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BILUNABA

Tra la luna e le stelle un'ombra di terra...io.

 

 

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FERRRRATE. ATTO SECONDO.

Post n°82 pubblicato il 26 Marzo 2012 da bibastella.b

FERRRRATE. ATTO SECONDO:

26/03/2012

ROCCA BIANCA DI CAPRIE.

Negli ultimi giorni aspettavo impaziente un’assolata e limpida giornata per cimentarmi nella mia seconda ferrata così giovedì scorso mi sono preparata tutto l’Ambaradan, come chiamo io il necessario equipaggiamento, e zaino in spalla, sono partita sola soletta per riunirmi alla nuda roccia!

Qualche persona a cui ho detto cosa mi accingevo a fare  mi ha ammonita  dicendo che ero un po’ folle ad andarci sola ma io, intrepida, ho seguito la mia strada convinta di essermi informata adeguatamente sulla difficoltà della mia impresa e forte del fatto che, due cari ed esperti amici (tra cui Spider Man in persona), mi avessero riferito che la Rocca Bianca di Caprie era più semplice rispetto all’Orrido di Foresto che io non avevo avuto difficoltà ad affrontare.

Naturalmente, essendo una persona responsabile, ho anche verificato su siti specializzati e tutto coincideva: la ferrata di Caprie è classificata più facile di quella di Foresto, evviva!!!

Oggi giovedì 22 marzo è il gran giorno.

Lasciata la macchina e raggiunta la partenza incontro una coppia intenta ad iniziare la salita. Lui, il classico Uomo da montagna, sui sessant’anni, abbronzantissimo e con uno zaino che non si sa perché è sempre un terzo di quello che hai a spalle tu!

Dopo un cenno di saluto, e accertandosi che fossi sola, l’uomo dei monti, annuendo col capo mi dice: “Brava, brava, è una bella cosa che tu sia quassù e da sola..”.  Io prendo l’affermazione come un’ulteriore significativa coincidenza della mia vita e sorrido sentendomi rassicurata che se una terza persona non si è stupita vedendomi là da sola la difficoltà non può essere esorbitante.

La coppia parte e sparisce nel nulla (e questo dovrebbe far riflettere sull’idea di “difficoltà” dell’uomo dei monti); io mi preparo con attenzione: infilo l’imbragatura, la stringo quanto basta in vita ( cavolo.. com’è che la mia vita si sta allargando? Allungando sarebbe meglio forse… uhm) e sulle cosce, poi controllo di aver ben collegato il kit da ferrata ed infine verifico che vi siano ancora attaccati i moschettoni, sia mai che il mio gatto Tao colto da un raptus notturno e da dispettite acuta non mi abbia “zampomesso” qualcosa …

Infilo il caschetto e mi metto in spalle il fantastico zaino violetto regalatomi a natale dalle mie frugolette ed in tinta con l’animamia, ed eccomi, emozionata e prontissima!!!

Oh noooooooooo…. E i guanti?

Sono in fondo allo zaino naturalmente, dove altro potrebbero essere?

Ma il mio è un serissimo e tecnico zaino e voilà: lo apro da sotto ed estraggo, come per magia, i miei fantastici guanti.

Qui inizia una divagazione. Puoi andare oltre ma io la Devo ai miei guanti. Vedi tu.

Già… i guanti.. non sono veri guanti da ferrata i miei e neppure quelli da ciclista consigliati negli appositi siti internet; non ho avuto tempo e voglia e così, come suggerito dal mio eroico amico Spider Man ho acquistato  al supermercato un paio di guanti da lavoro: ho fissato per venti minuti tutti i vari modelli esposti perché, pur avendo immediatamente adocchiato quelli più adatti, non volevo cedere a comprare dei guanti che oltre ad aver stampata sopra la scritta golf , poco congrua alla mia avventura, avevano attaccata anche una targhetta con scritto “in morbida pelle di puro fiore di maialino”. Io, vegetariana convinta, molto tendente al vegano nella vita di tutti i giorni come potevo comprarli? Dopo quasi mezzora di titubanza, e non avendo trovato nulla di altrettanto sicuro e adatto allo scopo ho sospirato, chiesto scusa al maialino, e li ho agguantati.

Dov’ero rimasta?

Ah, sì ecco, infilo i guanti, mi attorciglio addosso la mia inseparabile macchina fotografica e dopo un sospirone inizio a fare Lara Croft.

