Creato da: rivedelfiume il 26/06/2006
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Greetings from Italy, 2006 b.C.

Post n°20 pubblicato il 24 Agosto 2006 da rivedelfiume
 
Foto di rivedelfiume

Non è sufficiente possedere una buona mente. L'importante è saperla usare nel modo giusto.

 


Nulla è più equamente distribuito del buonsenso: nessuno pensa che gliene occorra una quantità maggiore di quella che possiede.

(Renè Descartes, latinizzato in Cartesio: e siamo nel 1630, circa...quattro secoli prima che io vedessi su un lungomare italiano di una spiaggia per famiglie questa fuoristrada da guerra del Golfo, tanto 'mmericana, nera e con la vetrofania di Mussolini  su un finestrino. Immaginatevi la faccia del proprietario ).

 
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1914 Montevideo. Dalmira

Post n°19 pubblicato il 19 Agosto 2006 da rivedelfiume
 

En mis sueños de amor ¡yo soy serpiente!
gliso y undulo como una corriente;
dos píldoras de insomnio y de hipnotismo
son mis ojos; la punta del encanto
es mi lengua… ¡y atraigo como el llanto!
soy un pomo de abismo.
Mi cuerpo es una cinta de delicia,
glisa y ondula como una caricia….
Y en mis sueños de odio ¡soy serpiente!
mi lengua es una venenosa fuente;
mi testa es la luzbélica diadema,
haz de la muerte, en un fatal soslayo
con mis pupilas; y mi cuerpo en gema
¡es la vaina del rayo!
Si así sueño mi carne, así es mi mente:
un cuerpo largo, largo, de serpiente,
vibrando eterna, ¡voluptuosamente!

In questa camera d'affitto gli diede appuntamento l'uomo che era stato suo marito; e volendo averla, volendo tenersela, lui la amo', la uccise e si uccise.
I giornali uruguayani pubblicano la foto del corpo che giace vicino al letto, Delmira abbattuta da due colpi di revolver, nuda come le sue poesie, le calze calate, tutta svestita di rosso:  "Andiamo oltre nella notte, andiamo..."
Delmira Augustini scriveva in trance.
Aveva cantato le febbri dell'amore senza peccati nascosti, ed era stata condannata da coloro che castigano nelle donne cio' che applaudono negli uomini, perche' la castita' e' un dovere femminile e il desiderio, come la ragione, un privilegio maschile. In Uruguay le leggi camminano davanti alla gente, che seguita a separare l'anima dal corpo come se fossero la Bella e la Bestia.
Sul cadavere di Delmira si spargono lacrime e frasi a proposito di una cosi' grave perdita delle lettere nazionali, ma in fondo gli afflitti tirano un respiro di sollievo: la morta e' morta, e meglio cosi'.
Ma e' morta?
Non saranno ombra della sua voce ed eco del suo corpo tutti gli amanti che arderanno nelle notti del mondo? Non le faranno un posticino nelle notti del mondo perche' la sua bocca liberata possa cantare e possano danzare i suoi piedi splendenti?

(Eduardo Galeano - "Memoria del fuoco" - Sansoni ed.)

 
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La pubblica moralità...

Post n°18 pubblicato il 16 Agosto 2006 da rivedelfiume
 

Spesso ho fatto riferimento, parlando di canzoni, alla censura Rai. I riferimenti e le occasioni non sono mancate, perlomeno fino a quando la radio e la tv di stato erano in condizioni di monopolio. Siamo tra il 1960 ed il 1976: esisteva, allora, una commissione di controllo sui programmi, e quindi anche sulle canzoni da trasmettere. Ufficialmente si chiamava "commissione di ascolto preventivo”  e di controllo sui testi, che dovevano essere adatti al pubblico della radio, che poteva essere composto da chiunque, anche da bambini (di solito è sempre questo l'argomento a supporto dei moralisti, basti pensare alle crociate del MOIGE contro le trasmissioni televisive, per cui un film pieno di poesia come “Parla con Lei” di Almodovar sarebbe da rogo, mentre le varie “Vacanze” godono di un plaudente silenzio).
Ovviamente, nell’Italia clerico-bigotta dei primi anni 60, la prima vittima erano le canzoni che avevano a che fare con la sfera sessuale.
La commissione teneva sotto osservazione anche canzoni che parlavano di politica in modo non conforme alla linea ufficiale (ma in realtà, per non sbagliare, in qualsiasi modo), o che potevano lasciar immaginare di parlare in modo non rispettoso della patria, della religione,  della chiesa di Stato, del presidente della repubblica e delle altre alte cariche dello stato, della magistratura, della polizia e dell'ordine costituito in generale.
Tecnicamente parlando, sui dischi veniva proprio attaccato per l'uso interno in RAI un bollino  "Non trasmettere" , "Non idoneo" oppure "Scartato"  a seconda dei casi. Ho raccolto un po’ di informazioni e casi emblematici.
Eccone alcuni tra i più conosciuti.

