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Messaggi del 22/01/2018

 

Il Times vede in film russo di fantascienza su invasione aliena la propaganda del Cremlino da itsputnik

Post n°14226 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

MONDO
11:13 21.01.2018(aggiornato 11:23 21.01.2018)URL abbreviato
10150

Il quotidiano britannico Times ha pubblicato la recensione del film fantascientifico russo "Attraction", in cui non si parla affatto della pellicola ma in compenso si demonizza il presidente russo Vladimir Putin.

Nell'articolo in particolare si afferma che il regista Fyodor Bondarchuk è un "sostenitore di Putin" e uno dei protagonisti del film, il colonnello Lebedev, il cui ruolo è interpretato dall'attore Oleg Menshikov, per i giornalisti assomiglia a Putin.

Il Times fa un parallelo con il film russo sull'invasione degli alieni con la pellicola "Trionfo della Volontà" al congresso del partito nazista su richiesta di Adolf Hitler.

"Naturalmente la propaganda non è sempre così negativa e come ha mostrato il "Trionfo della Volontà" di Leni Riefenstahl può incutere forti impressioni estetiche", scrive il Times. L'autore della recensione considera Attraction "noioso, con l'eccezione di "diverse scene di battaglia".

Questo articolo non è passato inosservato all'Ambasciata russa di Londra, secondo cui i giornalisti del Times non hanno capito l'essenza del film. 

"Nel film c'è l'idea della comprensione reciproca". Il pesce non ha visto l'acqua", si legge nel tweet. Inoltre i diplomatici russi hanno consigliato ai cittadini britannici di andare al cinema e farsi da soli un'idea sul film.

​Il film "Attraction" è uscito nelle sale questo mese. Il film è incentrato sull'abbattimento da parte dei militari russi di un'astronave aliena che precipita in una zona residenziale di Mosca. 

 
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Viola Carofalo (Pap): «Leu serve solo ad allearsi col Pd» da popoffquotidiano

Post n°14225 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema

Debutto a Montecitorio per Viola Carofalo, capo politico di Potere al Popolo

di Checchino Antonini

Il 3% non è un problema per chi ha come obiettivo quello di «costruire un tessuto di lotta» nei territori e mettere insieme «quei milioni di persone che in Italia sono impegnate contro la prevaricazione e lo sfruttamento». Potere al popolo, per la prima volta in sala stampa della Camera, a Roma, conferma che lo sguardo delle e dei militanti, che stanno dando vita alla lista della sinistra alternativa, è rivolto altrove rispetto ai partiti normali come Liberi e uguali e anche rispetto al Movimento 5 stelle, con i quali un’alleanza post voto è impossibile. Parole di Viola Carofalo, capo politico (per forza del Rosatellum) di Potere a popolo, lista nata da un’iniziativa del centro sociale napoletano ex Opg Je so’ pazzo che, dalla prima assemblea del 18 novembre a Roma è stata capace di coinvolgere sia singoli, sia settori organizzati della sinistra politica, sociale e sindacale (da Rifondazione comunista a Sinistra anticapitalista, da Eurostop al Pci ecc…) per un progetto che traguarda oltre il 4 marzo. E allora eccolo il progetto:«Non vogliamo solo ridare la parola a chi non ce l’ha, ma vogliamo avviare un percorso di attivazione politica che vada oltre la partecipazione elettorale e ricostruisca un tessuto di lotta, contrasti la povertà, lo sfruttamento e il razzismo. Vogliamo costruire un discorso che non parli solo alle pance della gente per stimolarla all’odio verso chi sta un po’ peggio, ma parli alla testa e ai cuori e riattivi la volontà di fare», spiega ancora Carofalo, 37 anni, assegnista in Filosofia all’Orientale di Napoli. «In Italia ci sono milioni di persone impegnate contro la prevaricazione e lo sfruttamento e non riescono a mettersi insieme e farsi sentire. Noi vogliamo metterle insieme. Un obiettivo molto più grande del 3% alle prossime elezioni. Noi siamo molto più ambiziosi. Non siamo però una forza populista, abbiamo un progetto chiaro per il paese, portiamo i temi che nessuno affronta, la redistribuzione della ricchezza, la difesa e l’implementazione dei diritti dei lavoratori, siamo, per questo, semplicemente una forza popolare».

Porte chiuse a LeU con cui pure, alcuni soggetti in Pap avevano condiviso «il percorso del Brancaccio a cui una parte di noi aveva guardato con simpatia, ma la sua evoluzione ha tradito gli scopi iniziali. Sono state prese decisioni tra quattro mura, a porte chiuse, passando sulla testa di chi quel percorso lo aveva anche costruito. In questo senso mi pare evidente chi ha tradito quel percorso e non ci può essere convergenza. Sono gli stessi di prima, non c’è discontinuità. Viola riprende l’intervista al Corriere della Sera di oggi di Massimo D’Alema: «Dice che loro vogliono fare l’alleanza col Pd. È un corteggiamento disperato ormai. Rispondetegli. Alcune coppie sono difficili da separare definitivamente», scherza.