Durante il primo tratto mi godo la salita facendo attenzione ma riuscendo anche a scattare qualche foto.

Incontro già qualche difficoltà che dovrebbe farmi preoccupare circa il seguito ma sono così felice del contatto con la pietra che proseguo imperterrita senza immaginare che rimarrò anche un po’ impietrita più avanti ahahhaha

Finita la prima parte mi riposo 10 minuti e sorseggio la meritata acqua, faccio anche qualche scatto al cartello che avvisa della difficoltà del successivo percorso sottolineando diversi punti strapiombanti che richiedono passaggi atletici. Rileggo il cartello con un piccolo alone dubbioso ma subito dopo sorrido ricordando ciò che mi era stato detto dagli amici e pensando che chi l’ha scritto ha sicuramente esagerato!

Ricomincio l’ascesa e dopo aver superato tre Nodi ( mi piace chiamarli così ma credo che i ferratisti li chiamino chiodi) mi complimento con me stessa per l’agilità avuta in questo primo “pezzo difficile“ e mi soffermo adagiandomi comodamente sulla parete in posizione sicura. Decido di fare ancora una foto finché ho la possibilità di farlo e prevedendo che più su sarebbe stato più difficoltoso. Prendo la macchina lentamente ed evitando bruschi movimenti inquadro verso il basso da dove sono partita, tanto per rendere l’idea del tragitto e dell’altezza e..

 

Oh nooooooooooooooooo!!

Che ci fanno laggiù i miei guanti? Lo sapevo che non dovevo comprare proprio loro.

Sono il mio incubo, ho pensato, senza sapere che l’incubo mi aspettava più oltre.

Eh, ma io vivo l’attimo, attimo per attimo affronto tutto.

Durante la pausa ai piedi della partenza per il tratto “difficile” li avevo levati per sentire l’aria tra le dita e l’agilità nel percorrere quei primi nodi era proprio dovuta al fatto di averlo fatto a mani nude sentendo la presa più sicura!

O p.t. ed ora come c. faccio? Bippppp pppppppp p.

Attimo dopo attimo.

Passo dopo passo.

Respiro.

Respiro un’altra volta che è meglio.

Già!

Ma a quel punto che fare?

Proseguire rischiando di ferirmi nei punti dove il cavo poteva presentare danneggiamenti compromettendo precludendomi così di continuare? O trasgredire alla regola segnalata più volte per cui è vietato percorrere la ferrata in discesa?

Due lunghissimi minuti di riflessione e poi la decisione più saggia: sono scesa con estrema attenzione, ho richiesto scusa al maialino e via!

Dopo la prima parete, e resami conto della reale difficoltà archivio nello zaino la macchina foto e osservata la successiva placca (mi pare si chiami così) cerco il pulsante per chiamare l’ascensore ma visto che non arriva bacio la calda roccia ed immagino di averla già superata senza avere la minima idea di come fare data l’inesistenza di appigli o incastri per i piedi. Qualche minuto dopo sono dove avevo immaginato e, dopo un sospiro (manco l’uomo più bello del mondo mi farebbe fare così tanti sospiri!), qualche respiro approfondito e consapevole e un sorso d’acqua, proseguo con grande fatica.

In alcuni punti ci sono  degli incastri ed allora studio il percorso dal basso come si trattasse di una partita a scacchi in cui devi prevedere le successive mosse; in altri segmenti devo appendermi al cavo facendo contrapposizione coi piedi e avanzando come Spider Man.

E’ difficile ed in qualche occasione la difficoltà è grande come ad esempio quando davanti una parete praticamente quasi liscia dove oltre ad arrampicarmi ho dovuto deviare ad un certo punto di 90° (…n.c.) a sinistra: ecco, quel passaggio l’ho studiato a lungo ma non trovando una soluzione pratica ho visualizzato di farcela e basta, e così è stato; come ho fatto non lo so manco ora.

Un paio di volte mi sono anche appiattita sulla roccia per riposarmi e sentirne l’energia, fiduciosa anche di assorbirne un po’ dato il mio affaticamento.

La pietra calda, forte, accogliente mi ha aiutata a ricordarmi il motivo per cui mi trovavo lì. Non era una sfida, a me non interessano le sfide, non era neppure desiderio di estremo per sentire l’adrenalina che molti rincorrono, a me non interessa, era Amore per la natura, per la solitudine e per la roccia, e in quel luogo ero fusa con tutto ciò se pur con un cavo d’acciaio e dei moschettoni di mezzo.

