Creato da maryrose.ms il 14/05/2008

CONTROESODO

BREVI PAUSE PER RIPRENDERE FIATO

 

 

CONTRO LA SLA

Post n°70 pubblicato il 21 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: appelli

Copio e incollo il post dell'amico Vino e Mirra. Siamo in tanti, siamo determinati, a rispondere all'Appello contro la SLA!




Oggi è la Giornata

nazionale per la lotta alla sclerosi laterale amiotriofica
ed in molte piazze italiane (l’elenco lo

trovate qui
)
verranno vendute bottiglie di buon(?)

barbera per la raccolta fondi.



E’ forse la malattia più terribile che possa colpire una

persona (pensate a Stephen Hawking), però, nonostante questo,
esistono

persone che lottano
per trovare una soluzione

dando un esempio di straordinario coraggio non solo agli altri malati, ma a

tutti noi.



Perché l’uomo sarà pure un essere capace di orribili

crimini (e non serve andare troppo lontano per immaginare abissi di crudeltà,

basta la cronaca odierna), ma anche di gesti straordinari.



Gesti straordinari che oggi non sono nemmeno richiesti:


- quanto costa ad es. firmare

questo appello
?
io ci ho messo 10 secondi

(nome cognome, mail e indirizzo)



- quanto costa scrivere un post per pubblicizzare l’iniziativa? io ci ho messo 4 minuti (V&M

anche meno: ho copincollato il post di
Kagliostro...)


- quanto costa andare in piazza a comprare una bottiglia di Barbera? poi ve lo dico… (tra l’altro sono pure astemio: la

regalerò a mio babbo)


BUONA DOMENICA!

 




 
 
 

PERCHE' PADRE PIO PER NOI?

Post n°69 pubblicato il 20 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

http://www.donatocalabrese.it/padrepio/imago/Padre%20Pio%20con%20Ges%C3%B9%20Buon%20Pastore%20media.jpg

Una rivelazione su ciò che Gesù gli disse quel 20 settembre….

Il
20 settembre è il 90° anniversario della stimmatizzazione di padre Pio
e il 23 settembre è il 40° della morte. Proprio alla vigilia di
entrambi sta per uscire un libro di don Francesco Castelli che contiene
documenti inediti, eccezionali, sull’episodio delle stimmate e sulla
loro origine. In uno di essi “il cappuccino svela – non lo farà mai più
durante la sua vita – il toccante dialogo fra lui e il misterioso
personaggio, autore delle stimmate” e le parole che spiegano il motivo
di quelle stimmate.

Il grande evento avvenne il 20 settembre
1918 e forse la data non è casuale: era stato il giorno della presa di
Roma da parte dei piemontesi, fine del potere temporale e inizio della
persecuzione al papa, ma anche di una purificazione della Chiesa. Il
fenomeno delle stimmate impose all’attenzione del mondo quello
sconosciuto e umile francescano e ne fece una luce che attrasse e
ancora attrae milioni e milioni di persone.

Padre Pio divenne
così una straordinaria risposta del Cielo all’apostasia del secolo XX.
Un giorno di aprile dell’anno 30 d.C., all’apostolo Tommaso, che non
credeva che i suoi compagni avessero davvero visto e parlato con Gesù,
dopo la sua morte, risorto nella carne e vivo, Gesù andò incontro e
disse “Tommaso metti qua il dito e guarda le mie mani; stendi la tua
mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma
credente!”.

Così, all’incredulità del secolo delle ideologie,
pochi mesi dopo la Rivoluzione d’ottobre, Gesù ha risposto mostrando
quelle stesse piaghe, del crocifisso risorto, sul corpo di uno dei suoi
più grandi amici, padre Pio: crocifisso per 50 anni davanti al mondo e
alla stessa scienza la quale più volte ha studiato e analizzato le sue
stimmate ritenendone inspiegabili sia la formazione, sia il perdurare
contro ogni legge naturale, sia la sparizione alla vigilia della morte
senza lasciar traccia alcuna, di nuovo contro le leggi della biologia.


Francesco d’Assisi fu il primo stimmatizzato e padre Pio è stato il
primo e unico sacerdote stimmatizzato della storia della Chiesa. Un
fatto che assume un significato particolarmente importante alla luce
delle rivelazioni di don Castelli. Storico e docente di Storia della
Chiesa, don Francesco Castelli lavora anche nella Postulazione per la
causa di beatificazione di Karol Wojtyla. E’ autore di alcuni lavori su
padre Pio di cui abbiamo dato notizia anche da queste colonne.


Dunque in questo libro “Padre Pio sotto inchiesta. L’ ‘autobiografia’
segreta” (Ares), di cui parlerà anche il settimanale “Oggi”, pubblica
un documento eccezionale: la relazione scritta nel gennaio 1922 da
monsignor Raffaello Carlo Rossi, vescovo di Volterra, inquisitore per
conto del S. Uffizio a San Giovanni Rotondo nel maggio 1921. Che
contiene, fra l’altro, il verbale dei sei “interrogatori” di padre Pio,
resi sotto giuramento, dove è contenuta la “bomba”.

Questo
dossier era stato secretato e quindi nessuno ha potuto consultarlo.
Solo dal giugno 2006 Benedetto XVI ha consentito l’apertura degli
archivi del S.Uffizio per i documenti del pontificato di Pio XI (quindi
dal 1921 al 1939). Il primo a poterli vedere è stato lo storico Sergio
Luzzatto che ha pubblicato di recente un libro dove manifesta molto
interesse alla politica e alle ideologie (e anche ai pettegolezzi di
paese su padre Pio), ma non altrettanto ai documenti e alla sostanza,
né alla materia religiosa (su cui non pare preparato). Forse per una
conoscenza sommaria della vicenda di padre Pio, Luzzatto sembra non si
sia accorto (nel suo libro non ne dà notizia) dell’esplosiva
rivelazione fatta dal giovane frate in quel maggio 1921 al vescovo
Rossi.
v Finora, sull’episodio cruciale della stimmatizzazione, si
sapeva solo quel poco che padre Pio aveva rivelato per lettera, il 22
ottobre 1918, al suo direttore spirituale. Era la mattina del 20
settembre. Padre Pio aveva appena celebrato la messa, era rimasto solo
in chiesa e come di consueto stava nel coro per fare il ringraziamento.
“E mentre tutto questo si andava operando”, scrive in quella lettera,
“mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la
sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le
mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi
atterrisce; ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo.
Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a
sostenere il cuore, il quale me lo sentivo sbalzare dal petto. La vista
del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato
erano traforati e grondavano sangue”.

Questa finora era
l’unica versione del fatto decisivo della vita di padre Pio e c’erano
tanti punti interrogativi: chi era il misterioso personaggio? Costui
disse qualcosa? Fra i due si svolse un dialogo? Per quale scopo le
stimmate sul corpo di padre Pio? Sono domande di enorme importanza.


Adesso, dal libro in uscita, apprendiamo che nel 1921 padre Pio,
rispondendo alla richiesta di monsignor Rossi, aveva rivelato i
particolari decisivi dell’avvenimento, chiarendo, di fatto, tutti quei
punti interrogativi. Ecco le sue precise (e inedite) parole: “Il 20
settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa, trattenendomi a fare
il dovuto ringraziamento nel Coro tutt’a un tratto fui preso da un
forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in
atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la
Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di
coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti. Di qui si manifestava
che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua
Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli:
nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a
questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e
chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: ‘Ti associo alla
mia Passione’. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono
entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai
quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo”.

Da questo
documento straordinario - sottolinea don Castelli – si apprende
anzitutto che padre Pio conosceva bene l’identità di chi gli è apparso
e soprattutto che “la stimmatizzazione non fu il risultato di una sua
richiesta personale”. Altro che autosuggestione e psicosi. Il Padre
chiese solo cosa poteva fare per confortare Gesù. Fu Gesù che lo invitò
ad aiutarlo a portare il peso dei peccati del mondo, dell’ingratitudine
e della mancanza di amore (specialmente dei consacrati).

Il
libro contiene anche un altro documento eccezionale e inedito: l’esame
accurato delle stimmate fatto dal vescovo. E’ strano che Luzzatto non
lo abbia citato. E’ vero che esso confuta totalmente le sue tesi, ma ha
un valore storico enorme. Questa è infatti l’unica vera inchiesta del
S. Uffizio sulle stimmate. E l’ “inquisitore”, che confessa di essere
arrivato “con una personale prevenzione in contrario”, dopo
un’ispezione a tutto campo, accuratissima, senza sconti, pure con
eccessi di rigore, riconosce infine: “non son potuto rimanere nella
personale prevenzione contraria”. Ma anzi, dà voto favorevole. E – ben
valutate tutte le altre ipotesi - deve riconoscere che quelle stimmate
si spiegano solo con un’origine divina.

Il prelato testimonia
pure di aver constatato personalmente il “profumo” (specialmente) del
sangue di padre Pio e documenta fenomeni come la temperatura corporea a
48° (quando il padre pensa a Gesù) e la bilocazione. Ora, dopo queste
ultime rivelazioni del libro di Castelli, è più chiaro il senso di
quelle stimmate. Kierkegaard dice che Gesù ci fa letteralmente scudo
col suo corpo santo. Ebbene, padre Pio è lì con lui a fare scudo a
ciascuno di noi, (come fece padre Kolbe per quel padre di famiglia). E
a milioni si riparano dietro di lui.

Antonio Socci
Da “Libero” 10 settembre 2008

Dal sito Lo Straniero

 
 
 

LEGAMI E LIBERTA'

Post n°68 pubblicato il 19 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

http://files.splinder.com/acc43942348a599e118d7aaf541a4bd8.jpeg

Solo in un "legame" la libertà dell'individuo si può esprimere

venerdì 19 settembre 2008

Il
sociologo Zygmunt Bauman ha l’interessante capacità di sintetizzare in
una immagine facilmente comprensibile ed evocativa la sua
interpretazione di complessi fenomeni sociali. È lui che ha definito la
nostra società come «liquida». E da allora questo aggettivo viene
frequentemente, e a volte sbrigativamente, utilizzato in svariati
contesti.