E sui 5 stelle? «Mai incontrati, non faremo alleanze. Non c’è alleanza possibile con chi non è chiaro sui temi come l’Europa e il razzismo. C’è un’ambiguità radicale su questo. Decidesse Di Maio cosa vuole fare visto che cambia idea ogni giorno». Le liste ci saranno, dicono sicuri gli esponenti di Pap impegnati in queste ore alla raccolta firme. Nomi che escono dalle lotte come Stefania, lavoratrice Almaviva, Lina ex cuoca attualmente disoccupata, «la cuoca di Lenin», la chiama scherzando in conferenza stampa Viola, Suleyman rifugiato senegalese, Peppe, ex operaio attualmente senza fissa dimora, alcuni di loro presenti a Montecitorio. E anche Paolo Pietrangeli, l’autore di “Contessa”, presente anche all’affollata conferenza a Montecitorio assieme ad altri esponenti di Pap, da Giovanni Russo Spena a Paolo Ferrero, da FrancoTurigliatto di Sinistra Anticapitalista e, naturalmente, Maurizio Acerbo, attuale segretario nazionale del Prc. Dalle assemblee nazionali è partita l’indicazione per costruire assemblee territoriali che si sono svolte in più di 150 città scrivendo dal basso il programma e elaborando collettivamente le candidature. Ad oggi i candidati come capilista sui collegi plurinominali della Camera sono 32 donne e 31 uomini, ben oltre il 40% previsto dal Rosatellum per le quote di genere. Se alle politiche si dicono sicuri di esserci, lavori in corso per le Regionali. In Lombardia sicuramente no, «anche per questioni di tempi». Sulle altre Regioni, invece, “ci stiamo lavorando”. Ma anche in questo caso sono escluse alleanze. «Così come non è possibile alle politiche non lo sono nemmeno alle regionali. Non siamo mica schizofrenici», conclude Carofalo.

«D’Alema torna ad annunciare la disponibilità di Liberi e Uguali a partecipare a un “governo del presidente” dopo le elezioni – dice anche Maurizio Acerbo – con un Parlamento che si dia un compito “costituente”. Altro che ricostruire la sinistra, LeU serve per allearsi col PD dopo le elezioni, cosa già anticipata dall’alleanza nel Lazio. E si prepara un film horror: gli ultimi due governi del presidente, con una maggioranza che andava dal PD a Berlusconi, sono stati quelli Monti e Letta. Entrambi sostenuti dai fondatori di LeU. L’uomo della Bicamerale torna in azione e non possiamo che preoccuparci, visto che i due riusciti stravolgimenti della Costituzione degli ultimi venti anni – modifica Titolo V e introduzione del pareggio di bilancio – sono passati con il voto del “centrosinistra autentico” di D’Alema, Bersani e compagnia. Si conferma la nostra scelta di non mischiarci con i soliti noti e di lavorare per una lista come Potere al popolo che si batterà per la Costituzione senza se e senza ma. Solo votando Potere al popolo si potrà contare su una coerente opposizione di sinistra nel prossimo Parlamento».

 
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“Potere al popolo”. La lista di sinistra che può far piangere Liberi e Uguali da il fattoquotidiano

Post n°14224 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema

Gauche - Un movimento dal basso nato dal fallimento del Brancaccio: per i sondaggi vale già l’1%
“Potere al popolo”. La lista di sinistra che può far piangere Liberi e Uguali

Ci sono sindacalisti come Giorgio Cremaschi (ex Fiom) e politici come Maurizio Acerbo (Rifondazione comunista). Un’ex staffetta partigiana ed ex parlamentare come Lidia Menapace e la pasionaria dei No Tav Nicoletta Dosio. Ma anche sostenitori non candidati come l’allenatore Renzo Ulivieri Haidi Giuliani, madre di Carlo, il ragazzo ucciso al G8 di Genova.

Tutti a pugno chiuso e con una stella rossa da seguire, quella di “Potere al popolo”, nuova forza politica nata a novembre sulle ceneri del movimento del Teatro Brancaccio (Roma), che si presenta alle elezioni da outsider e fuori dalle alleanze, raccolta di firme permettendo (“ma siamo già a buon punto”, dicono).

Un movimento dal basso, che viene dal mondo dei lavoratori precari, dei disoccupati, dei sindacati di base e dei centri sociali. Ed è proprio da un centro sociale napoletano – Je so pazzo, un ex ospedale psichiatrico giudiziario occupato nel quartiere Materdei – che arriva la sua portavoce, Viola Carofalo, 37enne ricercatrice precaria in filosofia all’Università Orientale. “Vogliamo ridare dignità alla parola sinistra perché di sinistra in Italia c’è bisogno. Io mi definisco comunista, ma non tutti quelli che hanno aderito lo sono: non vogliamo ingessarci dentro un’etichetta o un’ideologia”, spiega Carofalo, che però non sarà candidata.

