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ANGOSCIANTE

Post n°1071 pubblicato il 19 Gennaio 2011 da amazzoneperforza

Malati? Solo agli occhi dei dottori. Viaggio nei reparti psichiatrici.

Mercoledí 19.01.2011 13:00
Dieci giorni di extra-ordinaria follia, a cui ho assistito all'interno di un reparto ospedaliero di Psichiatria. Raccolgo notizie e dati, da cui ricavo che i “malati” ragionano, i medici urlano e prescrivono ad ognuno almeno 4 pastiglie al dì, farmaci che inducono in uno stato di pericolosa dipendenza, così al terzo giorno di terapie l'effetto si vede: ogni “malato” è disorientato e sbaglia camera, ma non urla né piange, tante salme dormienti che non disturbano...

In un altro ospedale la Psichiatria è mista. Uomini e donne nello stesso spazio, forse per legge appena ristrutturato con file di lucine colorate, spie dei vari impianti accese giorno e notte. Chi c'è entrato associa l'immagine alla pista di un aeroporto. In un altro reparto ancora, i medici si riuniscono in una stanza da cui vedono attraverso un vetro antisfondamento l'interno di una camera. Dalla camera si vede la stanza dove gli psichiatri decidono - mentre sanno di essere visti - il nome del paziente da dimettere, che viene scritto su una lavagna. Nella camera con vista sugli psichiatri i “malati” si accalcano contro la vetrata per scrutare le espressioni di chi ha in mano i loro giorni. L'edificio è circondato da una cancellata. La cancellata è protetta da una recinzione. Alla sommità della recinzione c'è una rete che chiude lo spazio verso il cielo, agganciata con cavi alla facciata. La rete impedisce che qualcuno scappi arrampicandosi sugli alberi. Dev'essere un postaccio, se prevedete che esseri umani tramortiti da psicofarmaci diventino scimmioni così disperati da lanciarsi dall'alto della cancellata rischiando l'osso del collo. Siamo in una regione governata dalla sinistra.

Entrare in un reparto psichiatrico è più facile di quel che s'immagini. Ho ricevuto informazioni e verificato. Età tra i 30 e 60 anni. Le “malate” più anziane vengono tutte dimesse prima delle altre nello stato evidente in cui sono state ricoverate. Classe sociale: bassa. Solitudine tra familiari distratti, o anagrafica dopo la morte dei genitori. Anni di cure. Perché ritornano? La terapia non stava approdando a nulla. Qualche parente, non troppo paziente, alza il telefono e sollecita un nuovo ricovero per un depresso, noioso, molto noioso.

Imparo che una una volta che una persona è stata “malato” psichiatrico - non necessariamente psicotico, problemi alimentari o depressione bastano – per qualunque motivo cerchi cure al pronto soccorso dal computer salta fuori il nome associato alla Psichiatria ed il “malato” sarà ricoverato lì. Succede anche a D. Stava acquistando una ricarica telefonica, le sue gambe hanno ceduto. Sola. Il tabaccaio ha chiamato l'ambulanza. D. avverte i volontari della pubblica assistenza di aver assunto un farmaco che, tra gli effetti collaterali, provoca il tremore. I militi si occupano di trasporto, le rispondono che lo dirà al medico dell'ospedale. Al pronto soccorso nessuno le crede e si prende la responsabilità di tenerla in osservazione. Chiedono se c'è posto nel reparto donne della Psichiatria. Funziona così. Rifletto sul pregiudizio che il “malato” psichiatrico deve subire la coercizione a vita.

Uno psichiatra conferma: “Ha ragione, esiste lo stigma della Psichiatria”. Ragiono: se i medici lo sanno, lo chiamano “stigma” - e gli psichiatri dovrebbero usare sempre parole appropriate -, perché si compiacciono di un marchio che nell'antichità s'imprimeva sulla fronte ai delinquenti o agli schiavi? Il significato, che non sfugge ad uno che di lavoro fa lo psichiatra, è spregiativo. Un segno distintivo, caratteristico. Se lo sapete... perché non far progredire la vostra intelligenza al fine di cancellare lo “stigma”?

