Creato da lemagichefiabe il 20/10/2010
 

Il Blog delle fiabe

Nel mondo incantato

 

 

IL MAGICO MONDO DELLE FIABOLE

Post n°30 pubblicato il 31 Ottobre 2011 da lemagichefiabe
 

Era il  13 settembre 2010 quando, grazie ad una fotografia e al commento alla stessa di una mia amica (Rea70), stava facendosi strada “l’idea” di un progetto che avrebbe accomunato successivamente diverse persone del web … (io sono sempre convinta che nulla nasce per caso e che noi siamo solo il mezzo ed il tramite di un progetto divino ^___^)
Circa un mese dopo, quell’idea “atterrò”(se così si può dire) nella mia testa e così, dopo la richiesta di rivincita da parte di una altro amico (Liomax1) mi venne in mente di raccogliere delle fiabe per pubblicarle poi tutte in un libro … un libro che avrebbe potuto aiutare qualcuno che ne aveva bisogno ….
(Nella prefazione del libro, comunque, sono descritti in maniera più dettagliata e precisa il perché ed il come dell’inizio di questo progetto).
Lanciai quindi questa mia idea attraverso un post (il post n.183 del 20 ottobre 2010) … da quel giorno iniziarono ad arrivarmi fiabe da ogni parte dell’Italia, segno che la mia idea era stata accolta con grande entusiasmo e, da quel giorno, ogni giorno mi sono impegnata con dedizione, costanza e passione in questo progetto che oggi ( a distanza di poco più di un anno) finalmente posso dire essersi realizzato.
Già, perché il libro a cui ho dedicato tutta me stessa oggi è già nelle librerie, uscito ancor prima di quanto io stessa avessi sperato, può già essere acquistato anche in diversi siti del web che elencherò poi in un box all’interno del profilo e del blog (box che avranno anche tutti gli altri autori nei loro profili/blog e che chiunque, se lo desidera, potrà avere all’interno dei propri spazi internet, sia di libero che di altri siti).


Hanno collaborato con me 30 persone (di cui 4 bambini) che mai smetterò di ringraziare per avermi appoggiato moralmente e in ogni modo possibile, oltre che collaborare inviandomi le loro fiabe ed i loro disegni (perchè ogni singola fiaba è stata illustrata da 5 meravigliosi e bravissimi disegnatori), nella realizzazione di questo progetto … Persone che hanno creduto in me, che hanno appunto creduto che il progetto potesse davvero diventare realtà!

E questa è la copertina della meravigliosa opera (perdonatemi se in questo contesto non sono molto modesta ^____^) che se volete potrete acquistare anche voi …

 

 

ed io vi invito ad acquistarlo, vi invito semplicemente perché tutto il ricavato delle vendite (e sottolineo tutto) andrà in beneficenza presso un ente o un istituto che tutti gli autori del libro stesso sceglieranno insieme.
Non appena la scelta sarà effettuata pubblicherò il nome dell’ente/istituto scelto, oltre che realizzare un segnalibro da inserire in ogni copia del libro sul quale saranno scritti tutti i dati relativi appunto a quest’ente/istituto.

Rinnovo pubblicamente infine, agli autori del libro, ma anche a tutti gli acquirenti, la mia promessa a dimostrare loro la veridicità di quanto sopra affermato.

 


Il nostro libro può essere ordinato presso le librerie WEB o direttamente in qualsiasi libreria del territorio Europeo (anche alcune edicole di giornali prestano tale servizio).
I dati tecnici per ordinare il libro nelle librerie sono:

• Titolo: Il magico mondo delle fiabole
• Curato da: Flocco G.
• Editore: Aletti
• Collana: Gli emersi narrativa
• Data di Pubblicazione: 2011
• ISBN: 8864988483
• ISBN-13: 9788864988481
• Pagine: 344

 

 

 

Un sorriso immenso dalla piccola Gio.

 

 

 

PS: per tutti gli autori del libro, se volete, potete copiare ed incollare questo post nei vostri blog, e modificarlo come più vi piace anche …. ^____^ adattandolo alle vostre esigenze!

 
 
 

Il nostro incontro! ^____^

Post n°29 pubblicato il 25 Ottobre 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

Ciao meravigliosi fiaboli ^______^ …

La settimana scorsa ho mandato un messaggio a tutti … ho pensato che non tutti stanno sempre al pc e poiché credo sia importante ho deciso di mandare lo stesso messaggio, sia tramite mail che tramite sms.

Non tutti mi hanno però risposto! (Sigh sigh sigh) …

Come ben sapete un sogno è stato realizzato: IL LIBRO!

Ora ce n’è un altro che io vorrei davvero diventasse realtà, ossia quello di incontrarvi ed incontrarci tutti insieme ….

So, ovviamente, che questo sogno è davvero difficile da realizzare, ognuno di noi ha i suoi impegni: lavorativi, familiari, di salute ed altro ancora… ma io voglio quantomeno provare a realizzarlo .. Insomma non posso arrendermi … se davvero lo si desidera TUTTO E’ POSSIBILE … giusto?

Quindi, se il libro esce a fine novembre l’incontro potrebbe essere fatto a dicembre. Stavo guardando il calendario proprio in questo momento e credo che, poiché dicembre è un mese particolare e di gran festa ^____^, si debba necessariamente escludere la seconda quindicina del mese. Rimarrebbe dunque la prima quindicina e quindi dovremmo stabilire una possibile data in questa prima quindicina …

Stavo perciò pensando che potrebbe essere un’ottima data il W.E. del 10 /11 dicembre …

(Visto che l’otto è festivo ho pensato che qualcuno potrebbe fare anche ponte a lavoro).

Ad ogni modo credo che i we possibili a dicembre siano quelli del 03/4 (se il libro esce a fine novembre e non all’inizio di dicembre) e 10/11 … ma anche quello del 17/18 potrebbe essere buono… dopo credo sia davvero impossibile.

Ripeto ragazzi, so che quest’incontro organizzarlo è davvero difficile … che è davvero difficile esserci tutti e 31, ma se riusciamo ad essere anche più della metà io credo che valga la pena farlo … anche perché la vostra copia del libro a me piacerebbe consegnarvela di persona … e poi magari quelli di voi che non ho incontrato in quell’occasione, li incontrerò in un’altra occasione no? …

Se invece la maggior parte di voi pensa e crede che a dicembre sia impossibile, ok! Nessun problema, rimandiamo il tutto all’anno nuovo e ad una data che, a questo punto, con calma possiamo scegliere insieme.
Vi prego però fatemi sapere perché se per caso a dicembre sarà possibile per voi, bisogna iniziare ad organizzare tutto, dal trovare un unico hotel (o B&B o struttura qualsiasi) che possa ospitarci tutti in modo da restare sempre insieme ed evitare sprechi di tempo, ma che ci faccia soprattutto passare quanto più tempo possibile insieme … ^____^, al prenotare per la cena e tutto il resto … Insomma, cercare una data possibile, non è niente rispetto poi a tutta l’organizzazione che c’è dietro, ma questo voi lo sapete benissimo ^____^!

 

Aspetto dunque una vostra risposta! ^_____^

 

P.S. Questo post lo metto sia su Facebook che sul blog delle fiabe in libero, perché molti di voi in fb non sono registrati!

 

Un sorriso immenso a tutti, dalla piccola e stressante Gio. ^____^.

 
 
 

Alis

Post n°28 pubblicato il 10 Settembre 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

ALIS

 

Alis era la figlia del re di Castelpidocchio.
Castelpidocchio era un castello nel quale viveva il Re Geronimo e la sua corte insieme a cittadini dall’odore nauseabondo. A Castelpidocchio era infatti proibito lavarsi e se qualcuno ci provava, veniva arrestato e rinchiuso nelle prigioni sotterranee del castello.
Un giorno Alis disse al suo papà: “Papà, questa legge non ha senso, non puoi proibire a tutti di lavarsi mentre tu, al contrario, puoi farlo!”
“Cara, stammi a sentire” - le rispose il Re – “Se nessuno si lava, noi possiamo risparmiare tantissimi soldini che serviranno per difenderci dai nemici. Hai capito?”
“Si, ma…” – cercò di replicare Alis senza però aver la possibilità di proseguire.
“Niente ma! Qui il sovrano sono io e tu potrai decidere solo dopo che io sarò morto” – la interruppe il Re quasi furibondo.
“Certo papà!” – disse infine Alis dispiaciuta.

Così Alis andò a dormire un po’ arrabbiata, e pensò al giorno nel quale sarebbe stata regina dopo suo padre.

Il mattino dopo Alis fu svegliata da un rumore assordante.
Solo in quel momento si ricordò che era il giorno in cui si sarebbe svolto il torneo più importante di tutta la Britannia.
Arrivarono cavalieri bellissimi: capelli biondi, occhi azzurri e con corpi muscolosissimi; ma anche cavalieri meno belli … ma, si sa, la bellezza non è la cosa più importante per un cavaliere, che ha invece bisogno di forza e di grande coraggio.
Alis si affacciò alla finestra e notò, tra tutti, un cavaliere bellissimo. Il suo cuore iniziò a battere forte forte. Eh si! La principessina si era innamorata a prima vista!
Il torneo durò tutta la giornata e quando terminò Alis andò a congratularsi con il vincitore, che, poiché il destino aveva deciso così, fu proprio lui: il cavaliere biondo che l’aveva fatta innamorare.

Il re aveva detto ai cavalieri che, oltre al premio, il vincitore avrebbe potuto baciare anche la mano della bella principessa.

Alis non vedeva l’ora che ciò avenisse, ma proprio nel momento in cui il vincitore stava per prendere la mano di Alis, giunse un cavaliere tutto nero, dall’aria arrogante che disse: “Che odore orrendo che c’è qui, ma non vi lavate mai?”
“In questo paese non sciupiamo acqua per lavarci”- rispose Re Geronimo.
“Vogliate scusarmi Vostra Altezza” – rispose il cavaliere sempre in tono arrogante - “Non volevo offenderla, ma questo paese deve cambiare. Sfido a nuova gara il cavaliere vittorioso a meno che il vincitore rifiuti di baciare una principessa per niente profumata …”
“Ad ogni modo”- continuò senza attendere risposta da parte del cavaliere vittorioso - “Sarò io il vincitore di questo torneo!!!”
“Questo è tutto da vedere!”- intervenne il cavaliere biondo.
“Che ne dici di un bel torneo solo io e te?”- propose ancora il cavaliere nero con aria minacciosa.
“Io ci sto!”
“Allora a mezzanotte in punto, ti attenderò qui!”
“Non mancherò!”

Alis chiese ai due cavalieri il loro nome. Quello bello, quello di cui lei si era innamorata, si chiamava Robin, mentre quello brutto non aveva neanche un nome. Decise così di chiamarlo: il cavaliere nero!

Arrivò l’ora del torneo. Il cavaliere biondo indossò la sua armatura di ferro ed il cavaliere nero la sua solita armatura.

La tromba suonò e lo scontro ebbe inizio.

Si udivano forte i rumori delle spade che si scontravano, ma alla fine si sentì un urlo. I due cavalieri si colpirono reciprocamente al cuore nello stesso momento ed entrambi, privi di vita, caddero a terra.

Alis pianse, pianse e pianse, giorni e giorni finché non giunse al castello uno sconosciuto dalla barba lunga.

Alis esclamò: “Mago Merlino!!!! Ma tu esisti davvero!!!”
“Certo, però ora dimmi, perché sei tanto triste?”- le chiese Merlino
“Ahimè, il cavaliere dei miei sogni è morto!”- rispose Alis
“Io posso aiutarti!”
“Davvero?!?!?! Ma come?”
“Una magia potrà far tornare in vita il tuo amato, ma ad una condizione: è necessario che in questo paese le persone non abbiano più questo odore nauseabondo!”

Alis corse allora dal padre e lo pregò di ordinare che tutti i sudditi si lavassero, perché solo in quel modo lei avrebbe potuto riavere il suo principe.
Il re si intenerì per la figlia e decise di dare quell’ordine e che fosse per sempre.

Merlino fu felice di quella saggia decisione del Re e disse alla principessa:
“Va bene, allora iniziamo!” - poi proseguì - “Ora dammi le tue mani e pensa a qualcosa di bello, che ti dona felicità …”
“Si, ora chiudo gli occhi e mi concentrerò” – rispose Alis piena di speranze.

Sentì il mago pronunciare strane parole, poi vide una luce intensa e da questa ne uscì il cavaliere biondo. Il mago Merlino era invece sparito!
Alis abbracciò il suo cavaliere e lo salutò.

Dopo qualche tempo i due innamorati si sposarono e, alcuni anni dopo, divennero il re e la regina di quel regno che non si chiamava più Castelpidocchio, bensì Castelprofumo poiché vi regnava tanta pulizia ed i suoi abitanti lavoravano tutto il giorno fabbricando sapone, che poi veniva venduto anche ai regni vicini.

