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PARANOID PARK

Post n°201 pubblicato il 15 Giugno 2007 da DolceA0
 
Tag: Cinema

Gus Van Sant, torna ad interessarsi degli adolescenti americani in questa nuova opera. Dopo Elefant sulla strage di Columbine, pluripremiato a Cannes nel 2003, ritorna nella scuola, nei corridoi interminabili, nelle aule e nella stanza del preside.

Il fulcro del film è questo Paranoid Park, dove non si è mai pronti per andare. Lì si radunano gli skaters, descritti come quelli che non hanno speranza, che non hanno casa, né sanno cosa fare nella vita. Un posto di derelitti dove vige il codice del riconoscersi tali.

Ma allora perché l’adolescente Alex, si fa tentare dal suo amico e finisce in quel parco? Per amore dei volteggi sulla pedana a quattro rotelle, oppure perché l’adolescenza è una fase in cui  la sfida più grande è una provocazione contro vita stessa? A me pare buona la seconda. Sono ben accette altre spiegazioni.

Il regista per realizzare questo breve film di 85’ si avvale di ogni artificio linguistico. Intanto ingaggia il direttore della fotografia amato da Wong Kar-Way, Christopher Doyle, che dà il suo notevole contributo. Poi mette in campo numerosi ralenti, usa formati diversi di pellicola e video, si insinua con i movimenti di macchina,  riscalda il pathos con i primi piani, fissa un gruppo di adolescenti mentre avanzano nei corridoi -  come il celeberrimo ritratto di Pellizza da Volpedo -, insegue  con lunghe carrellate da dietro il suo eroe. Alterna il buio più oscuro alla luce più chiara.  Narra la compresenza di situazioni ingenue e di vita normale, amori e amicizie, accanto alle quali si trova invece un delitto anch’esso ingenuo, figlio dell’età del protagonista. Interessante, tra l’altro, l’assunto che mostra come le famiglie che si separano non sono la tragedia più grande che può capitare all’essere umano. Famiglie che comunque risultano poco presenti nella vita dei ragazzi. Da qui la scelta del regista di riprendere i genitori solo da dietro o sfocando l’immagine, tranne nel caso in cui il padre, con l’esposizione dei tatuaggi, fa pensare a una figura più immatura del figlio.

Tratto dal romanzo di Blake Nelson, il film ha una scrittura completamente frammentata. Mi ha fatto pensare a quel movimento letterario italiano dei primi anni del secolo scorso chiamato Il frammentismo che per brevità sintetizzo così: http://it.wikipedia.org/wiki/Poetica_del_frammento

Nella storia saltano i nessi conseguenziali. E’ organizzata con un incedere disinvolto in avanti e indietro, con l’uso di flash-back e della voce narrante, per cui inizialmente  viene richiesto uno sforzo allo spettatore per rimettere a posto i pezzi del puzzle che via via vengono raccontati.

Anche la selezione musicale ricalca l’organizzato caos del tessuto linguistico e visivo. Una contaminazione di generi diversi con un tributo a Nino Rota e alle musiche scelte da Fellini per i suoi film.

Paranoid Park in complesso non mi ha emozionato. Mi è sembrato un esercizio stilistico, ma devo riconoscere che come esercizio di stile è venuto proprio bene.

Voto 7-

 

 
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