Quando il “malato” viene trasportato alle ore 23 la psichiatra E.T., reperibile a casa, entra in reparto lamentandosi a voce alta di essere dovuta venire per convalidare un ricovero. E' intuitivo che persone insicure e fragili restino turbate nella notte dalle urla di un medico. Di fatto la convalida significa firmare moduli, lo specialista se ne va prima che la “malata” sia fisicamente in reparto. Il sabato mattina è peggio: pochi i medici di turno, tutti gli infermieri litigano tra loro: la sigla PDR diventa ossessiva, si deduce che c'entrano i turni di lavoro e la prenotazione della vacanza a Sharm di una collega. Dopo quattro ore la prenotazione si fa, e chissenefrega della reperibilità. Tutto il reparto è stato costretto ad ascoltare e non esulta. La “malata” I. osserva: Qui non si danno pensiero di parlare a voce bassa sapendo che ci sono persone che non stanno bene in salute. Quid pro quo, dottore?

Chi è sano sta al di qua o al di là dei vetri antisfondamento? Qui siamo in uno Stato con le frontiere chiuse come porte e finestre, dove tutto il potere è nella mente dei medici. Tra le “malate” non ci sono criminali. Forse tentano di esserlo, immaginano di esserlo. Nessuna è nata criminale, è stata resa “malata” da anni di sistematiche violenze psicologiche o fisiche, o entrambe. Ascolto le loro storie nei rari momenti, poco prima della manciata di farmaci, in cui nel corpo resta forza per parlare. Dentro sono morte. Il loro problema è che hanno bisogno di trarre più divertimento dalla vita.

Malati? Solo agli occhi dei dottori. Viaggio nei reparti psichiatrici.

Mercoledí 19.01.2011 13:00

Se cerchi il dialogo, gli specialisti di Qui lo sfrutteranno dicendo che tu hai perso la sanità mentale. La “malata” B. m'illumina: i medici Qui vogliono vedere che sei sottomessa. B. è arrivata di notte con lo “stigma”. Dal giorno della morte della sorella, sua madre ripete che vuole morire. B. è diventata bulimica ed anoressica. Da dieci anni è in cura nello studio di una psichiatra che lavora Qui. B. non voleva venire in ospedale, i vigili urbani l'hanno gettata di peso a spintoni nel reparto di Psichiatria con un TSO, sigla del terribile “Trattamento sanitario obbligatorio”. Trascorre una notte nella camera chiusa a chiave dall'esterno, all'indomani il TSO di B. viene trasformato dai medici in “ricovero volontario”.

franco basaglia
Lo psichiatra Franco Basaglia.
A lui si deve la legge del '78
che sancì la chiusura dei manicomi

Nella mente degli psichiatri “ricovero volontario” ha un significato contorto. Il “malato” ragiona: ho firmato per entrare, dovrei poter firmare per farmi dimettere. Gli psichiatri rispondono: no, tu hai firmato affidandoti a noi, quindi lo decidiamo noi quando puoi andartene. E decidono: non sei ancora pronta. L'oppressione psicologica provoca regressione infantile. Bisogna chiedere qualsiasi cosa, come bambine insicure. Più spesso è un mendicare. Le domande vanno ripetute, ricordate. Medici ed infermiere hanno altri pensieri.

B. è stoica nel dimostrare alle infermiere la repressione di ogni sentimento. Giorno e notte la compagna di stanza, T. anziana diabetica, ripete senza sosta la litanìa datemi-un-pezzo-di-pane-un-poco-di-latte-per-favore. Malgrado i sonniferi in corpo nessuna “malata” riesce a dormire. B. ha fretta di tornare dal fidanzato, un antico amore che a scuola non era corrisposto. Oggi si sono ritrovati e per lui B. ha cominciato a cucinare, è contenta di essere ingrassata. Rifletto che la forza dell'amore ha curato cervello ed anima più del decennio di terapie psichiatriche.