Non dimenticarono mai il cavaliere nero, perché fu per merito suo che era avvenuto questo cambiamento, anzi a lui dedicarono un bel monumento ponendolo all’ingresso del paese!!!!

 

Federinik01

 
 
 

I colori dell'amicizia.

Post n°27 pubblicato il 14 Giugno 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

I colori dell'amicizia.

In un tempo lontano lontano, viveva una regina malvagia.
Il suo nome era Nevy, ed era la sovrana delle Fate della Notte. Il suo regno era dominato dalle ombre.
Le sue ali erano nere, decorate da disegni simili a ragnatele, di cui lei andava fiera. La regina Nevy era sempre stata invidiosa delle sfumature della Natura e non sopportava i colori splendenti delle farfalle, che, come coriandoli, volteggiavano nell’aria.
La sua ira si scatenò su di loro e, con un incantesimo, le trasformò in cristalli lucenti. Le imprigionò in una delle segrete del suo castello privando il mondo di queste magiche creature.
La sorte del popolo delle Fate della Natura non fu molto diversa: poiché la regina non sopportava i colori dei fiori coltivati da questo popolo fatato, con l’aiuto del suo esercito delle creature delle tenebre, lo ridusse in schiavitù.
Per molti anni queste fate subirono molteplici ingiustizie e, non potendo più coltivare le loro terre baciate dal sole, pena la morte, furono costrette a lavorare nelle miniere sotterranee della regina.

Di questo popolo, faceva parte Cloe, una bellissima fanciulla con le ali di un verde scintillante. Da bambina, quando il suo popolo era ancora libero, aveva sempre giocato con le farfalle ed era sempre stata affascinata dai loro colori e dalla loro delicatezza. Cloe non sopportava di vedere il suo popolo ridotto in schiavitù. Era la sola ad essere diventata forte nel corso di quei terribili anni e con lei anche i suoi poteri si erano fortificati. Tutto questo fu reso possibile dal fatto che, nel momento in cui la regina scagliava contro le Fate della Natura la maledizione, la nonna di Cloe (potente fata del Circolo degli Anziani) la protesse col suo ultimo incantesimo, permettendo così che i poteri della fanciulla non venissero alterati. Era diventata una vera guerriera fatata, ma non poteva essere aiutata dal suo popolo poiché il maleficio lo aveva privato di ogni potere magico.
Ma un giorno, esasperata da tanto male, decise di chiamare in suo aiuto le Fate degli Elementi, sue amiche d’infanzia.
Approfittò del coprifuoco, si cosparse di porporina magica e svanì nella notte come fosse stata nebbia.
Nessuno la vide fuggire. Volò per quasi tutta la notte, cantando senza sosta, un’antica melodia: una canzone che intonava sempre da piccola assieme alle altre fate … Era un chiaro richiamo d’aiuto!

In lontananza le Fate degli Elementi si misero subito in allerta. La prima ad andarle incontro fu Silfy, la meravigliosa Fata del Regno dell’Aria. Le sue ali erano un arcobaleno di colori, adornate da luccicante polvere di diamante. Dridy, Fata del Regno della Terra, arrivò in groppa ad una lepre, poiché lei non possedeva le ali; il suo vestito era fatto di foglie fresche e una coccinella le faceva da spilla per il mantello. Filly, Fata del Regno del Fuoco, uscì con uno zampillo dal vulcano e le sue ali erano rosse, come petali di papavero. Mentre Nixy, Fata del Regno dell’Acqua, emerse dal mare, come una bolla colorata; anche lei era priva di ali, ma i suoi poteri la facevano librare sulla cresta delle onde.
Il luogo del loro incontro fu la grande quercia rugosa. Non appena furono tutte riunite, si abbracciarono forte ed ascoltarono quanto Cloe aveva da dir loro. Dopo aver udito tutta la storia, decisero di aiutarla a liberare il suo popolo dalla regina Nevy.
Presero per mano Dridy e Nixy, le due fate sprovviste di ali, e volarono veloci verso il Regno delle Fate della Notte.
Attesero l’alba, poiché durante il giorno, la regina riposava sempre nelle sue stanze, ma solo dopo aver lucidato per bene le sue ali nere, fino a farle brillare; quello era per lei un rituale giornaliero che praticava nel giardino di rovi e per un’ora nessuno l’avrebbe potuta disturbare.
Le nostre amiche fate erano già entrate nel giardino, rese invisibili da un loro incantesimo.
Aspettarono pazienti, dietro l’enorme specchio della regina, mentre quest’ultima lisciava e lucidava le sue ali ignara di ciò che le stava per accadere.
All’unisono poi le nostre fate entrarono in azione, ognuna con un potere diverso. Infatti, ognuna aveva un dono magico particolare: dalle mani di Cloe nacquero le radici dell’edera più forte e con un semplice gesto le lanciò sui piedi e sulle mani della regina. L’edera le si aggrovigliò alle caviglie e ai polsi facendola vacillare; Filly lanciò verso le ali nere della malvagia Nevy, piccole fiammelle e con l’aiuto del vento di Silfy il fuoco si alzò alto. Più la regina guardava le sue ali incenerirsi, più il suo grido diveniva angosciante. Ma Nixy non sopportò tutto questo e gettò verso la regina, zampilli d’acqua, per non vederla bruciare viva: anche se malvagia, la regina non meritava di ardere in quel modo. Dridy diede il colpo finale, creando una voragine nel terreno, nel quale la regina, avvinta dall’edera e quasi bruciata viva, cadde sprofondando nella terra, mentre dietro di lei la voragine si richiudeva, sigillando, così, la sua malvagità per sempre.

Le nostre guerriere esultarono per la vittoria. Ora non restava altro che liberare il popolo di Cloe e le farfalle.
Rientrarono nel castello e si diressero nelle segrete ammuffite dove trovarono la teca nella quale erano imprigionate le loro antiche amiche. Unirono i loro poteri: Terra, Acqua, Fuoco, Aria e l’essenza della Natura; erano poteri forti, poteri nati dalle viscere di un mondo che non aveva età. Pronunciarono l’incantesimo e la teca si sbriciolò, davanti a loro, come polvere di stelle.
Le farfalle erano libere! Riempirono la stanza di colori e, guidate dalle fate, trovarono la via d’uscita verso la libertà.

I poteri della regina Nevy erano stati annullati dopo la sua scomparsa e il popolo delle Fate della Natura era finalmente libero.
Libero, alla fine, fu anche il popolo delle fate della Notte che tornò a svolgere il suo antico mestiere: proteggere la natura quando, nella notte, riposava.
Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che le fate della Natura avevano visto la luce del sole brillare così forte; i colori erano diventati più intensi, ma l’emozione più bella fu vedere quei coriandoli colorati ricoprire nuovamente il loro cielo. Le farfalle erano tornate e anni di pace avrebbero accompagnato questi regni fatati e, mentre godevano di questo meraviglioso spettacolo di colore, le nostre amiche fate sigillarono un patto eterno di amicizia fra i loro regni.

Gli amici ci son sempre accanto, è sufficiente tendere una mano verso di loro e chiedere aiuto. A volte, da soli, non ce la possiamo fare e la nostra amica Cloe ci è stata d’esempio in questo: anche se aveva grandi poteri, ha preferito chiedere aiuto alle sue amiche, perché unite, avrebbero avuto maggiore forza e più poteri per sconfiggere il male.

 

Padmaja

 
 
 

La principesa capricciosa.

Post n°26 pubblicato il 07 Giugno 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

LA PRINCIPESSA CAPRICCIOSA


Tanto tanto tempo fa, in un Regno lontano lontano, viveva una principessa di nome Luce.
Luce era brutta, cattiva, antipatica e dispettosa. I capelli, rossi come una carota, erano corti, ricci e cespugliosi. Il viso, spigoloso e ricoperto da una marea di lentiggini, terminava con un mento a punta, sul quale spiccava un brutto e grosso neo nero, con tanto di pelo.
A sedici anni, la principessa non aveva ancora un fidanzato e i genitori erano disperati. Era infatti giunto il momento di accasare la figlia con un Principe di un reame vicino, ma nessuno di loro voleva sposarla.
Infatti, i Principi che l’avevano conosciuta, erano fuggiti tutti a gambe levate sia per il suo aspetto orribile, sia per il suo caratteraccio.
E così Luce, che in cuor suo accarezzava l’idea di diventare la moglie di un Principe e, più avanti, una Regina famosa e potente, divenne sempre più capricciosa, dispettosa e cattiva.
Al castello, ormai, tutti la temevano, perché lei continuamente faceva scherzi di cattivo gusto ai cortigiani che incontrava lungo gli ampi e maestosi corridoi.
Luce faceva lo sgambetto ai camerieri, che puntualmente rovesciavano a terra vassoi carichi di succulente portate, o si divertiva ad aggiungere sale a qualche pietanza, che diventava quindi immangiabile, oppure gettava lombrichi sul letto dei genitori e degli ospiti, ridendo come una pazza dinanzi alle grida di orrore e di terrore che inevitabilmente poi si alzavano, rimbombando tra le mura del castello. Un giorno Luce, dopo l’ennesima marachella, fu ripresa dal padre, il Re Gustavo, nella grande e pomposa sala del trono.
“Figlia mia, sei una ragazza cattiva e capricciosa! Così non troverai mai un marito e sarai il disonore della nostra famiglia!” - Le disse il Re, puntandole un dito contro. Luce strinse i pugni, tremò per la rabbia e scappò di corsa dal castello, precipitandosi verso il bosco che si apriva oltre l’imponente giardino.
Si fermò dopo una lunga corsa, piegandosi in due per riprendere fiato. Sapeva di essere brutta, e proprio per questo motivo era sempre arrabbiata sia con i genitori, ai quali dava la colpa per averla fatta nascere così orribile, sia con i cortigiani, che la guardavano come se si trattasse di una strega, più che della figlia del re.
Odiava tutti quanti, perché gli altri erano normali o addirittura belli. Nessuno era brutto come lei, neppure le vecchie che chiedevano l’elemosina lungo le stradine polverose del Regno.
Luce voleva sposarsi, voleva trovare un fidanzato, ma come avrebbe potuto convincere un Principe a prenderla in moglie?
Si lasciò cadere a terra, sporcando il lungo vestito azzurro e verde di fango e foglie e permise alle lacrime di solcarle le guance pallide.
Proprio in quel momento, una vivida luce dorata attirò la sua attenzione. Sopra di lei, una sfera color del sole stava scendendo rapidamente dal cielo, sfiorando le cime delle alte querce.
La Principessa si coprì gli occhi con le mani, tremando per la paura.
Un vento tiepido le accarezzò la nuca e i capelli e, allora, Luce decise di riaprire gli occhi.
“Oh!” esclamò, spalancando la bocca.
Dinanzi a lei era apparsa una fata bellissima, con lunghi capelli biondi che le scendevano diritti fino alla vita e un lucente abito argentato che brillava sotto i raggi del sole. Luce guardò poi le ali della fata, rosa e ricoperte di brillantini viola: non aveva mai visto, in tutta la sua vita, una creatura così meravigliosa.
“Ciao, io sono la Regina del bosco e sono qui per aiutarti!” - disse la Fata, sollevando dinanzi a sé una bacchetta magica dorata - “So che sei triste per via del tuo aspetto. Ma, se mi prometti che diverrai buona, gentile e generosa, farò di te la più bella principessa del mondo.”
Luce spalancò la bocca e accettò la proposta della Fata, promettendole quanto le era stato richiesto.
“Bene, allora chiudi gli occhi.”
Luce obbedì e, quando dopo pochi istanti li riaprì, urlò per lo stupore. Il suo abito era diventato viola e rosa, e brillava di tanti cristalli argentati.
La Fata le porse uno specchio e Luce iniziò a saltellare per la gioia. Era diventata davvero la più bella ragazza del reame! Ora aveva un viso perfetto, grandi occhi azzurri e lunghi capelli rossi, ricchi di boccoli ordinati.
Luce sorrise maliziosa alla sua immagine che si rifletteva nello specchio e, senza ringraziare la Fata, corse verso il Castello.
Quando il Re e la Regina la videro, piansero per la gioia e organizzarono subito una festa, durante la quale Luce sarebbe stata presentata ai Principi dei regni vicini. Luce, però, dimenticò in fretta la promessa fatta alla Regina del bosco. Continuò infatti a tormentare i cortigiani con scherzi cattivi e crudeli, e a ridere delle loro difficoltà.
Il giorno della festa, tutti i dieci Principi dei Reami accorsero per vedere la nuova e bellissima Principessa Luce. E tutti si meravigliarono della sua bellezza.
Luce, però, era annoiata e continuava a sbadigliare. Dopo aver conosciuto otto Principi, iniziò ad averne abbastanza e pensò che nessuno di loro fosse all’altezza della sua bellezza.
Quando si presentò al suo cospetto il decimo Principe, Luce sbarrò gli occhi per lo stupore. Dinanzi a lei vi era il ragazzo più bello che avesse mai visto in tutta la sua vita. Vestiva con una lucente calzamaglia dorata, aveva grandi occhi verdi e brillanti capelli biondi, che gli arrivavano fino alle spalle.
Luce capì all’istante che quello sarebbe diventato il suo futuro sposo.
Il Principe, che si chiamava Filippo, la condusse per mano nel giardino e le regalò una piccola e delicata rosa rossa.
Luce gli strappò il fiore di mano, lo gettò a terra e lo calpestò con tutti e due i piedi, tenendo gli occhi chiusi per la rabbia.
“Odio le rose, sono bruttissime! E comunque odio tutti i fiori, non mi piacciono proprio! Data la mia bellezza, tu dovresti regalarmi solo collane, bracciali e gioielli preziosi!”
Il Principe si intristì e capì che non avrebbe mai potuto amare una ragazza che odiava i fiori e che pensava solo a se stessa.
Quindi se ne andò in fretta dal castello, lasciando Luce sola e triste a guardare la rosa calpestata. Il Re e la Regina, furiosi, per punizione la misero in castigo, relegandola nella sua camera.
Luce si disperò. Dentro di lei stava nascendo un sentimento nuovo, che non aveva mai scoperto prima: era innamorata follemente del Principe Filippo e avrebbe fatto di tutto per riaverlo.
Decise così di creare una corda con le lenzuola e di calarsi giù dalla finestra.
E così fece la notte seguente.
Corse in fretta verso il centro del bosco ed iniziò a chiamare la Fata a gran voce, singhiozzando disperatamente.
“Ciao Luce! Perché piangi?” - Le chiese la Fata, che era apparsa al suo fianco, immersa nella luce dorata.
“Sono stata cattiva e ho perso l’amore della mia vita.”
La Fata le accarezzò i lunghi capelli rossi. “Luce, Luce, te l’avevo detto che avresti dovuto comportati bene, ma tu non mi hai voluta ascoltare e questa, ora, è la tua punizione più grande!”
Luce scosse la testa più volte, continuando a piangere. “No, no, non posso perdere il Principe Filippo! Farò di tutto per riaverlo.
” La Fata, allora, le sollevò il viso, obbligandola a guardarla negli occhi. “Sei pronta anche a perdere la tua bellezza per lui?”
Luce fece una smorfia di disappunto, ma pensando al suo bel Principe, che amava con tutto il suo cuore, decise che avrebbe accettato qualsiasi condizione della Fata.
In men che non si dica, Luce tornò ad essere la ragazza di sempre. Brutta … forse la più brutta di tutto il Reame.
Ma era finalmente in pace con se stessa e felice, come non lo era mai stata. Ringraziò la Fata, abbracciandola, e corse a perdifiato verso il Castello. Svegliò il re e la Regina e li implorò di convocare nuovamente il Principe Filippo.
Il ragazzo arrivò a Palazzo l’indomani, ed era ancor più bello di quanto Luce lo ricordasse.
Lei gli chiese infinitamente scusa e gli raccontò quanto le era accaduto. Il Principe la guardò negli occhi e capì che era sincera e che il suo cuore era, ora, colmo di bontà.
Le nozze furono celebrate il mese successivo, con una festa così grande e imponente, che tutti i reami ne parlarono per anni ed anni.
Luce e Filippo vissero per sempre felici e contenti, con una marea di bambini.