“Potere al popolo” nasce, appunto, dal fallimento dell’assemblea del Brancaccio: “Tomaso Montanari è stato coerente: quando ha visto che quel movimento non aveva ossigeno, si è fatto da parte. Anna Falcone, invece, mi pare sia candidata per LeU. Forse era quello che voleva fin dall’inizio…”, continua Carofalo.

Il 3% che garantirebbe l’entrata in Parlamento a stare alle ultime affluenze è fissato a circa un milione di voti: un’impresa quasi impossibile. Ma se dovesse riuscire il miracolo, poi che succede? “Vogliamo entrare in Parlamento per far sentire la nostra voce, portare nel Palazzo le lotte dal basso. Ma escludiamo a priori qualsiasi alleanza. Il Movimento 5 Stelle è populista e non è di sinistra. LeU, invece, è un Pd 2.0: non c’è differenza, vengono tutti dal partito di Renzi e lì vogliono tornare, come dimostrano le parole di D’Alema”, sostiene la portavoce di Potere al popolo.

Ma Renzi e Berlusconi pari sono? “Non sono la stessa cosa, ma hanno messo in campo politiche in assoluta continuità e su alcune temi Renzi è stato pure peggio: sul lavoro, con il Jobs act, e sull’immigrazione. La Minniti-Orlando è una legge fascista”, dice Carofalo.

Uguaglianza sociale, lavoro, welfare, parità di genere (nelle liste le donne sono circa il 40%), difesa dell’ambiente, lotta per i deboli, antifascismo sono le parole d’ordine. Nel loro dna i movimenti antagonisti, la lotta per la casa, l’America Latina, Podemos. Che Guevara e il subcomandante Marcos. “Il mio idolo però è Bertolt Brecht, che ha saputo mettere in poesia e letteratura discorsi altissimi e complessi”, afferma Carofalo. Che poi guarda verso destra. “CasaPound è un movimento fascista che andrebbe messo fuori legge. La Lega è più subdola, ma poi, come nel Dottor Stranamore, la destra che è in loro viene fuori, come si è visto con le dichiarazioni di Fontana”.

Con Sinistra Italiana finita nelle spire di Grasso, Bersani e D’Alema, un po’ di spazio elettorale gauchiste davanti c’è, specie pescando tra i giovani diretti verso l’astensione. Alcuni sondaggi li danno attorno all’1% già ora: se Renzi deve preoccuparsi di Grasso, insomma, Grasso deve preoccuparsi di Carofalo & C. Power to the people, cantava John Lennon. Ma forse loro preferiscono Adelante, compañeros di Carlos Puebla.

 
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Post n°14223 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema

 

 



The Man in the High Castle - Stagione 1 (USA, 2015)
creato da Frank Spotnitz
con Alexa Davalos, Rupert Evans, Luke Kleintank, DJ Qualls, Joel de la Fuente, Cary-Hiroyuki Tagawa, Rufus Sewell

Sostenere che ci sia un modo corretto per guardare qualcosa è un po' antipatico ma forse, a volte, è l'unica cosa sensata da dire. La questione è semplice: se ci si avvicina a The Man in the High Castle con il piglio da integralisti del romanzo originale di Philip K. Dick (noto dalle nostre parti come La svastica sul sole, ma anche come L'uomo nell'alto castello), è difficile non uscirne incazzati neri e gridando allo stupro. Frank Spotnitz (braccio destro di Chris Carter su X-Files e derivati negli anni Novanta, poi creatore di diverse serie TV action più o meno riuscite) ha compiuto un lavoro di adattamento piuttosto articolato, prendendo lo spunto, l'ambientazione, diversi personaggi, eventi ed aspetti del libro, ma rimaneggiando tutto a uso e consumo di un'ambiziosa serie televisiva dell'anno 2015. L'ha fatto compiendo scelte anche piuttosto radicali e che, se lo chiedete a me, sono più o meno tutte intelligenti, ma il risultato è un racconto "ispirato a" che potrebbe scontentare chi sperava in un adattamento più fedele. Chi invece non se ne preoccupa (come, ovviamente, chi non ha letto il libro) dovrebbe dare una chance a The Man in the High Castle, perché si tratta di una serie TV ambiziosa, coinvolgente, dal livello produttivo sorprendente e che promette di poter divertire per parecchi anni.

