante la guerra filippino-americana.

La guerra filippino-americana, nota anche come insurrezione filippina o guerra d’indipendenza filippina, venne combattuta tra il giugno del 1899 e il luglio del 1902 nel territorio delle attuali Filippine. Il conflitto nacque dal desiderio irrealizzato della Prima repubblica filippina (con la constitución de Malolos del gennaio 1899) e del suo presidente Generalissimo Emilio Aguinaldo di vedere riconosciuta l’indipendenza dagli Stati Uniti d’America che si erano sostituiti alla precedente dominazione coloniale della Spagna al termine della guerra ispano-americana occupando militarmente le isole Filippine a seguito del Trattato di Parigi del 1898; in questo senso, la guerra fu una continuazione della lotta filippina per raggiungere l’indipendenza, iniziata già nel 1896 con la “Rivoluzione filippina” contro gli spagnoli.

Il conflitto.
I primi scontri tra truppe statunitensi e rivoluzionari filippini ebbero inizio il 4 febbraio 1899 nei dintorni di Manila, estendendosi ben presto al resto del Paese; il 2 giugno 1899 la Repubblica filippina dichiarò ufficialmente guerra agli Stati Uniti. Il conflitto viene fatto convenzionalmente terminare il 4 luglio 1902, quando il Congresso degli Stati Uniti d’America approvò la costituzione di un’amministrazione civile per le Filippine (“Governo insulare delle isole Filippine”) al posto del precedente governo di occupazione militare; in ogni caso, vari gruppi di veterani della società segreta filippina anti-coloniale Katipunan, fondata da Andrés Bonifacio, portarono avanti la lotta contro le truppe statunitensi, proclamando una “Repubblica di Tagalog” nel 1902 e resistendo fino alla loro sconfitta nel luglio del 1906. Altri gruppi, come i Moro e i Pulahan, continuarono a combattere almeno fino alla loro sconfitta nella battaglia di Bud Bagsak del 15 giugno 1913.

Le conseguenze.
La guerra e l’occupazione militare delle Filippine trovò opposizioni anche negli stessi Stati Uniti, ispirando la formazione della cosiddetta “Lega anti-imperialista americana” il 15 giugno 1898. La guerra e l’occupazione provocarono vaste distruzioni e cambiarono l’entroterra culturale dell’arcipelago, con un numero di vittime stimato tra i 34.000 e un 1.000.000 tra i civili, la secolarizzazione delle istituzioni della Chiesa cattolica nelle Filippine, e l’introduzione della lingua inglese come linguaggio primario nell’istruzione, nel governo e nei commerci. Con il “Philippine Organic Act” del 1902 ai filippini fu dato un autogoverno molto limitato, incluso il diritto di voto per una propria assemblea legislativa, ma non fu prima del “Philippine Autonomy Act” del 1916 che il governo statunitense promise ufficialmente la concessione dell’indipendenza all’arcipelago; nel 1935 fu istituito il Commonwealth delle Filippine, un’amministrazione provvisoria in preparazione della piena indipendenza, e dopo il periodo dell’occupazione giapponese nella seconda guerra mondiale l’arcipelago ottenne la completa autonomia nel 1946.

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

Un dipinto raffigurante la guerra filippino-americana.

Dal 1899 nelle Filippine, durante la guerra filippino-americana, morirono centinaia di migliaia di civili. Causa di tali decessi fu la strategia del riconcentramento e della terra bruciata, per la cui attuazione gli statunitensi poterono confrontarsi con quanto già fecero, nei due anni precedenti, gli spagnoli a Cuba e, dal 1900, gli inglesi in Sud Africa.

Fonte: https://it.wikipedia.org

 

Il generale Jacob H. Smith diede l’ordine di uccidere tutti i maschi al di sopra di dieci anni come rappresaglia per la rivolta degli abitanti di Balangiga.

 

Il presidente degli USA William McKinley si disse “ispirato da Dio” nella decisione di impossessarsi delle Filippine.

 

Il massacro di Balangiga (Filippine).
di Andrea Chiodi

Tra il 1899 ed il 1902 l’ America represse nel sangue il tentativo dei Filippini di difendere la loro, appena conquistata, indipendenza. Nell’ intento di stroncare il movimento indipendentista gli statunitensi adottarono tutte le forme di rappresaglia contro la popolazione: dalla distruzione dei raccolti, alla segregazione in massa della popolazione in campi di concentramento (dove i filippini erano falcidiati da inedia e malattie), alle fucilazioni indiscriminate di civili come atto di mera rappresaglia per i caduti americani. Nel 1902 il presidente della breve repubblica indipendente filippina, Emilio Aguinaldo, catturato con un espediente dagli americani, si vide costretto a proclamare la resa per porre fine al martirio della sua popolazione. Il numero esatto delle vittime civili è naturalmente sconosciuto, ma tutti gli storici sono concordi nel ritenere che debbano essere state tra 250.000 ed 1.000.000. Gruppi armati irriducibili continuarono a combattere fino al 1913.

