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ANZIANI CON FEDE

Post n°44 pubblicato il 14 Gennaio 2011 da violadelpensier_1965
 


 Un lungo cammino

“Io individuo quattro motivi per cui la vecchiaia sembra triste: primo, perché allontana dall’attività; secondo, perché indebolisce il corpo; terzo, perché nega quasi tutti i piaceri; quarto, perché non dista molto dalla morte”
. A questo giudizio di Cicerone (De senectute), oggi noi potremmo aggiungere un ulteriore motivo che rende penosa la vecchiaia. Ed è questo: l’era della tecnica ha spiazzato e reso fuori luogo l’adagio che legava vecchiaia e sapienza, e vedeva nell’anziano il depositario di una memoria, di un’esperienza che lo rendeva elemento fondamentale nel gruppo sociale. La “sapienza dell’anziano” pare un relitto di un passato ormai remoto, oppure ancora presente in civiltà non toccate dal progresso tecnologico e informatico che ci paiono ancora più distanti. L’anziano, nel contesto di una società che esalta la produttività, l’efficienza e la funzionalità, si trova emarginato, reso superfluo, inutile, e spesso egli stesso “si sente di peso” ai familiari e alla società. In un simile contesto la vecchiaia appare come un passaggio faticoso da una condizione in cui si è definiti dal lavoro o dal ruolo sociale, a una sorta di zona morta di pura negatività, la “pensione”, un limbo in cui si è definiti da ciò che non si è più e non si fa più.

La vecchiaia un dono


Per quanto il discorso sulla vecchiaia sia in realtà un discorso pluralistico che deve diversificarsi in ogni anziano prestando attenzione alle particolari situazioni di salute fisica e mentale in cui ciascuno si viene a trovare, è pur vero che la vecchiaia è vita a pieno titolo, è una fase particolare di un cammino esistenziale, non una mera anticamera della morte. “La vecchiaia si offre all’uomo come la possibilità straordinaria di vivere non per dovere, ma per grazia” (Karl Barth). Già di per sé essa è uno stadio della vita che non tutti arrivano a conoscere. Dunque essa è anzitutto un dono che può essere vissuto con gratitudine e nella gratuità: si è più sensibili agli altri, ai gesti di attenzione e di amicizia; inoltre è la grande occasione per operare la sintesi di una vita. Arrivare a dire “grazie” per il passato e “sì” al futurosi ha il bisogno di narrare, di dire la propria vita, per poterla assumere vedendola accolta da un altro che la ascolta e la rispetta.
significa compiere un’operazione spirituale veramente essenziale soprattutto in vista dell’incontro con la morte: l’integrazione della propria vita, la pacificazione con il proprio passato. La vecchiaia è così il tempo dell’anámnesi, del ricordo, e del racconto:


"Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie." (Salmo 71:17,18)

E questo racconto può divenire trasmissione di un’esperienza di fede: il Salmo 71 ne è un bellissimo esempio. Nell’indubbia decadenza fisica e mentale, nel venir meno delle forze, nella riduzione delle possibilità che la vecchiaia comporta vi è però anche la possibilità di affrontare in modo più diretto le domande che la vita pone, senza le evasioni e le illusioni che le molteplici attività potevano consentire quando si era più giovani. Che cosa valgo? Che senso ha la vita? Perché morire? Che significano le sofferenze e le perdite di cui l’esistenza è piena? E anche la fede può acquisire coscienza e profondità: “Finché era più giovane, l’uomo poteva ancora immaginarsi di essere lui stesso ad andare incontro al suo Signore. L’età deve diventare per lui l’occasione per scoprire che invece è il Signore che gli viene incontro per assumere il suo destino” (K. Barth). Vi è dunque un significato preciso di ciascuna fase della vita: anche di fronte alla vecchiaia si tratta anzitutto di accettarla pienamente e questo consentirà di non viverla come tempo di rimpianto e di nostalgia, ma di coglierla come tempo di essenzializzazione e di interiorizzazione.