Nel suo ultimo libro Individualmente insieme,
Bauman sostiene che alla celebre triade della rivoluzione francese –
libertà, uguaglianza, fraternità – ne sia ormai subentrata, nella
società contemporanea, un’altra: sicurezza, parità, rete. È su
quest’ultima parola che vale la pena di riflettere. Bauman la descrive
così: «Si assume che ogni singolo si porti dietro, assieme al proprio
corpo, la sua specifica rete, un po’ come una chiocciola porta la sua
casa». La rete sono i legami che il singolo stabilisce. Ma attenzione,
non sono i legami della fratellanza, cioè in qualche modo dati da una
storia (la famiglia, il quartiere, una comunità religiosa, una
nazione). Sono, al contrario, legami fluidi, flessibili, liquidi
appunto: «Le unità individuali vengono aggiunte o tolte [dalla rete che
la singola chiocciola porta con sé] con uno sforzo non maggiore a
quello con cui si mette o si cancella un numero dalla rubrica del
cellulare». Ne deriva che i legami sono «eminentemente scioglibili» e
«facilmente gestibili, senza durata determinata, senza clausole e
sgravati da vincoli a lungo termine».

È
facile trovare in questa immaginifica descrizione i tratti del tipo di
convivenze che vediamo quotidianamente. Basta pensare al fatto che a
Milano per la prima volta il numero dei single ha superato quello delle
famiglie. O alla debolezza dei legami affettivi, normalmente concepiti
come temporanei, non impegnativi, cancellabili non appena lo si voglia.

Qual
è la ragione di questo fenomeno? Il fatto, risponde Bauman, che «la
rete non ha dietro di sé alcuna storia» e, quindi, l’identità della
persona non è definita da una appartenenza che la precede. Anzi,
l’unica appartenenza è quella che l’individuo via via si costruisce e
distrugge attraverso le sue labili e mutevoli reti.

Benedetto
XVI a Parigi ha affermato: «Sarebbe fatale, se la cultura europea di
oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale
di legami». La descrizione di Bauman sembra confermare questa triste
fatalità. Ma, dice il Papa, c’è una tragica conseguenza: una libertà
come assenza di legami è destinata a distruggersi. E, quindi, a
diventare preda del potere. Come ai tempi dei monaci da cui ha preso
spunto Benedetto XVI, anche oggi è indispensabile che si pongano
esperienze di appartenenza in cui la libertà sia affermata come
espressione di un legame che precede l’individuo (la «fraternità»
implica una paternità) e che ne fonda l’identità. Un identità che non è
nemica di nessun’altra. Infatti, ha concluso il Papa: «Questa tensione
tra legame e libertà ha determinato il pensiero e l’operare del
monachesimo e ha profondamente plasmato la cultura occidentale. Essa si
pone nuovamente anche alla nostra generazione come sfida di fronte ai
poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo
fondamentalista, dall’altra».

Raccogliendo questa sfida ilsussidiario.net
ospiterà nei prossimi giorni contributi tesi a mettere a fuoco il nesso
tra appartenenza, identità e libertà. Invitiamo i lettori a
parteciparvi.

Il Sussidiario

 
 
 

PIO XII

Post n°67 pubblicato il 19 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

http://www.pupia.tv/includes/tiny_mce/plugins/filemanager/files/fm/01_immagini/00_altrecategorie/chiesa/papa_benedettoxvi/papa_benedetto_xvi.jpg

Anche
la prima pagina dell’Osservatore Romano di oggi è dedicata
all’importante discorso che Benedetto XVI ha tenuto ieri ricevendo in
Vaticano i partecipanti a un Simposio dedicato a Pio XII e promosso
dall’associazione ebraica newyorkese “Pave the Way Foundation”.
Il
titolo del quotidiano vaticano rende onore a quanto il Papa ha voluto
dire: «Pio XII e gli ebrei. Verità storica senza pregiudizi». In
sostanza, Benedetto XVI ha invitato a riconoscere, dopo anni che un
Pontefice non si esprimeva con questa forza in merito, l’azione
umanitaria di Pacelli durante la persecuzione nazista e fascista: «Con
paterna e coraggiosa dedizione - ha detto il Papa -, Pio XII evitò il
peggio e salvò numerosi ebrei».
Il discorso di Benedetto XVI è
significativo perché manifesta, con un’enfasi che non si registrava
addirittura dal lontano 1964 quando Paolo VI si recò in Terra Santa,
l’intenzione della Chiesa di arrivare a mettere la parole fine intorno
alle accuse di reticenza e di silenzio mantenuti da Pacelli nei
confronti delle persecuzioni ebraiche ai tempi del nazismo. Ciò che
sullo sfondo resta ancora aperto, tuttavia, è se questa parola fine
comprenda o meno lo sblocco definitivo della causa di beatificazione
dello stesso Pio XII. Spetta a Benedetto XVI, infatti, decretare
«l’eroicità delle virtù» di Pacelli così come ha già sancito, più di un
anno fa, la riunione plenaria dei cardinali e dei vescovi della
congregazione per le cause dei santi. Se il Papa prenderà a breve
questa importante decisione, ancora non è dato saperlo. Le resistenze
fuori dalla Chiesa sono tante, come tante sono quelle interne.
Lo
dimostra l’uscita di ieri della Civiltà Cattolica, la prestigiosa
rivista dei gesuiti super visionata dalla segreteria di Stato vaticana.
Con un tempismo forse non voluto ma che testimonia una certa confusione
nel governo vaticano, la Civiltà Cattolica ha voluto proprio ieri non
nascondere l’«imbarazzo» per l’atteggiamento della Santa Sede al
momento del varo delle leggi razziali da parte di Benito Mussolini.
Allora, scrive la rivista dei gesuiti, il Vaticano «scelse di agire con
mezzi discreti e puntando sull’efficacia della propria diplomazia
domestica», finalizzando la propria azione «a mettere in salvo prima di
tutto gli ebrei italiani convertiti al cattolicesimo». Insomma, parole
differenti per contenuti e toni da quelle pronunciate sempre ieri dal
Papa.

Paolo Rodari - Palazzo Apostolico

 
 
 

UN GUAIO

Post n°66 pubblicato il 18 Settembre 2008 da maryrose.ms
 




 

Mio
caro Malacoda, ovviamente ti sarai perso il discorso di Benedetto XVI
al College des Bernardins a Parigi, quello scambiato per una lectio
agli intellettuali, mentre era, se lo leggerai attentamente, rivolto
soprattutto al popolo di Dio e ai suoi pastori. Io ti ho detto di
marcarlo stretto questo Papa, ma tu non mi dai retta. Cos’ha detto
Joseph Ratzinger di così nocivo per noi? Non che l’Europa deve inserire
nella sua Costituzione i valori cristiani su cui si è fondata, ma –
affermazione molto più pericolosa – che la sua radice è di natura
religiosa, tutto discende dal “quaerere Deum” cui si dedicarono i
monaci senza «l’intenzione di creare una nuova cultura e nemmeno di
conservare una cultura del passato». Non è opera da intellettuali. Ma è
«a causa di questa ricerca» che diventarono importanti le scienze, le
lettere e il lavoro, «la ragione e l’erudizione». E se lo sviluppo
della ricerca è conseguenza della preghiera (“ora”) ogni presunta
opposizione tra Chiesa e scienza va a farsi benedire. Ma c’è di peggio,
ed è la vicenda del canto. Dopo quarant’anni in cui la musica era
assurta a simbolo del ribellismo o del disimpegno il vecchio teologo
pretende di occupare anche questo territorio. Ricordo un prete che per
spiegare la creazione diceva: «Dio era molto felice, così felice che si
mise a cantare. Il creato è questo suo canto». Credevo fosse una sua
fissa, ora dal pulpito più alto sento ribadire che è essenziale per un
uomo e per una civiltà «riconoscere attentamente con gli orecchi del
cuore le leggi intrinseche della musica della stessa creazione», pena
il cadere nella «zona della dissimilitudine», smarrire se stessi. C’è
chi individuò il tarlo della società occidentale nella “crisi del
cappello” (gli uomini non lo portano più e quindi non salutano più con
deferenza – togliendoselo appunto – i loro simili), ma era un
sociologo, ben più serio è se un Papa dice che il vulnus del
cristianesimo è la crisi del canto. È la morte del moralismo (e di
tutta la rendita che ha significato per noi). Con la fine dell’eticismo
imperante, da questo discorso potrebbe discendere anche il tramonto
della Parola come idolo. La Parola – dice Ratzinger – è cosa troppo
importante per essere ridotta a regola, la Parola di Dio è rapporto,
quindi «legame e libertà», «ci raggiunge soltanto attraverso la parola
umana… attraverso gli uomini… e la loro storia». Per questo «il
cristianesimo non è semplicemente una religione del libro». Capisco che
il professor Schiavone (vedi Repubblica del 15 settembre) si entusiasmi
e cerchi di approfittarne: il Papa ha detto che «tutto è storia». In
realtà ha detto che «questa Parola crea la storia», «continua a
lavorare nella storia e sulla storia degli uomini» dato che «in Cristo
Dio entra come persona nel lavoro faticoso della storia». La
conseguenza è quindi che la storia non è più autonoma (se mai lo è
stata), non può censurare questo attore che opera al suo interno,
perché «il fatto del Logos presente in mezzo a noi, è ragionevole».
Infine, visto che di storia si parla, il giudizio storico che stronca
le nostre velleità: l’Europa oggi è come il mondo greco-romano ai tempi
di san Paolo, nel suo disordinato cammino a tentoni cerca il “Grande
Sconosciuto”, nel cuore del suo dimenarsi e del suo bestemmiare «è
nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto». Hai presente il
guaio per noi se qualcuno si alza nelle accademie, nelle università,
nelle chiese e (non come citazione) dicesse: «Io ve lo annuncio»?
Tuo affezionatissimo zio  

  Berlicche - Da Tempi




 
 
 

L'ALIENO

Post n°65 pubblicato il 18 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

Uno sconvolgente, umanissimo carteggio tra la Scrittrice e Rino Fisichella.  E non vi è niente da aggiungere.

 
Uno
specchio dell’anima di Oriana Fallaci, un aspetto disperatamente umano
e inaspettato di questa donna celebre per il suo pensiero graffiante. È
il ritratto che emerge dal carteggio, noto ma mai divulgato sino ad
ora, tra la scrittrice e Monsignor Rino Fisichella. A convincere il
Rettore della Lateranense a rendere pubblica questa corrispondenza il
giornalista e amico Giuseppe De Carli, che aveva già avuto
l’opportunità di conoscerne i contenuti anni fa. Un epistolario che il
vescovo aveva sempre tenuto segreto, perché temeva venisse
strumentalizzato e perché, spiega lo stesso De Carli, non voleva che un
elemento della sua vita privata fosse utilizzato per fargli pubblicità.
Alla fine l’insistenza di un amico e la convinzione che queste lettere
offriranno un ritratto positivo della sua amica Oriana hanno avuto la
meglio. Sarà dunque proprio monsignor Fisichella a commentare, questa
sera per la prima volta, parte del carteggio presso i Giardini
dell’Episcopio, a Lodi.