Il trattato di Parigi del 1898 pose fine alla breve guerra ispano-americana. (Vedi in un articolo di Maurizio Blondet “l’incidente del Maine e la guerra ispano-americana”, nota del curatore del sito). In forza del trattato la Spagna abbandonava l’isola di Cuba (che acquistava una formale indipendenza, ma che, in pratica, diveniva un protettorato degli Stati Uniti); inoltre cedeva Filippine, Guam e Porto Rico agli Stati Uniti in cambio di 20 milioni di dollari. La guerra ispano-americana sanciva così la scomparsa della Spagna dal novero delle grandi potenze ed il prepotente ingresso degli Stati Uniti tra le potenze coloniali e con aspirazioni egemoni. Le aspirazioni “imperialistiche” degli stati Uniti incontravano una certa resistenza interna anche nel mondo politico e culturale americano (una delle figure di spicco della “Lega anti-imperialista Americana” era, ad esempio, Mark Twain), ma il presidente in carica William McKinley dipinse la sua decisione di impossessarsi delle Filippine con un fervore tra il mistico-religioso ed il moralistico, con sapienti accenni alla convenienza economico commerciale dell’ impresa:

When I next realized that the Philippines had dropped into our laps I confess I did not know what to do with them. I sought counsel from all sides—Democrats as well as Republicans—but got little help. I thought first we would take only Manila; then Luzon; then other islands perhaps also. I walked the floor of the White House night after night until midnight; and I am not ashamed to tell you, gentlemen, that I went down on my knees and prayed Almighty God for light and guidance more than one night. And one night late it came to me this way—I don’t know how it was, but it came:
(1) That we could not give them back to Spain—that would be cowardly and dishonorable;
(2) that we could not turn them over to France and Germany—our commercial rivals in the Orient—that would be bad business and discreditable;
(3) that we could not leave them to themselves—they were unfit for self-government—and they would soon have anarchy and misrule over there worse than Spain’s was; and
(4) that there was nothing left for us to do but to take them all, and to educate the Filipinos, and uplift and civilize and Christianize them, and by God’s grace do the very best we could by them, as our fellow-men for whom Christ also died.

(General James Rusling, “Interview with President William McKinley,” The Christian Advocate 22 January 1903)

E’ degno di rilievo che a più di 100 anni di distanza da questo discorso il linguaggio dei presidenti USA non sembra molto diverso: anche quando sono sul punto di invadere un paese straniero gli USA si considerano missionari portatori di valori superiori, obbligati protagonisti di un’ impresa “trascendente”. Poco importa se il compito di “educare i filippini innalzarli, civilizzarli e cristianizzarli era in realtà rivolto ad un popolo che era in gran parte cattolico da tre secoli ed aveva una sua letteratura di notevole spessore (il poeta patriottico José Rizal). Negli ultimi anni del secolo era già attivo nelle Filippine un movimento indipendentista, il “Katipunan” che combatteva gli Spagnoli: fintanto che le Filippine erano in mano alla Spagna gli americani mostrarono di appoggiare gli indipendentisti, ma quando le Filippine finirono nell’orbita americana la musica cambiò drasticamente. Nel maggio del 1898 durante la guerra ispano-americana, gli americani facilitarono il ritorno in patria del giovane leader degli indipendentisti filippini, il giovane generale Emilio Aguinaldo, che era in esilio ad Hong Kong. L’intenzione degli americani era evidentemente di riaccendere la rivolta dei filippini contro gli spagnoli, al fine di indebolire ancora di più la Spagna. Infatti in pochi mesi l’ ìesercito indipendentista filippino liberò praticamente tutto il territorio nazionale, ad esclusione di Manila dove ancora resisteva la guarnigione spagnola, completamente circondata dall’esercito di Aguinaldo.

 

Il leader della indipendenza filippina, generale Emilio Aguinaldo.

Nella campagna i filippini fecero prigionieri 15.000 spagnoli che poi consegnarono agli americani. Sul mare, nel frattempo la flotta americana aveva battuto quella spagnola nella battaglia della Baia di Manila. Il 12 giugno 1898 Aguinaldo dichiarò l’ indipendenza delle Filippine nella città di Cavite El Viejo. In agosto gli spagnoli della guarnigione di Manila si arresero, ma con un accordo segreto con gli americani, pattuirono di arrendersi non ai filippini che li circondavano, bensì proprio agli americani. Poichè sulla terra fino a quel momento non vi era stato nessuno scontro tra spagnoli ed americani, il governatore spagnolo Fermin Jaudenes ed i comandanti americani (il generale Wesley Merrit e l’ ammiraglio George Dewey) organizzarono un finto scontro che permettesse loro di salvare la faccia. Appena s’ impossessarono di Manila gli americani telegrafarono al neopresidente Aguinaldo intimandogli di non entrare in Manila:

“Do not let your troops enter Manila without the permission of the American commander. On this side of the Pasig River you will be under fire” (Agoncillo, Teodoro 1960 (Eighth edition 1990). History of the Filipino People. ISBN 971-1024-15-2).

La dichiarazione d’ indipendenza delle Filippine del 12 giugno non fu dunque riconosciuta da Spagna ed America ed anzi gli americani, nel trattato di Parigi del dicembre del 1898, pretesero la cessione delle Filippine. Nel gennaio 1899 il presidente McKinley emise un proclama che sotto il nome di “Benevolent Assimilation Proclamation” dichiarava chiaramente che le forze americane di occupazione, a seguito del trattato di Parigi, subentravano agli spagnoli nel governo delle Filippine e che quindi:

“In the fulfillment of the rights of sovereignity thus acquired and the responsible obligations of government thus assumed, the actual occupation and administration of the entire group of the Philippine Islands becomes immediately necessary” ( da American Occupation of the Philippines 1898/1912 di James A. Blount)

Nel contempo con malcelata ipocrisia McKinley aggiungeva che le forze americane di occupazione non dovevano essere considerate come invasori o colonizzatori, ma come amici che avevano l’ intenzione di proteggere i nativi, le loro case, i loro affari, i loro diritti personali e religiosi e che gli USA avrebbero esercitato la loro autorità nell’interesse dei governati. Naturalmente ai Filippini che avevano da poco dichiarato la propria indipendenza dopo la lunga, sanguinosa ma (come vedremo) leale guerra di liberazione contro gli Spagnoli le parole del presidente americano (ed i successivi proclami del governatore militare che, ricordiamo, in quel momento aveva il controllo solo della città di Manila) dovettero sembrare inique ed aberranti. Aguinaldo rispose con parole che sembrano avere una validità anche ai nostri giorni:

“My government cannot remain indifferent in view of such a violent and aggressive seizure of a portion of its territory by a nation which has arrogated to itself the title, ‘champion of oppressed nations.’ Thus it is that my government is ready to open hostilities if the American troops attempt to take forcible possession of the Visayan Islands. I announce these rights before the world, in order that the conscience of mankind may pronounce its infallible verdict as to who are the true oppressors of nations and the tormentors of human kind.
“Upon their heads be all the blood which may be shed.”