Così si svelerà la fecondità possibile della vecchiaia (Salmo 92,15) "Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi", una fecondità manifestata nella tenerezza e nella dolcezza, nell’equilibrio e nella serenità... E’ il tempo in cui una persona può affermare di valere per ciò che è e non per ciò che fa. Ovvio che questo non dipende solamente da lui, dall’anziano, ma anche e particolarmente da chi gli sta intorno e dalla società che può accompagnarlo nel compito di vivere la vecchiaia come compimento e non come interruzione o come fine. Anzi, la vecchiaia è un momento di verità che svela come la vita sia costitutivamente fatta di perdite, di assunzione di limiti e di povertà, di debolezze e negatività. La vecchiaia, ponendo l’uomo in una grande povertà, lo mette anche in grado di cogliersi nella sua verità, quella che si svela al di là di ogni orpello e di ogni esteriorità. Forse non è un caso che, per Luca, il Vangelo si apra con due figure di anziani: Simeone e Anna che riconoscono e indicano Gesù come Messia. L’anziano fa segno, indica, trasmette un sapere. Ed è, con la sua vecchiaia pacificamente assunta davanti a Dio e davanti agli uomini, un segno di speranza e un esempio di responsabilità.

Le fasi della vita



“Io sono stato giovane e son anche divenuto vecchio”:
La gioventù non è solo un periodo della vita, è anche una condizione interiore, nella quale la volontà, l’immaginazione e il coraggio sfidano gli eventi, le difficoltà e gli imprevisti quotidiani. La vita non è fatta proprio d’imprevisti?
“Io sono stato giovane...”.


Dunque, prima di tutto, un fanciullo. Fin dalla sua nascita ogni bambino è un essere limitato... Lo sapete che il cristallino dell’occhio, questa piccola lente meravigliosa, limpida, elastica, viva, invecchia fin dalla nascita?
Ogni fanciullo nasce in un tempo determinato, in un determinato ambiente sociale. I suoi genitori, che egli non ha scelto, gli hanno trasmesso una ben determinata eredità.
Del resto non è affatto facile, per molti giovani, accettare la loro vita, così come è.
Molti anzi rifiutano di accettarsi così come sono!
Un certo dottor Liengme, nel suo libro “Pour apprendre à mieux vivre” (= “Per imparare a vivere meglio”) ci incoraggia con queste parole: “Vivere è l’arte di usare ciò che rimane”.


L’apostolo Paolo dirà, meglio ancora: “Per la grazia di Dio io sono quello che sono e la grazia sua verso di me non è stata vana” (1 Corinzi 15:10).
Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni. Si diventa vecchi quando le preoccupazioni, i dubbi, la mancanza di speranza ci fanno curvare verso terra e diventare polvere prima ancora di morire.
Gli anni raggrinziscono la pelle, ma il pessimismo raggrinzisce l’anima.


“Io sono stato giovane e son anche divenuto vecchio”.
Ma sono invecchiato bene?
Verso la fine della sua vita, mentre era in prigione, l’apostolo Paolo si esprimeva così: “Io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo” (Filippesi 4:11).
Sta a noi fare nostra questa affermazione, anche se nella vecchiaia avvertiamo in modo più acuto il peso del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.
Più avanziamo negli anni e più il futuro si avvicina al presente!

Per chi è ancora giovane il futuro è un cammino che parte verso l’infinito.
Nell’età matura il futuro assume contorni più definiti.
Nella terza età cammina fianco a fianco con il nostro presente.

La vecchiaia alla luce della Bibbia 


Qual'è la considerazione che dell'anziano si ha leggendo la Bibbia? Che cosa ci rivela su quella che è conosciuta come l'ultima stagione della vita? Mediante suggestive metafore la parola ci ricorda anzitutto in tono realistico la progressiva decadenza dell'anziano fino alle soglie della morte:"Intanto questo mio corpo si disfa come legno tarlato, come un abito roso dal tarlo"(Giobbe 13:28).