"Vorrei incontrare Ratzinger"


New York, giugno 2005 Monsignore,


Lei mi ha commosso. Naturalmente sapevo bene chi fosse il Rettore della
Lateranense, il vescovo che ragiona al di là degli schemi e senza
curarsi dei Politically Correct. Ma a leggere la Sua intervista al
Corriere ho rischiato davvero la lacrimina. Io che non piango mai. E mi
sono sentita meno sola come quando leggo uno scrittore che si chiama
Joseph Ratzinger... Il guaio è che sono molto malata. Ormai l’Alieno mi
divora perfino gli occhi. Medea e i suoi figli ho dovuto dettarlo come
Milton che da cieco dettava, mi si perdoni il paragone, La Storia
d’Inghilterra e Il Paradiso Perduto. E questo mi confina a New York...
Prigioniera delle chemioterapie e delle radioterapie, non posso
allontanarmi. Ci proverò lo stesso, prima o poi. Tanto più che vorrei
parlarLe anche dell’importantissima cosa di cui suppongo sia al
corrente... Vale a dire il mio desiderio d’incontrare, zitta zitta e
lontano da occhi indiscreti, Sua Santità. Sa, è un desiderio che mi
accompagna da quando incominciai a leggere i suoi libri. E che non
cercai di esaudire subito perché lavoravo giorno e notte a La Forza
della Ragione. Poi perché l’Alieno si scatenò e non stavo nemmeno in
piedi. Dopo, perché stavo completando la Trilogia con L’intervista a me
stessa e L’apocalisse. Infatti quando venne eletto Papa feci sì
capriole di gioia ma nel medesimo tempo pensai: «Oddio. Ora non potrò
più vederlo». E con un sospirone avvilito mi rassegnai... La ringrazio
di nuovo. Ripetendo che mi piacerebbe conoscere anche Lei, La saluto
caramente...


"Io i veli in testa non li porto neanche morta"


Era il 16 agosto, mancavano 11 giorni all’appuntamento con Benedetto
XVI quando Oriana scriveva: Per quel sabato o lunedì m’è sorta una
domanda angosciosa. Una preoccupazione che non mi aveva mai sfiorato il
cervello. Oddio, oddio: non ci vorranno mica abiti da cerimonia?!? Io
quelli non li ho. O non più, anche considerando i 38 chili che ormai ci
sguazzano dentro. Io ho soltanto spartane giacche da uomo. È lecito
imporle a un sovrano? A ciò si aggiunge l’incubo della testa coperta.
Io i veli in testa non li porto. Neanche morta. Neanche per coprire i
capelli lasciati dalla chemioterapia. Di copricapo acconci non ne
posseggo né saprei dove trovarli. Se l’etichetta li impone, come si
fa?!? Sembrano scemenze, invece non lo sono. In ventisei anni non mi
sono ancora rimessa dal trauma che soffrii a Qom col chador. Quello che
poi tolsi facendo infuriare l’ayatollah.

Pagina  123

Cecilia Lulli - Il Giornale

 
 
 

QUELLI CHE...

Post n°64 pubblicato il 17 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

http://files.splinder.com/2d4e5a4db9b10fa465d2cbf9160357fb.jpeg

Il
giornalista del manifesto Alberto Piccinini sabato scorso ha passato
una bella serata. Potrebbe non fregarcene di meno se non fosse stato
egli stesso a rendere pubblico l’evento con un articolo uscito ieri sul
suo giornale; e se il motivo del suo godimento non fosse sintomatico
dell’aria che tira.
Piccinini era andato in trattoria con la sua
compagna Valentina, e a un certo punto sono entrati - anche loro per
mangiare: mica per altro - alcuni ragazzi di Azione Giovani, appena
usciti dalla lì vicina festa di Atreju. «Valentina si è alzata»,
racconta Piccinini, «e ha fatto la mossa di andarsene. Sapete come sono
le ragazze: una volta non gli va bene il tavolo, l’altra volta hanno il
mal di pancia. Stavolta no: mi sono alzato anch’io, ho pagato il mezzo
conto e via. Fuori abbiamo preso un acquazzone da fine del mondo. Però
che bella serata».
Ma sì: meglio tornare a casa bagnati fradici e a
digiuno piuttosto che cenare non dico alla stessa tavola, ma nello
stesso ristorante, non dico con dei fascisti, ma con dei ragazzi,
insomma, di destra.
L’episodio ne ricorda un altro, celeberrimo e
sicuramente ancora impresso nella memoria di molti nostri lettori. È lo
stesso Piccinini a fare il collegamento: «Ai primi di giugno del 1971,
Giorgio Almirante si fermò all’autogrill Cantagallo, sull’A1. Al grido
di “né un panino né una goccia di benzina”, camerieri e benzinai lo
fecero ripartire a bocca asciutta e serbatoio vuoto». Fece tanto
clamore, quel fatto, da essere immortalato da due canzoni: una, di
Piero Nissim, attaccava così: «L’altro giorno sull’autostrada/ sul
versante che porta a Bologna/ viaggiava un topo di fogna/ affamato
voleva mangiar»; l’altra, del Canzoniere delle Lame, rivelava il
seguito: «... fu così che schiumante di rabbia/ se ne andò la
squadraccia missina».
Sarà un caso, ma l’orgogliosa replica
dell’eroico incrociar le braccia del Cantagallo segue di pochi giorni
un’altra replica: quella di Adriano Sofri sul delitto Calabresi. Così
come Sofri ripete oggi quel che aveva scritto nel 1972, e cioè che
uccidere Calabresi fu un atto di giustizia, il manifesto scrive che i
topi di fogna non andavano serviti allora all’autogrill e non vanno
tollerati oggi sotto lo stesso tetto. Anche se non portano più la
camicia nera, anche se il loro leader ha appena fatto l’elogio
dell’antifascismo.
È strano: Sofri e il manifesto avevano dismesso
da anni certi toni, ma ora c’è una parte della sinistra che sembra
subire una sorta di regressione. Una sinistra come ad esempio quella di
Caruso che parla di gambizzazioni, una sinistra che rispolvera il
tristo linguaggio degli anni di piombo: la giustizia proletaria, il
terrorismo di Stato, i fascisti che non devono parlare e neppure
mangiare.
Però a volte nei giornali la grafica gioca brutti
scherzi. La rubrica di Piccinini stava proprio sopra un articolo contro
il razzismo. Essere antirazzisti vuol dire saper accettare il diverso,
ed è difficile immaginare che chi accetta il diverso per colore della
pelle non accetti il diverso per idee. Ma oggi «non si vive più come
persone, in questo Paese, non più come individui, ma come appartenenti
a sottocategorie (...) si sta facendo strada una catastrofica tendenza
alla semplificazione. Non solo il concetto democratico di cittadino, ma
anche quello cristiano di persona vanno sbiadendo, perché richiedono la
faticosa elaborazione di un giudizio caso per caso, di un rapporto
umano che sappia distinguere e sappia scegliere. Sappia guardare negli
occhi, un paio di occhi per volta e solo quelli. Il giudizio
all’ingrosso è più comodo e rapido, leva di mezzo l’incombenza di
rapportarsi al prossimo, cancella scrupoli etici e fatiche umane».
Sapete chi ha scritto queste parole? Michele Serra, ieri su Repubblica
Pagina  12 Michele Brambilla - Il Giornale 17 settembre 2008

 
 
 

LA SANTA CROCE

Post n°63 pubblicato il 14 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: feste

http://www.irc.na.cnr.it/pub/CI/IMAGES/CRISTO.JPG

 Oggi
è la festa dell’ Esaltazione della Santa Croce; la festa di tutti i
crocifissi del mondo. Cristo, sulla croce assimila il nostro dolore al
Suo. La nostra sconfitta è la Sua sconfitta; il nostro sentirci
abbandonati lo ha fatto Suo. Il Suo grido al Padre è il nostro grido.
La Sua Resurrezione è la nostra Resurrezione!

Propongo una meditazione molto profonda di Von Balthasar, che ho trovato dall’amico Cogitor.

“Dove
ho vinto io se non sulla croce? Siete ciechi come giudei e pagani, fino
a vaneggiare che il Golgotha sarebbe la mia caduta e bancarotta, e
credete che solo più tardi, tre giorni più tardi, mi sarei ripreso
dalla mia morte e che sarei emerso arrampicandomi a fatica dall’abisso
dell’Ade di nuovo in mezzo a voi? Ecco: questo è il mio segreto e non
ne esiste un altro in cielo o sulla terra: la mia croce è salvezza, la
mia morte è vittoria, la mia tenebra è luce. Allora, quando io pendevo
nel mio martirio, e lo spavento mi invadeva l’anima per l’abbandono, la
riprovazione, l’inutilità della mia vita, e tutto era oscuro, e solo la
rabbia della massa fischiava sarcasmi contro di me, mentre il cielo
taceva, serrato come la bocca di chi dispregia - ai polsi però pulsava
il mio sangue attraverso le porte aperte delle mani e dei piedi, e più
vuoto diventava il mio cuore ad ogni battito, la forza usciva da me in
ruscelli, e in me rimaneva solo impotenza, stanchezza mortale e il
senso di un fallimento infinito - e alla fine si avvicinava il
misterioso luogo, l’ultimo, sull’orlo dell’essere, e poi la caduta nel
vuoto e il ribaltare nell’abisso senza fondo, il dileguare, finire,
sfinire. L’immensa morte, che io da solo morivo (a voi tutti questo è
risparmiato mediante la mia morte e nessuno farà l’esperienza di che
cosa significhi morire): questa fu la mia vittoria. Mentre cadevo e
cadevo, il mondo nuovo saliva. Mentre ero sfinito oltre ogni debolezza,
si rafforzava la mia sposa, la chiesa. Mentre mi perdevo e del tutto mi
donavo e mi spremevo dallo spazio del mio io e senza possibilità di
rifugio (neppure in Dio) dal nascondiglio più segreto del sé venivo
espulso: allora io mi svegliavo e mi alzavo nel cuore dei miei
fratelli” (H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo).