(Proclama di Aguinaldo del 5 gennaio 1899 da The Philippines: Past and Present (vol. 1 of 2), di Dean C. Worcester)

Nel frattempo i Filippini procedevano nel loro percorso di perfezionamento dell’ identità nazionale: il primo gennaio 1899 Aguinaldo fu dichiarato Presidente delle Filippine, mentre la Constituciòn Politica de la Repùblica Filipina fu votata da un’ Assemblea Costituente il 21 gennaio 1899.

 

I delegati all’ assemblea costituente, al centro Emilio Aguinaldo.

La guerra.
L’ evento che diede materialmente il via alla guerra filippino-americana si verificò il 4 febbraio 1899 lungo il ponte di San Juan, vicino Manila, quando i militari americani spararono su una pattuglia di soldati filippini. La battaglia di Manila che ne seguì fu la prima e più sanguinosa battaglia dell’intera guerra. Gli americani, forti dell’appoggio dell’artiglieria e delle navi, riuscirono a scacciare le truppe filippine dai dintorni di Manila. Alla fine della battaglia tra i filippini si contarono 2.000 perdite tra morti, feriti e catturati. Le truppe americane contarono circa 270 perdite, tra morti e feriti. La guerra si estese a tutte le Filippine. All’inizio gli americani avevano un contingente di 40.000 uomini, ma fu necessario far giungere rinforzi per tenere testa alle forze Filippine. Due anni più tardi le truppe americane nelle Filippine contavano 126.000 uomini: praticamente i due terzi dell’intero esercito americano dell’epoca erano impegnati nella lotta contro i filippini. Dall’altra parte l’esercito regolare filippino contava 80.000 – 100.000 regolari, piu alcune decine di migliaia di ausiliari ed ovviamente godeva dell’appoggio di gran parte della popolazione. La giovane repubblica filippina era impegnata in una doppia impresa: da una parte la lotta contro l’esercito invasore, dall’altra cercare di coagulare tutte le forze del paese: intellettuali, proprietari, contadini per di più frammentati etnicamente e geograficamente, nell’ideale unitario e nella lotta per la difesa della sovranità dello stato. Tutti e due gli obiettivi furono raggiunti per quanto possibile. Lo scopo dei filippini non poteva essere quello di sconfiggere sul campo l’esercito statunitense, bensì, come descrisse il generale filippino Francisco Makabulos, quello di stancare l’ opinione pubblica americana che vedeva crescere il numero delle perdite tra i propri soldati, e quindi sperare nell’elezione di un nuovo presidente al posto di McKinley, che cambiasse politica nei confronti della guerra nelle Filippine. Tuttavia nelle elezioni presidenziali del 1900 McKinley uscì nuovamente vincitore. Per tutto l’anno 1989 l’esercito filippino contrastò sul campo aperto in battaglie condotte in maniera convenzionale la maggiore potenza di fuoco dell’esercito americano. Il valore e la determinazione dei nativi non riuscì ad impedire che gli americani conseguissero alcuni successi sul campo. Nella battaglia del Tirad Pass il Brigadier General Gregorio Del Pilar resistette con 60 uomini fino al sacrificio per proteggere la ritirata del presidente Aguinaldo, che rischiava di essere catturato dagli americani. Non solo i filippini ricordano con commozione il sacrificio di Gregorio Del Pilar , ma anche gli americani furono colpiti dall’eroica morte del “ragazzo generale”, e scrittori americani contemporanei paragonarono lo scontro del Tirad Pass alle Termopili.

 

Gregorio Del Pilar, “il ragazzo generale” a 24 anni con il suo sacrificio a difesa del Passo Tirad permise al presidente Aguinaldo di sfuggire all’accerchiamento da parte dell’ esercito americano.