 

Lo spunto di partenza, come detto, è bene o male quello del libro: l'Asse ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e, in buona sostanza, ha conquistato il pianeta, dividendo gli USA, teatro di gran parte delle vicende raccontate nella serie, in tre territori. I giapponesi hanno gli stati del Pacifico, i nazisti si sono presi la costa est e il blocco centrale rimane zona neutrale. In questo contesto si seguono le storie di un bel mix di personaggi, in parte ripescati dal romanzo, seppur modificati nei ruoli e nella sostanza, in parte creati per l'occasione. Ai vari Frank Frink, Ed McCarthy, Juliana Frink/Crain, Nobusuke Tagomi, Robert Childan e Rudolf Wegener si aggiungono quindi diversi nuovi volti, con in testa l'azzeccatissimo John Smith di Rufus Sewell. Le vicende recuperano l'idea della finestra su un ipotetico ulteriore mondo parallelo in cui la guerra è finita diversamente, ma la trasportano dalla parola scritta di un romanzo nel romanzo alle immagini di una serie di film dall'origine sconosciuta. Si tratta di una delle tante modifiche azzeccate nell'adattare al medium televisivo e vede il concetto delle realtà parallele utilizzato come spunto sullo sfondo per muovere le vicende, quasi un MacGuffin che poi pian piano prende corpo e sembra poter diventare qualcosa di più, integrando molto bene il suo spunto fantascientifico con il corpo narrativo centrale, ben più legato a un cupo realismo.

E le vicende sono quelle di un po' tutte le parti in causa: la resistenza all'occupazione, le due facce degli occupanti e la gente presa nel mezzo, chi vuole solo vivere o sopravvivere in questo nuovo mondo così ostico. Proprio la rappresentazione del mondo, la sua messa in scena, costituisce il maggior pregio della serie, figlio di uno sforzo produttivo incredibile. The Man in the High Castle racconta un'epoca "alternativa" con un'ambizione e un dispiegamento di mezzi notevole, curandone l'estetica, i dettagli e la scrittura delle piccole cose con grandissima attenzione. Ne viene fuori un ritratto credibile e fortissimo di un mondo in cui non vorremmo mai vivere, che tira fuori il peggio dalle persone e che non si abbandona mai, mai, ma proprio mai, all'umorismo, alla battutina, alla sdrammatizzazione. C'è un'atmosfera lugubre che percorre l'intera serie e le imprime un taglio fortissimo, opprimente, agghiacciante.

Se la forza produttiva, che mostra poi ottimamente i muscoli anche nel suo avventurarsi al di fuori delle location principali, regalando perfino fugaci sguardi in altri continenti, rappresenta il punto alto della serie, nel cast si trovano i suoi principali punti deboli. Il gruppo di veterani impiegato nei ruoli più o meno di contorno fa ottimamente il suo dovere, supportato per altro da personaggi interessanti. E lo sono anche (soprattutto?) quelli inediti, a cominciare dal John Smith citato prima, che frantuma il rischio di macchietta malvagia nel giro di due episodi, tirando fuori un personaggio ricco, sfaccettato e intrigantissimo. Va meno bene col triangolo di giovani protagonisti al centro delle vicende più "sentimentali", che regalano l'antico sapore del gesso. Se Alexa Davalos, pur nella sua legnosità, tutto sommato trova qualche buono spunto, Rupert Evans e Luke Kleintank esibiscono l'espressività e il linguaggio del corpo dei ceppi su cui si taglia la legna. E non vengono aiutati da personaggi scritti in maniera onestamente un po' banale e prevedibile.

Ma la serie funziona nonostante questi limiti, grazie alla forza dell'ambientazione, all'invidiabile coerenza di tono, all'ottima scrittura e alla capacità di infondere un costante, cupo, implacabile e crescente senso di paranoia. La scrittura è davvero solida, priva di sbavature o buchi evidenti, sempre molto curata negli sviluppi e capace di portare avanti, soprattutto da metà stagione in poi, un crescendo che davvero entusiasma nonostante il ritmo sempre molto compassato. Inoltre, gli sceneggiatori giocano bene con la consapevolezza della visione "a maratona" suggerita dalla distribuzione in streaming digitale e chiudono praticamente tutti gli episodi su un cliffhanger forte, trascinando da una puntata all'altra fino all'ottimo finale di stagione. Finale che, tra l'altro, arriva al momento giusto grazie anche al saggio limitarsi su sole dieci puntate, che permette di schivare quell'allungare e quel girare in tondo che, se lo chiedete a me, tende a colpire le stagioni di praticamente qualsiasi serie Netflix da tredici puntate. Insomma, The Man in the High Castle è una gran bella serie, assolutamente da recuperare... a meno di integralismi.

Al momento è disponibile solo per gli abbonati Amazon Prime nel servizio Amazon Instant Video, che è a sua volta disponibile solo negli USA, in Gran Bretagna e in Germania. Considerando, però, che negli scorsi mesi Sky ha portato dalle nostre parti Transparent, sempre di Amazon, si può sperare in un adattamento italiano.

 

 
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Benedetta follia è primo per il secondo weekend di fila

Post n°14222 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

Gran weekend per il cinema italiano che porta tre film ai primi tre posti della classifica anche nella giornata di domenica. Benedetta follia (guarda la video recensione) resta primo per il secondo weekend di fila e arriva ad un interessante totale di 6,3 milioni di euro. Rovazzi e Il vegetale, dopo una pessima partenza infrasettimanale, hanno recuperato parzialmente il pubblico delle "famiglie" e tra sabato e domenica si sono portati a 1,4 milioni di euro.
Sopra al milione di euro finiscono anche Ella & John - The Leisure Seeker (guarda la video recensione) e L'ora più buia (guarda la video recensione) e soprattutto per il secondo film è un dato straordinario. 

