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Messaggi del 05/01/2018
Post n°14191 pubblicato il 05 Gennaio 2018 da Ladridicinema
Il tempo di lettura 3'Quando Gli Ultimi Jedi inizia, dopo che tutte le scritte scorrevoli si sono rimpicciolite fino a sparire, siamo nello spazio, come sempre del resto, e un convoglio di navi del Primo Ordine è arrivato davanti al pianeta in cui l’ultimo avamposto con gli ultimi ribelli è in fuga. Questa è lo spunto di partenza di una trama intorno alla quale gireranno le avventure di tutti, sia di Rey (da che l’avevamo lasciata con Luke Skywalker), sia di Kylo Ren (alle prese con i suoi dilemmi), sia di Dameron Poe, del generale Organa, di Finn e di un nuovo personaggio (tutti a bordo della nave ribelle intenti a capire come seminare quelle imperiali). Da lì vanno e vengono tutti i personaggi, e il progressivo avvicinarsi della minaccia è il conto alla rovescia che dà gran ritmo ad una storia capace di chiudere molte trame aperte da episodio VII ma anche di aprirne (com’è logico) altre. L’idea è fortissima, la concezione pure, l’esecuzione è buona. Di certo si può dire che Gli Ultimi Jedi parla molto di “ultimi Jedi”, cioè del destino del cavalierato, del suo senso e del suo futuro. Se nella seconda trilogia, quella dei prequel, abbiamo visto l’ordine al suo massimo splendore venire decimato e in quella originale ne abbiamo visto la rinascita, qui il titolo introduce l’idea che potremmo vederne la fine o una sua revisione totale. È la caratteristica più interessante fino ad ora di questa nuova trilogia: prendere la Forza e la dialettica tra lato oscuro e lato chiaro per portarla dove non era stata mai portata. La figura chiave (di questa dialettica e di tutta la trilogia) è sempre di più Kylo Ren. Già dal suo esordio è portatore di un dramma inedito, è il primo ad avere il problema di dover resistere al lato chiaro della Forza, cosa che qui sarà sfruttata benissimo assieme al peso crescente delle eredità sia del padre che del nonno. Complice il fatto che Adam Driver è senza dubbio l’unico attore vero, di peso, capace di rendere sfumature complesse e sensazioni tangibili, il suo rimane il personaggio più affascinante, l’unico di cui si riesca ad avvertire chiaramente il tormento e a parteciparne. Quel che gli accade in Gli Ultimi Jedi conferma la sua natura di personaggio imperfetto, diverso dai soliti grandi predestinati di Guerre Stellari, tempestato dall’inadeguatezza. Del resto la vera sorpresa di questo secondo film sono proprio le sorprese. Siamo di fronte al capitolo di Guerre Stellari con più colpi di scena da quando Luke scoprì chi era suo padre. Seguendo lo scheletro di L’Impero Colpisce Ancora in maniera molto più blanda di come non facesse Il Risveglio Della Forza con Una Nuova Speranza (ma impegnandosi è ancora possibile intravedere come trama e personaggi siano modellati su quella struttura), Gli Ultimi Jedi coglie di sorpresa sia per come risolve alcune singole scene, i piccoli o grandi conflitti o i combattimenti, sia per le svolte che fa prendere a tutta la storia. Al di là di tutto, la forza dell’universo di Guerre Stellari si conferma essere quella di aver creato una mitologia i cui caratteri sono così cari al pubblico che ogni cosa accada in quel mondo, ogni svolta, mistero, possibile cambiamento o rivelazione improvvisa, generi grandissimo interesse. Questo è il segreto di Gli Ultimi Jedi, abusarne generosamente. Finito il film è infatti decisamente più chiaro quale sia l’argomento e l’arco di questa terza trilogia. E non è niente male. Pur essendo davvero molto lontani dalla forza di J. J. Abrams e del suo senso vorticoso di azione e narrazione interna all’azione, dalla sua perfezione spielberghiana nella fusione tra azione e intrattenimento, simpatia e gravitas, alleggerimento e dilemma, Rian Johnson crea una storia molto lunga (in almeno 4 atti) e tutto sommato convincente. Non amalgama benissimo i toni, le parti più leggere e di commedia alle volte suonano forzate e sono isolate appaltate ad alcuni personaggi di entrambi gli schieramenti. Questo fa sì che addirittura personaggi reduci da scontri terribili sono improvvisamente esaltati e felici, e che il film non riesca a tenere sempre allo stesso livello l’aura di epica necessaria per un film di Guerre Stellari. Ma se non si è troppo pignoli sono difetti cui si passa volentieri sopra, specie considerato che è un secondo film di una trilogia bravissimo nel lasciare acquolina in bocca per l’arrivo del terzo capitolo. Tra due anni.