Tuttavia la perdita sui campi di battaglia di Del Pilar e di altri generali indebolì la capacità dell’esercito filippino di combattere una guerra convenzionale. Si aprì così una nuova fase: i Filippini rinunciarono a confrontarsi con le loro truppe schierate in campo aperto ed adottarono metodi da guerriglia con rapide imboscate ed azioni da “attacco e fuga”. La nuova tattica creò iniziali forti difficoltà agli americani che furono maggiormante determinati nelle loro azioni di rappresaglia contro la popolazione civile. In America l’ opinione pubblica veniva lentamente a conoscere le atrocità che le truppe americane commettevano contro civili e militari filippini. Infatti varie lettere di soldati al fronte o parti di esse furono pubblicate e divulgate dalle associazioni antiimperialistiche, che negli USA criticavano l’intervento nelle Filippine. Le descrizioni dei soldati erano così eloquenti e disastrose per l’immagine degli USA e della guerra che il Dipartimento della Guerra (ed il generale Elwell Stephen Otis, che aveva preso il posto di Merritt come governatore militare delle Filippine) fecero pressione perchè gli autori scrivessero delle ritrattazioni del contenuto delle lettere. Il soldato Charles Brenner del Kansas Regiment resistette alle pressioni, e confermò che i superiori davano l’ordine di non fare prigionieri: come conseguenza rischiò la corte marziale, alla fine Otis rinunciò a porre sotto processo il soldato per timore che la cosa avrebbe suscitato uno scalpore ancora maggiore. Per contrastare la cattiva immagine che l’ occupazione americana aveva presso la stampa, il generale Otis iniziò una campagna volta a conquistare con favori la benevolenza della stampa ed al tempo stesso ad accusare i Filippini di torturare i prigionieri americani e di commettere atrocità. Da parte americana si giunse ad accusare i Filippini di mutilare i propri morti, uccidere donne e bambini per poi far ricadere la colpa sui soldati americani. Verso la fine del 1899 Emilio Aguinaldo, per confutare le illazioni americane, suggerì che testimoni neutrali (giornalisti stranieri o rappresentanti della Croce Rossa) sorvegliassero le operazioni militari. Otis rifiutò, ma Aguinaldo riuscì a far giungere nelle Filippine quattro reporter, due inglesi, un canadese ed un giapponese. I quattro giornalisti, tornati a Manila, dichiararono che i prigionieri americani in mano ai Filippini erano trattati più come ospiti che come prigionieri(“treated more like guests than prisoners”), che erano nutriti con quanto di meglio offrisse il paese, e che veniva fatta ogni cosa per assicurare il loro benessere. I quattro reporter furono immediatamente espulsi dagli americani non appena le loro storie furono pubblicate. Emilio Aguinaldo rilasciò alcuni americani perchè essi potessero raccontare le loro storie. In un articolo sul Boston Globe dal titolo “With the Goo Goo’s”, Paul Spillane descrisse il trattamento equo cui, da prigioniero, fu sottoposto. Spillane raccontò anche come Aguinaldo avesse invitato i prigionieri americani al battesimo del figlio, e come avesse regalato ad ognuno di loro quattro dollari. L’ufficiale di marina J. C. Gilmore, la cui liberazione avvenne durante l’inseguimento di Aguinaldo tra le montagne ad opera della cavalleria americana, insistè che aveva ricevuto un trattamento di riguardo, e come non avesse dovuto patire la fame più di quanto fosse toccato ai suoi stessi carcerieri. Otis rispose a questi due articoli ordinando l’ arresto dei due autori, e che fossero indagati per slealtà. Quando F. A. Blake della Croce Rossa Internazionale arrivò nelle Filippine su richiesta di Aguinaldo, Otis lo tenne confinato in Manila dove lo staff del generale americano gli illustrava con zelo tutte le supposte violazioni da parte filippina del modo classico di fare la guerra. Blake provò a sottrarsi alla sua scorta per andare a vedere di persona cosa accadeva sul campo. Blake non riuscì mai a passare le linee americane, ma anche così riuscì comunque a vedere villaggi bruciati e corpi di filippini orrendamente mutilati con ventri aperti e teste mozzate (“horribly mutilated bodies, with stomachs slit open and occasionally decapitated”). Blake aspettò di essere tornato a San Francisco per stilare il suo resoconto: “American soldiers are determined to kill every Filipino in sight.” Aguinaldo fu poi catturato dagli americani solo grazie ad un complicato inganno messo a segno il 23 marzo 1901, in Palanan, Isabela Province. L’inganno fu ordito dal brigadiere generale Frederick Funston. Degli scouts filippini (Macabebe) che fiancheggiavano gli americani si fecero credere dei rinforzi che erano diretti verso l’accampamento di Aguinaldo. I Macabebe collaborazionisti avevano con sè anche un piccolo gruppo di americani che fingevano di essere prigionieri. Colte di sorpresa, le guardie di Aguinaldo furono facilmente sopraffatte dopo un breve scontro. Aguinaldo fu arrestato dal generale Funston ed imprigionato a Manila. Alcuni mesi dopo Aguinaldo si convinse che era inutile proseguire la lotta e con un proclama invitò i suoi a deporre le armi. Ma buona parte dei generali e delle truppe Filippine continuò la lotta nonostante il proclama del presidente.

Balangiga.
L’episodio di Balangiga ebbe luogo il 28 settembre 1901 nella città di Balangiga, nell’ isola di Samar. Per i Filippini l’ attacco è considerato uno degli episodi più valorosi della guerra, per gli americani una sconfitta che fu descritta la peggiore dalla battaglia di Little Big Horn del 1876. La successiva rappresaglia degli americani causò migliaia (decine di migliaia?) di vittime civili. Balangiga era una dei principali centri dell’isola di Samar; all’interno dell’isola trovavano rifugio le forze filippine del brigadiere generale Vincent Lukban, un irriducibile che continuava a combattere anche dopo la cattura del presidente Aguinaldo. Per aver ragione della resistenza dei Filippini, gli americani decisero di occupare i porti lungo la costa per impedire che rifornimenti giungessero alle truppe di Lukban. Un contingente di 78 militari americani occupò Balangiga un grosso villaggio di circa quattrocento piccole case. Il generale Lukban si ritirò a difesa verso l’interno dando istruzione agli abitanti di non opporre per il momento alcuna resistenza. Le relazioni tra il contingente americano e la popolazione furono piuttosto tese: gli americani, ispirati da ideali puritani, diedero ordine che le donne non indossassero il sarong. Ottanta uomini abili furono obbligati forzatamente a lavorare per gli americani, e furono anche costretti per giorni in detenzione. Inoltre gli abitanti temevano che gli americani avrebbero presto requisito tutte le vettovaglie serbate per l’approssimarsi della cattiva stagione. Il 28 settembre, guidati dal capo della polizia Valeriano Abanador, i nativi fecero la loro mossa. Non disponendo di armi poichè non avevano più reali contatti con la resistenza asserragliata all’interno dell’isola, approfittarono del momento del pranzo in cui vi erano solo poche sentinelle armate. Circa 200 cittadini armati di machete si slanciarono contemporaneamente contro gli americani. La maggior parte degli americani fu sopraffatta, altri, guadagnate le armi, riuscirono a tenere indietro gli assalitori ed a fuggire verso le barche. Nell’attacco perirono 48 americani e 25 nativi (alcune fonti riportano erroneamente che i caduti filippini furono 200, ma questa cifra invece era riferita al numero degli attaccanti). Gli abitanti catturarono anche 100 fucili e 25.000 pallottole, una merce importante per le truppe della resistenza, che fin dall’inizio avevano sempre sofferto della mancanza di armi moderne e di munizioni. Ancora oggi quando si parla del “massacro di Balangiga” gli americani si riferiscono alla morte dei loro 48 soldati, ma il vero massacro doveva ancora avvenire. Il giorno dopo lo scontro gli americani sbarcarono a Balangiga, ma trovarono il villaggio deserto. La rappresaglia (retaliation) coinvolse praticamente tutti gli abitanti dell’isola di Samar. Il generale Smith istruì il maggiore Littleton Waller, ufficiale comandante a capo dei marines incaricati di ripulire l’isola di Samar, sui metodi che voleva fossero adottati:

“Non voglio prigionieri, voglio che uccidiate e bruciate; più ucciderete e brucerete e più mi farete contento. Voglio che siano uccise tutte le persone che sono capaci di portare armi…” (“I want no prisoners. I wish you to kill and burn, the more you kill and burn the better it will please me. I want all persons killed who are capable of bearing arms.”) e poichè il maggiore Littleton Waller chiedeva quale fosse il limite di età al di sopra del quale un filippino dovesse essere considerato capace di usare armi, il generale rispose: “Dieci anni”.

“Ten years,” Smith said.
“Persons of ten years and older are those designated as being capable of bearing arms?”
“Yes.” Smith confirmed his instructions a second time.

Benevolent Assimilation: The American Conquest of the Philippines, 1899-1903, Stuart Creighton Miller, (Yale University Press, 1982). p. 220

Ciò che seguì fu una completa e generalizzata strage di civili filippini. Le tattiche adottate furono poche e semplici. fu tagliata ogni possibilità di contatti e di scanbi (e quindi rifornimenti di viveri) tra l’isola ed il resto delle Filippine, le truppe penetrarono nell’interno distruggendo case, sparando alla gente, requisendo gli animali. Dopo aver ricevuto gli ordini verbalmente dal generale Smith, il maggiore Waller emise ordini scritti ai suoi uomini istruendoli su cosa dovessero distruggere e cosa sequestare e così via. Verso la fine del suo ordine, egli scrisse: “We have also to avenge our late comrades in North China, the murdered men of the Ninth U.S. Infantry.” ciò ovviamente aggiunse ancora più rabbia ed odio nelle azioni dei soldati. I cinesi (era l’epoca della rivolta dei Boxer) ed i filippini erano, a quanto pare, della stessa natura: non c’erano differenza tra gli “asiatici” (Victor Nebrida, Philippine History Group of Los Angeles (1997): The Balangiga Massacre: Getting Even). Verso la fine di marzo 1902 le notizie dei massacri compiuti dagli americani (non solo a Balangiga, ma in varie parti delle Filippine) cominciarono a circolare negli USA. L’opinione pubblica americana fu colpita dai resoconti che giungevano dalle Filippine. Furono istituiti dei processi per indagare sulle azioni commesse, dapprima fu indagato il maggiore Waller. Nel processo contro Waller fu chiamato come testimone il generale Smith, che inizialmente negò di aver dato verbalmente ordini speciali al maggiore, ma che fu confutato da altri ufficiali che confermarono che il generale aveva dato ordine di non fare prigionieri e di considerare nemici tutti i Filippini maschi al di sopra di dieci anni.

Il tribunale con decisione non unanime decise di prosciogliere il maggiore Waller. Durante il processo i giornali americani inclusi quelli di Philadelphia, città natale del maggiore, soprannominarono Waller the “Butcher of Samar”. In maggio fu la volta del generale Smith a rispondere alla corte marziale. Ma Smith non fu inputato di omicidio o crimini di guerra bensì per “conduct to the prejudice of good order and military discipline”La corte marziale trovò Smith colpevole e la sentenza fu che fosse ammonito: “to be admonished by the reviewing authority.” (nota del curatore del sito: Confrontare l’ esito di questo processo con gli esiti dei processi a John Chivington “the butcher of Sand Creek”, al sergente Horace T. West per l’omicidio di 37 italiani, al Tenente William Calley per MyLai, tutti descritti in questo sito ) Per evitare possibili ulteriori ripercussioni nell’ opinione pubblica, il “Secretary of War” Elihu Root (il cui comportamento durante tutta la guerra non è certo scevro da critiche) raccomandò che Smith fosse forzato a dimettersi. Il presidente Theodore Roosevelt accettò questa raccomandazione e forzò Smith a ritirarsi dal servizio senza ulteriori punizioni.