Alla fine, ciò che conta davvero è la bellezza, quella grande e vera, che vive per sempre nei nostri cuori, e che non sfiorirà mai.

 

M.P.Black

 
 
 

Le avventure del cactus Matteo, di Furbettin e della stella vaga.

Post n°25 pubblicato il 26 Maggio 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

Le avventure del cactus Matteo, di Furbettin e della stella vaga

Qualcuno lo doveva pur fare, così l'ho fatto io, con errori e dimenticanze, forse, ma sforzandomi di dire tutto ciò che sapevo.
Prima di tutto, mi presento: salve a tutti! Sono Matteo, il cactus di casa.
Ah scusate! Dimenticavo di dirvi che questa è proprio una storia strana e, se siete contrari ai petardi o soffrite di vertigini, potete già chiudere il libro e prenderne un altro.
Come dicevo: salve!
Io sono Matteo il cactus di casa, di solito abito sul davanzale della finestra, quella sopra al terrazzino, mi godo il sole tutto il giorno, se piove, però, Fabio mi porta dentro al caldo.
Fabio è il mio boss, è lui che si prende cura di me e mi racconta le cose.
La mia vita non era felice finché non fui regalato a Fabio: da allora va molto meglio! Ma questa non è la mia storia e quindi basta divagare.
Questa è la storia di Fabio e delle sue avventure spaziali.
Dovete sapere che tutte le sere d'estate, io e Fabio stiamo alla finestra a guardare le stelle.
Lui, tra una puntura di zanzara e l'altra, mi spiega le costellazioni.
«Vedi quella è l'Orsa Maggiore, quella è Venere … » o Marte? Adesso non ricordo, io non ho mai capito niente, ma mi piace stare con lui ed ascoltarlo.
Una sera, come al solito, eravamo lì, con il naso all'insù, ed ecco che salta in testa al mio boss l'essere più brutto, più sporco e più vecchio che abbia mai visto.
Fabio fa un balzo e lo guarda con la bocca aperta.
«Ohi, Ohi la mia povera schiena, non ho più l'età per queste cose, ciao giovanotto! Furbettin per servirti!»
Visto che Fabio non chiudeva la bocca, il "coso" continuò dicendo:
«Io sono uno stellino, viaggio nelle stelle, e spesso vengo attirato dai pianeti più interessanti. Si da il caso che fossi attaccato a una cometa, ma, mentre dormivo, si deve essere sciolta, così sono stato attirato qui: sul vostro pianeta. È tutta la notte che giro in cerca di qualcuno interessato alle stelle e quando ti ho visto mi sono tuffato in picchiata, ma non conosco ancora la forza di gravità del vostro pianeta così non sono riuscito a frenare in tempo. Ah, a proposito, scusa per il bernoccolo!».
Infatti il povero Fabio aveva proprio un bel bernoccolo in testa!
«Adesso che hai trovato me cosa farai?» gli disse Fabio massaggiandosi il punto indolenzito. «Non ho mai soggiornato in questo sistema. Non so bene dove sono, credo che mi guarderò in giro. Per caso non è che si potrebbe mangiare? Sai, avrei un po' di fame!».
Stranamente mi guardava con uno sguardo da far venire i brividi e mi vengono ancora, se ci penso! Fabio, che ha il cuore d'oro, gli disse: « Ma certo, cosa mangi?»
«Quella tortina verde deve essere molto buona» disse allungando la mano verso di me, «Ahi! Ma di che materiale è fatto?»
Fabio ridacchiò.
«Quello è Matteo, è un cactus, non si mangia! Se vuoi ho le pesche di mamma, ce ne sono tante sull'albero» disse indicando il pesco «Prova a mangiarne una, così senti se ti piace».
L'esserino balzò su un ramo dell'albero e iniziò a divorare le pesche dicendo:«Bbuo…ne…cos…a so…no?».
«Fabio basta parlare è tardi vai a dormire».
La voce di mamma arrivò al momento giusto.
«Io devo andare a dormire, se vuoi puoi dormire nella mia camera» spiegò il mio boss a Furbettin.
L'essere spaziale saltò direttamente sotto il letto, da lì non si mosse fino alla sera dopo.
Quando, improvvisamente, come se non fosse passato neanche un secondo dall’ultima volta che ci aveva visti, esordì dicendo: «Devo tornare sulla mia cometa e tu mi devi aiutare».
Fabio sgranò i suoi occhi azzurri e aprì la bocca per dire qualcosa ma l'esserino fu più svelto di lui. Preso il mio boss sotto braccio, saltò accanto a me sul davanzale, da lì andò su un albero e poi non li vidi più.
Passai delle ore terribili, in attesa del loro ritorno poi, finalmente, alle sei, eccoli tornare tutti e due: Fabio era coperto di polvere e il viso era così scuro che non gli si vedevano più le lentiggini; quanto a Furbettin era più brutto che mai: polveroso e nero assomigliava a un bastone bruciato.
Fabio ebbe una bella punizione dai genitori e non poté uscire di casa per tre giorni. Così mi raccontò quello che gli era capitato quando "l’amico" spaziale lo aveva portato con sé.
Con una specie di corda, si erano attaccati ad un aereo, e da quello erano poi passati ad un altro, e poi ancora ad un altro e così via per tutta la notte.
Nonostante fossero protetti da una bolla, il fumo dei jet li aveva tutti anneriti. Furbettin si era persino arrabbiato per il fatto che i nostri aeri volassero troppo bassi. E avevano anche rischiato di schiantarsi a terra, perché Furbettin preso dalla rabbia, stava distruggendo la sfera che li proteggeva.
Adesso Fabio aveva paura, se quell'essere non fosse riuscito a tornare a casa, l'avrebbe costretto ancora a viaggiare con lui tra le correnti fredde e gli uccelli arrabbiati.
Cosa che puntualmente accadde al termine della punizione, per due giorni consecutivi.
Per fortuna, di lì a poco, sarebbe stato il 10 agosto, San Lorenzo, e, continuava a ripetere il mio boss, la cometa si sarebbe avvicinata. Io sperai che avesse ragione visto che ogni mattina tornava più nero e più stanco che mai.
Quel che è peggio, però, era l’umore di Furbettin. Tornava sempre più cattivo, sempre più arrabbiato, solo i miei aghi gli impedirono, più di una volta, di tirarmi un calcio ben assestato. Fabio si ricordò che i palloncini gonfiati con l’elio, se ti sfuggono di mano, salgono nel cielo, ma non sapeva quanto in alto, così iniziò a pensare ad una soluzione, e poiché era molto intelligente in due giorni predispose tutto.
I fuochi d'artificio che papà non aveva usato il primo dell'anno e che mamma aveva nascosto in soffitta; dieci palloncini a elio rubati da Furbettin nelle varie sagre estive; una tuta spaziale ricavata da uno zaino ed ecco fatto! Il piccolo mostro spaziale faceva veramente ridere.
Se ci penso, rido ancora!
Fabio fece al suo vecchio zaino Invicta due buchi per le gambe nella parte inferiore e due buchi ai lati, per le braccia. Strinse il cordino intorno al collo di Furbettin e nella tasca superiore dello zaino, che ora gli era dietro la schiena, inserì i petardi di papà.
Per finire in bellezza, sulla tasca davanti, che gli faceva da marsupio, legò i palloncini. Alle undici, quando papà e mamma dormivano, Furbettin ci salutò e salì sempre più in alto nel cielo buio. Ad un certo punto si udirono diversi colpi di petardo e poi più niente.

È già passata una settimana da quella sera e dello stellino nessuna traccia.
Fabio guarda il cielo e mi spiega ancora le stelle.
Dice che Furbettin ora è sulla stella Vaga, perché non sapeva neanche lui da dove provenisse, poi ride e ripete spesso che deve proprio raccontare questa storia a qualcuno.
Io l'ho fatto!
Spero proprio che vi sia piaciuta, che ci crediate, oppure no!


DaisyDary

 

                               

 
 
 

La favola del folle sulla collina

Post n°24 pubblicato il 09 Maggio 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

La favola del folle sulla collina


Forse perché era stato sempre solo; forse perché non rispondeva quando qualcuno lo incontrava e lo chiamava o salutava, ma a tutti gli abitanti del paese non piaceva!
In realtà,forse, ciò che non piaceva alla gente, era la sua tranquillità, quel suo sorriso, quella serenità dipinta sul suo volto.
Quindi, senza nemmeno parlarne tra loro o convocare una assemblea deliberante in tal senso, tutti avevano contemporaneamente deciso che era matto!
Io, che a quel tempo ero bambino, una volta superata la paura che può suscitare un uomo che vive da sempre solo, su una collina, ne ero incredibilmente incuriosito. Trascorrevo i miei pomeriggi spiandolo, e in casa mentivo, dicendo di essere stato a giocare a palla con gli altri bambini. Ancora non lo sapevo con certezza, ma era già presente in me la consapevolezza istintiva che chi frequenta i matti prima o poi viene considerato tale, così come viene isolato chi sta con i rifiutati, con gli esclusi. E tutto questo era un segreto tra me e il resto del mondo che riempiva di significato le mie giornate. Un segreto tra me e il resto del mondo, ma non tra me e il folle sulla collina.