Nel weekend hanno recuperato anche i film natalizi o usciti nel periodo festivo: Jumanji: benvenuti nella giungla (guarda la video recensione) è arrivato a quota 9 milioni di euro, superando Thor: Ragnarok e piazzandosi al settimo posto della classifica assoluta stagionale, Coco (guarda la video recensione) è arrivato a 10,1 milioni mentre Wonder ha passato gli 11 milioni.

Come un gatto in tangenziale, anche se in discesa, ha raggiunto gli 8,8 milioni e superato Dunkirk (guarda la video recensione), tornando ad occupare la nona posizione della classifica assoluta stagionale (unico film italiano presente, per ora). 
Chiudono Tre manifesti a Ebbing, Missouri (guarda la video recensione) e Insidious: L'ultima chiave: il primo in calo, ma ancora capace di generare buone medie, il secondo molto deludente, passato dal quarto al nono posto nel giro di pochi giorni. 

Questa settimana arrivano in sala, tra gli altri, Made in Italy di LigabueDownsizing (guarda la video recensione), L'uomo sul treno - The Commuter e Chiamami col tuo nome (guarda la video recensione), nessuno dei quali dovrebbe generare delle cifre particolarmente significative, ma le soprese sono sempre dietro l'angolo. 

 
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Speciale P.K.Dick da http://andromedasf.altervista.org

Post n°14221 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

 

 

 

Speciale P.K.Dick – “La svastica sul Sole” | “L’uomo nell’alto castello” (The Man in the High Castle, 1962)

 

 

Il fascino del romanzo non deriva solo dalla costruzione di un’America divisa in tre stati controllati dalle potenze vincitrici (sul modello di quel che accadde alla Germania dal 1945 alla riunificazione), ma dal gruppo di personaggi memorabili attraverso i quali viviamo in quel mondo rovesciato e inquietante: primo tra tutti il mite e onesto funzionario giapponese Nobosuke Tagomi, lodato da Ursula K. Le Guin come prima figura della letteratura fantascientifica che potesse tener testa al Leopold Bloom di Joyce o alla signora Dalloway della Woolf.

MNHCSTL1964Ma insieme a Tagomi spiccano Juliana Frink, donna inquieta e tormentata, istruttrice di arti marziali; il suo ex-marito Frank, brillante artigiano ebreo che vive sotto falso nome nel terrore di essere rintracciato e catturato dai nazisti; Robert Childan, antiquario che vive un complesso rapporto di ammirazione servile e odio razziale nei confronti dei dominatori giapponesi; il signor Baynes, uomo d’affari svedese che in realtà è un agente dei servizi segreti tedeschi incaricato di contattare un alto ufficiale delle forze armate giapponesi. Attraverso le trame multiple di questo romanzo sfaccettato, vediamo i fatti della grande storia dal basso: la morte del cancelliere del Reich Martin Bormann, erede di Hitler, e la lotta tra i gerarchi nazisti per assumere il potere, legata al piano segreto per un attacco nucleare a sorpresa sulle isole giapponesi, tramite il quale eliminare il vecchio alleato e diventare padroni del pianeta.

Ma la storia del piano “Dente di leone” contribuisce solo in parte al fascino del romanzo. Questo perché nel mondo alternativo circola clandestinamente La cavalletta ci opprime, un romanzo scritto dal misterioso Hawthorne Abendsen (che sarebbe l’uomo nell’alto castello); il libro è vietato perché descrive un mondo dove Stati Uniti e Impero Britannico (si badi bene, non l’Unione Sovietica) hanno vinto la guerra, la Germania è in rovina, e il Führer viene processato a Norimberga (e questo, come il precedente dettaglio, fa capire che il romanzo di Abendsen non descrive il nostro mondo dove Hitler si è suicidato per evitare l’onta della cattura).

THMNNTHHGH1976Tra la nostra storia, quella del romanzo e quella del romanzo-nel-romanzo si crea un complesso e disorientante gioco di specchi che mette in questione ciò che noi pensiamo di sapere sull’evento che ha generato il mondo in cui viviamo, cioè la seconda guerra mondiale. Nel 1945 ha veramente trionfato il bene ed è stato sconfitto il male, oppure quel che è avvenuto è la vittoria di un male minore, che ha comunque portato alla guerra fredda, alle atrocità staliniste, alla spartizione spietata e alla distruzione di interi paesi del terzo mondo? Non a caso nel romanzo di Dick si accenna alla distruzione dell’Africa da parte dei nazisti in un folle progetto di bonifica, e non si può dire che la nostra economia tardocapitalistica abbia fatto molto bene al continente nero.