B. sfoglia per ore tre cataloghi di viaggi che le ho passato, nemmeno uno spontaneo uffa mentre T. dal letto accanto prosegue datemi-un-pezzo-di-pane-un-poco-di-latte-per-favore. All'alba, nel verbale del turno notturno del personale viene scritta la lode dell'assenza di reazione, come B. aveva previsto. La stessa mattina insieme salutiamo uno psichiatra che passa oltre. Io penso che siamo trasparenti. B. mi corregge: lo psichiatra è un gran maleducato poiché è la quarta volta che B. lo saluta e mai ha risposto. Con la sottomissione, nel pomeriggio, B. ottiene la dimissione. Ammiro la lucidità di B.

Appena gira la voce che le autorità vengono a vedere l'ospedale chi ha il ruolo di caposala si premura di ridipingere con un piccolo pennello i nomi sbiaditi dei munifici donatori dei denari della palazzina, scolpiti sulla targa esterna. Qui non si vedrà nessuno. La stampa riporta il commento della delegazione parlamentare: “Più posti letto”. In reparto ci sono dieci posti letto – numero fissato dalla legge per il bacino territoriale – addossati in camere con pareti sottilissime oltrepassate dal rumore di una sedia spostata. Sicuri che il benessere dei malati sia l'aumento dei posti letto?

Gli psichiatri non sanno che cos'è il dolore. Una violenza sessuale subita dopo due aperitivi nel corpo smagrito viene liquidata da una psichiatra come “una breve storia con un quarantenne”, la collega accanto tace. Eppure alla nascita sono state registrate femmine. Lo stesso giorno la locandina del quotidiano locale strilla “UCCISA DAL CONVIVENTE”. Rifletto: alle psichiatre dovrebbe essere noto l'impegno di due donne famose che hanno fondato l'Associazione Doppia Difesa, l'avvocato ed onorevole Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker, contro molestie ed abusi sessuali. Penso che il personale sentimento trasmesso da una psichiatra ad una “malata” isolata dal mondo in un reparto di Psichiatria possa distorcere il senso della realtà.

Chiedo un chiarimento. Quella che taceva continua a mostrarsi indifferente, chi ha sentenziato inveisce. Nessuno ha il monopolio della verità. Insisto che mi si spieghi qual è la logica che la psichiatra vuole trasmettere ad una “malata”. La psichiatra urla più forte, la paziente annichilisce. “NON E' UN GIUDIZIO, E' QUELLO CHE AVREBBE DETTO UN GIUDICE”. E giù coi giudizi sui giornalisti che fanno un uso improprio del virgolettato.

Riascolto la registrazione e trascrivo tra virgolette le parole della psichiatra nell'ordine in cui le ha pronunciate. Il comando vocale riproduce il tono alterato, il rumore dei pugni sul tavolo, il cantilenante ripetere NON-E'-UN-GIUDIZIO-NON-E'-UN-GIUDIZIO-NON-LO-E'-CHIARO? Ricorda la litanìa della “malata” diabetica, che però aveva una voce più calma. La registrazione è chiara. Il senso logico no.

Malati? Solo agli occhi dei dottori. Viaggio nei reparti psichiatrici.
Mercoledí 19.01.2011 13:00

Non ho un'adeguata preparazione in materia. Me la farò uscendo da Qui. Al cinema “malate” e psichiatri hanno una vitalità che nella realtà manca. All'inizio pensavo che le “malate” restassero a letto perché non esiste altro modo per trascorrere le giornate. Scordatevi i momenti di ricreazione in “Ragazze interrotte”, con Angelina Jolie e Winona Ryder. Efficace una battuta: “Certo che, portarci a prender il gelato con un metro di neve, viene da dubitare chi sia il vero suonato qui”.

Impossibili le partite a carte, il Monopoli, le gite in pullman di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Assolutamente vere la forzata consegna delle sigarette in Infermeria, dove saranno razionate, ed il sottofondo sonoro, misto di urla e di una base musicale – nel film un disco in vinile, Qui un canale radiofonico a caso con musica rock e gingles pubblicitari -, che a Jack Nicholson, premio Oscar per l'interpretazione, fa dire: “Io non riesco nemmeno a pensare con tutto questo casino”. Chi fuma lo fa in modo compulsivo. Tira un terzo di sigaretta, la spegne e ne accende un'altra. Questo ambiente alimenta la paura.