 
 
 

PER NON DIMENTICARE

Post n°62 pubblicato il 11 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: Storia

http://www.cesnur.org/2007/twin_towers.jpg

È
troppo facile dimenticare. L'11 settembre 2001 è un ricordo sbiadito,
una memoria residua, una rievocazione appannata. Dov'è finito il «siamo
tutti americani» del giorno dopo? Non c’è: è sparito così in fretta da
non lasciare più spazio nemmeno alla retorica.

Ci
saranno due fasci di luce a simboleggiare le torri gemelle e poco
altro. Ci sarà una cerimonia poco globale, perché il mondo non si sente
più parte di questa storia. La montagna di speciali tv e di dibattici
politici internazionali, si è già esaurita. Neppure la campagna
elettorale per le presidenziali americane tocca l'argomento, se non per
la tangente. Il ricordo non è più collettivo, ma personale.

Sette
anni sono pochi per ridurre solo a una data il momento che ha cambiato
la storia, eppure non c'è un altro fatto che sia diventato passato con
la stessa velocità. Sembra che l'Occidente abbia un pudore tutto suo ad
alimentare la memoria e a piangere i suoi morti: qualcosa che
assomiglia alla paura di dare fastidio all'islam e alla vergogna per
essersi sentiti tutti colpiti al cuore.

Abbiamo
visto due aerei schiantarsi su New York, abbiamo contato tremila
vittime, abbiamo visto cadere le persone in cerca di scampo dalle
fiamme del World Trade Center, abbiamo pulito la polvere che ricopriva
ground zero. Ci siamo promessi che nulla sarebbe stato come prima, che
nessuno avrebbe considerato quello un attacco solo all'America.

E
ora? Ricordare l'11 settembre non è più chic. La rimozione è un gioco
perverso perché appiattisce le emozioni. Le lacrime, il terrore, la
certezza che tutti noi, in quei giorni, potevamo essere vittime della
vigliaccheria terroristica non ci sono più, masticati e digeriti dalla
rielaborazione buonista e autolesionista dell'11 settembre. Abbiamo
dimenticato che c'è stata una dichiarazione di guerra globale e a
dichiararla non è stato l'Occidente.

Tutto
quello che è successo dopo ha scavalcato quella tragedia: la guerra in
Irak, reputata sbagliata e illegittima a scoppio ritardato, ha
alimentato il sentimento antiamericano che è cresciuto in Europa e
persino in una parte degli Stati Uniti; le centinaia di notizie sul
carcere di Guantanamo hanno portato nell'oblio i morti innocenti
nell'attentato alle torri gemelle per dare dignità solo alle storie dei
reclusi in tuta arancione.

La paura di
giustificare la reazione considerata sproporzionata ha fatto prendere
le distanze: l'Europa ha progressivamente abbandonato il sentimento di
vicinanza con l’America e ha cominciato a fare dei distinguo. Siamo
passati dal «siamo stati colpiti», al «sono stati colpiti». Siamo
passati dall'attacco alla civiltà occidentale, all'attacco agli Stati
Uniti, quindi all'impero, quindi a Bush, quindi al cattivo. Ci manca
solo che qualcuno dica che hanno fatto bene, quelli di Al Qaida.

Certo,
perché dimentichiamo che la campagna del terrorismo islamico ha colpito
anche in Spagna, in Turchia, in Inghilterra, in Marocco e in tutti i
paesi arabi che non si vogliono piegare all'islam radicale. Questo in
sette anni è stato cancellato, incredibilmente spodestato dal senso di
colpa per tutto quello che l'11 settembre ha provocato. Nessuno sente
più la puzza della morte provocata dai kamikaze di Al Qaida e invece
aumentano quelli che sentono puzza di qualcosa di strano attorno agli
attentati.

Pagina  12  | Giuseppe De Bellis - Il Giornale 11.9.2008

 
 
 

MALEDETTI CIELLINI

Post n°61 pubblicato il 09 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: meeting




Vi segnaliamo l’articolo di Giampaolo Pansa “Quel Meeting ci batterà”, pubblicato sull’ultimo Espresso. Il 27 agosto ha partecipato all’incontro del Meeting dal titolo “Passione per la storia”, con lo scopo di discutere dei suoi libri sulla guerra civile italiana.

L’esperienza
del Meeting è stata per lui una vera e propria scoperta. “Il primo choc
– ha confidato nell’articolo – è stato di trovarmi di fronte a una
platea di mille persone, venute per capire che tipo sono. (…) Che
scoperte ho fatto quella sera e il giorno successivo, nel vagare per il
Meeting? Soprattutto tre. La prima che lì c’era un popolo, ossia una
folla sterminata di gente comune, però non qualunque. Spesso di
condizioni modeste e a famiglie intere. E tutti avevano nel cuore il
desiderio di stare insieme, ma anche di incontrare persone diverse da
loro.

La seconda scoperta è stata che questa gente non ti
chiedeva da dove venivi, ma voleva soltanto comprendere dove stavi
andando. (…) Era il mio percorso umano che volevano scrutare, con lo
sguardo attento dell’amicizia: il mio viaggio alla ricerca della verità
e di me stesso. E ogni volta mi sono sentito ascoltato e mai giudicato.
Non mi era mai successo.

La terza scoperta sono stati i giovani che lavoravano al Meeting, dalla mattina sino a tarda sera.”

Infine,
conclude riprendendo un motto dell’ex presidente francese Mitterrand e
definendo il popolo di cl come “Una calma forza tranquilla” che
sconfiggerà le vecchie sinistre italiane: “Ripenso al Meeting di Rimini
e concludo: maledetti ciellini, ci sconfiggerete. Anzi ci avete già
battuti.”

Qui tutto l’articolo.

Grazie a Il Sorvegliato Speciale




 
 
 

APPELLI

Post n°60 pubblicato il 09 Settembre 2008 da maryrose.ms
 





http://static.blogo.it/clickblog/india_01.jpg

Il PIME lancia i seguenti appelli contro le persecuzioni ai cristiani in India.
SamizdatOnLine sostiene questa campanga ed invita tutti a sottoscriverla.

Lettera al presidente dei vescovi indiani

A nome del Centro di cultura e attività missionaria Pime di Milano, il
direttore, padre Gian Paolo Gualzetti, ha scritto una lettera al
presidente della Conferenza episcopale indiana per esprimere solidarietà ai cristiani dell’Orissa.
Per leggere la lettera clicca qui

Appello ai politici italiani

Il direttore del Centro di cultura e attività missionaria Pime di
Milano, padre Gian Paolo Gualzetti, ha inviato un appello ad alcuni
politici italiani: il presidente della Repubblica, on. Giorgio
Napolitano, i presidenti di Camera e Senato, on. Gianfranco Fini e sen.
Renato Schifani, il ministro degli Esteri, on. Franco Frattini e i
primi firmatari del documento dell’Intergruppo per la sussidiarietà
“per la fine della furia anticristiana in India”, lanciato la scorsa
settimana dal Meeting di Rimini (i parlamentari Vannino Chiti, Maurizio
Lupi, Ermete Realacci, Maurizio Gasparri e Ugo Sposetti).
Per leggere l’appello ai politici italiani clicca qui

Se condividi il testo dell’appello, segnalaci la tua adesione, inviando una e-mail a: mondoemissione@pimemilano.com
indicando in oggetto: Solidarietà ai cristiani dell’India


Petizione dei cristiani indiani


Come Centro di cultura e attività missionaria intende intendiamo far
conoscere la lettera che i cristiani di Delhi hanno inviato al
governatore dell’Orissa. È un testo che non si ferma a un generico
appello perché sia posta fine alle violenze, ma indica delle responsabilità chiare e chiede alcuni passi ben precisi. Questo documento correda il testo dell’appello inviato ai politici.
Per leggere il testo della petizione clicca qui

Argomenti correlati:
La vergogna dell’India e quella dell’Europa e del mondo - AsiaNews
P. Edward, scampato al rogo in Orissa: I radicali indù sono terroristi - AsiaNews




 
 
 

I TRE ALBERI

Post n°59 pubblicato il 06 Settembre 2008 da maryrose.ms
 

 



In
un bosco in cima ad una collina, vivevano tre alberi. Un giorno
iniziarono a discutere dei loro desideri e delle loro speranze.

Il
primo albero disse: "Spero di diventare un giorno lo scrigno di un
tesoro. Potrei essere riempito d'oro, d'argento e di gemme preziose.
Potrei essere decorato con intarsi finissimi ed essere ammirato da
tutti."

Il secondo albero disse: "Io spero di diventare una nave
possente. Vorrei portare re e regine attraverso i mari fino agli angoli
più reconditi del mondo. Vorrei che per la forza del mio scafo ognuno
si sentisse al sicuro."

Infine il terzo albero disse: "Io vorrei
crescere fino a diventare l'albero più alto e più dritto di tutta la
foresta. Tutta la gente mi vedrebbe irto sulla cima della collina e
ammirando i miei rami contemplerebbe i cieli e penserebbe a Dio,
vedendo quanto io gli sia vicino. Sarei il più grande albero di tutti i
tempi e tutti si ricorderebbero di me."

Trascorse qualche anno e ogni albero pregava che i suoi desideri si avverassero.

Alcuni
taglialegna passarono un giorno vicino ai tre alberi. Uno di questi si
avvicinò al primo albero e disse: "Questo sembra un albero molto
resistente, riuscirò sicuramente a venderne la legna ad un falegname".
E iniziò a tagliarlo.

L'albero era felice perché sapeva che il
falegname lo avrebbe trasformato in uno scrigno prezioso. Giunto dal
secondo albero un taglialegna disse: "Questo sembra un albero molto
resistente, credo che riuscirò a venderlo ad un cantiere navale." Il
secondo albero era felice perché sapeva che stava per diventare una
nave possente.

Quando i taglialegna si avvicinarono al terzo
albero, l'albero era spaventato perché sapeva che se fosse stato
tagliato i suoi sogni non si sarebbero mai avverati. Uno dei
taglialegna disse: "Non ho ancora deciso cosa ne farò del mio albero.
Ma intanto lo taglierò". E subito lo tagliò.

Quando il primo
albero fu consegnato al falegname fu trasformato in una cassa per
contenere mangime per animali. Fu portato in una grotta e riempito di
fieno. Ciò non era certamente quello per cui l'albero aveva pregato.

Il
secondo albero fu tagliato e trasformato in una piccola barca da pesca.
I suoi sogni di diventare una nave possente e trasportare re e regine
era terminato.