Il romanzo è forse quello più analizzato dello scrittore californiano. Si è studiato il ruolo dell’I Ching nell’opera, il cinese “Libro dei mutamenti” che viene usato da tutti i personaggi per orientarsi nelle scelte difficili che si trovano ad affrontare. Ma l’I Ching, come si scopre alla fine è stato usato da Abendsen per scrivere il suo romanzo; e come hanno accertato i biografi, venne impiegato anche da Dick stesso per strutturare la trama dell’Uomo nell’alto castello. Abendsen allora è Dick? Probabile. Resta da capire, al di là delle celebrazioni stile Soldato Ryan di Spielberg, chi o cosa abbia vinto veramente quella guerra che si comincia a dimenticare (provate a parlarne con qualche adolescente italico…), ma la cui presenza nella nostra coscienza spiega gran parte del fascino che questo romanzo ancora ha per tutti noi.

Umberto Rossi

Philip K. DickL’AUTORE

Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982) è stato uno scrittore statunitense. La fama di Dick, noto in vita esclusivamente nell’ambito della fantascienza, crebbe notevolmente nel grande pubblico e nella critica dopo la sua morte, in patria come in Europa (in Francia e in Italia negli anni ottanta divenne un vero e proprio scrittore di culto), anche in seguito al successo del film Blade Runner del 1982 liberamente ispirato a un suo romanzo. In vita pubblicò quasi solamente opere di narrativa fantascientifica – un genere all’epoca considerato “di consumo” – ed è stato successivamente rivalutato come un autore postmoderno precursore del cyberpunk e, per certi versi, antesignano dell’avantpop. Gli sono stati dedicati molteplici studi critici che lo collocano ormai tra i classici della letteratura contemporanea. Temi centrali dei suoi visionari romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del “falso”, l’assuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino.

Nato a Chicago, con la sorella gemella Jane, in una famiglia dai legami burrascosi (la madre, da lui descritta come nevrotica, divorziò dal padre pochi anni dopo la nascita dei gemelli), Philip Dick trascorse un’infanzia e un’adolescenza solitarie e tormentate: la sorellina morì a poche settimane dalla nascita (Dick le rimase sempre legato, e decise di essere seppellito accanto a lei); dopo il trasferimento in California, frequentò l’Università di Berkeley, ma non concluse gli studi a causa della sua militanza nel movimento contro la guerra di Corea e del suo pacifismo(per continuare gli studi universitari avrebbe dovuto sostenere un corso di addestramento – ROTC – come ufficiale della riserva, all’epoca obbligatorio), che lo portarono ad avere problemi col maccartismo di quegli anni. Iniziò a lavorare in un negozio di dischi dove conobbe la prima moglie, Jeanette Marlin (il matrimonio durò da maggio a novembre ’48). Le sue affermazioni secondo cui in quel periodo avrebbe lavorato in una radio locale non sono mai state provate, anche se è possibile che abbia scritto testi pubblicitari per qualche emittente di Berkeley. Sicuramente la nascita della sua conoscenza e del suo amore per la musica classica precedette gli anni in cui lavorò come commesso nel negozio di dischi.

L’incontro con la fantascienza avvenne, forse per caso, e forse nel 1949 (ma il suo primo racconto, “Stability” Stabilità, pubblicato postumo, fu scritto nel 1947), quando invece di una rivista di divulgazione scientifica ne acquistò per sbaglio una di fantascienza (la circostanza non è certa). Esordì nel 1952 sulla rivista Planet Stories. Lasciata la prima moglie, si risposò con Kleo Apostolides (dal 14 giugno 1950 al 1959), militante comunista di origini greche. In questo periodo pubblicò i primi romanzi e una notevole quantità di racconti. Il matrimonio con Kleo andò in crisi quando Dick si trasferì nella zona rurale di Point Reyes, a nord di San Francisco, in quella Marin County che fu l’ambientazione di diverse opere (tra tutte Cronache del dopobomba). Lì conobbe Anne Williams Rubinstein, che diventò la sua terza moglie (rimasero sposati dal 1º aprile 1959 all’ottobre 1965). Era una donna colta e di forte personalità, vedova e madre di tre figlie, che gli diede una figlia: Laura Archer (25 febbraio 1960). Dick si trasferì a casa di Anne, e per mantenere la famiglia e il tenore di vita della moglie abbandonò la fantascienza, poco remunerativa e per niente prestigiosa, per tentare di occuparsi di narrativamainstream. Ma Dick visse ciò come una sconfitta, di cui considerò responsabile la moglie. Il fallimento come “nuovo” autore fu la goccia; il matrimonio andò a pezzi, Dick si convinse che la moglie avesse assassinato il precedente marito e che avrebbe fatto lo stesso con lui. Divorziarono nel 1965, e Dick si trasferì a San Francisco.