Che lui si fosse accorto di me fin dal principio mi fu evidente solo dopo un po’ di tempo. Il momento in cui lo osservavo con maggior curiosità era nel tardo pomeriggio, quando puntualmente ogni sera usciva di casa con una sedia e si accomodava rivolto verso ovest, e lì restava, immobile, fino a quando il sole non scompariva dietro le montagne. Un pomeriggio di primavera, per osservarlo più da vicino mi spostai in un boschetto alle sue spalle. Camminando per dirigermi verso il posto di osservazione che avevo scelto, il grosso tronco di un albero proprio ai margini della radura a circa dieci metri dalla sua casa, un rametto secco si spezzò sotto i miei piedi. Rimasi immobile non so per quanto tempo, paralizzato dal timore che mi avesse scoperto. Quando mi affacciai oltre tronco, invece, constatai che non si era mosso, continuava a darmi le spalle e ad osservare l’ultimo spicchio di luce che si perdeva dietro la cima della montagna. La sera successiva però, quando uscì di casa, aveva con sé due sedie …

…E poi il coraggio mi venne, non so come, tutto insieme. Successe in un giorno che i compiti di scuola mi avevano assorbito fin quasi all’ora giusta. Così, con il timore di arrivare tardi, mi diressi correndo su per la collina. Fatto sta, che non appena lo vidi da lontano, mentre già se ne stava seduto in direzione del suo tramonto, invece di svoltare verso il boschetto tirai dritto, fino a trovarmi seduto accanto a lui, su quella sedia che da una settimana portava fuori casa, per me, tutte le sere. Il cerchio del sole aveva appena toccato la cima della montagna, quando iniziò a parlare.

“E’ da quando avevo la tua età che ho iniziato a venire qui. In principio pensando semplicemente che fosse un bel posto. Pensavo che da qui si vedesse il tramonto più bello del mondo. Solo in seguito ho capito che cercavo qualcosa, ma ho impiegato dieci anni per capire cosa”
… Il suo sguardo andava oltre, oltre l’orizzonte. Fece un sospiro e poi riprese a parlare …
“Accadde il giorno che scappai da casa mia e dal paese, perché tutti mi prendevano in giro per il fatto che venissi sempre quassù da solo. Dopo aver visto il mio tramonto, rimasi sdraiato sull’erba di questo prato fino a che giunse la notte. Portai con me un sacco con le mie cose. Avevo anche una vecchia coperta e decisi di rimanere qui a dormire. Dopo diversi giorni trascorsi ad osservare la fine, vidi per la prima volta il principio. Nella direzione opposta a dove guardavo ogni sera vidi nascere quella stessa luce. Ed io sentii che dovevo capire da dove quella luce nascesse. Così m’incamminai verso quella montagna, e una volta arrivato in cima mi sistemai di nuovo per la notte, pronto e nell’attesa di quella luce che sarebbe presto sorta vicino a me. Ma non appena la notte iniziò a rischiararsi, vidi il primo pezzo di quella luce che nasceva, in realtà, in fondo alla pianura che partiva ai piedi alla montagna dove io mi trovavo. Ridiscesi la montagna e camminai per giorni e giorni lungo quella pianura, constatando ogni mattina che non riuscivo ad avvicinarmi neanche di un po’ al luogo d’origine della luce. Quando ormai avevo perso ogni speranza arrivai in vista del mare, e la mattina successiva vidi che quella luce nasceva lì. Camminando tra le banchine del porto, iniziai a chiedere quali navi salpassero verso quella direzione. Ne trovai una: m’imbarcai. Trascorsi su quella barca giorni e giorni, sempre svegliandomi al mattino e vedendo quella luce, che sembrava nascere dall’acqua, lì a poche miglia, ma che ogni giorno manteneva sempre la stessa distanza. Fin quando arrivai ad una nuova terra, un porto, dietro il quale si ergeva una nuova montagna e dove, dietro quest’ultima, il mattino successivo nacque la stessa luce. Salutai tutti i miei compagni di traversata, presi il mio sacco, e m’incamminai verso quella montagna …”

Ancora una volta tacque, chissà forse voleva capire se lo stessi ascoltando … se fossi attendo a ciò che diceva … Di nuovo il suo sguardo oltre l’orizzonte e poi, tornando a sospirare, riprese:

“… Ho passato cinquant’anni, sempre procedendo nella stessa direzione, per montagne, pianure, foreste, deserti e mari, fino a quando un giorno, arrivando sulla cima di un monte, mi apparve poco più in basso il mio paese, e questa collina da cui ero partito cinquant’anni prima. La cima dalla quale osservai tutto questo in quel giorno è quella che stiamo guardando adesso.

Sono oramai dieci anni che vivo solo in questa casa, in cima alla collina. Stamattina mi sono alzato molto presto. Era ancora buio, e guardandomi allo specchio ho deciso che sono già abbastanza grande. Anzi, mi sento nel pieno delle forze. Ho preparato un sacco con le mie poche cose, me lo sono appoggiato sulle spalle e sono uscito di casa. Sono rimasto immobile, finché verso est è comparsa, dietro la cima di una montagna, una piccola luce che andava ingrandendosi a vista d’occhio. E in quella direzione, verso quella luce, mi sto incamminato. Quello che cercavo sono stati quei cinquant’anni e quello che pensavo di inseguire non mi stava sfuggendo, mi precedeva e mi indicava la strada”.

Queste furono le sue ultime parole, prima di alzarsi dalla sedia, stringermi la mano, e lasciarmi lì seduto da solo. S’incamminò, ed io rimasi immobile ad osservarlo, fin quando la sua figura, sempre più piccola all’orizzonte, divenne un puntino, e poi sparì.


 


 

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IL Corvo e la Fontana.

Post n°23 pubblicato il 02 Maggio 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

Il Corvo e la Fontana.


Dietro la collina delle capre la vita scorre tranquilla.
Non vi sono torrenti, solo una fontanella perennemente fredda, gelata, che lascia scorrere la sua acqua senza posa.
A qualunque ora del giorno ed in qualunque momento dell'anno, puoi vederla zampillare.
Non è una di quelle magnifiche fontane intagliate nel legno, e neanche una di quelle scolpite ad arte nella roccia.
Un semplice tubo di metallo lascia cadere la colonna refrigerante dentro ad un tronco cavo.
E' bassa, qualsiasi bambino può attingere da lei. E chiunque sia alto come me deve mettersi accucciato per bere se non dispone di un bicchiere.

Piccolina com'è, riesce a racchiudere i segreti che carpisce ai viaggiatori che passano da lì; agli animali che le si avvicinano assetati; agli alberi che le raccontano ciò che vedono dall'alto dei loro rami; alle nuvole cariche di ricordi tristi che lasciano cadere sopra di lei.

Un giorno un corvetto che sorvolava la collina la notò. Avendo sete e caldo decise di tuffare le sue penne nello specchio d'acqua, ma si ritirò subito non appena il suo corpicino venne a contatto con la superficie gelida. Si scosse di dosso le gocce che lo infreddolivano e fece per andarsene. La fontana lo fermò chiamandolo in tono di scuse:
-“Aspetta, corvetto, non andar via. Mi dispiace che la mia acqua ti abbia infreddolito, ma io non sapevo che ti saresti tuffato a capofitto. Altrimenti, ti avrei avvertito di andarci piano!”
Il corvetto le lanciò uno sguardo di disapprovazione misto a curiosità, poi rispose:
-“Il tuo compito è quello di dissetare, perché sei così fredda da non poterti neanche sfiorare?”
La fontana parve riflettere per un momento e l'acqua si agitò lievemente.
-“Non è del tutto vero che non mi si possa sfiorare. Coloro che non riescono a bere alla mia fonte non hanno mai pensato di avvicinarsi a me con gentilezza e rispetto per il tesoro che potrei fornir loro tutto il giorno e tutti i giorni. Essi vengono solo per rubare sgarbatamente una cosa a me preziosa, che potrei tenere per me o decidere di far tornare nel grembo di questa collina da cui nasco. E questo non mi piace. Ma se aspetti un momento ti mostrerò qualcosa di estremamente dolce, che accade sempre a quest'ora”.
Il corvetto sgranò gli occhi non cogliendo al volo ciò che la fontana intendeva dire e si guardò intorno. Ad un tratto udì dei passi che provenivano dal sentiero accanto. Aguzzò la vista e quando fu sicuro di intravedere una donna, volòsopra un ramo. La fontana lo rassicurò:
-“Non aver paura, la donna che vedi non alzerà dito contro di te. Osservala in volto e sta a guardare cosa succede adesso”.
Il corvetto si agitò nervoso. Non era abituato a stare in mezzo agli umani, al contrario: a lui andava bene che gli fosse dato un po' di pane e quando finiva il banchetto sotto i loro occhi divertiti, se ne andava subito. Gli sembravano così assurdi: prima gli davano da mangiare e poi iniziavano a ridere divertiti per le baruffe con gli altri corvi o, peggio, si offendevano se lui rifiutava il loro cibo.
Tuttavia, la fontana pareva molto sicura di sé e gli aveva promesso uno spettacolo interessante. Restò quindi sul ramo ed a debita distanza, ma non staccò gli occhi dalla donna che si avvicinava alla fontana e la fissò in viso. La sua espressione era radiosa, come se fosse andata a fare visita ad una vecchia amica che non vedeva da tempo. Avvicinò la mano allo zampillo d'acqua e chinò il capo per bere. Quando ebbe finito, sorrise compiaciuta e rivolse un altro sorriso alla fontana prima di tornare a casa.
-“Cosa significa questo?” - chiese il corvetto.
La fontana rispose pazientemente:
-“Con Il suo sorriso la donna mi ha ringraziato dell'acqua che le ho donato. All'inizio, la mia acqua può sembrare fredda, ma quando ti accorgi che è buona, troverai la sua temperatura piacevole. Io metto a disposizione di tutti ciò che ho di più prezioso, ma solo chi mi ringrazia sa come accettare questo mio dono”.
Il corvetto rifletté chinando il suo piccolo capo. Si avvicinò di nuovo all'acqua cristallina e lentamente bevve fino a saziarsi.
-“Hai ragione...” – disse poi sorridendo alla fontana – “ la tua acqua non è poi così fredda come può sembrare all’inizio e sei stata gentile ad averla spartita con me. Tornerò qui anche domani”.

 

Kagura84

 
 
 

Non è una favola, semplicemente i miei auguri a tutti voi per una Santa Pasqua! ^_____

Post n°22 pubblicato il 22 Aprile 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

Mi viene da sorridere ogni volta che sorprendo me stessa a riflettere ere perché mi rendo conto che a volte i miei pensieri, troppi nello stesso momento, si mischiano …. Si confondono!
Insomma, per rendere più chiara l’idea, immaginate che ogni mio pensiero sia una persona, e che la testa sia una discoteca …
Si certo, forse il paragone è eccessivo, ma a volte è così che mi sento la testa: una discoteca dove i pensieri ballano e gridano .. e si confondono!!!!!
Ed è così che era la mia testa stamane, mentre percorrevo la solita strada che ha come punto di partenza il mio adorato nido e come punto d’arrivo l’ufficio: una discoteca in piena attività (sorrido!) ….
Già, perché mentre ascoltavo una meravigliosa canzone interpretata dai Negramaro (“Meraviglioso” il suo titolo) e ne analizzavo ogni singola parola facendola mia, nello stesso istante pensavo al mio blog e alla necessità di cambiare post e di riprendere a curarlo come facevo un tempo… e mentre questi due pensieri danzavano felici, un altro ha voluto aggiungersi alla festa: “E' Pasqua, devo lasciare un pensiero ai miei amici!” ….
No, non interpretatelo come un obbligo da parte mia … non mi sento affatto obbligata a fare gli auguri di una Serena Pasqua ad ognuno di voi (come non mi sento obbligata a far nulla che sia contro la mia volontà o a “imitare” tutto ciò che gli altri fanno), semplicemente è una mia volontà, è qualcosa che mi parte dal cuore, è un desiderio indescrivibile di lasciare traccia di me nei vostri cuori … e di lasciarvi una traccia ancor più forte in questo periodo di gioia.
Certo di gioia!
Di gioia, perché dopo la passione di Gesù (dopo la sua dolora via crucis) Egli risorge per sedersi alla destra del Padre.
Ovvio, non ho alcuna intenzione di fare una lezione di catechismo, non ne sarei neanche in grado, ma ogni volta che arriva questo periodo mi viene da rifletterci molto intensamente …
Non possiamo di certo paragonarci a Gesù, Egli davvero ha sacrificato la sua vita per noi, però anche la nostra vita è segnata da tante sofferenze e come Egli nel giorno di Pasqua risorge, allora anche noi dovremmo farlo … dovremmo simbolicamente risorgere!
La vita è un grande dono che ci è stato fatto, dobbiamo imparare ad apprezzarla, magari anche attraverso l’esempio di Gesù … Dobbiamo imparare a viverla!
Le sofferenze fanno parte di essa proprio come le gioie … e forse possiamo affermare che le gioie che ci vengono date non sono altro che il “cerotto” per quelle sofferenze che allo stesso modo segnano il nostro cammino.
Ed io credo, e sempre creduto, che il giorno di Pasqua fosse il giorno nel quale dovremmo, avendo in mente la via crucis di Gesù e la sua resurrezione, pensare a questo dono con più intensità e ringraziare di averlo avuto, dimostrando di saperlo apprezzare ma soprattutto dimostrando di aver capito che donare la nostra vita agli altri non significa di certo “morire fisicamente” per loro, ma al contrario vivere per loro attraverso gesti d’amore.