Il terzo albero fu tagliato in due tronconi e abbandonato nel buio.

Gli
anni passarono e gli alberi dimenticarono i loro sogni. Finché un
giorno, un uomo e una donna giunsero alla grotta. La donna partorì e il
neonato fu adagiato nella cassa per il mangime degli animali che era
stata fatta con il primo albero.

L'uomo aveva sperato di poter
costruire una culla per il bambino, ma fu la mangiatoia a divenirlo.
L'albero avvertì l'importanza di questo evento e capì che aveva accolto
il più grande tesoro di tutti i tempi.

Anni dopo, alcuni uomini
erano sulla barca da pesca che era stata realizzata con il secondo
albero. Uno degli uomini era stanco e si era addormentato. Mentre si
trovavano in mare un violento temporale li sorprese e l'albero pensò
che non sarebbe stato abbastanza robusto per proteggere i passeggeri.
Gli uomini svegliarono la persona che si era addormentata che alzandosi
in piedi disse al mare “Taci, calmati”. La tempesta si placò
immediatamente. A questo punto il secondo albero capì di aver
trasportato il Re dei Re nella sua barca.

Alla fine, qualcuno
arrivò e prese il terzo albero. Un troncone venne fissato nel terreno,
mentre l’altra metà venne messa sulle spalle di un uomo condannato a
morte.

Mentre veniva trasportato attraverso le strade, la gente
scherniva l'uomo che lo sosteneva. Quando si fermarono l'uomo fu
inchiodato all'albero e innalzato in aria lasciandolo morire in cima ad
una collina.

Dopo tre giorni, l'albero capì che non solo era
stato vicino a Dio, ma lo aveva sostenuto inchiodato su di sé poiché
Gesù era stato crocifisso sul suo legno.

Quando le cose non
sembrano andare nella direzione che ti aspetti, sappi che Dio ha sempre
un piano per te. Se tu hai fiducia in Lui, Lui ti darà grossi doni.
Ogni albero ebbe ciò che voleva ma non nel modo che avrebbe immaginato.

Noi
non sappiamo sempre ciò che Dio ha riservato per noi. Sappiamo che le
Sue vie non sono le nostre vie, ma le sue vie sono sempre le migliori.

 
 
 

DUBBI...

Post n°58 pubblicato il 04 Settembre 2008 da maryrose.ms
 




 

Stefano Lorenzetto - Il Giornale

A me pare che il vero scandalo sia questo: c’è voluto un quotidiano straniero (L’Osservatore Romano),
diretto da un docente universitario di filologia patristica prestato al
giornalismo (Giovanni Maria Vian), per porre con forza l’interrogativo
che da 40 anni viene censurato dagli organi d’informazione italiani: è
giusto dichiarare morta una persona in base a una convenzione di legge
che ha il solo scopo di favorire i trapianti d’organo? Perciò dobbiamo
essere grati a Lucetta Scaraffia, componente del Comitato nazionale di
bioetica, che s’è assunta questa scomoda incombenza sulla prima pagina
del foglio vaticano e ora deve sopportare il peso delle critiche e
degli insulti.

Avrebbe potuto esprimere la sua posizione impopolare dalle pagine del Corriere della Sera,
al quale pure collabora insieme col marito Ernesto Galli della Loggia.
Non è un caso se ha deciso invece di affidarla al giornale del Papa.
Questo Papa. Perché, come ha ricordato lei stessa nell’articolo, fu
proprio l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in una relazione sulle
minacce alla vita umana tenuta durante il concistoro straordinario del
1991, a dire: «Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno
cadere in un coma “irreversibile”, saranno spesso messi a morte per
rispondere alle domande di trapianti d’organo o serviranno, anch’essi,
alla sperimentazione medica». Il futuro pontefice li chiamò, in
quell’occasione, «cadaveri caldi».

Temo
d’essere stato l’involontario catalizzatore dell’articolo sul giornale
della Santa Sede. Giusto una settimana fa ho partecipato con l’autrice
e con il professor Edoardo Boncinelli a un dibattito di Cortina
Incontra che verteva proprio su questo tema, Tra la vita e la morte.
La professoressa Scaraffia ha parlato soprattutto dell’aborto. Io mi
sono permesso di scandalizzare l’attento uditorio ampezzano con alcune
provocazioni sulla morte cerebrale. La consonanza d’opinioni, fra lei e
me, alla fine m’è sembrata totale. Il padre di mio padre fu dichiarato
morto quando il suo cuore si fermò, l’alito non appannò più uno
specchio, il corpo cominciò a perdere tepore e a irrigidirsi. Ma nel
1968 la Harvard medical school concepì un nuovo criterio: si è morti
quando muore il cervello. Del resto bisognava pur dare copertura
giuridica a un chirurgo sudafricano, Christian Barnard, che qualche
mese prima aveva eseguito il primo trapianto di cuore.

Purtroppo
tutti gli organi, a eccezione delle cornee, hanno questo di brutto: per
poter essere trapiantati vanno tolti dal corpo del «donatore» mentre il
cuore di questi batte, il sangue circola, la pelle è rosea e calda, i
reni secernono urina, un’eventuale gravidanza prosegue, tanto da
rendere necessaria la somministrazione di farmaci curarizzanti per
impedire spiacevoli reazioni quando il chirurgo affonda il bisturi. Vi
paiono cadaveri, questi? Sì, assicurano i trapiantisti. No, stabilisce
una legge dello Stato: infatti «per cadavere si intende: “Il corpo
umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratoria e cerebrale”»
(circolare del ministero della Sanità 24 giugno 1993, n. 24).

Prima
contraddizione. Chiesi al professor Vittorio Staudacher, pioniere della
chirurgia, come mai ai parenti delle vittime venisse taciuto che il
«cadavere» del loro caro tale non era, visto che la funzione
cardiorespiratoria è conservata. Mi rispose (aveva ormai 90 anni e non
operava più): «Perché è terribile. Per non impressionare la gente.
Sembrerebbe il saccheggio di un vivente». Collimava con quanto
dichiarato sette anni prima dall’allora presidente dell’Associazione
internazionale di bioetica, Peter Singer, assertore del principio per
cui è da considerarsi persona solo chi è cosciente: «La gente ha
abbastanza buon senso da capire che i “morti cerebrali” non sono
veramente morti. La morte cerebrale non è altro che una comoda
finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il
procacciamento di organi». Molteplici studi convergono sul fatto che
solo il 10 per cento delle funzioni encefaliche è stato sinora
esplorato. Più ottimista, il professor Enzo Soresi, autore de Il
cervello anarchico (Utet), di recente mi ha detto: «Sul piano anatomico
e biologico sappiamo intorno al 70 per cento. Ma sulla coscienza? Qui
si apre il mondo».

Pagina  12


 
 
 

VIA CRUCIS

Post n°57 pubblicato il 04 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: martiri

La Via crucis di p. Thomas in Orissa: Sono pronto a tornare e servire chi mi ha colpito

Vi preghiamo di diffondere il più possibile e nel più ampio raggio possibile (=anche all'estero!) queste notizie. Grazie.
Questo articolo di AsiaNews, che ringraziamo, è la viva voce del protagonista, padre Thomas Chellan.


di Thomas Chellan
È
stato fra i primi ad essere colpito dalla furia dei radicali indù nei
giorni scorsi. Per la prima volta parla del suo calvario. Catturato,
picchiato, ferito, denudato, ha rischiato di essere arso vivo. Solo
dopo due giorni la polizia lo ha liberato. Il suo racconto è stato
raccolto da Nirmala Carvalho, corrispondente di AsiaNews a Mumbai.