Il primo della lista non poteva che essere Fabrizio De Andrè. I suoi dischi sembravano fatti apposta per incappare nelle maglie della commissione. Il sesso (Via del Campo, Bocca di rosa), gli sberleffi all'ordine costituito (Il gorilla), l'antimilitarismo (La Guerra di Piero), la storia riscritta e sbeffeggiata (Carlo Martello), i temi "sgradevoli" per i “benpensanti” (Cantico dei drogati,La Ballata del Michè). Persino il classico tra i classici di De Andrè, La Canzone di Marinella, era oscurata perché parlava in modo troppo chiaro del rapporto tra Marinella e il Re senza corona e senza scorta e di come fremeva la pelle di Marinella tra le sue braccia…..
Ma De Andrè era allora un autore “di nicchia”, non aveva 45 giri nella Hit parade: i problemi nascevano con gli autori da classifica.
In primis Mr. Volare, Domenico Modugno. La sua “Resta cu' mme”  diceva in origine: "nun me 'mporta d'o passato / nun me 'mporta 'e chi t'ha avuto / resta cu 'mme, cu'mme".
Maledetta libertina!
[La commissione impose la modifica in: "nun me 'mporta se 'o passato / sulo lacrime m'ha dato / resta cu 'mme, cu'mme"].

I Nomadi. Benché amatissimi, tra i più amati dai ragazzi italiani, forti delle canzoni scritte su misura da un altro “scomodo” come Francesco Guccini (a sua volta censuratissimo per la sua “In morte di S.F.”, nella nascente Italia del boom nessuno poteva dire impunemente che in autostrada si poteva anche morire, oltre che correre liberi e felici pestando l’acceleratore al massimo), furono censurati ovviamente per “Dio è morto” –scandalizzare col nichilismo la gioventu’ italiana presessantottina non era per nulla perbene: infatti erano fortunati i romani che la potevano ascoltare liberamente sulle frequenze della Radio Vaticana… "Dio è morto, nei bordi delle strade, nelle auto prese a rate, nei miti dell'estate". A nulla servirono le proteste dell'autore, che si prodigava a spiegare che si trattava di un testo ripreso da una poesia di Ginsberg - ; e per “Ho difeso il mio amore”, cover di “Nights in white satin” dei Moody Blues, che raccontava nientemeno che un uxoricidio. 
Popolarissimo è Herbert Pagani per una canzoncina estiva falsamente banale (Cin cin con gli occhiali), quando viene bandito: si scopre che ha adattato in italiano “Les amants d'un jour” (Albergo a ore), una canzone interpretata anni prima da Edith Piaf, che raccontava di amore e morte dal punto di vista di un barista/cameriere di un albergo a ore, quindi su uno sfondo lontano dai tipici scenari delle canzoni d'amore. Il realismo, il luogo peccaminoso, l'amore esplicitamente non platonico, il rapporto extra matrimoniale, il paragone tra San Pietro e il portiere dell'albergo a ore, il suicidio finale, tutto era assolutamente “scandaloso”.

Lucio Battisti. Ebbene si, pure lui…. E nessuno ha mai capito il perché. Il pezzo è “Dio mio no”: non puo’ essere per la citazione illustre nell’invocazione (c'era il precedente della canzone Dio come ti amo, con la quale Gigliola Cinquetti e Domenico Modugno avevano vinto un Sanremo). Forse la commissione era sconvolta dalla più che positiva conclusione della serata?

Un altro Lucio: Dalla. “4 marzo 1943”: la sua vera data di nascita, una canzone non autobiografica, una grande poesia su un periodo di storia italiana. La molla scatta su questa frase:"e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino". Un tratto di pennarello : "e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino". Successo sanremese, e considerazioni dell’epoca come le racconta Dalla stesso in concerto: “Mi fecero notare che la gente del porto non era necessariamente brutta gente, e un prete scrisse a un giornale per notare che anche lui giocava a carte e beveva vino, e non gli risultava di fare peccato”.
 