 

Ed allora io, con questi miei pensieri che continuano a “danzare” nella mia testa, vi lascio i miei più sinceri auguri per una Santa Pasqua … Per una serena Pasqua, colma di gioia nel cuore ma anche di infinita pace, nella speranza che ognuno di voi (me compresa) riscopra la gioia di vivere … magari ascoltando anche quella canzone di Modugno interpretata dai Negramaro, che credo sia veramente in sintonia con questo periodo!
Sono altresì consapevole che forse per molti di voi il giorno di Pasqua rappresenti una domenica qualunque, ma anche togliendo il termire “Santa Pasqua” l’augurio non cambia e può essere esteso ad ogni uomo su questa terra.

Un sorriso immenso.

La piccola Gio.

 
 
 

La nascita delle farfalle.

Post n°21 pubblicato il 13 Aprile 2011 da lemagichefiabe
 

 

 

 

La nascita delle farfalle

 

Cari bambini, io sono la Fata delle Favole ...
Il libro che ho tra le mani è il libro della fantasia, dove sono scritte tutte le fiabe del mondo …
Ma questa fantasia dove la possiamo trovare?
Certamente è una cosa molto preziosa e molto rara; per questo la si trova in un posto segreto, nel folto di un bosco...
- “Ma allora come possiamo trovare questo bosco?” - chiederete voi.
… Seguitemi e non abbiate paura; attraversando il sentiero fiorito, si arriverà al grande Albero ... si dovrà bussare per tre volte e si aprirà una piccolissima porta … gentilissimi gnomi ci accoglieranno felici.
Loro sono sempre contenti quando qualche bambino entra nel loro piccolo mondo.
Qui potrete trovare maghi, fate, streghe, principi e principesse; insomma tutto ciò che desidererete far vivere con la vostra immaginazione ... e qui, parola di Fata Ly, tutto potrà diventare realtà!
E la storia raccontata verrà impressa nel libro che ho tra le mani e potrà, così, essere narrata a tutti i bimbi del mondo.
Ed ora, per dimostrarvi che tutto ciò è vero, inizierò a raccontarvi una storia ...   Fatemi pensare ... ummmm ... sapete devo riflettere un po', perché le fiabe non mi vengono sempre così … su due piedi ... ecco ci sono: vi racconterò come sono nate le farfalle!

 

Sapete, cari amici, che attorno a noi esistono degli esseri invisibili.
Questi esseri sono le fate dei boschi, dell'aria e del mare.
Come aiutanti delle fate, troviamo elfi, gnomi ed infine nani delle miniere.
I compiti affidati a questi esseri sono assai vari, ma, in particolar modo, il più importante è quello di aiutare gli animali e la natura a sopravvivere a tutte le malefatte degli esseri umani.
Le fate dell'aria hanno come compito principale quello di accudire e proteggere tutti gli esseri volanti: uccelli, insetti e specialmente le farfalle.
Io vi narrerò proprio la nascita di queste ultime.

Migliaia di anni fa, alla piccola fata Aiwi ed al suo assistente, l'elfo Brik, fu affidato il compito di pulire l'arcobaleno, che dopo giorni e giorni di pioggia e vento si era tutto imbrattato, perdendo lo splendore di un tempo.
Raccolto tutto il necessario: scope, stracci e polvere magica “ravviva colori”, e dopo aver messo il tutto in un cesto, la fata e il suo assistente spiccarono il volo: destinazione arcobaleno!
Brik svelto, con un secchio prese da una nuvola delle gocce di pioggia e i due, allegramente, si misero al lavoro .
Una bella lustratina al giallo fino a farlo diventare splendente, poi una ritoccatina con la polvere “ravviva colori” ... e di buona lena, senza perder tempo, passarono al secondo colore!
Certo un lavoro molto faticoso, anche per la povera fata che svolazzava senza sosta da un colore all'altro. Era quasi giunto il tramonto e l'arcobaleno, prima di notte ,doveva riprendere il suo splendore, ma erano così stanchi che non avrebbero certamente fatto in tempo.
Ad un tratto a Brik venne un'idea ... prese il grosso spazzolone lo infilò nel secchio pieno di gocce di pioggia e via! In un attimo lavò per bene tutti i colori, passò con lo spazzolone la polvere magica e oplà, il lavoro fu terminato!!
Aiwi battè le mani felice alla vista di tanta bellezza, pregustando già il momento in cui la Fata Regina, avrebbe loro fatto le lodi per il lavoro ben riuscito!
Misero tutti gli attrezzi nel cesto, quindi Brik prese il secchio di gocce di pioggia e lo svuotò nel cielo: per incantesimo le mille gocce di pioggia presero vita....
Come una nuvola gli insetti dalle magnifiche ali colorate si dispersero nei cieli del mondo.
Erano nate le farfalle!!!
Esse regalano ancora oggi, a coloro che le guardano, bellezza e gioia.

Aiwi e Brik, tornati nel regno Fatato,furono lodati e festeggiati per il lavoro ben svolto e da allora divennero i custodi delle farfalle.

 

FATAMATTA_2008

 
 
 

La Fenice Danzante

Post n°20 pubblicato il 27 Marzo 2011 da lemagichefiabe
 

 


La Fenice Danzante

 

Questa è la storia di Geremy, un piccolo ragazzo di campagna, con una passione: il canto.
Rassegnato all'idea che mai nessuno si sarebbe accorto della sua passione e soprattutto del suo talento, si dilettava in moltissime canzoni, mentre solitario vagava per la foresta.
Un giorno Geremy, sempre durante il suo giro nella foresta, a suon di note che uscivano dalla sua bocca, s’imbatté in un animale alquanto strano, di colore rosso acceso con molte sfumature dorate, due ali dello stesso colore e con una coda splendida piena di piume color oro.
Geremy si bloccò all'istante e guardò negli occhi quello strano animale, che immobile davanti a lui contracambiò lo sguardo.
Dopo un paio di minuti passati a osservarsi, Geremy sentì una voce che diceva:
“ Canta!”
Il ragazzo si spaventò, ma non si tirò indietro ed intonò un canto soave, tanto che tutti gli animali della foresta accorsero ad ascoltare questo novello Orfeo. All'improvviso quello strano animale iniziò a muoversi e vorticare, aprì le sue ali e spiccò il volo, cominciò a compiere volteggi in aria come se stesse danzando. Continuò così fino alla fine del canto, e quando esso terminò, l'animale si avvicinò a Geremy e il ragazzo udì di nuovo la stessa voce di prima:
“Grazie... grazie per avermi fatto sorridere il cuore con questo tuo canto soave ... grazie a te ho riscoperto la felicità in questo mondo di cattiveria ... io sono la Fenice Danzante! Torna domani e domani ancora, e ancora quello dopo e canta per tutti noi, ed io danzerò ancora, ma quando un giorno non mi vedrai più, non preoccuparti, sarò andata a portare il tuo canto armonioso a tutto il mondo”.
Geremy, sbalordito, dopo aver salutato la fenice si allontanò, ma ritornò il giorno dopo e quello dopo ancora e ancora quello successivo e più cantava, più la fenice danzava con movenze armoniose. I due portarono così gioia in tutta la foresta.
Ma giunse quel giorno in cui la fenice non si presentò. Il luogo in cui solitamente si ritrovavano era deserto, ed il ragazzo allora si ricordò delle parole della fenice. All'improvviso udì la voce dell’amica urlare:
“Grazie Geremy! Il tuo canto ha riempito il mio cuore di felicità ... felicità che ora porterò al mondo intero! Continua a credere nei tuoi sogni Geremy ... io sarò sempre accanto a te!” Detto questo la vide là, volare nel cielo azzurro, lasciandosi alle spalle una splendida scia dorata, e udì un canto che riempì di gioia il suo cuore.
Era il suo canto... ed era ora anche il canto della Fenice!

Sono passati due anni e oggi Geremy ha realizzato il suo sogno: è diventato un cantante di fama mondiale.
Avendo sempre nel suo cuore la fenice, vive portando gioia alle persone del mondo con la sua canzone più bella e famosa:

"LA FENICE DANZANTE".

 

mirkan18

 
 
 

Lo scarabeo e l'orco

Post n°19 pubblicato il 17 Marzo 2011 da lemagichefiabe
 

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scarabeo e l'orco.

 

C'era una volta un orco brutto e cattivo, viveva in una casetta di legno in mezzo al bosco, circondata da alberi secolari e adorna di fiori.
Poiché viveva solo, tale solitudine lo rendeva ancor più cattivo.
Un bel giorno, mentre era ancora in casa vide entrare uno scarabeo, si mise subito in agitazione cercando il modo di catturarlo.
Lo scarabeo, furbo, intuite le sue intenzioni, si nascose sotto la Lavatrice, rendendogli così la vita difficile.
L'orco raccolse così tutte le sue idee e dopo aver a lungo riflettuto finalmente ebbe un’idea: avviò la lavatrice regolandola ad una temperatura caldissima, pensò:
“ Prima o poi dovrai uscir fuori se non vuoi morir dal caldo!”
Infatti, dopo poco tempo lo scarabeo uscì tutto anchilosato, grondante di sudore che gli gocciolava da tutte le parti; stremato nelle forze, trascinava a stento il peso del suo corpo.
A quel punto iniziò tra loro una trattativa.
Lo scarabeo: “ Ti imploro ….. non mi uccidere. Ti prego sii buono per una volta tanto, io sono piccolino non posso competere con te così grande e grosso”
L'orco: “Se ti risparmio non sarei più un orco, e poi a me gli insetti che girano in casa mi dan fastidio”
Lo scarabeo: “Se è così che la pensi, mi dichiaro tuo prigioniero e mi avvalgo dei trattati internazionali”
L'orco: "Io non conosco questi trattati, so solo che devo ucciderti perché è così che ho deciso”
Lo scarbeo: “Il trattato dice che i prigionieri condannati a morte non possano essere uccisi se non sono perfettamente guariti. Ed io stando sotto la lavatrice, con tutto quel caldo mi son preso un raffreddore, e,credo che ne avrò per molto tempo prima di guarire completamente. Sai, ho anche moglie e figli, ti prego abbi pietà di loro”

Come mai era accaduto prima. l'orco si intenerì e lo lasciò andare via. Pensò: “Dopotutto a me non ha fatto nulla di male!”. Però gli venne un dubbio: "… e se sotto la lavatrice c’è anche la Moglie? Nonostante sia così piccolo devo ammettere che è molto intelligente!!!"
E mentre l'orco tra sé e sé faceva questi ragionamenti, d’un tratto, a due metri di distanza dalla finestra, vide in volo lo scarabeo che sghignazzava: “ah ah ah ah ah, ti ho preso in giro, io non ho moglie sono single …. sono single ciao ciao!!!!”
Il povero orco a quel punto diventò nervoso e cattivo, cominciò ad agitarsi rimproverandosi di quanto fosse stato sciocco.
Urlava contro se stesso: “Stupido di un orco perché questa buona azione? Che razza di orco sei? Ti fai prendere in giro da uno scarabeo nero?” – disse guardandosi allo specchio - Poi si mise a battere la testa contro le pareti urlando a squarciagola, ma alla fine cadde a terra in un profondo sonno, stremato dalla stanchezza e dalla collera.