La statua del capitano della polizia Valeriano Abanador, che guidò la rivolta degli abitanti di Balangiga, occupa oggi il posto centrale nella piazza del Municipio del paese. Il presidente Emilio Aguinaldo ebbe una lunghissima vita, che gli diede anche delle soddisfazioni. Nel 1942 quando i giapponesi invasero le Filippine e scacciarono momentaneamente gli americani, Aguinaldo con discorsi ed interventi alla radio, sposò la causa giapponese. Al ritorno degli americani fu da questi nuovamente imprigionato con l’accusa di collaborazionismo, e fu detenuto per molti mesi nella prigione di Bilibid. Ma il 4 luglio 1946 gli Stati Uniti concessero la piena sovranità e indipendenza alle Filippine. Aguinaldo fu liberato. Nel 1962 quando gli Stati Uniti rigettarono le richieste dei Filippini di indennizzo per i danni causati dalle forze americane nella II Guerra Mondiale, il presidente Diosdado Macapagal spostò la celebrazione dell’ indipendenza delle filippine dal 4 luglio al 12 giugno, la data in cui nel 1898 Aguinaldo aveva dichiarato l’indipendenza della prima repubblica Filippina. Aguinaldo novantatreenne guidò le celebrazioni per l’indipendenza, sventolando la stessa bandiera che egli aveva innalzato il giorno dell’indipendenza 64 anni prima. Aguinaldo morì nel 1964, la bandiera delle Filippine è quella da lui disegnata. Ma c’ è ancora qualcosa da dire: Nel 1904 gli americani avevano requisito le campane della chiesa di Balangiga, che furono spedite negli Stati Uniti perchè fossero mostrate come trofeo di guerra. Le campane sono ancora oggi esposte nella base dell’USAF di F. E. Warren a Cheyenne nel Wyoming. Il governo delle Filippine ha ripetutamente richiesto il ritorno delle campane in patria ma fino ad oggi, nonostante le petizioni popolari e le richieste ufficiali, le campane sono ancora nel Wyoming. Al contrario quali sono i sentimenti tra filippini e spagnoli riguardo il periodo dell’insurrezione e della lotta d’indipendenza che li vide combattere su fronti opposti? A Baler, nell’isola di Luzon, c’è un monumento eretto non dagli spagnoli, ma dai filippini. Il monumento ricorda l’eroica resistenza di 50 soldati spagnoli che, asserragliati nella chiesa di Baler, resistettero per un anno (dal 28 giugno 1898 al 2 giugno 1899) all’assedio delle truppe filippine. Il comandante spagnolo, Saturnino Martin Cerezo, non sapeva e non volle credere che la guerra tra filippini e spagnoli era finita da mesi, e che i nativi ora non combattevano più gli spagnoli, ma un nemico nuovo, più potente e forse più brutale. Finalmente nel maggio 1899 giunse in delegazione un ufficiale spagnolo per comunicare a Cerezo che la guerra era finita. Anche così il comandante spagnolo non voleva inizialmente credere alle parole del compatriota, che non conosceva, fino a quando non gli furono mostrati giornali spagnoli che riportavano notizie che certamente i filippini non potevano conoscere. Quando gli spagnoli finalmente si arresero, il presidente Aguinaldo li onorò come eroi emanando il 30 giugno un decreto che inneggiava al valore dei 36 soldati spagnoli sopravvissuti, e fornendoli di documenti per un pronto ritorno in patria. Fu un immediato e primo gesto di riconciliazione tra le due nazioni. La regina di Spagna rispose insignendo il presidente Aguinaldo, ex nemico, di un’alta onorificenza per la sua condotta da avversario leale nella guerra d’insurrezione, e per il comportamento nei confronti dei prigionieri spagnoli.

Fonte ed approfondimenti: http://www.nonsolobush.it

 

Il 5 maggio 1902 sul New York Journal fu pubblicata questa vignetta, con un plotone di esecuzione che passa per le armi dei ragazini filippini, e con un avvoltoio al posto dell’aquila simbolo degli Stati Uniti. Il commento riportava: “Criminals because they were born ten years before we took the Philippines”.

 


 

Ulteriori precisazioni su Ustica e l’articolo di oggi: Kissinger soleva dire “essere nemici degli USA è pericoloso…ma esserne amici è deleterio”! Ma i testicoli europei, ed italiani in particolare non hanno capito un C….zzo del messaggio!

Dal pianeta terra buongiorno 26 giugno 2024; Prima di passare all’articolo di oggi, esprimiamo alcune considerazioni sulla diretta di ieri sera di Massimo Giletti, sui rai 3, che  aveva  preannunciato nuovi documenti scottanti sulle “verità nascoste”in merito alla tragedia di Ustica, di cui domani ricorre il 44 essimo anniversario. Bene; anche in questo blog abbiamo riproposto, con l’aggiunta di nuovi elementi, per la terza volta, un articolo pubblicato precedentemente. Nessun ipotesi od accenno allo “strano” incidente occorso a Ramsten il 26 agosto 1988, in cui una tragica collusione fra due aerei in esibizione (parliamo delle frecce tricolori)  che costò la vita a tre piloti della pattuglia, perché vi fu un terzo aereo coinvolto. Ma a Noi interessano i due piloti : Ivo Nutarelli e Mario Naldini, che furono gli stessi che si alzarono in volo , mai spiegato dalle autorità militari, quella sera, nelle stesse ore del volo diretto ad Ustica, dall’aeroporto militare di Grosseto; la stessa traccia aerea, come illustrata nella trasmissione di Giletti, mostrava uno strano cambiamento di rotta improvvisa del DC) Itavia diretto a Palermo; ma dalle conversazioni registrate, il comandante dell’aereo negò questo cambiamento, confermando di essere sulla rotta giusta. Probabilmente ed in assenza di indizi , si può ipotizzare che la traccia aerea si riferiva agli aerei militari italiani alzati in volo e mai spiegato il perché…mi limito ancora una volta, a segnalare il link degli articoli di giornali anche importanti, che parlano della vicenda e di alcune testimonianze che raccontano di come i due piloti, al rientro erano sconvolti da un “qualcosa” visto lassù! Ricordiamo che nei giorni seguenti i due piloti sarebbero comparsi per deposizioni da rendere al giudice che si occupava in quel momento dell’indagine su Ustica. il link che riproponiamo per chi vorrebbe leggere o rileggere gli articoli  in riferimento a quegli eventi é questo a seguire:                                                                                                                            28 agosto 1988 – Ramstein: la teoria del sabotaggio – Storia delle Frecce Tricolori                                                                      Ma molte furono le morti ed i suicidi strani : “RAI NEWS” 2 SETTEMBRE 2023 ”   

“C’è un intero capitolo della vicenda del Dc9 Itavia che desta ancor più preoccupazione e alimenta il senso di “mistero” che da sempre aleggia sulla tragedia dell’aereo caduto a Ustica: una concatenazione di morti “sospette”, di suicidi “strani” (eventi, a rigor di logica, normalissimi e verosimili, ma sui quali avanzare qualche dubbio è al tempo stesso quantomeno legittimo).