Il tempo scorre solo agli orari delle terapie, 7.30-14-21.30, distribuite in Infermeria. Le “malate” mi ringraziano quando parlo coi medici di quel che non pare giusto a me, e neppure a loro, che dicono di avere gli stessi pensieri ma non la forza di esprimerli. I discorsi s'interrompono dopo una o due frasi. Ho provato su di me l'effetto dei farmaci e so descriverlo. Gli psichiatri sono sicuri che soffro di disturbo bipolare, che è una conseguenza di due genitori anafettivi. Dovrei avere violenti sbalzi di umore, che nessuno tra familiari e parenti mi riconosce. Agli specialisti di Qui non importa ciò che hanno da riferire, chiudono l'argomento con “non sono medici”. I medici psichiatri mi riferiscono che tre famosi personaggi “malati” - un attore, un politico, un giornalista - hanno ricevuto per tutta la vita la terapia di litio. Saranno i miei amici al telefono a domandarsi se è davvero necessario: è un farmaco che comporta uso prolungato nel tempo e richiede costanti esami del sangue poiché può essere molto tossico.

Quei “malati” sono davvero famosi, considero che tanto bene sono mai stati. Non mi piace la violazione della loro privacy, anche fosse avvenuta nelle confidenze tra medici in occasione di qualche convegno. Lo scrittore Thomas Harris, autore della saga sullo psichiatra e psicopatico Hannibal Lecter, coglie genialmente il tratto caratteriale rigido di questi specialisti. “Il silenzio degli innocenti”, in cui Jodie Foster interpreta il ruolo dell'agente di polizia Clarice, pone allo psichiatra l'interrogativo: “La sua analisi è chiara. Ma è abbastanza forte da rivolgere su se stesso questa potente intuizione? Che ne dice, perché non si guarda dentro e scrive quello che vede. O devo pensare che le fa paura?”

Il primo farmaco che ho ricevuto al mattino ha rallentato i miei riflessi al punto che mi manca il fiato per emettere suoni, la lingua si arrotola in gola. Con tanta buona volontà mi sono trascinata in Infermeria. Nessuno ha chiamato un medico. A fine pomeriggio non sono in grado di tenere il busto eretto. Supplico che facciano qualcosa. La dottoressa I. L. prescrive una flebo. Solo domandando ricevo l'informazione su che cosa mi stanno iniettando in vena: un antidoto al farmaco precedente. Sto male, ma lei sparisce. Mi dò coraggio concentrando l'attenzione sul flacone appeso, quando 150 ml del contenuto sono nel mio sangue la lingua inizia a distendersi sotto il palato. Ho atteso una giornata affinché fosse possibile.

In dieci giorni gli psichiatri pretendono che il mio cervello funzioni cambiando sette farmaci diversi. Dubito che sia razionale procedere nevroticamente per tentativi. Sul sito info@terzocentro.it - il Terzo Centro di Psicoterapia è stato fondato nel 1996 da un gruppo di psicoterapeuti, tra i quali Antonio Semerari, psichiatra e psicoterapeuta, past president della sezione italiana di Society for Psychotherapy Research - si legge: “La terapia con litio richiede particolari attenzioni dal momento che questo farmaco è potenzialmente molto tossico; innanzitutto prima di iniziare un trattamento è necessario eseguire esami che valutino la funzionalità renale e tiroidea, un elettrocardiogramma con una visita cardiologia, un emocromo con dosaggio degli elettroliti plasmatici.” Il trattamento è iniziato prima degli esami. Voi Qui non sapete che cosa state facendo.

 

Malati? Solo agli occhi dei dottori. Viaggio nei reparti psichiatrici.
 