Pooh. Pure loro, roba da non crederci, oggi. Eppure, “Brennero '66”, che parlava del terrorismo altoatesino, raccontando la morte di un fedele servitore dello Stato, meridionale probabilmente, non doveva far riflettere i benpensanti e ricordare platealmente la questione sudtirolese e relativi attentati.

E Luigi Tenco, un altro “irregolare” della musica dell'epoca: scelto per chiudere con “Un giorno dopo l’altro” gli sceneggiati tv del Commissario Maigret/Gino Cervi (successo assoluto del Canale Nazionale, come si chiamava allora la Raiuno), e censurato in radio per essersi “innamorato di te perché non avevo niente da fare”, Tenco fu colpito dagli strali censori per "Cara maestra", canzone mai trasmessa della Rai (fu definita “un comizio politico"). Il brano attaccava tre pilastri della società italiana, la Scuola, la Chiesa e le istituzioni: della prima si ricordava che la maestra insegnava che al mondo siamo tutti uguali, però quando entrava in classe il bidello i ragazzi potevano restare seduti mentre dovevano alzarsi all'arrivo del direttore; della seconda che il curato affermava che è la casa dei poveri "però l'hai riempita di ori e come può un povero che entra sentirsi a casa sua?" mentre al sindaco si ricordava di quando diceva che si doveva "vincere o morire" ma lui non aveva vinto, né era morto e al posto suo era morta tanta gente che non voleva né vincere né morire.
Certo i casi non mancano, ne ho citati solo alcuni: ma non pensiamo siano solo storie passate.

Siamo nel 2002, mondiali di calcio: la Rai non trasmette "l'inno di Mameli" nell'inedita versione gospel cantata da Elisa, che deve essere usato come sigla introduttiva di tutte le partite della nazionale italiana ai mondiali di calcio. Il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, pur affermando di apprezzare la cantante, col consueto stile chiede di ritirare l'inno definendo la sua versione "una vergogna". La Rai invece comunica che "L'inno di Mameli cantato da Elisa fa parte della sigla sponsorizzata della Federazione Italiana Gioco Calcio, che per i Mondiali di Calcio non ha richiesto alla Sipra di trasmetterla", in una nota con cui spiega la mancata messa in onda dell'inno in versione gospel per la partita Italia-Ecuador. "Di conseguenza - continua il comunicato di Viale Mazzini - la concessionaria di pubblicità già in data 27 maggio aveva comunicato alla Rai di non autorizzare la messa in onda della sigla della F.I.G.C".  L'Inno, di fatto, non verrà mai più trasmesso.

 
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Hey Buddy, got a light?