Dick assumeva anfetamina fin dai primi anni Cinquanta, sostanza che gli era stata prescritta dallo psichiatra che gli aveva diagnosticato una lieve forma di schizofrenia; l’anfetamina era usata per combattere gli stati depressivi di cui lo scrittore soffriva occasionalmente. Man mano Dick sviluppò una vera e propria tossicodipendenza dalla sostanza, che lo agevolava nella stesura delle sue opere. L’abuso di stimolanti raggiunse livelli allarmanti durante la seconda metà degli anni Sessanta, proprio mentre l’autore scriveva due dei suoi romanzi più importanti (Il cacciatore di androidi e Ubik). La rottura con la quarta moglie, Nancy Hackett (sposata dal 6 luglio 1966 al 1972), che lo abbandonò assieme alla figlia Isolde Freya (ora Isa Dick Hackett ) (15 marzo 1967), e la morte del suo carissimo amico Jim Pike, mandarono Dick alla deriva; lo scrittore si trovò a vivere in una casa di sbandati, e la situazione arrivò al punto critico quando, in sua assenza, la sua abitazione subì un’effrazione durante la quale sconosciuti forzarono il suo schedario blindato (Dick fece innumerevoli ipotesi sulla loro identità, arrivando a sospettare che fossero agenti dell’FBI; a tutt’oggi la questione non è stata chiarita). In seguito Dick partecipò a una conferenza sulla fantascienza a Vancouver, in Canada, e decise di stabilirvisi. Anche l’esperienza canadese fu però un fallimento, dovuto al consumo eccessivo di psicofarmaci e alla mancanza di denaro. Dick si fece ricoverare in una comunità di recupero pertossicodipendenti, la X-Kalay, un’esperienza breve che però lo aiutò chiudere con le anfetamine. Molti eventi e situazioni risalenti al suo percorso esistenziale di questo periodo ebbero un ruolo importante nel suo romanzo Un oscuro scrutare. Tornato in California, Dick si stabilì alla periferia di Los Angeles e nel 1972 riprese a scrivere, anche in seguito all’incontro con Leslie (Tess) Busby (18 aprile 1973-1977), la quinta moglie, dalla quale ebbe il terzo figlio, Christopher Kenneth (25 luglio 1973). Tra il febbraio e il marzo del 1974 Dick iniziò a sentire voci e avere visioni in sogno e da sveglio. Convinto di vivere un’esperienza mistica, Dick prese a scrivere l’Esegesi, una vasta raccolta di appunti a carattere teologico-filosofico a partire dai quali scrisse la celebre Trilogia di Valis, punto d’arrivo della sua esperienza letteraria.

Morì a Santa Ana, in California, per collasso cardiaco, nel 1982, proprio quando i diritti delle sue opere cominciavano a dargli per la prima volta una certa sicurezza economica, e mentre era in lavorazione il primo film basato su una delle sue storie: Blade Runner, di Ridley Scott, che Dick non poté vedere completato, anche se riuscì a visitarne il set. (Biografia tratta da Wikipedia)

 
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Heath Ledger: uno sguardo alla sua vita dall’obiettivo di una camera da ciakclub

Post n°14220 pubblicato il 22 Gennaio 2018 da Ladridicinema
 

A dieci anni dalla sua morte, la sua carriera e le sue fantastiche interpretazioni non sono state dimenticate. Ecco la sua vita vista dai film più famosi di Heath Ledger.

heath ledger

 

“L’UNICO MODO SENSATO DI VIVERE IN QUESTO MONDO, È SENZA REGOLE”

Questo è stato il modus che ha adottato Heath Ledger nella preparazione e nell’interpretazione del film che lo ha reso immortale. La verità è che Heath una regola l’aveva: vivere per la sua passione.

La sua carriera decolla nel 1999 all’età di 20 anni, quando ottiene il ruolo da protagonista nel film “10 cose che odio di te”. Questo ruolo gli porta una discreta fama. Il pubblico lo ama per la sua interpretazione in questa rivisitazione di una commedia Shakespeariana. Il mondo del cinema inizia a notare questo talentuoso giovane e i meccanismi di Hollywood iniziano ad attivarsi per sfruttare al meglio questa nuova perla. Ma Heath Ledger dimostra subito di aver in mente molto chiaramente cosa vuole fare della sua carriera da attore. È così che aspetta un anno prima di entrare in una produzione. La sua paura era di essere etichettato come il nuovo giovane belloccio.

Con l’inizio del nuovo millennio, arriva per lui la possibilità di mostrare la sua tempra nella produzione di un film drammatico: Heath si presenta alle audizioni per partecipare al film “Il Patriota” con Mel Gibson. Ottiene la parte confrontandosi con altri 200 candidati, e inizia le riprese del film che lo portano a vincere un riconoscimento  allo Showest Award come Male Star of Tomorrow. Nel film interpreta il figlio di Mel Gibson, che si arruola in guerra.