Mumbai
(AsiaNews) - Padre Thomas Chellan, 57 anni, è una delle prime vittime
del pogrom contro i cristiani lanciato dal Vishva Hindu Parishad dopo
l’assassinio di Swami Laxamananda Saraswati, il 23 agosto scorso.
Picchiato, malmenato, ferito, denudato egli è stato soccorso dalla
polizia solo alla fine della sua Via crucis. Con lui, anche una suora
ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Il loro Centro
pastorale a Kandhamal è stato fra le prime costruzioni cristiane ad
essere distrutte e bruciate. P. Thomas, ora ricoverato in ospedale ha
accettato per la prima volta di raccontare quanto gli è successo.
Mentre si fa forza a parlare, annaspa nel definire “selvaggia” la furia
che lo ha colpito. “Selvaggia è troppo poco” dice. “Il modo con cui ci
hanno picchiato con bastoni, piedi di porco, asce, lance, mostra che
non ci consideravano neppure degli esseri umani… Erano come dei sicari,
pagati da qualcuno per torturarci e picchiarci”.
P.
Thomas ha ora un’unica preoccupazione: quella per le migliaia (forse 50
mila) di fuggitivi nascosti nella foresta. “A tutt’oggi non c’è nemmeno
un prete o una suora a Kadhamal. Tutti sono fuggiti, mentre dilagano le
razzie e la caccia all’uomo. Nella mia agonia prego per i cristiani
nella foresta. Nemmeno quello è un rifugio sicuro”. E aggiunge: "Se il
mio vescovo mi manda, sono pronto a ritornare in Orissa. Insieme alle
mie ferite, Cristo sta guarendo anche i miei sentimenti: non ho odio o
amarezza. Sono pronto a servire anche coloro che mi hanno colpito… Sono
felice di essere parte della ricca storia di persecuzione della Chiesa
cattolica qui in India”. (NC).
Da
sette anni sono il direttore del Centro pastorale Divyajyoti [della
diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar]. La polizia (Orissa state armed
police, Osap) era accampata davanti al nostro Centro da oltre un mese,
da quando, a causa dell’uccisione di una mucca, vi sono stati alcuni
incidenti a Tumbudhibandth. Quando, guardando la televisione, ho saputo
della crudele uccisione di Swami Laxamananda Saraswati, ho contattato
subito l’Osap chiedendo la loro protezione. Mi hanno risposto: “Nessuna
preoccupazione, noi siamo qui”. Allora mi sono calmato.
Il
24 agosto, verso le 4.30 del pomeriggio, una folla enorme è giunta al
nostro cancello gridando slogan. Temendo per la nostra vita, io, un
altro mio confratello prete e una suora abbiamo cominciato a scappare
oltre il recinto del centro, dal retro dell’edificio. Sentivamo urla,
rumori di porte e finestre infrante, ecc. Poi, dopo pochissimo tempo,
abbiamo visto le fiamme e il fumo. Non sentendoci al sicuro, siamo
fuggiti oltre, nella foresta e siamo rimasti là alcune ore, fino alle 8
di sera. Abbiamo raggiunto la casa di Prahlad Pradhan del villaggio di
K. Nuagaon e lui è stato così buono da ospitarci e darci da mangiare.
Il
25 agosto, verso le 9 di mattina, dall’interno della mia stanza ho
potuto vedere ancora una folla distruggere una piccola chiesetta.
Intuendo il pericolo, Prahlad mi ha nascosto in una stanza fuori
dell’edificio principale e ha chiuso la serratura dall’esterno. Alle
13.30 un gruppo di 40-50 persone è arrivato e ha rotto la porta
tirandomi fuori. In mezzo al gruppo vi era la suora, catturata prima di
me. Hanno cominciato a picchiarmi da tutte le parti e mi hanno
strappato a forza la camicia e il banyan [una giacca da camera – ndr].
Domandavano: “Perché avete ucciso lo Swamiji? Quanti soldi avete dato
agli uccisori? Perché fate sempre così tante riunioni e incontri nel
centro pastorale?”.
Poi,
spingendoci e tirando da tutte le parti ci hanno condotto fino al
Janavikas building, dall’altro lato della strada. In mano avevano lathi
[bastoni con punta di ferro, usati nelle arti marziali – ndr] asce,
lance, piedi di porco, bastoni di ferro, falci, …Hanno continuato a
picchiarci anche dentro l’edificio. Poi hanno strappato la camicia alla
suora e l’hanno assalita. Ho detto qualcosa per fermarli, e con una
mazza di ferro mi hanno colpito alla spalla destra. Poi mi hanno
versato addosso del kerosene, mi hanno portato fuori e hanno preso dei
fiammiferi per bruciarci. Uno ha suggerito di portarmi in strada e
bruciarmi là. Mi hanno trascinato in strada mi hanno messo in ginocchio
per 10 minuti, mentre portavano all’esterno anche la suora. Qualcuno
intanto cercava una corda per legarci insieme e arderci vivi. Quindi
hanno deciso di esporci mezzi nudi a Nuagaon, a mezzo chilometro da
dove eravamo. Ci hanno legato le mani e ci hanno trascinato. Hanno
anche cercato di strapparci via i resti dei nostri indumenti, ma
abbiamo resistito. Mentre camminavamo piovevano colpi all’impazzata sui
nostri corpi. Qualcuno nella folla gridava offese in Malayalam.
Alle
14.30 abbiamo raggiunto Nuagaon, dove vi erano una dozzina di
poliziotti dell’Osap, in piedi ai lati della strada. Domando a uno di
loro: “Signore, la prego, ci aiuti!”. Ma per questa domanda uno della
folla mi ha colpito. La polizia stava solo a guardare; nessun
poliziotto nella sede di Nuagaon. La folla ci ha costretto a sederci
sul bordo della strada e uno mi ha colpito in faccia. Intanto, uno che
conoscevo bene – un venditore di Nuagaon – stava raccogliendo
pneumatici usati perché volevano usarli per bruciarci.
A
un certo punto la folla ci ha detto di andare a K. Nuagaon, insieme a
uno degli ufficiali, che ci ha accompagnato alla sede della polizia. Lì
mi hanno messo qualche punto alle ferite, fasce e unguenti. Alle 9 di
sera, l’ispettore di Balliguda, con un gruppo di poliziotti, ci ha
portato a Balliguda. Uno della folla che ci aveva attaccato è rimasto a
guardare tutti i nostri movimenti fino al nostro partire per Balliguda.
Lì la polizia ci ha dato ospitalità e tutti ci hanno aiutato molto. Il
26 agosto alle 9 di mattina, ci hanno ancora portato alla stazione di
polizia di Balliguda, dove l’ispettore capo ci ha chiesto se eravamo
interessati ad esporre denuncia. Al nostro sì, ci ha detto di farlo
subito, perché stava preparando il nostro trasferimento a Bhubaneshwar
(280 km da Nuagaon). Abbiamo depositato 3 denunce: una per l’attacco
contro il Centro pastorale; una per l’attacco contro di me; una per
l’attacco contro la suora.
Alle
16 siamo stati messi su un autobus molto confortevole, insieme ad
alcuni altri passeggeri e ci hanno portato a Bhubaneshwar. Siamo scesi
pochi km dopo Nayagarh, un po’ dopo la mezzanotte, il 27 agosto. Alcuni
miei amici mi aspettavano per accogliermi e caricarmi nella loro auto.
Alle 2 di notte siamo arrivati in uno dei nostri centri di Bhubaneshwar.
Grazie all'amico Uomo Vivo

 
 
 

NON LASCIAMOLI SOLI

Post n°56 pubblicato il 02 Settembre 2008 da maryrose.ms
 
Tag: martiri

http://www.giampaolomuliari.com/home/images/stories/suora%20in%20preghiera.jpg

Roma (Agenzia Fides)

- La Presidenza della Cei (Conferenza Episcopale Italiana), di fronte

all’ondata di violenza scatenatasi contro le comunità cristiane nello Stato

indiano dell’Orissa, “invita le diocesi italiane a indire per venerdì 5

settembre, memoria liturgica della Beata Madre Teresa di Calcutta, o in altro

giorno stabilito dal Vescovo diocesano, una giornata di preghiera e digiuno,

come segno di vicinanza spirituale e solidarietà ai fratelli e alle sorelle

tanto duramente provati nella fede”. Nel comunicato, diffuso il 1° settembre,

la Presidenza della Cei si rende “interprete del turbamento dell’intera

comunità cattolica italiana” ed inoltre “si associa all’accorato appello

formulato dal Santo Padre Benedetto XVI, condannando con fermezza ogni attacco

alla vita umana ed esortando alla ricerca della concordia e della pace”.





Aderiamo con tutto

il cuore all’ invito dei nostri Vescovi; diffondiamo la notizia a tutti. Preghiera

e digiuno sono un gesto semplice, offerto al Signore per mendicare la Sua

protezione e la Sua pace.

 
 
 

PADRE ALDO TRENTO

Post n°55 pubblicato il 31 Agosto 2008 da maryrose.ms
 


«Il
mio unico progetto è fare quello che Dio mi mostra ogni giorno». In
Paraguay la parrocchia di San Rafael guidata da padre Aldo Trento
riprende la coscienza medievale e lo spirito delle Riduzioni dei
Gesuiti. Si accompagna l’uomo dalla nascita al cimitero, mostrando come
il cristianesimo crea una civiltà dell’amore. Padre Aldo (classe 1947,
nativo della provincia di Belluno) è in Paraguay dal 1989 dopo una
serie di esperienze anche traumatiche (il periodo della contestazione,
una crisi affettiva e la depressione). La parrocchia di San Rafael ha
circa 10mila abitanti e si trova nella capitale Asunción. Nel 2004 è
nato il Centro di eccellenza dedicato a San Riccardo Pampuri che ha fin
qui dato assistenza a 14mila malati («Piccole ostie bianche», come le
chiama padre Aldo»). Un asilo, una scuola elementare, un’azienda
agricola che prima era destinata al recupero dei carcerati e oggi è una
succursale per i malati di aids non terminali. Due casette per i
bambini orfani o malati di aids. La Casa Gioacchino e Anna per anziani,
il Banco dei donatori del sangue, il Banco alimentare. Sono queste le
altre attività sviluppate da padre Aldo che a partire dall’incontro con
don Giussani ha ritrovato se stesso e ha accompagnato gli ammalati in
particolare quelli terminali verso l’incontro con Cristo.

 

Padre Aldo, è difficile sintetizzare in poche righe la sua missione

 

Mi
occupo anzitutto di malati terminali e depressi. Quello che è strano è
che avevo terrore di finire in un manicomio. Ho alle spalle anni e anni
di antidepressivi. La notte che porto con me è dolorosa, ma oggi la
vivo con la gioia perché Dio per realizzare le sue opere ti vuole sulla
sua croce con lui. Può fare anche diversamente, ma con me ha scelto
questo metodo. Stare di fronte agli ammalati significa realmente
immedesimarmi con loro fino al punto che quella sofferenza diventa mia,
diventa preghiera e supplica.

 

Nei volti dei malati si può rivedere il volto di Cristo, eppure facciamo fatica ad accettare questa condizione

 

Basta
pensare a me. Non avevo neanche per la testa di fare queste cose. Non
avevo più voglia di vivere. I morti mi hanno sempre fatto paura così
come i malati terminali. Ora tutti i giorni vedo la morte in faccia. Il
nostro fine è che i malati terminali possano incontrare Cristo. La
morte è come il momento del matrimonio nel quale si apre la porta della
chiesa con il fidanzato che aspetta sull’altare la fidanzata. Una notte
muore un malato di aids e un’infermiera mi ricorda che quando le donne
andavano al sepolcro avevano con sé gli aromi e i profumi. Da allora
anche da noi si fa così.

 

La bellezza di Cristo è capace di liberare il cuore dell’uomo?

 

Un
ragazzo di 22 anni, piegato dall’aids, mi ha detto: «Padre, io non ho
mai avuto nessuno come compagno nella vita, l’unico è stato l’aids.
Oggi finalmente capisco cosa cercavo». Gli ammalati chiedono
continuamente i sacramenti. Una mamma di 32 anni si è ritrovata con due
bambine di 7 e 8 anni, affette da malattie congenite, morte in
ospedale: è rimasta da sola con un bambino e ha scelto di adottarne
altri 12 malati di aids. C’è anche chi, fra gli ammalati, ha scritto un
canto per ricordare che la morte libera dalle catene del corpo e fa
incontrare Cristo. Crispino, 34 figli sparsi ovunque, prima di morire
ha organizzato una cena per festeggiare l’ultimo compleanno con tutti i
malati. I racconti sarebbero molti.

 

Facciamo un passo indietro. Ripercorriamo le tappe della sua vocazione

 

All’età
di 7 anni sento la prima chiamata, ma purtroppo ero troppo piccolo. A
11 anni durante una confessione il sacerdote mi chiese se mi sarebbe
piaciuto diventare prete, dissi di sì un po’ anche per il timore della
sua reazione. Poi mi accorsi che quel sì aveva cambiato la mia vita:
desideravo essere totalmente di Cristo.

 

Quali sono state le difficoltà principali?