Post n°17 pubblicato il 11 Agosto 2006 da rivedelfiume

"Non riesco a capire coloro che si rifugiano nella realtà perché hanno paura di affrontare la droga"
Maggio 1976, l’Italia, devastata dal terremoto friulano di pochi giorni prima, si consola passando le serate di una calda e triste primavera per strada, nei parchi, davanti le gelaterie, ovunque, insomma, tranne che in casa. Salvo poche eccezioni. Tra queste, un ragazzo introverso e molto preoccupato per l’imminente maturità, con greco e filosofia all’orale, oltre alcune materie assimilabili, nella sua testa dura, alle scienze occulte. Radio costantemente accesa, “RadioDue 21.29”, Carlo Massarini, il Vate, con la sua musica americana. All’improvviso, tra le note, una voce sgarbata, arrochita da mille sigarette rollate nella carta vetrata, bruciata da bourbon dozzinale e dai gas di scarico di automobili troppo vecchie per non intossicarsi, gola consumata ma padrona di corde vocali capaci di raccontare con un solo vocalizzo un intero vissuto. Parole di denuncia delle illusioni del sogno americano, le solitudini delle metropoli tentacolari, la lotta di sopravvivenza, su un suono fumoso e jazzy, che rappresenta una delle sue caratteristiche. Il ragazzo segna nervosamente a matita sul bordo della grammatica greca un nome, Tom (questo è chiaro) ed un cognome (Weits, Waiss, Waizz? Chissà come sarà…). Massarini insiste, racconta di questo musicista commesso viaggiatore fra l'umanità dei perdenti d'America, fatta di frequentatori troppo assidui di bar, prostitute e relativi, poco sensibili, clienti. Il suo calarsi (o catarsi?) di matrice quasi empatica fra le sofferenze dei dimenticati, spesso in dissidio fra di loro, incapaci di venirsi incontro pur nella reciproca sfortuna. Ovvia conseguenza, al primo sabato utile, pellegrinaggio a Bologna, questo nome storpiato scritto con emozione su un bigliettino -in quel momento più prezioso della stessa banconota da 50mila che sarà sacrificata sull’altare dei long playing che faranno da colonna sonora della maturità. “Ah, Tom WAITS…” mi dice la commessa troppo carina per non colpirmi doppiamente. “Cosa cercavi?” “Qualunque cosa...l’ho sentito per radio e mi ha colpito”. Mi fa vedere quattro album, uno rarissimo e costosissimo (Closing time), due singles (The heart of saturday night e Small change) ed un live doppio, Nighthawks at the diner, che è quello “passato” da Massarini in radio. Lo compro, i compagni di merende mi guardano perplessi… In copertina, attraverso la finestra di un fast food a buon mercato, sullo sfondo ognuno guarda verso la propria indifferenza, mentre sulla destra un ceffo, sigaretta nella mano, cappello saldamente in testa, guarda di traverso verso di noi, novello Bogart dei bassifondi. Sarà il nostro Caronte verso la dannazione di un sabato da bruciare nelle mille cicche di altrettante sigarette a cui aggrapparsi, la musica è un sogno jazzato chiamato Emotional weather report, dove in realtà il bollettino meteo annuncia solo devastazioni emotive, uragani ormonali da realizzare con una sola mano, per mancanza di carne fresca; è On a foggy night, colonna sonora di una notte in cui un “precario pandemonio” sembra l’unico ordine possibile, è una cartolina notturna da recapitare in un bar più o meno malfamato dove incontriamo marinai senza mare, puttane con troppo trucco ma senza amore e senza clienti, odore di fritto a sventagliare i sentimenti possibili; è l’amore disperato che Nobody potrà dare, come avrebbe fatto Tom, all’ ingrata che se n’è andata verso i tanti che ha avuto ed i tanti che avrà, e le spezzeranno il cuore, nessuno sbagliato come lui che l’ama. È il sogno spezzato di Big Joe and Phantom 309, sono il caffè freddo tra le nuvole di nicotina, in cui si racchiude il fumetto di ricordi, e dita che incendiano la memoria, è la scelta sconfortante tra una birra calda o una donna fredda. Testi al limite dell’intraducibile, pieni di slang californiano (infatti una ragazza piovuta da Boston alla Pianura, che all’epoca aveva tempo da perdere -e sigarette da farsi scroccare dal ragazzo di cui sopra e compagni di merende- non riusciva a tradurre tutto…), in questo viaggio fra la fauna dei sobborghi, figli di un'America popolata non dagli eroi hollywoodiani, ma intrisa di esseri (dis)umanamente consumati da qualunque cosa puzzi d’alcool, da qualunque essere puzzi di sesso, da prostitute sognatrici che sperano in un’ultima redenzione, e spediscono cartoline natalizie da Minneapolis, da marinai che puzzano di tempeste ormonali represse, da menti bruciate dal fumo di qualunque cosa rollabile in qualunque tipo di carta. Caronte impegnato a calarci in modo quasi biblico fra le sofferenze degli esseri umani dimenticati, spesso in lite fra di loro, incapaci di venirsi incontro pur nella reciproca sfortuna. Passa il tempo, passa la maturità, arriva la prima radio “libera” con la matricola universitaria ad ammorbare l’etere, arriva un nuovo album di Waits che richiederebbe la presenza contemporanea, nelle mie facoltà, di denaro, di tempo per andare a cercarlo e di arrivare in tempo prima che finisca nel negozio. Condizioni che non si realizzeranno mai tutte insieme. In compenso, si realizzano per l’album successivo, in quello che sarà da allora e per sempre il “mio” Tom Waits. Visto nel solito negozio, un sabato mattina bolognese, pausa di riflessione: ma non c'è tempo per pensare, è tempo di Foreign affairs. Un tuffo nei ricordi d'infanzia di Waits. Una fotografia del suo percorso di formazione, virata in un blu notte pesto. Soprattutto, una collana di perle difficilmente ripetibile. “Here I Come” (una frase, “si sentiva più solo di un parcheggio dopo che l’ultima auto se n’è andata”), "Burma shave", che prende il titolo dalla marca di una schiuma da barba che il bambino Tom credeva essere un luogo immaginario. Da ascoltare, farsela entrare dentro, metabolizzare, trovarsi a viaggiare su quell’auto guidata da uno che sembra “Farley Granger con i capelli pettinati all’indietro” e quella ragazza che deve lasciare Marysville, la “puzzolente città dove tutti hanno un piede nella fossa” (andrà a finire male, naturalmente: c’è bisogno di dirlo?). "I never talk to strangers" che vive e racconta delle difficoltà d'incontrarsi tra un uomo e una donna che diffida degli sconosciuti. Il duetto Waits-Bette Midler (”e tu sei amareggiata perché lui ti ha lasciata, ecco perché bevi in questo bar, sai, solo i perdenti si innamorano di perfetti sconosciuti”) è da antologia della musica, il ricamo vocale ed il tappeto musicale fanno pensare ad un Satchmo ed Ella al termine di un festino in cui si sia bevuto e fumato un po’ troppo. "Jack & Neal" è invece un viaggio folle e disperato alla ricerca della libertà dei due poeti beat per eccellenza, Jack Kerouac e Neal Cassidy. "Potter's field", tratto dai ricordi d'oltretomba di una strana Spoon River. Nella punta della dita molto jazz, per il delizioso prendere in giro Mr.snip snip snip, il titolare del “Barber shop” con cui bullarsi di peraltro improbabili conquiste. Ed una incredibile, indimenticabile “Muriel”, una delle canzoni d’amore forse più belle in assoluto, dove il povero Tom, in quello che qualcuno che passa sulle rive del fiume chiamerebbe un sudario fatto di silenzio dei sentimenti, si perde nel sogno di questa Lei che ha abbandonato una città della memoria, in cui i locali hanno chiuso i battenti per disperazione, e c’è un lampione bruciato in più sulla strada principale, dove loro passeggiavano, in cui la mente vola ai sabato sera passati ad accarezzare capelli tirati indietro, al diamante negli occhi di lei come unico anello nuziale possibile...sogni e ricordi spezzati da un brusco “ragazzo, hai da accendere” per infiammare sigaro e pensieri, che presto diventeranno, per sempre, cenere.
Irreversibilmente.
Tom Waits, racconti di una mente disincantata: quando apparirà, nella parte di Zack, dj (ovviamente) fallito, in “Daunbailò”, il film di Jarmusch con Roberto Benigni e John Lurie, nascerà un’amicizia con l’attore italiano, che Waits spesso sveglierà nel cuore della notte per farsi cantare “Prendi questa mano zingara”. Per intercessione di Benigni lui verrà a Sanremo, dove (ovviamente) perderà le valigie, a ritirare il Premio Tenco. Ascolta i comprensibilmente intimiditi Ruggeri e Locasciulli suonare ‘Nella memoria’, versione italiana di “Foreign Affair”, li applaude ruggendo “well done, well done”, poi sale sul palco, un concerto (ovviamente) straordinario, acustico, accompagnato solamente da un contrabbassista e da una fisarmonica da poche lire comperata al mercatino dell’artigianato. Racconti di una mente disincantata che, alla domanda “Cosa prevedi per il futuro?” risponde, indelebilmente: “Il futuro? Uno scherzo che non meritiamo. Se John Lennon avesse avuto anche la più lontana idea che un giorno Michael Jackson avrebbe potuto decidere sull'utilizzo del suo materiale, sarebbe uscito dalla tomba e l'avrebbe preso a calci nel culo, ma cosi' forte che tutti noi ci saremmo divertiti.»