Dopo il successo ottenuto da “Il Patriota”, Heath Ledger continua alla ricerca di nuovi personaggi da studiare e in cui calarsi. Arriva la volta di “Il destino di un cavaliere”, un altro film ad alto budget di produzione Hollywoodiana. Questo ruolo gli permette di sgonfiare la tensione dovuta alla parte nel film di Mel Gibson. Il film è una commedia ambientata in un Medioevo anacronistico che vede un giovane scudiero dalle umili origini, cavalcare verso il proprio sogno: diventare un cavaliere.

L’attore non rimane mai totalmente fermo, partecipa a film minori e continua a entrare nella produzione di grossi film. Nel 2001 viene scartato per il ruolo di Christian nel musical Moulin Rouge! ma le audizioni gli permettono di conoscere un altro grande artista con cui collaborerà in futuro nel pluricandidato film “I segreti di Brokeback Moutain”: Jake Gyllenhaal, attore con cui lega una forte amicizia. Nel 2003 però la strada per il successo comincia a salire quando il regista  Brian Helgeland, con cui Heath Ledger aveva già collaborato, gli propone una parte da protagonista nel film “La setta dei dannati”. Heath si trova a lavorare in Italia, a Roma. E l’Italia rimane la sua casa per la maggior parte delle riprese di questo film, ma non sarà l’unica volta in cui l’attore ci lavorerà. Circa due anni dopo infatti, Heath si stabilisce a Venezia, dove interpreta la parte di Casanova nel film di Lasse Hallström, presentato alla 62° mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Quell’anno Heath Ledger si aggiudica il record di attore più proiettato alla mostra, comparendo in ben tre film:  I fratelli Grimm e l’incantevole strega, Casanova e  I segreti di Brokeback Mountain, film che vince il Leone d’oro.

Proprio questa pellicola è quella che porta maggior successo a Heath, fino a quel momento. Il suo lavoro sul personaggio è magistrale. Nel film l’attore interpreta un cowboy omofobico che si innamora di un altro uomo (l’amico Jake Gyllenhaal). La sua interpretazione mostra a tutto il mondo, compresa la critica, la stoffa dell’attore, capace di modificarsi e adattarsi alla parte cucendosi perfettamente le vesti del personaggio addosso. Candidato al Golden Globe, al BAFTA e al premio Oscar, riceve una menzione dalla critica Newyorchese e Californiana che lo nominano “attore dell’anno”.

Il ruolo successivo inizia a essere provante per Heath. Una produzione Australiana lo chiama per un ruolo da protagonista nel film “Paradiso + Inferno”, in concorso al festival di Berlino 2006. Nel film Ledger interpreta un ragazzo tossicodipendente tormentato dalla sofferenza e da una travagliata storia d’amore. Dopo il film  “Io non sono qui”, in cui lavora con Christian Bale, Heath riceve una proposta dal regista Christofer Nolan, il quale gli chiede di partecipare al suo film con il ruolo d’antagonista.

heath ledger

Heath Ledger inizia nel 2007 a prepararsi per la parte più complicata che gli sia mai stata commissionata. Il ruolo che lo farà poi entrare nella storia e diventare una leggenda: Joker. L’idea lo stuzzica da subito. Heath dichiara di essere eccitato dalla parte e inizia a preparare  meticolosamente il personaggio, dovendo anche tenere conto dell’interpretazione fatta dal suo predecessore Jack Nicholson. Heath si chiude per 6 settimane in una stanza d’albero. Ne esce cambiato, turbato, profondamente disturbato e pronto per girare. I suoi colleghi lo ricordano durante le riprese dicendo che era un’altra persona, sembrava mosso da uno sconforto proveniente da dentro. Nel giugno 2008 Il film viene proiettato nelle sale di tutto il mondo e la critica considera Joker il vero protagonista del film. È un successo incommensurabile.

Alla fine del 2007 terminano le riprese de “Il cavaliere oscuro”. Subito dopo Terry Gilliam affida a Heath Ledger il ruolo da protagonista per il suo nuovo film “L’uomo che voleva ingannare il diavolo”. Nel gennaio 2008 iniziano le riprese e il 22 gennaio dello stesso anno Heath viene trovato privo di vita nella sua stanza d’albergo. Il mondo è sconvolto dalla notizia. Terry Gilliam decide di finire il film per commemorare l’artista. Nelle scene mancanti, l’attore viene sostituito da tre colossi della recitazione che vogliono omaggiare Heath prendendo la sua parte nel film: si tratta di Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell.

heath ledger

Oggi, a distanza di 10 anni dalla sua scomparsa, Heath Ledger è diventato una vera e propria leggenda. Il mondo del cinema continua a riconoscerlo come un attore capace di entrare nella mente dei personaggi, e di tirarne fuori una creatura vera, palpabile che inevitabilmente emozionerà il pubblico del mondo. L’eccellenza di questo attore è molto rara e difficile da emulare, ciò che ci rincuora è poter rivedere la sua grandezza dietro a uno schermo in ogni occasione possibile.

 
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