 

Durante
gli anni della contestazione sono entrato in crisi. Ero irrequieto: la
voglia di infinito e di totalità; il cristianesimo che avevo accolto
non era in sintonia con il ‘68. A Padova da giovane prete incontro
Potere Operaio e lì perdo la testa. Divento simpatizzante con tutto
quello che ne seguì: i superiori mi mandarono - dopo il divieto da
parte del vescovo di predicare in parrocchia - a Salerno a seguire i
carcerati.

 

La prima svolta avvenne durante una manifestazione

 

Nel
maggio del 1975 avevo aderito a uno sciopero contro l’imperialismo
americano in Vietnam. Quattro ragazzi (di cui uno mi ha scritto questa
settimana) del primo anno del liceo dove insegnavo mi videro con il
giornale di «Lotta continua» e mi dissero: «Padre non è così che si
cambia il mondo, lei dovrebbe insegnarcelo. Il mondo si cambia, il suo
cuore cambia se incontra Cristo». Rimasi sconvolto. Incominciai a
seguire l’esperienza di Cl. Da lì è iniziata la mia avventura fino al
1989 quando una crisi affettiva mi ha messo ko: da un lato capivo che
questa persona era importante per la mia vita, dall’altra ero prete e
la mia vocazione era fuori discussione.

 

Poi l’incontro e il rapporto con don Giussani

 

Consegnai
la mia situazione a don Giussani, che mi disse: «Finalmente è accaduto
il miracolo, adesso diventerai un uomo». Diventare un uomo ha voluto
dire fare i conti con la mia umanità che non pensavo così drammatica e
così dura. Il 7 settembre 1989 don Giussani mi ha accompagnato
all’aeroporto per il Paraguay. Mi sono buttato in un disegno del quale
Giussani era il tessitore e Dio la mano.

Grazie a Il Sussidiario

 
 
 

IL POPOLO D'AGOSTO

Post n°54 pubblicato il 31 Agosto 2008 da maryrose.ms
 




Spagnoli,
portoghesi, kazaki, russi, egiziani, giordani, messicani, americani,
polacchi, lituani, cechi... tra i volontari del Meeting di Rimini di
quest’anno ci sono giovani che vengono da molto lontano, a loro spese,
per pulire i pavimenti della fiera, strappare i biglietti all’ingresso
degli spettacoli, fare servizio d’ordine negli incontri, servire ai
tavoli dei ristoranti o pelare patate.
Questo dice in modo efficace
della svolta che sta caratterizzando il Meeting: è divenuto ormai un
evento internazionale, non solo per quello che riguarda i relatori
degli incontri, ma anche per ciò che concerne il pubblico e persino i
volontari.
Cosa accomuna tutta questa gente? Un carisma cattolico,
come quello di Luigi Giussani, che si immerge nella tradizione e nella
storia del nostro Paese, rende gente di tutto il mondo capace di vedere
ciò che molti non sono capaci di vedere, un nuovo mondo che sta
nascendo: donne ugandesi malate di Aids piene di speranza; gli
appartenenti ad una associazione di ex favelados che, abbracciando la
fede cattolica, trovano nuova linfa alla loro azione educativa e
sociale; carcerati spinti a un profondo cambiamento interiore per
l’incontro con gente che scommette sul loro destino e insegna loro a
lavorare; missionari, fratelli e compagni di coloro che hanno
incontrato in terre lontane; giovani del rione Sanità di Napoli
protagonisti di un impegno sociale che sembra un canto; intellettuali
alla scoperta di un nuovo significato dopo anni di nichilismo; giovani
imprenditori e operatori sociali che, invece di discutere di crisi,
cercano innanzitutto di affrontarla con creatività e spirito di
iniziativa.
Sono frammenti di popolo che torna ad unirsi durante
una settimana di agosto, persone leali con il grido del loro cuore, che
non si accontentano di osservare queste novità umane presenti nella
realtà, ma vogliono scoprire che cosa e chi le origina.
Per questo
hanno ascoltato in modo filiale gli interventi di pastori come Bagnasco
e Pezzi. Per questo hanno affollato incontri, come quello in cui si è
parlato di ecumenismo con Habukawa, di diritti umani con Glendon,
Weiler e Hauerwas, di pace con Mamberti, Tauran e Moussa, di
multiculturalismo con Prades e Milbank, della solitudine esistenziale
con Borgna e Cesana, di percorsi alla ricerca della verità di se stessi
con Pansa, Cominelli, Modiano, Waters e Allam. Per questo, negli
incontri politici, sociali ed economici in questo Meeting, partendo da
un desiderio di significato per la propria vita e da tentativi positivi
in atto nella vita economica e sociale, hanno aiutato i relatori a star
di fronte ai problemi che attanagliano la nostra società, secondo
un’ottica sussidiaria, senza soffermarsi sul gossip politico. Così, si
è discusso di molte proposte che stanno punteggiando l’inizio di questo
governo e l’attuale clima politico: la volontà di rilanciare il sistema
produttivo e bancario da parte di operatori pubblici e privati (come
Conti, Passera, Profumo e Moretti), il dialogo per il bene comune
dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, il riassetto dello
Stato e il federalismo fiscale negli interventi di Tremonti e
Calderoli, la necessità per la scuola di una riforma nella direzione di
autonomia, parità, valutazione e valorizzazione della professionalità
degli insegnanti nel dibattito Gelmini-Garavaglia, l’urgenza della
liberalizzazione del mercato del lavoro nell’incontro con Sacconi e
Bonanni, la riforma della giustizia e delle carceri annunciata da
Alfano, la sussidiarietà nell’ente locale di Formigoni e Alemanno. Chi
impara da Giussani a vivere senza patria non si estrania dal mondo,
come hanno testimoniato Eugenia Roccella e Bernhard Scholz
nell’incontro conclusivo: vi scopre quella Presenza Misteriosa che
continuamente mostra i suoi tratti inconfondibili in fatti e persone
che spalancano il nostro cuore e ci fanno appassionare a tutto, anche
quando non tutto è come istintivamente vorremmo.
Pagina  12 

Giorgio Vittadini - Il Giornale




 
 
 

UN INCONTRO

Post n°53 pubblicato il 29 Agosto 2008 da maryrose.ms
 
Tag: meeting





Il Cristianesimo non è una dottrina ma un incontro: due giornalisti, Waters e Allam, si raccontano

“La
prima condizione per cui il cristianesimo si realizza come avvenimento
è l’affezione a sé, alla propria umanità. Non accade come una magia, ma
come dice don Carròn, occorre la nostra umanità”. Apre così Alberto
Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione, uno dei più attesi e
affollati incontri della ventinovesima edizione del Meeting. Sono stati
invitati a testimoniare l’incontro fatto con l’avvenimento di Cristo
nella loro vita John Waters, editorialista dell’Irish Times e Magdi
Cristiano Allam, vicedirettore del Corriere della Sera.

“Di
recente ho vissuto un fenomeno per me strano: sentirmi nella posizione
di Giovanni e Andrea quando incontrarono Gesù per la prima volta”.
Waters, già presente al Meeting due anni fa, inizia il suo intervento
raccontando ciò che considera novità nella sua vita. “Sono seduto a un
bar, prendo un caffè con un amico e c’è una sedia vuota come per un
altro ospite. Allora comincio a pensare a come sarebbe se arrivasse
Lui: come potrei fare a riconoscerLo? Che aspetto avrebbe?”. È chiaro
che per il giornalista irlandese deve accadere qualcosa di eccezionale
per riconoscere la Presenza di Cristo su quella sedia, nella sua vita.

Prova così a spiegare il suo lungo e complicato percorso all’interno
della cultura moderna, descritta da lui come “una giungla buia
all’interno della quale cammino a tentoni e tocco senza riuscire a
capire se sono buone o cattive”. In effetti la sua vita è stata una
giungla in cui ha anche affrontato il tunnel dell’alcolismo durante la
ricerca della sua libertà, necessariamente diversa da quella in Cristo
trasmessagli dalla sua famiglia. Ma il suo cuore non ha mai smesso di
desiderare di incontrare una verità che sia più corrispondente della
sua idea di libertà. Accogliendo allora la provocazione di don Giussani
di essere onesto con se stesso e stare a ciò che accade nella sua vita,
è arrivato alla radura camminando nella giungla della sua vita. “Lì ho
incontrato gente che guardava tutti i miei desideri e mi ha invitato a
fare un viaggio. Questo è il Meeting, l’Incontro. L’unico incontro che
io conosca” conclude Waters. “Oggi Lui è presente nella mia realtà”.


Interrotto più e più volte da applausi, Magdi Cristiano Allam inizia
ricordando che ha ricevuto la grazia di incontrare autentici testimoni
di fede. Ciò che poteva sembrare casuale nella sua vita, oggi lo
riconosce come fondamentale per la conversione al cristianesimo:
l’educazione dall’età di quattro anni nelle scuole cattoliche. “Ho
conosciuto così la realtà del cristianesimo, vissuto attraverso le
opere buone dalle suore e dai frati che insegnavano lì. Da allora -
continua – è cresciuta sempre di più la mia spiritualità e la convinta
adesione ai valori non negoziabili: la sacralità della vita, la dignità
della persona che comporta la libertà personale, in particolare quella
religiosa oggi messa sempre più spesso a repentaglio”.

Ancora
una volta Allam vuole spiegare perché nel suo ultimo libro Grazie Gesù
ha definito l’islam “la religione del Dio che si fa testo e si incarta
nel Corano”. Gli attacchi a Benedetto XVI dopo il discorso
all’Università di Ratisbona da parte del mondo musulmano e l’isolamento
in cui l’occidente lo ha lasciato, gli atti terroristici e la violenza
giustificata in nome dell’islam e delle gesta di Maometto, hanno
portato il vicedirettore del Corriere della Sera a ripensare alla sua
fede. “Come musulmano laico, moderato e impegnato a cercare la
compatibilità dell’islam con i diritti umani fondamentali, ho dovuto
prendere atto che questa non è possibile. Non è infatti possibile
approcciarsi con gli strumenti della ragione e della critica ad un
testo, il Corano, considerato intangibile e ingiudicabile come Dio. Ho
compiuto approfonditi studi sui testi della religione islamica e posso
dire che molti versetti legittimano l’ideologia dell’odio e della
violenza. La stessa biografia ufficiale di Maometto, riconosciuta dal
mondo islamico, descrive la vita del Profeta come un guerriero che si è
macchiato di efferati crimini come l’uccisione di settecento ebrei a
Medina nel 627 d.C.”.