 
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ROMPISCATOLE!   (elogio dei...)

Post n°16 pubblicato il 04 Agosto 2006 da rivedelfiume

[A scanso di equivoci (non si sa mai...):
- personalmente non li considero affatto tali (i "rompiscatole", intendo)
- tento un po' di autoironia; spero che nessuno si senta offeso] 

A volte mi capita di ascoltare qualche altro "informatico", più o meno di professione, che si lamenta dei troppi colleghi, amici e parenti che lo seccano continuamente con i soliti problemini banali che hanno tutti i neofiti dell'informatica.
Stamattina  uno di questi guru della byte generation è sbottato con un “Basta! Mettiamo un esame per consentire di comprare un computer e cosi' tanti rompiscatole spariranno!”.
Ora, io capisco che mentre sono preso da qualche lavoro particolarmente impegnativo (...dunque, fante di cuori sotto regina di fiori... mumble mumble...)  o in qualche complessa ricerca in rete (...acc! "Il sito non è di interesse aziendale"...)  sia seccante dovermi interrompere per spiegare a qualcuno che se non trova più il documento sul quale stava lavorando non me ne può fregare di men... cioe', volevo dire, deve essere perchè ha cliccato NO quando è uscita la richiesta: “vuoi salvare le modifiche eccetera...? “ (“ ah, perchè, bisognava cliccare su SI? ...adesso me lo scrivo, così poi me lo ricordo…”).