Arrivata ai piedi della parete dove, qualche metro più in alto, parte il ponte tibetano (ho avuto il dubbio fossero cavi dell’Enel ma era l’unica cosa nelle vicinanze somigliante ad un ponte), c’è una simpatica targhetta che avvisa della possibilità di evitare il ponte aggirandolo proseguendo su un percorso alternativo ma pur sempre attrezzato.  Dopo essermi interrogata sulla presenza di tale alternativa e senza una esauriente risposta, riprendo senza altre esitazioni la mia scalata entusiasta in prospettiva di rilassarmi un po’ durante l’attraversamento del ponticello. Sospiro più del solito dato che la presenza del ponte è testimonianza dell’avvicinarsi del gran finale.

 

Il mio amico Spider Man mi ha avvisata!

Sapevo che i cavi cui attaccarsi erano un po’ alti.

Al momento di agganciarmi constato che, rispetto all’Orrido di Foresto dove le corde arrivavano poco sopra i gomiti, lì mi arrivano ad altezza collo. E vabbè, mi dico. Mi sentirò un po’ più instabile e magari avanzando i cavi risulteranno ancora un pochino più alti ma arriverò dall’altra parte.

Inizia l’incubo, quello vero!

A due terzi della lunghezza percorsi ammirando piacevolmente il paesaggio e lo strapiombo mi rendo conto che il moschettone di destra tira e la mia corda destra è tesa quasi totalmente. Mancando poco al termine mi sollevo sugli avampiedi (saranno pur serviti tutti gli anni di danza classica che ho fatto mi sono detta per incoraggiarmi..) e proseguo ma quel maledetto cavo destro è sempre più lontano ed io sempre più stanca per la posizione in punta di piedi e le braccia tese in alto al limite delle mie possibilità.

 

Mi fermo.

Sento l’estrema fatica crescere anche da ferma; mi rendo conto di dover decidere in fretta e decido di portare  anche la mia mano destra sul cavo di sinistra, ricordando una foto in cui il mio amico Spider Man è in quella posizione, e avanzo lateralmente come un granchio.

Due metri dopo mi accorgo però di un piccolo allucinante particolare… oltre alla mia manina santa avrei dovuto trasferire anche il moschettone destro sul cavo sinistro: non avendolo fatto, io avanzavo e lui tirava sempre di più verso su,

p.t.p.p.p.t.

Cerco di pensare in fretta, penso ad una soluzione pur sentendo davvero di essere tanto stanca fisicamente.  Tento più volte di sporgermi ma non riesco a sganciare il moschettone che ormai trasformerei volentieri in vespasiano; le forze iniziano a traballare, chiudo gli occhi e respiro profondamente. Mi torna alla mente il mio tatuaggio, brividi, lo osservo un attimo, richiudo gli occhi e penso ad uno dei principi che rappresenta: “il mondo è ciò che tu pensi che sia”.

Richiudo gli occhi, arriva la soluzione.

Indietreggio a metà ponte dove il gancio è più accessibile e finalmente riesco a trasferirlo, a quel punto iniziano a tremarmi i muscoli dei polpacci e i piedi li seguono.

Il tremolio diventa incontrollabile così richiudo di nuovo gli occhi senza mai entrare in panico.

Respiro profondamente tre volte, immagino il tatuaggio, cerco e ritrovo il mio centro, rilasso le tensioni muscolari inutili e mantengo le necessarie (grazie Remo!), mi assicuro di sentire la fiducia in me stessa e nell’Universo, riapro gli occhi e avanzo.

AUMAKUA KIA MANAWA

Non tremo più: arrivo alla fine e dico qualche sana sconcezza, beh a dire il vero più di qualche.. ma ci stavano tutte.

Mi riposo dieci minuti , bevo e ribevo.

L’ultimo pezzo se pur in verticale è stata una vera passeggiata e qui mi torna in mente una canzone di Battiato:”Niente è come sembra!”

All’arrivo mi è parso di metter piede sulla Luna e credo che, in tal caso, la soddisfazione e l’appagamento non sarebbero stati  maggiori!

 

The Stone monkey-Woman ;-)

 
 
 
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