CARMEN AULETTA
I ricordi, certi ricordi, sono come tatuaggi, non vanno più via, sono parte della tua anima, della tua vita.
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Post n°65 pubblicato il 08 Settembre 2007 da carmen46c
Le collegiali Racconto autobiografico n. 9 Superato il primo anno di collegio, il più difficile, devo dire che quegli anni furono tranquilli per me. Certo la vita nell’Istituto non era molto entusiasmante, la monotonia delle giornate era troppo soffocante. Se volevi vita tranquilla dovevi sottostare alle regole senza brontolii o discussioni, altrimenti, la vita all’interno di quelle mura poteva veramente diventare un inferno. Le suore non erano di certo molto tenere con quelle che recavano problemi. Però posso asserire con tutta onestà che in quell’edificio non esistevano maltrattamenti fisici alle ragazze. Anche se le suore avessero voluto, era impensabile trattare male la figlia dell’Ammiraglio, la nipote del Commissario di Polizia, la straricca della famiglia Tal dei Tali, tutta gente facoltosa che portavano ricchezza e prestigio all’Istituto. Solo io ero la figlia di un semplice impiegato ed era già una grazia stare lì e come una volta mi aveva fatto notare una suora, dovevo solo ringraziare Dio per l’atto di carità che mi era stato concesso, quindi mi conveniva tenere sempre la bocca chiusa e non lamentarmi mai. Anche se capitava di vedere animaletti strani che a quattro zampe camminavano nel brodino della sera, dovevo zittire e fare l’impossibile per non farlo notare alle mie amiche aristocratiche che avrebbero messo in subbuglio l’Istituto e sarebbero state capaci di farlo chiudere per mancanza d’igiene. Ogni tanto la suora mi rinfrescava la memoria sulle mie condizioni dicendo che era sempre pronto per me un documento che all’occorrenza serviva ad espellermi dall’Istituto qualora io avessi solo appena provocato disordine tra le ragazze. E già, se mi cacciavano dal collegio, dove andavo? Comunque, oramai lì dentro io ci vivevo bene, ubbidire a quelle regole era una passeggiata per me, per le mie amiche molto meno, in collegio non avevano la cameriera personale pronta a soddisfare ogni loro necessità. La differenza tra me e loro si notava soprattutto a settembre, quando facevamo l’ingresso in collegio dopo le vacanze estive. La suora portinaia mi diceva che ogni anno puntualmente le mie amiche entravano in collegio piangendo ed io ero l’unica che invece entrava ridendo. Comunque, nella tranquillità di quegli anni cominciava ad emergere il mio vero carattere. Mi ero resa conto di avere un grande ascendente sulle mie amiche che ogni volta venivano da me per qualsiasi parere, oramai per loro non ero più la poveraccia che non sapeva neanche aprire bocca, il mio parere era tenuto in grande considerazione soprattutto perché viceversa, non mi preoccupavo della loro approvazione, non mi interessava appartenere ad un gruppo specifico, io ero sempre quella che riusciva ad essere autosufficiente e a dire con molta tranquillità quello che pensava. Ma soprattutto erano attratte dal mio modo di fare, mentre loro si disperavano ogni qualvolta andava storto qualcosa, io ero quella che coglieva il lato comico di ogni situazione tragica , la mia ironia spesso le teneva impegnate a ridere per giornate intere. Non era cosa da poco, considerando il fatto che non ci permettevano di guardare neanche la televisione per distrarci un po’. A volte riuscivo a coinvolgere persino le suore ad ammirare le mie “performance”, una in particolare mi diceva: “E’ incredibile! Ma c’è una cosa che non riesci a fare? Tu fai l’attrice, la comica, la prestigiatrice …” Spesso però mi sentivo persino vittima di questa nomea, e mi succedeva quando ero chiamata ad improvvisare qualcosa all’ultimo momento in occasione di una visita importante da parte di chissà quale personaggio illustre che veniva a farci visita in collegio. In apparenza io facevo la brillante, ma dentro di me tremavo dalla paura al pensiero di fare fiasco, ma quando gli applausi schioccavano tra le grida e gli entusiasmi, allora mi calmavo finalmente e mi rendevo conto di aver fatto centro, quello era il momento degli encomi, dei grandi complimenti ed io non potevo fare a meno di godermi quel momento di esaltazione che contribuiva non poco a far crescere la mia autostima. La mia fantasia era diventata proverbiale in quel collegio e le ragazze ne approfittavano il più possibile soprattutto a scuola durante le ore di Filosofia. Io stessa mi ero resa conto che quando raccontavo qualche fatterello, l’Insegnante di Filosofia pendeva dalle mie labbra, addirittura per ascoltarmi meglio si sedeva sul mio banco. Allora le ragazze mi facevano segno di allungare il più possibile il racconto per far sì che le ore passassero in fretta e senza l’incubo delle interrogazioni. Ed effettivamente accadeva proprio così, io raccontavo un fatto vero accaduto in collegio, ma poi lo colorivo spiegando ogni piccolo particolare, mi stupivo io stessa di quello che usciva fuori dai miei racconti, erano storie vere, ma raccontate in modo diverso avrebbero perso tutta la loro attrattiva, io invece ero sempre più stimolata dalla curiosità e dallo stupore dell’Insegnante che m’invogliava a dare il meglio di me nella narrazione. Alla fine le mie amiche erano strafelici perché il tempo era passato e avevamo evitato il pericolo delle interrogazioni, in quanto a me… io ero quella che più di tutti si divertiva.
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