Mercoledí 19.01.2011 13:00
In America tra coloro che accusano “Psichiatria: una falsa scienza” c'è Thomas Szasz M.D. Professor of Psychiatry Emeritus Health Science Center New York, che ha fondato con il sociologo Erving Goffman ed il professore di Diritto George Alexander American Association for the Abolition for Involuntary Mental Hospitalization e Citizens Commission of Human Rights (di cui esiste l'omologo in Italia Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani www.ccdu.org/). Sul sito del Professor Szasz si legge: “Tutti sono i benvenuti nel partecipare alla lotta per la libertà individuale e l'autodeterminazione personale, specialmente quando questi valori sono minacciati dalle idee e dalle macchinazioni della psichiatria.”

YouTube ha rilanciato un suo discorso: “Quando ti dicono che tuo figlio è malato e deve prendere farmaci come fai a sapere che è solo una bugia? Come puoi renderti conto che quel che gli esperti chiamano disturbo da deficit dell'attenzione ed iperattività non è una malattia? Ora, una madre non è una esperta della storia della Psichiatria. Non sa che gli psichiatri hanno usato per centinaia di anni termini diagnostici cosiddetti tali per stigmatizzare e controllare la gente. Vi faccio alcuni drammatici esempi...(...) Quando studiavo medicina, sessant'anni fa, esistevano poche malattie mentali. Penso che fossero più o meno 6 o 7. Ora ce ne sono più di 300 e di “nuove” - tra virgolette - ne vengono “scoperte” ogni giorno. Dire che un bambino è mentalmente malato è una stigmatizzazione, non è una diagnosi. Dare ad un bambino uno psicofarmaco è avvelenarlo, non curarlo. Le malattie sono disfunzioni del corpo umano, del cuore, del fegato, dei reni, del cervello, e così via. La febbre da tifo è una malattia. Tutti lo sanno, non ci sono domande. L'innamorarsi, “febbre d'amore”, non è una malattia. L'impegno assunto nel combattere la coercizione psichiatrica è importante...”

 

 

Chiaro il ragionamento di Ty Colbert Ph. D. Clinical Psychologist: “Possiamo trovare un farmaco per ogni diverso sintomo da quello che pensiamo dovrebbe essere normale.”

 

 

E parla un linguaggio globale Fred Baughman Jr. M.D. Pediatric Neurologist: “Spendiamo milioni, miliardi sulle terapie fraudolente della psichiatria.”

Sto entrando nel tunnel della tossico-dipendenza senza volerlo, io che neppure fumo. Il mio organismo mi chiede di ribellarmi. Già il Primario accenna la prospettiva di un periodo di convalescenza in una struttura sanitaria con la formula “noi di solito consigliamo...”. Lascio il reparto. Chiamo il Primario per completare questo resoconto. Al telefono il Primario psichiatra esprime alla “malata” le proprie pulsioni. Che, a me, paiono violente. Urla: “Spregevole”, “Scorretta”, “Fuori di testa”. Epiteti che ripete e ripete senza lasciarmi dire due parole di fila. Gli psichiatri di Qui sono cantilenanti. Questa è la “normalità? Chiude la linea senza pormi una domanda che a me, che non sono un medico, viene istintiva: “Come sta?”. Volevo registrare un'intervista. La mia amica ascolta in silenzio il nastro, al termine scandisce “paz-ze-sco”. Riflessione: lo psichiatra è un medico che convince al telefono la “malata” che “è fuori di testa”, chiudendo la linea la lascia confusa ed umiliata col rischio che si butti dalla finestra?

Intuisco che mi servirà del tempo per dimenticare. Però ho imparato moltissimo. In dieci giorni sono invecchiata dieci anni. Ripenso alle “malate” e vorrei poter esser utile a loro. Sofia Coppola ha scritto e diretto “Il giardino delle vergini suicide” basato su una storia vera del 1974. Dopo i suicidi di cinque bellissime sorelle, segregate in casa dalla madre assurdamente concentrata su se stessa, la voce fuori campo ricorda: “Quelle che si trascinavano dietro non erano vite”.

Benedetta Glori


Il testo è stato raccolto su fatti e persone vere. Per rispetto della Privacy, le iniziali dei protagonisti ed alcuni tratti biografici sono stati modificati al fine di non renderli riconoscibili.

 

 
 
 
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