Un'età comunque positiva


L'esperienza dell'affievolirsi delle forze fisiche e psichiche, quando (Ecclesiaste 12:3-7) "non si avrà più alcun piacere...il sole, la luce, la luna, le stelle si oscurano"(perdita della vista),"i guardiani della casa tremano"(artrosi morbo di Parkinson...),"le macinatrici si fermano perchè son ridotte a poche"(bocca sdentata), "i due battenti della porta si chiudono" (sordità), "si avrà paura delle alture"(difficoltà motorie)...non provoca però nel credente sensi di smarrimento o disperazione. Sebbene gli occhi possano indebolirsi tanto da non vederci più, come nel caso di Isacco (cfr. Gen. 27:1), di Giacobbe (cfr. Gen. 48:10) e del sommo sacerdote Eli (cfr. 1Sam. 4:15), tuttavia la vecchiaia è considerata positivamente dalla Bibbia, che ce la presenta come un'età benedetta. L'anziano è presentato (e apprezzato) come l'uomo della sapienza, del consiglio e del giudizio.


Ai tempi di Mosè fu voluta da Dio perfino un'importante istituzione civile e religiosa formata da un collegio di anziani deputati a varie mansioni: giudici (cfr. Deuter. 19:12), consiglieri (cfr. Esodo 24:14), ruoli direttivi (cfr.  Esodo 24:14). Questa classe sociale è ricordata molto spesso nella Bibbia con l'espressione"gli anziani di Israele", "gli anziani del popolo" e "gli anziani della città". Fondamento di questo grande rispetto, onore e considerazione che si deve all'anziano è la legge presente nel libro del Levitico: " Alzati davanti al capo canuto, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore" (Le 19:32), l'ordine di onorare l'anziano ritorna altrove nella Bibbia, in particolare in riferimento ai familiari (cfr. Pr 23:22).
La Bibbia ci riporta anche una breve quanto suggestiva preghiera che il salmista, ormai avanti negli anni, rivolge a Dio: "Non respingermi al tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando le mie forze declinano" (Sal.71:9).


Il rinnovamento continua...



Alla luce della Parola di Dio la vecchiaia non è dunque un tempo di decadimento, di rinuncia e chiusura. E un tempo diverso, certo, ma non meno fecondo e importante per se e per gli altri. Il vecchio non si taglia, perche porta ancora frutto: darà meno frutto, ma non è la quantità che conta, piuttosto è la qualità.
La vecchiaia non è quindi una disgrazia, ma una grazia, una ricchezza e non una povertà. Pur nei suoi limiti ed acciacchi è un dono di Dio (che molti non ricevono!), l'occasione di una maturità umana e spirituale, di una testimonianza di fede da offrire ai più giovani.


L' apostolo Paolo, sul finire della sua missione, si dichiara "vecchio" (cfr. Fi 9) eppure egli afferma che, con Cristo, tutto è rinnovato, tutto è nuovo, anche nella vecchiaia: "Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie son passate: ecco, son diventate nuove" (2Cor. 5:17)!


Ed è proprio su questo sguardo di fede aperto verso l'orizzonte del cielo che l'ultima stagione della vita acquista il suo pieno e definitivo valore: " Bisogna prepararsi a diventare giovani ". La giovinezza o rigenerazione di cui parla l'apostolo non è quella ottenuta faticosamente (e inutilmente) con operazioni di lifting o speciali creme di bellezza.

(Proverbi 20:29)"La gloria dei giovani sta nella loro forza, e la bellezza dei vecchi, nella loro canizie."
Non si tratta di una riverniciatura come avviene per una vecchia automobile: la verità del messaggio biblico tocca direttamente l'essenza della nostra vita e del nostro destino.

 

" Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perchè la nostra momentanea, leggera afflizione, ci produce un sempre più grande, smisurato, peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiche le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne" 
(2Cor. 4:16-18)


 
 
 
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