Post n°14190 pubblicato il 05 Gennaio 2018 da Ladridicinema
Oreste è un personal trainer con una moglie dispotica e il sogno di aprire una palestra: sogno alla cui realizzazione mancano 15mila euro. Suo padre Giovanni gli promette quella cifra in cambio di un compito preciso: accompagnarlo in automobile a Stoccolma, dove l'anziano scrittore dovrà ritirare il premio Nobel per la Letteratura. E Oreste, che non ha mai accettato denaro da suo padre e ha cercato di vivere il più possibile fuori dal suo cono d'ombra, si ritrova a trascorrere una settimana fra Italia, Austria, Germania, Danimarca e Svezia, in compagnia di Giovanni ma anche di Rinaldo, il segretario personale di papà, e Lucrezia, la sorellastra blogger che ha deciso di documentare tutta l'impresa in Rete. Alla seconda regia di un lungometraggio di finzione dopo Razzabastarda, Alessandro Gassman decide di affrontare di petto quello che dev'essere stato uno dei temi portanti della sua esistenza: il rapporto con un padre ingombrante il cui talento e la cui notorietà erano destinati a schiacciare involontariamente quelli dei propri figli. La progenie di Giovanni cerca di definire la propria identità per contrasto (Oreste) o per sudditanza intellettuale (Lucrezia). Ma ciò che identifica il patriarca è un istinto di verità che lo spinge a una franchezza crudele verso i figli che evidenzia la loro mediocrità. Nei panni di Giovanni c'è Gigi Proietti, che giganteggia sul film esattamente come il suo personaggio giganteggia sulla trama, perfetto nel ritratto di un uomo che ha girato il mondo e non si è negato alcuna esperienza ma ha esaurito l'ispirazione e la voglia di vivere. E Alessandro Gassman gli lascia con generosità il centro della scena, esponendo con grande coraggio la propria fragilità di figlio gravato dalla figura paterna.
Il premio mette in scena il difficile rapporto padre e figli (che nel caso di Oreste si declina anche nei confronti del proprio figlio Andrea, interpretato con grande dolcezza da Marco Zitelli, noto nel mondo musicale come Wrongonyou) e quella compulsione a piazzarsi nel centro della scena che condanna gli artisti a confinare ai margini il resto del mondo, affetti compresi. Alessandro Gassman, insieme ai cosceneggiatori Massimiliano Bruno e Valter Lupo, decide di affrontare questi due argomenti in forma di commedia senza abbandonare il lato dark, al punto che la scena madre che prelude al finale si ispira ai drammi scandinavi alla Festen più che alla commedia dell'arte italiana. Pesano, purtroppo, le ingerenze produttive che insistono a spalmare musica pop lungo tutta la narrazione (ma Gassman ha il buon senso di intervallarle con il rock nordico di Matilda De Angelis, qui nel ruolo di una cantante italo-islandese che rende omaggio a Bjork) e a sottolineare molte battute, come se il pubblico generalista non fosse in grado di afferrare le sottigliezze narrative del regista. Ma la direzione in cui Gassman, che possiamo smettere di considerare "figlio di", si sta avviando, è quella giusta, e a indicarcelo non è tanto la sceneggiatura, ancora troppo incline al compromesso commerciale, quanto la regia, che è fluida e originale: lo si nota in particolare nelle scene all'interno dell'automobile, difficilissime da rendere interessanti, o in quelle ambientate nel quartiere "alternativo" di Copenhagen Christiania, la cui indipendenza sembra aver legittimato Gassman ad esprimersi con gioiosa libertà.
Post n°14189 pubblicato il 05 Gennaio 2018 da Ladridicinema
Ecco i titoli che aspettiamo con maggior interesse per questa nuova stagione: dall'imminente Tre manifesti a Ebbing, Missouri a Loro di Paolo Sorrentino Se dicembre è il momento delle top ten, gennaio si presenta con il suo bagaglio di aspettative per l’anno nuovo. Il cinema indossa subito il suo abito più luccicante, con la cerimonia dei Golden Globe, le nomination agli Oscar e con l’approssimarsi del Festival di Berlino. La programmazione del 2018 si presenta di tutto rispetto, con titoli che appartengono ai più svariati generi, per soddisfare i gusti di ogni tipo di platea. C’è chi vuole sognare e chi cerca di evadere dal quotidiano, qualcuno vuole l’impegno sociale o la denuncia, altri cercano un’occasione di compagnia e di relax. E per tutti c’è un titolo. Noi della redazione del Cinematografo.it vogliamo proporvi i 18 film per il 2018 che maggiormente ci incuriosiscono o a cui guardiamo con maggiori aspettative. Abbiamo cercato di abbracciare quanti più filoni possibili tra storie ispirate alla cronaca, fantasy, remake e grandi nomi. Non si tratta di una graduatoria o almeno non vuole esserlo, ciò che ci auguriamo per tutti è di vedere del buon cinema. Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh (11 gennaio) Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino (25 gennaio) The Post di Steven Spielberg (1 febbraio) Ore 15:17 – Attacco al treno di Clint Eastwood (8 febbraio) La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (14 febbraio) Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson (22 febbraio) Maria Maddalena di Garth Davis (15 marzo) I, Tonya di Craig Gillespie (22 marzo) Ready Player One di Steven Spielberg (29 marzo) Lady Bird di Greta Gerwig (19 aprile) L’isola dei cani di Wes Anderson (17 maggio) Loro di Paolo Sorrentino (n.d.) Dogman di Matteo Garrone (n.d.) Soldado di Stefano Sollima (n.d.) La mia vita con John F. Donovan di Xavier Dolan (n.d.) The Man Who Killed Don Quixote di Terry Gilliam (n.d.) Jusqu’à la garde di Xavier Legrand (n.d.) Suspiria di Luca Gadagnino (n.d.)
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45