Minacciato per le sue battaglie su
diritti e valori incompatibili con lo stesso testo fondamentale della
religione islamica, Allam ha deciso di lasciarla convintamente e
definivamente. “Ma questa mia condanna alla religione – vuole
puntualizzare – non inficia l’amore autenticamente cristiano verso i
musulmani che accettano e vivono secondo i valori universali. Vanno
dunque rispettati ed è inoltre necessario incoraggiare un lavoro per
costruire insieme il mondo”. Questo dev’essere però fatto “con la
certezza della nostra verità, senza accostarci al relativismo per cui
si devono mettere su un piano di parità tutte le religioni. Questo
permette di agire da protagonisti per edificare il bene comune”. Inizia
quindi un nuova vita per Magdi Cristiano Allam, in quel Dio che si è
fatto uomo.

Una testimonianza dunque dello “stupore per
qualcosa che accade” quella resa oggi da Waters e Allam. “All’inizio -
conclude Savorana - quando riconosci l’origine della stranezza delle
persone che incontri al Meeting lo dici a denti stretti: Cristo. Ma
questo provoca nel cuore lo scoppio ancora più grande del desiderio”.

(A.P.)
Rimini, 28 agosto 2008



 
 
 

PAURA DELLA MORTE

Post n°52 pubblicato il 28 Agosto 2008 da maryrose.ms
 





http://www.mobbing-sisu.com/poesie/autunno.gif

La morte del nostro corpo, evento finale della nostra vita
su questa terra, di fatto NON E' la sola morte della nostra vita.
Ovvero non è il solo evento nella nostra vita che meriti questo nome: "morte".

E questo non solo perché già adesso quell'istante futuro proietta
all'indietro su tutta la vita precedente, quella che sto vivendo e quella che
non ho ancora vissuto, un'ombra di paura e di angoscia.
Ma anche perché ci sono tanti momenti nella vita che portano con sé
le stesse paure ed angosce della morte del corpo, a volte anche
peggiori.

Perché quello che il pensiero della morte del corpo scatena
è angoscia, rabbia, sconforto, recriminazione per il limite inesorabile posto
al mio desiderio, al mio illimitato desiderio di aria, di luce, di cieli azzurri e
boschi profumati, di sguardi di amicizia e abbracci d'amore.
Il cuore, quando ci penso, è oppresso, niente sembra che abbia più valore,
mi sento come un animale braccato, chiuso in una stretta gola senza uscite.
Vorrei stringermi a tutte le persone più care, chiamarle a confortarmi,
rassicurarci a vicenda...ma poi mi accorgo che la "mia" morte, proprio
perché "mia" non può essere davvero di nessun altro, viverla tocca
a me e non c'è solidarietà che tenga...

Questo è il vissuto che associo alla morte fisica. Ma
se penso alla mia vita ed alla vita delle persone a me
care, mi accorgo che tante volte il mio ed il loro cuore si è trovato
a risuonare di quelle stesse note che la morte fisica, o meglio la paura
di essa, produce. Le stesse risonanze, le medesime angosce che la fine
della vita proietta sulla nostra vita le abbiamo vissute prima e per
motivi diversi. Tante volte mi sono sentito chiuso in un vicolo cieco
senza possibilità di uscirne indenne! Tante volte la vita stessa mi
ha posto in situazioni in cui lo stesso vivere era come morire, tanto che
la fine della vita poteva sembrare non morte, ma liberazione: vere
e proprie situazioni "di morte". Mi accorgo, guardando indietro, anche di quante delle
mie azioni passate e presenti sono state e sono condizionate dalla paura di finire in
una di queste situazioni di morte: quanto male ho fatto ad altri per sfuggire
alla "mia" morte!...in fondo "mors tua, vita mea"! Quante volte la
paura della morte è stata signora della mia vita!

Sì, ci sono tante "morti" nella vita mia e delle persone a me care.
L'elenco sarebbe lunghissimo. Dal dover chiedere perdono a qualcuno
all'essere costretto a letto in seguito ad un incidente stradale,
dal subire una reprimenda dal capo al dover abbandonare il lavoro,
dalla perdita di un figlio all'essere abbandonata dal marito,
dal fallire un obiettivo importante per la vita all'accettare
e perdonare un tradimento, dall'essere incompreso dai propri
stessi genitori all'essere rifiutato dai propri figli...

No, la morte è presente in tante forme nella vita ed ancor
più presente è la paura della morte, che rischia di diventare
la vera signora della nostra vita se non impariamo a disubbidirle...
ma è davvero possibile disubbidire alla paura della morte?

 
Grazie a Poemen Qui il link


 
 
 

UN POPOLO

Post n°51 pubblicato il 26 Agosto 2008 da maryrose.ms
 




Fantastico incontro inaugurale del Meeting, a cura di S.E. Card. Bagnasco. Qui potete trovare il testo integrale dell'incontro.

Grande incontro davvero, degno prologo di un'edizione del Meeting che
si prospetta come ancora più radicale - nel senso che tenta di andare
alla radice del muoversi del cristiano - nel quale Bagnasco ha
effettuato sottolineature precise alle condizioni pericolose di deriva
laicista che si osservano in molti Paesi, in modo sempre più
preoccupante, in particolare nella Vecchia Europa. Ma son tanti i
passaggi degni di nota del discorso del Cardinale.
Si parte dal riconoscimeto della Chiesa come casa: "La
Chiesa è la nostra “casa”, l’ ambiente familiare dove rigeneriamo le
forze e la speranza si alimenta. Ma è anche il nostro “mondo” dove il
cuore impara a pulsare oltre se stesso, e l’intelligenza è chiamata ad aprire gli orizzonti superando meandri e ottusità, particolarismi e divisioni
".

Insomma, tutt'altro rispetto a come i Grandi Intellettuali vorrebbero
farla apparire. Bagnasco sottolinea un'esperienza originale, che cioè
andando a fondo alla vita cristiana ci si spalancano le porte del
mondo; altro che clausura mentale! Infatti - prosegue - "il mondo è presente nel cuore della Chiesa anche oltre la sua dilatazione geografica e temporale: se
– per ipotesi – la presenza della Chiesa dovesse contrarsi e ridursi ad
un punto ristretto della terra, ugualmente il suo respiro porterebbe
l’eco dell’umanità intera, l’universalità del mondo
".

A proposito del 'fare storia', che è il tema principe dell'intervento, dice "
Tradire
l’anima di un popolo – magari con processi corrosivi e subdoli – vuol
dire sgretolare, in nome di qualche ideologia o disegno politico-
economico, ciò che consente ad ognuno di sentirsi parte di un tutto;
significa derubarlo di ciò in cui crede, che gli appartiene, che gli è
stato tramandato come patrimonio, che è la sua forza unificante. Un
patrimonio ideale che, nella pluralità delle forme ma nell’unità
fondamentale del pensare e del sentire, permette di percepirsi
“famiglia”. Per questo motivo, intaccare
direttamente i valori spirituali e morali di una comunità e di un
Paese, è attaccare la sua integrità e fare cattiva storia
".
Un monito per ciascuno e dal quale nessuno Stato deve sentirsi escluso,
ma mi è sembrato di intuire un preciso riferimento alla situazione
spagnola, dove uno sfrenato laicismo sta privando un intero popolo
della sua cultura, delle sue tradizioni, del suo 'sentirsi famiglia' in
nome di una (presunta) necessità di 'sterilità di Stato'
'.
Una vera perla, a mio avviso, è contenuta in un passaggio successivo, a proposito di 'custodia e memoria': "
A
partire da questa memoria custodita e amata, lo storia ruota attorno
alla concezione dell’uomo, che nel Cristianesimo giunge alla sua
pienezza e che sta alla base dell’umanesimo europeo. Si può giustamente rilevare che ciò non ha impedito errori e orrori in Europa; ma, a ben pensare, se ciò è accaduto non è stato perché sia stata troppo cristiana, ma perché lo è stata troppo poco
".
Sua Eccellenza sottolinea ciò che i laicisti guardano con disgusto e
fanno finta di non capire, che cioè ciò che siamo ora lo dobbiamo al
Cristianesimo (e infatti a tal proposito afferma che "
solamente una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche"),
e che gli orrori che son venuti ad opera di persone della Chiesa si son
verificati non per una appartenenza ma proprio per una mancanza di
fedeltà all'incontro cristiano stesso, alla missione che Cristo stesso
ha affidato alla Sua Sposa.

Questi sono solo alcuni spunti dall'incontro. Vi consiglio vivamente di leggerlo per intero, ne vale davvero la pena!

ps: alcuni link interessanti sul Meeting
- Il saluto del Santo Padre al Meeting
- Lo Speciale Meeting 2008 de "Il Resto del Carlino"
- Il blog di Massimo Pandolfi, con alcuni interessanti post e curiosità dal Meeting
- La Rassegna Stampa del Meeting

Grazie all'amico GADDURA




 
 
 

VERGINE MADRE

«Vergine madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore per lo cui caldo ne l'eterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate».
 

LA MADRE

http://www.opusdei.it/image/inmaculada.jpg
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

I MIEI BLOG AMICI

ULTIME VISITE AL BLOG

lucia.soccolYour_luciusrita.ugolinimoreno.botticchioAvv.Valentin0user200_2006moreno928ilritornonitro40azzurramorganaHitchensbart.simpson01roberta.peruchmarnevi.pmraffaella.mariniellorosy.marchettini
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

SOLIDARIETA'

"Cari amici,
Ciò che mi preoccupa principalmente della vicenda del sito islamico legato ad Al Qaeda in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed io siamo stati minacciati di morte, indicati come "due morti che camminano, proprio come si autodefiniva Falcone", è la sottovalutazione del fatto che si tratta di un testo in lingua italiana e che l’autore è verosilmente un italiano convertito all’islam terroristico di Osama bin Laden.
La mia impressione è che in generale, a livello di potere esecutivo, legislativo e giudiziario, immaginando che questo terrorismo islamico "Made in Italy" potrebbe essere l’opera di una testa calda e magari di un cane sciolto, nel senso di un fanatico non organico a un gruppo terroristico noto, il pericolo viene valutato al ribasso e si ritiene quindi che non ci si debba preoccupare più di tanto. Questo è un errore gravissimo. Non si comprende che anche se fosse presente un solo aspirante terrorista e magari un terrorista suicida, sarebbe di per sé sufficiente per avere la certezza che si tratta della punta di un iceberg, dove l’iceberg è una realtà ben radicata territorialmente e ideologicamente che dovrebbe preoccuparci." Magdi Cristiano Allam
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963