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La favola del folle sulla collina

Post n°24 pubblicato il 09 Maggio 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

La favola del folle sulla collina


Forse perché era stato sempre solo; forse perché non rispondeva quando qualcuno lo incontrava e lo chiamava o salutava, ma a tutti gli abitanti del paese non piaceva!
In realtà,forse, ciò che non piaceva alla gente, era la sua tranquillità, quel suo sorriso, quella serenità dipinta sul suo volto.
Quindi, senza nemmeno parlarne tra loro o convocare una assemblea deliberante in tal senso, tutti avevano contemporaneamente deciso che era matto!
Io, che a quel tempo ero bambino, una volta superata la paura che può suscitare un uomo che vive da sempre solo, su una collina, ne ero incredibilmente incuriosito. Trascorrevo i miei pomeriggi spiandolo, e in casa mentivo, dicendo di essere stato a giocare a palla con gli altri bambini. Ancora non lo sapevo con certezza, ma era già presente in me la consapevolezza istintiva che chi frequenta i matti prima o poi viene considerato tale, così come viene isolato chi sta con i rifiutati, con gli esclusi. E tutto questo era un segreto tra me e il resto del mondo che riempiva di significato le mie giornate. Un segreto tra me e il resto del mondo, ma non tra me e il folle sulla collina.

Che lui si fosse accorto di me fin dal principio mi fu evidente solo dopo un po’ di tempo. Il momento in cui lo osservavo con maggior curiosità era nel tardo pomeriggio, quando puntualmente ogni sera usciva di casa con una sedia e si accomodava rivolto verso ovest, e lì restava, immobile, fino a quando il sole non scompariva dietro le montagne. Un pomeriggio di primavera, per osservarlo più da vicino mi spostai in un boschetto alle sue spalle. Camminando per dirigermi verso il posto di osservazione che avevo scelto, il grosso tronco di un albero proprio ai margini della radura a circa dieci metri dalla sua casa, un rametto secco si spezzò sotto i miei piedi. Rimasi immobile non so per quanto tempo, paralizzato dal timore che mi avesse scoperto. Quando mi affacciai oltre tronco, invece, constatai che non si era mosso, continuava a darmi le spalle e ad osservare l’ultimo spicchio di luce che si perdeva dietro la cima della montagna. La sera successiva però, quando uscì di casa, aveva con sé due sedie …

…E poi il coraggio mi venne, non so come, tutto insieme. Successe in un giorno che i compiti di scuola mi avevano assorbito fin quasi all’ora giusta. Così, con il timore di arrivare tardi, mi diressi correndo su per la collina. Fatto sta, che non appena lo vidi da lontano, mentre già se ne stava seduto in direzione del suo tramonto, invece di svoltare verso il boschetto tirai dritto, fino a trovarmi seduto accanto a lui, su quella sedia che da una settimana portava fuori casa, per me, tutte le sere. Il cerchio del sole aveva appena toccato la cima della montagna, quando iniziò a parlare.

“E’ da quando avevo la tua età che ho iniziato a venire qui. In principio pensando semplicemente che fosse un bel posto. Pensavo che da qui si vedesse il tramonto più bello del mondo. Solo in seguito ho capito che cercavo qualcosa, ma ho impiegato dieci anni per capire cosa”
… Il suo sguardo andava oltre, oltre l’orizzonte. Fece un sospiro e poi riprese a parlare …
“Accadde il giorno che scappai da casa mia e dal paese, perché tutti mi prendevano in giro per il fatto che venissi sempre quassù da solo. Dopo aver visto il mio tramonto, rimasi sdraiato sull’erba di questo prato fino a che giunse la notte. Portai con me un sacco con le mie cose. Avevo anche una vecchia coperta e decisi di rimanere qui a dormire. Dopo diversi giorni trascorsi ad osservare la fine, vidi per la prima volta il principio. Nella direzione opposta a dove guardavo ogni sera vidi nascere quella stessa luce. Ed io sentii che dovevo capire da dove quella luce nascesse. Così m’incamminai verso quella montagna, e una volta arrivato in cima mi sistemai di nuovo per la notte, pronto e nell’attesa di quella luce che sarebbe presto sorta vicino a me. Ma non appena la notte iniziò a rischiararsi, vidi il primo pezzo di quella luce che nasceva, in realtà, in fondo alla pianura che partiva ai piedi alla montagna dove io mi trovavo. Ridiscesi la montagna e camminai per giorni e giorni lungo quella pianura, constatando ogni mattina che non riuscivo ad avvicinarmi neanche di un po’ al luogo d’origine della luce. Quando ormai avevo perso ogni speranza arrivai in vista del mare, e la mattina successiva vidi che quella luce nasceva lì. Camminando tra le banchine del porto, iniziai a chiedere quali navi salpassero verso quella direzione. Ne trovai una: m’imbarcai. Trascorsi su quella barca giorni e giorni, sempre svegliandomi al mattino e vedendo quella luce, che sembrava nascere dall’acqua, lì a poche miglia, ma che ogni giorno manteneva sempre la stessa distanza. Fin quando arrivai ad una nuova terra, un porto, dietro il quale si ergeva una nuova montagna e dove, dietro quest’ultima, il mattino successivo nacque la stessa luce. Salutai tutti i miei compagni di traversata, presi il mio sacco, e m’incamminai verso quella montagna …”

Ancora una volta tacque, chissà forse voleva capire se lo stessi ascoltando … se fossi attendo a ciò che diceva … Di nuovo il suo sguardo oltre l’orizzonte e poi, tornando a sospirare, riprese:

“… Ho passato cinquant’anni, sempre procedendo nella stessa direzione, per montagne, pianure, foreste, deserti e mari, fino a quando un giorno, arrivando sulla cima di un monte, mi apparve poco più in basso il mio paese, e questa collina da cui ero partito cinquant’anni prima. La cima dalla quale osservai tutto questo in quel giorno è quella che stiamo guardando adesso.

Sono oramai dieci anni che vivo solo in questa casa, in cima alla collina. Stamattina mi sono alzato molto presto. Era ancora buio, e guardandomi allo specchio ho deciso che sono già abbastanza grande. Anzi, mi sento nel pieno delle forze. Ho preparato un sacco con le mie poche cose, me lo sono appoggiato sulle spalle e sono uscito di casa. Sono rimasto immobile, finché verso est è comparsa, dietro la cima di una montagna, una piccola luce che andava ingrandendosi a vista d’occhio. E in quella direzione, verso quella luce, mi sto incamminato. Quello che cercavo sono stati quei cinquant’anni e quello che pensavo di inseguire non mi stava sfuggendo, mi precedeva e mi indicava la strada”.

Queste furono le sue ultime parole, prima di alzarsi dalla sedia, stringermi la mano, e lasciarmi lì seduto da solo. S’incamminò, ed io rimasi immobile ad osservarlo, fin quando la sua figura, sempre più piccola all’orizzonte, divenne un puntino, e poi sparì.


 


 

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