 

I suicidi di Dettori e Parisi

Partiamo dai suicidi: il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio la sera del 27 giugno 1980 presso il radar di Poggio Ballone (Grosseto), aveva visto passare il velivolo sul tracciato. Fu trovato impiccato, in modo “innaturale” – come sottolinearono gli inquirenti –, il 31 marzo 1987. In base a quello che poi raccontò la vedova, Dettori dopo la sera del disastro “cambiò completamente”, era preoccupato e in preda a “manie di persecuzione”, “rovistava in casa alla ricerca di microspie” e si lasciò sfuggire, testuali parole, “Sono molto scosso… Qui è successo un casino… Qui vanno tutti in galera!”. Il maresciallo si era confidato anche con la cognata e con un suo superiore, il capitano Cicarella, ribadendo i suoi sospetti e le sue paure.

Anche il maresciallo Franco Parisi fu trovato morto, impiccato, il 21 dicembre 1985. Pochi giorni prima aveva ricevuto un invito a comparire da parte del Tribunale per fornire utili elementi d’indagine. Parisi era in turno la mattina del 18 luglio 1980, quando fu ritrovato sulle montagne della Sila il Mig libico.

Su queste due morti sospette, il giudice Rosario Priore, titolare dell’inchiesta, ha sottolineato tra le altre cose che “entrambi” erano in servizio “con funzioni delicatissime, rispettivamente la sera e la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio”. Il giudice Priore scrisse che, “venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano, anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati”. Quindi, per il titolare dell’inchiesta, non potendo provare che si sia trattato di omicidi veri e propri, quelle morti – se di suicidi si trattò veramente – “furono determinati da stati psichici di profonde prostrazioni connesse con gli eventi”.

Ma di suicidio sospetto si deve parlare anche in relazione alla morte del maggiore medico Gian Paolo Totaro, trovato impiccato il 2 novembre 1994. Totaro era in contatto con diversi militari coinvolti direttamente o indirettamente con la vicenda di Ustica, in primis con Mario Naldini e Ivo Nutarelli.

 

L’incidente di Ramstein

Mario Naldini e Ivo Nutarelli erano due piloti dell’Aeronautica, in servizio presso la base di Grosseto e in volo la sera del 27 giugno 1980. Lanciarono l’allarme di emergenza generale. La loro testimonianza, prevista dall’inchiesta di Priore, avrebbe quindi fornito utili elementi per far luce su quello che accadde nei cieli del Tirreno la sera del disastro. Oltretutto, i due piloti – che viaggiavano insieme su un F-104 Lockheed – avrebbero potuto offrire un’utile testimonianza in relazione alle dichiarazioni del loro allievo e collega, Algo Giannelli, in volo la sera del 27 giugno su un altro F-104 e apparso, a detta di Priore, “sempre terrorizzato”. Nutarelli e Naldini restarono vittime di un tragico incidente nella base aerea militare di Ramstein, in Germania, scontrandosi in volo a bordo dei rispettivi velivoli.

 

Incidenti (molti stradali) e omicidi

In un altro incidente aereo, scompare il tenente colonnello Sandro Marcucci: è il 2 febbraio 1992. Ex pilota dell’Aeronautica, morì a bordo del velivolo su cui viaggiava “per un errore”, come scritto inizialmente nella perizia che archiviava il caso. Salvo poi prospettare l’ipotesi di omicidio, come avanzò il pm di Massa che riaprì il fascicolo, nel 2013.

Il colonnello Pierangelo Tedoldi (morto il 3 agosto ’80, stava per assumere il comando della base di Grosseto); il sindaco di Grosseto Giovanni Battista Finetti (morto il 23 gennaio 1983, era in possesso – secondo i retroscena – di importanti conoscenze sui fatti in questione); i marescialli Ugo Zammarelli (morto il 12 agosto 1988, in servizio presso il Sios di Cagliari) e Antonio Pagliara (deceduto il 2 febbraio ’92, controllore della Difesa aerea a Otranto). Tutti quanti furono vittime di incidenti stradali, per lo più risultati eventi “casuali”.

Il maresciallo Antonio Muzio (1° febbraio 1991) e il generale Roberto Boemio (12 gennaio 1993) furono vittime di omicidi: il primo era in servizio presso la torre di controllo dell’aeroporto di Lamezia Terme; il secondo aveva già reso importanti dichiarazioni su quanto era di sua conoscenza in merito alla tragedia.

Giuliano Amato, l'ex premier tornato oggi sulla vicenda di UsticaAnsa
Giuliano Amato, l’ex premier tornato oggi sulla vicenda di Ustica

settembre 2000 vanno a processo quattro generali dell’Aeronautica, accusati di “concorso in alto tradimento mediante attentato continuato contro gli organi costituzionali”, in relazione ai depistaggi delle indagini: sette anni e tre gradi di giudizio dopo, i generali saranno tutti assolti e le altre posizioni prescritte.

Nel 2008 i familiari delle vittime citano in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti per le “omissioni e negligenze” che avrebbero ostacolato la ricostruzione giudiziaria dei fatti.

Lo stesso anno, l’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio, in diverse dichiarazioni a organi di stampa afferma che “Giuliano Amato, allora sottosegretario, mi disse che erano stati i francesi ad abbattere l’aereo di Ustica”: i due verranno sentiti dalla Procura di Roma, che deciderà di riaprire l’inchiesta. Non è chiaro cosa abbia spinto Cossiga a cambiare versione, dopo anni passati a parlare di “cedimento strutturale” e “normale incidente aereo”.

Due anni dopo sarà ancora più specifico, intervistato dagli autori del film-inchiesta Sopra e sotto il tavolo, e parlerà esplicitamente di “un aereo francese” che “si era messo sotto il Dc9, per non essere intercettato dal radar” di un “aereo libico che stava trasportando Gheddafi”, l’uomo che detenne in potere in Libia dal 1969 al 2011, “a un certo punto lancia un missile per sbaglio, volendo colpire l’aereo del presidente libico”.