 

Morale della favola: il povero orco, contrariamente alla sua natura (cioè quella di un orco cattivo) per una volta aveva fatto una buona azione, ma invece di essere ringraziato fu deriso e beffeggiato. A tutti i bambini dico di non prendersi giuoco di nessuno e di aiutare chi sta male e chi è in sofferenza, mentre ai loro genitori consiglio di leggere questa mia fiaba che, nella sua semplicità, credo possa davvero contribuire a far nascere in loro il senso del bene e del rispetto per il prossimo!


ultimomohicano1902

 
 
 

Il regno dell'impossibile

Post n°18 pubblicato il 26 Febbraio 2011 da lemagichefiabe
 
Tag: Fiabe, g1b9

 

 

 

Il regno dell’impossibile


In un paese, ai confini de mondo conosciuto, viveva un popolo felice.
Le persone si alzavano al mattino con la gioia nel cuore, liete di intraprendere una giornata di lavoro , perché sapevano che tutto quello che la loro operosità produceva sarebbe andato a vantaggio di tutti. Cantavano tutto il giorno e la sera nelle loro case regnava un grande serenità.
Nelle giornate di festa si radunavano nelle piazze e si divertivano tutti insieme, tra loro vi era una grande concordia … era veramente un paese invidiabile!
Tutto questo benessere era merito dei sovrani di quel piccolo stato, che godevano per la felicità dei sudditi, ma avevano un cruccio: dopo parecchi anni di matrimonio ancora non avevano un figlio e più passava il tempo più si preoccupavano. Chi avrebbe vegliato sulla felicità dei sudditi, quando , vecchi e stanchi, avrebbero dovuto lasciare questo mondo?
La regina aveva interpellato tutti i santoni, dei quali aveva conoscenza, affinché facessero il miracolo di renderla madre, ma nessuno di loro riuscì in questo miracolo, finché un giorno, mentre triste passeggiava in giardino, vide un rospo che prendeva respiro su un sasso in riva al laghetto.
Si fermò ad osservarlo perché i suoi grandi occhi erano buoni. Anche il rospo la osservava, poi,improvvisamente, con voce gracchiante iniziò a parlare:
- “Vorresti un figlio, vero?”
- “Si, certo” - disse la regina.
- “Allora posso aiutarti” - riprese il rospo
- “ basta che tu mi baci, guardandomi negli occhi ed avrai il figlio che tanto desideri”.
La regina volle credere a quelle parole, vinse il ribrezzo che provava e baciò il rospo. 
Un po’ stordita per quello che era successo tornò alla reggia e raccontò tutto al marito, che rise al solo immaginare sua moglie baciare un rospo.
Tuttavia non passò molto tempo ed il re si rese conto che la profezia si stava avverando … presto avrebbero avuto il sospirato erede, quello che, cresciuto all’amore per il prossimo come era loro desiderio, avrebbe mantenuto la felicità nel piccolo regno.
Quando nacque questo principino ci furono grandi festeggiamenti nel piccolo regno e vennero da ogni parte a portare doni e per augurargli un futuro felice e bellissimo.
L’unico ad essere veramente furioso era un vecchio stregone.
Costui abitava in un castello appollaiato sul cucuzzolo roccioso di un monte, nelle vicinanze del paese, e da lì osservava in basso la gente.
Fino ad allora aveva sperato che nessun erede nascesse in quel paese in modo da poterne prendere possesso alla morte dei sovrani e trasformarlo in un mondo triste e cattivo come era lui stesso.
Vista svanire la sua speranza rapì il giovane principino, portarlo nel suo castello e farlo crescere lassù in modo che non potesse subire l’influenza benefica dei suoi genitori.
Ogni giorno lo istruiva su come diventare un perfetto tiranno, egoista, insensibile al prossimo, incapace di amare. Inoltre gli ordinava di bere ogni giorno un intruglio misterioso, che solo lui sapeva preparare.
Il tempo trascorreva; il principe cresceva nella più totale solitudine poiché non aveva contatti col mondo esterno e poteva parlare solo con lo stregone.
Non era felice, ma non se ne rendeva conto, non conosceva nemmeno il significato della parola felicità. Non aveva svaghi, se non solo quello di guardare il cielo, le stelle, la luna, e gli uccelli che, liberi, potevano librarsi in volo negli spazi infiniti. Avrebbe tanto voluto essere come loro, assaporare le gioie della libertà più piena.
Un giorno, mentre , come sempre, se ne stava sulla torre più alta del castello guardandosi intorno, vide fermarsi sulla balconata un bellissimo piccione.
Si avvicinò, con circospezione per non spaventarlo e, stupito si accorse che, non solo il volatile non si spaventava, ma se ne stava come in attesa.
Infatti, legato con un nastrino azzurro alla sua zampetta, aveva un rotolino di carta ed attendeva che il principe lo prendesse.
Il principe si avvicinò e, scoprendosi capace di accarezzare la testolina dell’animale, slegò il nastrino e prese, incuriosito , quel rotolino di carta. Lo aprì e vide che vi era scritto qualcosa. Si rannicchiò in un angolo, per non essere visto dallo stregone ed iniziò a leggere: - Chiunque leggerà queste parole, desidero che sappia che vengono da un cuore pieno d’amore e desideroso di donarne a chi vorrà far tesoro di quest’amore per tutta la sua vita. Se tu, che leggerai,vorrai questo amore, mandami una risposta attraverso questo colombo, nello stesso modo in cui ho fatto io -
Il giovane rimase attonito, leggeva e rileggeva ,ma non conosceva la parola amore e quindi neanche il suo significato. Decise di farsi coraggio e chiedere al suo carceriere. Lo stregone si stupì del fatto che il principe conoscesse quella parola e ne chiedesse il significato. Tuttavia decise di dargli una qualsiasi spiegazione, poiché era talmente sicuro che mai avrebbe potuto conoscere veramente l’amore.
Il principe , allora, scrisse anche lui il suo biglietto, nel quale spiegava che ben volentieri avrebbe voluto questo amore perché non l’aveva mai provato e ne era molto incuriosito: - Sono un principe e se tu mi darai amore io ti darò un regno, quando lo avrò in eredità. -
Legò il foglio alla zampetta del colombo e poi lo lanciò in alto per fargli prendere il volo. Questo, in breve tempo, tornò dalla sua padrona e si posò dolcemente sulla sua spalla. La fanciulla lo accarezzò, poi prese il foglietto e lo lesse. Stupita dalle parole si chiese come mai un principe, che avrebbe potuto avere tutto quello che desiderava, volesse l’amore da una sconosciuta. Rispose al principe con tutta la sincerità possibile, spiegandogli che lei era una povera ragazza ed il suo stato non le avrebbe mai permesso di diventare regina. Tuttavia non poteva negare amore a chi lo chiedeva ed avrebbe esaudito il suo desiderio ogni giorno tramite il suo colombo.
Cosi iniziò a scrivere al principe raccontandogli della sua povera vita, regalandogli ogni giorno un bacio, una carezza ed un sorriso. Il principe gli rispondeva sempre le stesse parole: - voglio l’amore, non so che farmene di quelle cose che mandi ed io non so nemmeno cosa siano -
Questo scambio di messaggi, ormai, durava da parecchio tempo e in entrambi cresceva lo stupore per questa incomprensione.
Il povero piccione, stanco, stremato da questo andirivieni al quale era costretto,un giorno riuscì a mala pena a tornare dalla sua padrona e cadde morto. La ragazza ormai si era affezionata al suo principe ed ora non avrebbe più potuto comunicare con lui.
Chiuso nel suo castello, il giovane, sempre in attesa di quei messaggi , non riusciva a darsi pace ed ogni giorno s’intristiva sempre più perché pensava che mai avrebbe visto l’amore.
Lo stregone continuava sempre ad educarlo al male e quindi lui non conosceva baci, carezze, sorrisi e soprattutto l’amore. Quando chiedeva spiegazioni otteneva soltanto vaghe risposte.
Lontano, in quella casetta sperduta oltre il grande bosco, che nascondeva al principe prigioniero quello che succedeva nel regno di suo padre, la ragazza si disperava; pensava di continuo al suo amico infelice, avrebbe voluto aiutarlo, ma proprio non sapeva chi fosse né dove abitasse. Inoltre, l’unico che avrebbe potuto guidarla non c’era più.
Ma un giorno decise che avrebbe trovato il principe a tutti i costi!
Preparò un piccolo fagotto con le poche cose di cui avrebbe avuto bisogno e si mise in cammino. Si nutriva di bacche, di frutti di bosco e di qualche uovo di uccello caduto dal nido. Raramente incontrava una persona e quando aveva questa fortuna era una gran festa: quella persona veniva da quel regno di gente buona e felice e spartiva con lei tutto quanto aveva con se.
Venne inoltre a conoscenza della terribile disgrazia che si era abbattuta su quel regno felice a causa del rapimento del principe. Allora la fanciulla capì chi era il suo principe e aumentò in lei il desiderio di trovarlo ed offrirgli il suo aiuto.
Pertanto proseguì il suo cammino.
Viaggiava ormai da parecchi giorni, era un giorno molto caldo e sentì il bisogno di riposare i suoi piedi nell’acqua fresca di un ruscello che, invitante, scorreva lungo il sentiero. Si sedette sul ciglio della via e immerse i suoi piccoli piedi in quella meravigliosa frescura, divertendosi a guardare un piccolo rospo che le saltellava attorno per nulla impaurito, quasi volesse attirare la sua attenzione.
Lo lasciò fare per un po’, poi si chinò e lo prese in mano con una tale facilità che ne rimase stupita: sembrava che il rospo stesse attendendo solo quel momento:
- “Ah, come sarebbe bello se potessi incontrare lui così come ho incontrato te!!!! - disse la ragazza rivolta al rospo, facendo un grande sospiro.
- “Chi sarebbe questo lui che vorresti incontrare?” - rispose una voce gracidante, che la ragazza , al momento, non capì da dove provenisse.
Si guardò intorno, ma non vedendo nessuno si rese conto che a parlare era stato il rospo.
- “Ma tu parli?” - chiese lei -
- “Si, certo, e posso aiutarti se mi dici chi stai cercando” - rispose quell’ esserino verde che aveva sulla sua mano. -
-“ Vorrei donare l’amore al principe, prigioniero dello stregone, e liberarlo dall’incantesimo che lo rende cattivo, ma non so come raggiungerlo.”
- “ Se tu mi darai un bacio guardandomi negli occhi, diventerai una ranocchia ed io ti accompagnerò da lui”.
La fanciulla pensò che mai, nelle vesti di ranocchia, avrebbe potuto aiutare il principe, tuttavia il desiderio di portargli l’amore la spinse ad acconsentire.
Guardò il rospo negli occhi e lo baciò.
In quel preciso istante si ritrovò a saltellare da una sponda all’altra del ruscello insieme al rospo, che la stava conducendo al castello dove abitava il principe con lo stregone.
Saltellarono per parecchio tempo, perché dovevano risalire il ruscello ed arrivare fino alla sorgente che si trovava proprio nel giardino dove spesso gironzolava, annoiato ed incattivito, il principe.
Il bel prigioniero era molto arrabbiato con quella ragazza perché non riceveva più i suoi messaggi: non poteva sapere quale fosse stata la sorte del piccione viaggiatore.
Di tanto in tanto il rospo e la ranocchia si fermavano per riposarsi,mangiare qualcosa e chiacchierare.
Durante una di queste tappe la ranocchia volle sapere il motivo per il quale, per raggiungere il principe, aveva dovuto rinunciare ad essere una bella fanciulla.
Il rospo le spiegò che anche la regina, madre del principe, era riuscita a realizzare il suo sogno di diventar madre baciandolo e che quindi anche lei, che per amore del principe e che con grande coraggio lo aveva fatto, avrebbe avuto la sua ricompensa così com’era stato per la regina. Le due donne, infatti, per amore avevano superato una prova: baciare un rospo, e che questo coraggio sarebbe stato ricompensato con la realizzazione del proprio sogno. La sua ricompensa, inoltre, sarebbe stata maggiore, poiché lei aveva superato una prova più difficile: trasformarsi in rana oltre che baciare il rospo.
- “Io ti sarò sempre vicino e ti guiderò passo passo verso ciò che desideri, abbi fiducia” - disse il rospo concludendo.
Per alcuni giorni continuarono il loro viaggio finché, finalmente, sbucarono in un bel laghetto nel quale guizzavano decine di pesciolini colorati e fiorivano moltissime ninfee coloratissime.
Non c’era un posto più bello per mettersi in attesa della passeggiata giornaliera del principe prigioniero.
Quel giorno, come al solito, lo stregone gli aveva servito la pozione della cattiveria, lo aveva istruito su come diventare un principe tiranno ed ora lo lasciava libero. Allora lui decise di andare in giardino. Camminava guardando in su, con la speranza che dal cielo arrivasse il colombo messaggero.
Era sazio di odio, ma voleva conoscere l’amore e non si dava pace.
Come avrebbe potuto distruggerlo se non lo conosceva?
Ad un tratto sentì un gracidio vicino al laghetto, si avvicinò e vide la ranocchia.
Si fermò a guardarla ed in quel momento la ranocchia gli saltò su una spalla. Infastidito la cacciò via, ma lei tornò e tornò finché lui la prese sulla mano.
Solo allora la ranocchia iniziò a parlare:
- ”Principe, non sei tu che vuoi conoscere l’amore?”
-“ Si, certamente, ma chi mi mandava baci ed abbracci per farmelo conoscere non mi aiuta più. E’ tanto che non mi manda i suoi bigliettini …”
-“ Posso insegnarti io l’amore, ma tu devi avere il coraggio di guardare questi miei occhi e poi darmi un bacio”.
Il principe era un po’ schifato e perplesso, ma il desiderio dell’amore ebbe il sopravvento.
Guardò la ranocchia negli occhi e questi, lentamente si trasformarono in due splendidi occhi color cielo, poi avvicinò le labbra a quelle viscide della ranocchia …
Il tempo del bacio non era finito poiché si trovò ad abbracciare una splendida fanciulla, che continuava a baciarlo mentre lui sentiva il suo cuore battere sempre più forte …
- “Cos’è questa cosa che mi sta accadendo, mai mi sono sentito così?”
-“ Mio bellissimo principe” - rispose la fanciulla - “Volevi l’amore ed io te l’ho portato”.
Il Principe rimase sbalordito, continuava a stringere e a baciare la bellissima ragazza … poi disse un pensiero ad alta voce:
- “Ed io dovrei distruggere tutto questo? No , non lo farò mai , so che l’amore mi renderà molto forte, se tu starai con me, allora ci batteremo con coraggio e distruggeremo l’odio e la cattiveria”.
La fanciulla acconsentì ed insieme affrontarono lo stregone, che , vistosi impotente si dissolse nell’aria. E con lui sparì anche il suo castello ed il mondo cattivo che gli stava intorno.
Nel regno felice la gente lo diventò ancora di più perché era tornato il loro principe e con lui la certezza di un futuro sempre sereno; senza odio; senza invidie e senza prepotenze, dove ognuno godeva di quello che aveva e che faceva perché a guidare tutto questo c’erano due sovrani meravigliosi: Amore e Gioia.
Ebbero molti figli e li chiamarono: Pazienza, Giustizia, Onore,Rispetto, Riconoscenza, Operosità, Merito, Lealtà, Volontà, Forza ed infine Coraggio.
In questo posto meraviglioso c’era proprio tutto il necessario per rendere la vita degna di essere vissuta.
Mancava soltanto una cosa: il Denaro, sparito insieme allo Stregone del male, ma questo nessuno lo rimpiangeva poiché in quel regno dove tutti dividevano tutto, il denaro none era affatto necessario.