Conoscendo il soggetto, perderà il fogliettino. 

Ecco, dicevo, io capisco tutto questo, però vorrei spendere lo stesso due parole in difesa dei cosiddetti "rompiscatole". 

Caro amico,
tu che sai tutto di queste robe difficili dell'informatica, pensa al giorno in cui hai portato a casa il tuo primo computer  (una tastierina da attaccare al televisore con processore Z80, probabilmente).
Eri ancora adolescente (veramente eri sulla trentina, ma tutti, dalla fidanzata alla mamma continuavano a ripeterti: “ma cosa aspetti a crescere? ...invece di sprecare tutto il tuo tempo dietro a quelle diavolerie inutili... che costano anche un sacco di soldi !” ma tu, tutto emozionato, lo sfilavi dal polistirolo che faceva sgneek..sgneek... e dopo qualche ora (...che fuori cominciava a fare chiaro e cinguettavano gli uccellini) stavi ancora cercando il canale giusto sul televisore.
Finchè veniva fuori quella schermata tutta blu con scritto OK e tu pensavi:
"Ok, mi hanno fregato un bel pacco di soldi"
Allora prendevi lo scarno opuscolo delle istruzioni e leggevi prima le solite stron... ehm.. raccomandazioni:

-assicurarsi che la spina sia inserita nella presa (eventualmente ficcarci due dita per vedere se c'e' corrente) [questo non c'era scritto, ma noi lo facevamo per avere una certezza scientifica di stare dalla parte giusta];

-non immergere il computer nell'acqua -
(appena in tempo; stavo proprio per metterlo nella vasca per vedere se faceva le bollicine)

e infine arrivavi ad un certo punto dove c'era scritto:
-Comandi, Istruzioni e Funzioni. Inizializza l'ambiente operativo.
(frase che, leggendo i manuali di istruzione di qualsiasi manufatto, specie se informatico, porta notoriamente sfiga)
“Oooh!- dicevi - finalmente ci siamo”
Ci siamo?
Ma se nella riga successiva (non un po' dopo; proprio nella riga subito dopo) c'era scritto:

-GWBASIC[filespec|pathname][]>stdout][/F:number-of-files][/S:/rec/][/C:buffer-size][/M:[highest-memory][,max-blocksize]][/D][/I]

Dove:Le opzioni che iniziano con una barra(/) si chiamano switch.
Uno switch e' usato per specificare i parametri.
A questo punto (le poche certezze che avevi nella vita si erano già frantumate sulla prima parentesi quadra) cominciavi a cercare conforto nella religione, ma con scarsi risultati.
Allora correvi dal tuo vecchio prof. d'inglese e gli dicevi:
- avrei un problema di traduzione e ho pensato che lei potrebbe aiutarmi... -
e gli chiedevi che cavolo significassero pathname, buffer-size, blocksize, filespec...
Il professore, che era un tipo moderno e di vedute molto aperte, ma non sopportava i drogati, ti mandava direttamente affan..., insomma, ti invitava a trascorrere in modo alternativo le serate.
Certo, ora e' tutto piu' facile, non bisogna piu' salvare i file sulle cassette a nastro, che quando ti servivano non le trovavi mai e dovevi fregare le cassette dei Duran Duran alla sorella per salvare dei programmini matematici in basic che se contavi sulle dita facevi più in fretta, (ma che comunque erano sempre meglio dei Duran Duran, bisogna dirlo).
D'altra parte se a quel tempo ti avessero detto che potevi mettere i file .bak nella partizione D dell'HD, avresti risposto che a te questo heavy metal non e' che ti prendeva poi tanto.
Insomma: scusate lo sproloquio (al limite dirò che è colpa alla canicola di agosto) ma abbiate un po' di comprensione per i "rompiscatole".

 
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