Il 12 settembre 2011 termina il processo civile contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti, con la condanna, confermata negli anni successivi dalla Cassazione, a risarcire oltre 100 milioni ai parenti delle vittime. Nelle motivazioni, i giudici accreditano con fermezza la ricostruzione per cui quella sera sopra il Tirreno ci fosse un’azione di guerra, che coinvolgeva tre diversi veicoli militari: “Tutti gli elementi considerati – scrive la giudice, Paola Proto Pisani – consentono di ritenere provato che l’incidente si sia verificato a causa di un intercettamento, realizzato da parte di due caccia, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9, al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto, oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il Dc9”.

Il relitto dell'aereo Dc9 della compagnia aerea italiana Itavia, precipitato vicino all'isola di Ustica il 27 giugno 1980

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Inoltre, come da noi scritto nell’articolo di avant’ieri e che ribadiamo, saimo al corrente della consuetudine che aerei da guerra Libici, usavano un corridoio aereo italiano, per andare a fare manutenzione a Belgrado; Giletti parla di un solo volo testimoniato (per modo di dire) di un aereo libico militare andato a Venezia per essere revisionato ed altro. Ribadiamo infine, che: (Riporto integralmente quanto scritto avantieri) 

“Quella notte, Francia ed Usa erano gli architetti e gli esecutori del piano che prevedeva l’eliminazione di Muammar Muhammad Abu Minyar al-Gaddafi , che si sarebbe dovuto recare,segretamente prima a Belgrado e poi a Varsavia per una riunione dei paesi non allineati. Ma i Libici, che avevano ottimi rapporti con politici e servizi italiani, in virtù di un accordo di cui tirava le fila Andreotti, furono segretamente avvertiti, e quella notte, nei cieli viaggiò un solo mig Libico con il solo pilota a bordo;  quando aerei franco americani, levatisi in volo da almeno una portaaerei che stazionava e pattugliava il Mediterraneo, nel tentativo di abbattere il mig che secondo informazioni trasportava il dittatore libico, il quale si era nascosto dietro l’aereo civile abbattuto, per errore colpirono il volo passeggeri diretto a Palermo, causandone la tragedia. L’aereo libico, fu inseguito ed in seguito colpito ed abbattuto nei cieli della Calabria, andando a cadere sui monti della Sila. Molti furono i testimoni che assistettero ad un inseguimento, ed alla caduta poi di quell’aereo. Subito le autorità italiane intervennero pr impedire ai curiosi di verificare l’accaduto…e fecero poi uscire la seguente verità: un aereo libico , in volo e disarmato, in seguito ad una avaria, e fuori rotta, cadde da solo. L’evento si fece risalire ad un paio di settimane dopo Ustica, ma il corpo del pilota libico, ed i fori di proiettili sulla carlinga del mig raccontavano un altra storia…una storia compatibile con la tragedia Ustica. Un altro elemento da tener presente è che i Libici, in virtù dell’accordo con le autorità italiane, avevano una spece di lascia passare per un determinato corridoio nei cieli italiani, per recarsi spesso per manutenzioni a Belgrado, dove appresi ed ebbi delle conferme di quanto si diceva all’epoca: “l’Italia aveva gli Usa come moglie e la Libia come amante” …Amici Serbi ad un certo livello, mi confidarono che era routine che mig libici arrivavano a Belgrado per sottoporsi a revisioni e manutenzioni; e che il dittatore libico, precedentemente avvertito, aveva fatto scalo a Belgrado, proseguendo poi per Varsavia almeno tre giorni prima come dire: le ciambelle americane finiscono sembre in disastro!”.  Bene: vi lascio ora al breve articolo di oggi…di Ustica ritorneremo presto a parlarne con nuove notizie di cui siamo in atttesa.                                                                                                                                                                                                                                                                     

Kissinger soleva dire “essere nemici degli USA è pericoloso…ma esserne amici è deleterio”! Ma i testicoli europei, ed italiani in particolare non hanno capito un C….zzo del messaggio!

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Ancora su Ustica: il collegamento della morte dei piloti italiani facenti parte della pattuglia acrobatica italiana: collisione in volo; 59 vittime ed oltre 350 feriti

Le frecce tricolori in volo; anche il tragico incidente occorso 26 agosto 1988 a Ramstein che causè la morte di tre piloti italiani e decine di spettattori, per un totale di 59 decessi ed oltre 350 feriti, fu collegato alla vicenda di Ustica. Quel fatitico 27 giugno 1980, due piloti:  Ivo Nutarelli e Mario Naldini, si alzarono in volo per una missione rimasta segreta. giorni dopo il disastro aereo in Germania, i due piloti deceduti sarebbero dovuti comparire davanti ai giudici per deporre su quel volo effettuato il 27 giugno 1980; Ma la morte di entrambi, in seguito all’incidente occorso in Germania, 8 anni dopo non rese possibile ascoltarli. Ora io non voglio addentrarmi in ipotesi di alcuna natura…mi limito a pubblicare articoli successivi alla tracedia delle frecce tricolori ed aggiungendo di mio solo questo: quando vi sono loro di mezzo (gli americani), che si sono fatti distruggere la flotta dai giapponesi alle Hawaii, per poter entrare in guerra, nella seconda mondiale; che decine di anni dopo si sono autodemolite le torri gemmelle, dove perirono qualche migliaio di americani, per dare vita alle famose “guerre democratiche” così come alle Hawaii…una sessantina di morti in germania, per eliminare testimoni forse scomodi ci possono anche stare! Ecco gli articoli in merito alla tragedia tedesca. leggibili cliccando sul seguente link                                                                                                                                                                                                                                                 28 agosto 1988 – Ramstein: la teoria del sabotaggio – Storia delle Frecce Tricolori        frecce-tricolori-60-anni-pan-pattuglia-acrobatica-nazionale-aeronautica-militare-37