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Il piccolo Angelo Rosso.

Post n°17 pubblicato il 18 Gennaio 2011 da lemagichefiabe
 

 

Il piccolo angelo rosso


Un giorno (era autunno) ero come sempre tra tanti fratellini e con mamma e papà!
I miei genitori erano bellissimi: papà tutto bianco … un vestito di fili d’argento! Da piccino mi piaceva tanto giocare con la sua fantastica coda … Papà, cacciatore, quante lezioni di vita! Mamma … eh la mia mamma!
Anche lei tutta bianca e sempre disposta a tutto per difendere noi cuccioli … Sempre presente … sempre paziente … sempre a prendersi cura di noi!
I miei fratellini … mamma mia quanti!
Uno bianco; uno bianco e nero; uno tutto grigio …
Quanti giochi e quante litigate per la pappa!
Ed io?!?! Io piccolo, rosso … col pelo lungo color ruggine.
Ero una piccola peste sapete? Veloce come il vento e furbissimo. Quanti dispetti a mamma e papà e a Grigetto, il più buono e tranquillo di noi!!!
Sono nato vicino ad una spiaggia, una delle più belle spiagge del mondo …
Circondato da sabbia, mare, pinete, ma anche da tanta gente curiosa!!!
Amici? Si certo, due tartarughe … antipatiche eh? Però potevo fare loro tutti i dispetti che volevo … ah ah ah!!! Che lente quelle due … ah ah ah!!!
Dicevo: io ero un piccolo micio, un po’ casinaro, ma tanto dolce, e con tanta voglia di vivere, di giocare, di amare … Ed un bel giorno …(era sempre autunno)… non c’erano più tante persone lì intorno, solo poche e pure poco socievoli … grrrrrr!!! Uffa, che noia! Nessuno che cercasse di prendermi, nessuno disposto a giocare con me!!
Ecco! Quel giorno c’era il sole e faceva ancora caldo ed io assieme ai miei fratellini eravamo nel cortile … chi sotto un cespuglio, chi sopra un vaso … Uffa ma che caldo! Ad un certo punto una Signora ed un Signore, lì intorno … giravano e giravano. Lei faceva le coccole a tutti i miei fratellini che se le godevano tutte!
Io sbirciavo da sotto un alberello e dicevo tra me e me: “Che bella Signora, peccato non faccia anche a me tutte quelle coccole … tutti quei grattini!”
Arrabbiato ed offeso mi diressi verso la cuccia … ma il Signore mi raggiunse ... io lo annusai … quante carezze ... che belloooooooooooo!!!
Mi sentii sollevare e sprofondai fra le sue braccia …
Poi, ad un certo punto arrivò anche lei ... mi prese in braccio … iniziò a coccolarmi, a grattarmi la testolina e sotto il mento … scoprii che sapevo fare le fusa!!!
Come stavo bene accoccolato tra le braccia di quella bella signora!
In un attimo mi ritrovai seduto sulle sue gambe … quindi in una di quelle scatole con le ruote … ne avevo viste tante durante l’estate! Facevano un rumore agghiacciante, tanta polvere e venivano usate sempre da molte persone che portavano anche borse, borsette, ombrelloni … che macello!
Mamma mia … scoprii il mal d’auto.
Ad un certo punto mi sentii così male che combinai un gran casino!
Ma la mia nuova amica mi portò ad una fontana e in quattro e quattr’otto mi ritrovai di nuovo tutto pulito … bagnato, ma pulito. Che brava la mia Signora!
Arrivammo, dopo molte curve, ad una casa … che bella che era!
C’era un grande divano, pappa, acqua e persino un amico che mi veniva a trovare tutti i giorni dall’altra parte del vetro!!! Era un tipo grigio chiaro con un paio di occhi azzurri da far invidia.
Dopo qualche giorno fui portato da una dottoressa … Ahi!! Le punture nooooooooooooo, accidenti!
Poi, di nuovo nella scatola con le ruote, iniziò un altro viaggio … ma molto più lungo: il viaggio verso la mia nuova e definitiva casa! Ma questo viaggio non fu dei migliori … avevo, infatti, la febbre!
La mia Signora mi coccolò durante tutto il tempo tenendomi una zampina e facendomi tanti grattini!
Arrivammo finalmente a casa, ma che bella!!!
Era grande, accogliente e c’era uno come me … oddio! … io ero decisamente più bello!!! Grigio, grasso e con tantissime strisce dappertutto ... ed era persino antipatico!
Lui era lì da tempo e si sentiva il padrone di casa..uno di quelli sempre con la puzza sotto il naso … grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!!
Non stavo bene ... e non sapevo perché … eppure ero tanto felice!
La mia nuova mamma era fantastica … e non è tutto: c’era una ragazzina piccolina: Luvi … così la chiamava la mia mamma! Lei cercava di farmi giocare, ma io ero tanto debole ... quanto avrei voluto giocare con lei!
Fui portato di nuovo da un dottore ... altre punture … nooooooooooooooooooooo!!!!!!!! Non mangiavo ed ero sempre più debole ... ma cosa mi accadeva?
Un giorno, fuori faceva terribilmente freddo, vidi la mia mamma disperata … piangeva e mi parlava con dolcezza. Arrivò poi un’altra Signora. La mia mamma la chiamava “mamma”… boh, non ci capivo granché!!
Mi prese in braccio e cominciò a farmi leccare un dito, era squisitissimo, sapeva di pesce … gnam gnam …che buono!!!
Che bello! Guarii in fretta … ora si che potevo considerarmi il principe della casa; quell’altro, quello antipatico, stava sempre solo, appollaiato sui mobili … che noioso che era!!! Non era certamente un mio parente … no no!!!
Passai momenti indimenticabili. Tra coccole, giochi e a volte anche sgridate..eh si! Ogni tanto mi scappava un’unghietta e graffiavo la mia padroncina..la ragazzina piccola … quella che la mia mamma chiamava Luvi insomma … Però era lei che per prima mi faceva i dispetti eh!!!!
Ritornai persino nella mia terra!
Un’estate, infatti, la mia mamma mi portò con lei in vacanza, di nuovo nella mia prima casa, di nuovo su quel divano e c’era ancora quello con gli occhi azzurri ... ah ah ah ah ah!!!

Dopo due fantastici anni però il mio coinquilino si ammalò …
Mamma usciva tutti i giorni con lui e tornava dopo ore! Chissà cosa aveva …
Un giorno, era Novembre, mamma piangeva, lo prese e lo mise come sempre nella sua casetta da trasporto. Ma cosa stava accadendo? Perché lei era così triste?
Tornò … ma la casetta era vuota ...
Il mio coinquilino si doveva esser fermato altrove pensai..
La mia mamma e Luvi piangevano, mi stringevano e le loro lacrime mi bagnavano la testolina ...
Ma che era successo?
Solo dopo molti giorni capii che Micetto non sarebbe tornato mai più!

Iniziai di nuovo a non star bene … il mio pelo diventava sempre più brutto … ed io che ne andavo tanto fiero!!!
Mamma mi portò a fare il vaccino: aveva paura che mi accadesse qualcosa, proprio come era accaduto a Micetto … credo!!!
Ma da quel giorno divenni sempre più debole … non riuscivo più a fare le corse e a giocare a nascondino!!
Andirivieni dal dottore … punture, pomate e chissà cos’altro!
Era Natale. Ogni volta sembrava che mi stessi riprendendo poi di nuovo senza forze. A Capodanno mamma mi portò di nuovo dal dottore e ancora altre punture.
I primi giorni del nuovo anno non furono di certo migliori! Stavo tanto male, non avevo più voglia di fare nulla!
Mamma decise così di portarmi da una nuova dottoressa ... era carina e simpatica! Ogni giorno pastiglie, flebo, raggi … mamma mia che male!!!!
Ed ogni giorno sempre peggio!
Ogni giorno sembrava l’ultimo!

E quel giorno, l’ultimo, arrivò!
Salutai la mia mamma. La vidi piangere ancora! Mi chiedeva di non lasciarla. Mi diceva che mi voleva bene e che dovevo tener duro … che avremmo trovato la cura.
I suoi occhi erano tanto tristi!
Mi lasciò dalla bella dottoressa, convinta che sarei tornato a casa la sera.
Ma quella sera a casa non tornai, né più ci tornai!

Ho amato tanto la mia mamma … ora la veglio ogni notte!
So che mi pensa sempre, anche se adesso vicino a lei c’è un altro mio parente: un tipo tutto rosso (proprio come me); pelo lunghissimo (quasi come me); simpatico (io lo ero molto di più), che le vuole tanto bene, che sta tentando di non farle pensare più che l’ho abbandonata, e le sta vicino senza lasciarla mai sola, neanche per un istante!
Ma io son sempre lì, accanto alla mia vera ed unica mamma … e lo sarò sempre!!!

TI VORRO’ SEMPRE BENE MIO PICCOLO COCO..
MIO PICCOLO ANGELO ROSSO!
LA TUA VERA MAMMA 


Sorbettoallimone68

 
 
 

Il Principe Andrea e la Principessa dei mari

Post n°16 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da lemagichefiabe
 

Il Principe Andrea e la Princi

 

Il Principe Andrea e la Principessa dei mari


C’erano una volta, in un castello, il Re Guglielmo, la Regina Vittoria e il loro figlio: il Principe Andrea.
Il Principe Andrea era in età di prender moglie e al castello si presentavano, ogni giorno, le principesse, le contessine, le marchesine e le ragazze nobili dei vari regni vicini. Ma il Principe non era interessato a queste ragazze e le mandava via prima ancora di dar loro la possibilità di presentarsi.
La Regina Vittoria, preoccupata per questo atteggiamento del Principe, decise di organizzare un grande ballo.

Arrivò il giorno del grande ballo e l’attenzione del principe fu attratta da una ragazza che non aveva mai visto nel suo Regno; infatti, ella, era giunta al castello a bordo di una nave bellissima. Il Principe le si avvicinò e la invitò a ballare, dopo il ballo si recarono a passeggiare nel giardino del castello. Per tutta la durata del ballo, i due giovani, non si scambiarono neanche una parola. Fu il principe a rompere il silenzio e, rivolgendosi alla bella fanciulla disse: “Sono il Principe Andrea, non l’ho mai vista nel mio Regno, potrei conoscere il suo nome e la sua provenienza?”. La ragazza, timidamente, rispose: “Non sapevo che lei fosse il Principe di questo Regno, perdonate la mia mancanza di rispetto. Sono la Principessa Nadia, figlia del Pirata Davide, Re dei mari”.
Il Principe Andrea, a questa rivelazione, restò sbalordito e non credette alle sue orecchie: aveva dinnanzi a se la figlia del più grande e nobile pirata del mondo. Quando, finalmente, Andrea ritrovò la parola disse: “Siete la benvenuta nel nostro Regno, mio padre e mia madre saranno lieti di accoglierla, con la sua famiglia, nel nostro castello. Venga con me, la presento alla mia corte”.

Il giorno seguente, Re Davide, con la sua consorte, la Regina Aura e con la Principessa Nadia, furono invitati al castello da Re Guglielmo dove banchettarono allegramente con tutta la corte.
E mentre Re dei Mari narrava le sue ultime avventure, il Principe Andrea non staccò gli occhi dalla Principessa Nadia, che, a sua volta, ricambiò ogni singolo sguardo.

Trascorsero alcuni mesi e giorno dopo giorno Andrea e Nadia si innamorarono sempre più e decisero di sposarsi, ma Re Davide non approvò la decisione dei giovani: avrebbe dato in sposa sua figlia solo al marinaio più coraggioso, e non ad un uomo che non aveva mai combattuto in vita sua.
Il Principe Andrea, allora, decise di arruolarsi nella ciurma di una nave pirata per dimostrare a Re Davide il suo valore; mentre il Re dei mari si impegnò, ogni estate, a ritornare nel Regno di Re Guglielmo per avere notizie del Principe Andrea.

Andrea viaggiò così per tre lunghi anni prima di tornare al suo castello con un grande bottino: la dimostrazione di aver combattuto bene. Quando Re Davide giunse a corte, il principe Andrea, gli regalò tutti i tesori ottenuti in battaglia ad eccezione di una rosa che porse invece a Nadia.
Quella, era una rosa speciale ed anche molto preziosa: era stata fabbricata con l’oro più puro al mondo ed intarsiata con i diamanti più belli. Il principe Andrea l’aveva ottenuta in bottino dopo aver vinto una tremenda battaglia.
Appena Nadia vide quella rosa, corse subito dal padre per mostrargliela. Il re del mare, vedendo la rosa, spalancò gli occhi ed esclamò: “Figliolo, puoi prendere in moglie mia figlia! Questa rosa è la dimostrazione che tu hai sconfitto Ross, il pirata più spietato, terribile e forte di tutti i mari! Io non sono mai riuscito a sconfiggerlo! Raccontami come ci sei riuscito”. E così il principe Andrea iniziò a narrare: “Era una notte di tempesta quando ci imbattemmo nella nave del Pirata, che, assieme alla sua ciurma attaccò la nostra nave. Ci fu una tremenda battaglia durante la quale Ross uccise il nostro capitano. Io avendo assistito alla sua morte volli sfidare quell’assassino. Ma ero sempre in svantaggio, non ero forte quanto lui. Ross mi ferì gravemente e mentre stava per inferirmi l’ultimo colpo pensai a quanto il mio capitano mi aveva fatto da padre in questi tre anni, pensai a quanto avrebbero sofferto i miei genitori se fossi morto … ma pensai soprattutto alla promessa che mi aveva fatto Nadia: se fossi morto in mare, lei si sarebbe uccisa. Ritrovai così il coraggio, raccolsi tutte le mie forze e con un colpo secco di sciabola riuscii a sconfiggere Ross”.

Ross era il pirata che aveva sterminato la famiglia di Re Davide in una notte orribile in cui, la nave di suo padre, incrociò la nave di quel terribile filibustiere. Re Davide, poco più che bambino, da quel giorno promise che avrebbe dedicato la sua vita al combattimento dei pirati spietati ponendosi come scopo principale quello di uccidere Ross.

Di fronte a quel coraggio, il Re dei mari, restò senza parole e senza più riflettere acconsentì al matrimonio tra Nadia ed Andrea.


Ritaserrietiello

 
 
 

La ninna nanna della lucciola.

Post n°15 pubblicato il 15 Dicembre 2010 da lemagichefiabe
 

La ninna nanna della lucciola

La ninna nanna della lucciola.

 

     Era una giornata sul finire dell’estate e l’autunno si avvicinava a gran passi: le ultime luci del giorno rendevano ancora più fredda la temperatura che già dal mattino aveva iniziato a colpire con i suoi pungenti strali le zone ombrose: forse quella notte la prima gelata avrebbe invaso le pieghe del terreno.

     Giannina e Leandro, nella loro misera casupola, cercavano di riesumare vecchi stracci da adibire a coperte per la notte che si avvicinava a gran passi. Per loro era stata una giornata felice: era il 72esimo anniversario del loro matrimonio e sin dal mattino avevano iniziato a ripercorrere con la memoria la strada della loro vita!

     Il destino era stato duro con loro, ma l’ amore aveva reso tutto facile: ancora si amavano con tutta l’anima! I loro volti ringiovanivano di decine d’anni quando i loro occhi si incontravano e ancora un fremito s’impadroniva di Giannina e Leandro quando le loro mani si sfioravano.

     La loro casupola sorgeva al confine di un bosco e la terra attorno era ingrata: elargiva i suoi frutti con avarizia, anche se Leandro aveva sempre dato tutto se stesso nel coltivarla: forse non era colpa della terra, ma dal materiale roccioso che la ricopriva interamente.

     Avevano avuto 5 figli uno più bello dell’altro: erano, indiscutibilmente, i figli dell’amore! Li avevano cresciuti dando loro sanissimi principi fondati sull’ amore, sull’onore, sul rispetto e sulla dignità.

     Ma la terra era, come già detto, ingrata e, una volta grandi, i figli furono costretti ad emigrare in terre lontanissime; sì, di tanto in tanto essi tornavano per qualche giorno alla casupola che li aveva visti nascere per stringere fra le loro braccia gli ormai vecchi genitori, ma quei giorni volavano via in fretta.

     Giannina e Leandro amavano con tutto il cuore gli animali di tutte le specie: dedicavano loro non solo parte del loro tempo (tutto quello che il lavoro permetteva di avere libero) , ma anche parte del poco cibo di cui disponevano per sostenere la popolazione del bosco loro confinante; durante l’inverno accoglievano nella loro casetta gli animali più anziani per permettere loro di ripararsi dal pungente freddo, curavano le ferite che accidentalmente si provocavano le bestiole, cibavano i cuccioli che avevano avuto la sventura di rimanere orfani, e mille altre cose.

     E le bestiole amavano i loro protettori e non solo per riconoscenza, ma anche perché erano due esseri che sapevano farsi benvolere da tutti.

     Torniamo a quella fredda sera! Leandro Non aveva potuto raccogliere legna quel giorno, causa dolori lancinanti che gli percorrevano tutta la schiena e che non gli avevano permesso di chinarsi in alcun modo; d’altra parte Giannina non era in migliori condizioni e non poteva supplire alla raccolta di rami e rametti per alimentare il caminetto.

     Il freddo incalzava e i due decisero che forse infilandosi sotto le coperte si sarebbero difesi meglio dal gelo, ma così non fu: l’essere sdraiati, anche se coperti da innumerevoli cenci, non faceva che acuire la sensazione del freddo.

     Scesero dal letto e andarono a sedere sulle loro poltrone a dondolo poste dinanzi al caminetto … spento e si coprirono per quanto possibile.

     All’esterno della catapecchia non era certo meglio e la civetta aveva abbandonato il solito ramo che la ospitava tutte le notti per rifugiarsi sul davanzale della finestra della casupola, almeno lì poteva ripararsi dal vento gelido.

     Come ogni civetta era curiosissima e si mise a spiare quello che succedeva dai suoi amici; seguendo il movimento delle bocche dei due vecchini capì che non stavano … parlando, ma stavano battendo i denti dal freddo! La preoccupazione si impadronì di lei: erano al buio (ma essendo civetta al buio ci vedeva benissimo) e non avevano neanche il caminetto acceso; fece due più due e comprese la situazione!

     Tornò, nonostante il clima fosse ancor più surgelato, sul suo abituale ramo e lanciò il grido di “adunanza generale”. Tutti gli abitanti del bosco accorsero attorno all’albero sbadigliando, anche coloro che avevano dato inizio ai rituali per cadere in letargo.

     La civetta fece cenno con le sue ali di fare silenzio a tutti gli intervenuti, perché doveva fare una comunicazione urgente. Tutti restarono muti e … drizzarono le orecchie (almeno quelli che ne erano provvisti) per ascoltare ciò che il Presidente (civetta) dell’assemblea doveva dire. Il comunicato fu molto laconico: “I loro protettori avevano bisogno del loro aiuto: dovevano inventare qualcosa per alleviare la sofferenza dei vecchini!”. I presenti si guardarono l’un l’altro, ma cosa potevano fare loro? Fra loro non c’era alcun quadrumane che potesse raccogliere legna da donare a Giannina e Leandro: un’idea doveva essere scovata .Pensa che ti ripensa … finalmente il lupo chiese la parola che gli fu immediatamente concessa: “Visto che manualmente … zampalmente non siamo in grado di fare qualcosa, dovremmo ricorrere al metodo di suggestione persuasiva”, i “E che significa?” “Che vuol dire?” … rimbombarono da ogni parte. Il lupo continuò: “Quando io ho fame e non ho nulla da mangiare, ricorro a quel metodo: dissotterro un mio vecchio osso e inizio a rosicchiarlo. Il solo farlo mi illude di mangiare, anche se il mio stomaco non riceve alcunché, ma anche esso si auto-convince che qualcosa giunge fino a lui!”. La civetta rimase un attimo pensierosa e … “Allora dovremmo trovare un modo per illudere i nostri amici che nel caminetto arde un qualcosa e … cosa potrebbe procurare questa illusione? … Già, le lucciole! Correte tutti a cercarle e spiegate loro cosa debbono fare: a quest’ora girovagano per i campi!”. L’assemblea si sciolse in un battibaleno: ci fu un corri corri generale!

     Giunsero le prime lucciole e a seguire le seconde e poi le terze: da una fessura della finestra entrarono nella casupola e si precipitarono nel caminetto iniziando una danza dai mille movimenti. Giannina aveva gli occhi socchiusi, li spalancò e scosse Leandro “Guarda! Nel caminetto c’è la brace. Un miracolo!”; Leandro guardò attentamente e “Sì, è vero e già inizio a sentire il tepore!”. Si presero per mano, i loro denti cessarono di battere e un dolce sonno si impadronì di loro al suono silenzioso della NINNA NANNA DELLA LUCCIOLA!

 

liomax1

 
 
 

Il Giardino incantato

Post n°14 pubblicato il 13 Dicembre 2010 da lemagichefiabe
 

Il giardino incantato

 

Il giardino incantato.


Il giardino era abbandonato da anni; l´erba cresceva allegramente ovunque; le varie piante da frutta, seppure incolte, donavano i loro preziosi frutti: fichi, nespole, nocciole, ciliegie. Tra le erbacce si nascondeva persino un cespuglietto di mirtilli, pianta di montagna, nonostante il giardino fosse invece in campagna!
Quando Graziella lo vide la prima volta restò incantata, come se sentisse già la magia di quel luogo.
Pian pianino, con pazienza e l´aiuto di un giardiniere inesperto (il nonno Gianca, pensionato da tempo e sempre alla ricerca di qualcosa da fare per non invecchiare, secondo quanto affermava lui) il vecchio giardino riprese lo splendore dei suoi anni più belli.
Per completare l´opera, in una vecchia voliera, che era stata utilizzata come casa da fagiani e quaglie nei bei tempi andati, Graziella mise un galletto e tre gallinelle, tutti colorati ed allegri che, dopo un brevissimo periodo di ambientamento misero su famiglia: infatti, tutte e tre le gallinelle iniziarono a covare le loro uova.
Il proprietario del giardino era Valentino, un vecchietto di 85 anni: da lungo tempo non scendeva giù perché, afflitto da atroci dolori, non riusciva più a scendere i gradini delle scale che lo dividevano dall’esterno; Graziella lo incitava in ogni modo e con ogni mezzo a scendere giù per mostrargli la trasformazione del giardino, ma niente … nulla da fare, Valentino, così tanto spaventato, non osava uscire di casa …
E intanto i mesi passavano!!

Trascorse il tempo, e le uova si schiusero: un mucchietto di esserini colorati di giallo e di nero, saltellarono allegramente nella voliera: fecero così tanta confusione che a Graziella sembrò d’essere in un allevamento di galline!
Vennero così alla luce alcuni bellissimi pulcini che riempirono la voliera di infinita allegria e di tanti colori.

E fu proprio questa nascita non prevista a far scattare la magia: il nonno Valentino dopo mesi di “prigionia”scese in giardino per vedere a cosa fosse dovuto tutto quel gran baccano, e, aiutandosi con il bastone, finalmente uscì di casa.
Rimase incantato nel vedere il suo giardino … quel giardino che per anni era rimasto incolto ed incurato tornato ad essere il giardino più bello del paese …
Graziella prese un pulcino, quello a cui aveva imposto il nome Ugo, un monello senza pari, e lo adagiò poi sul palmo della mano rugosa e tremolante del nonno ... e il nonno Valentino dopo mesi di buio, finalmente tornò a sorridere esclamando: “BEI PICININI”

Da quel giorno in poi, il nonno Valentino ogni giorno scese nel suo giardino … vi trascorreva ore ed ore, a volte anche l’intera giornata … passeggiava in lungo e in largo, ammirando ogni pianta ed ogni fiore … poi coccolava i suoi pulcini, nutrendoli e parlando con loro …

Ma, qualcosa fu davvero strano ed inspiegabile: ogni giorno che il nonno trascorreva nel suo giardino, sembrava ringiovanire.
Le sue mani e le sue gambe cessarono di tremare … tanto che non ebbe più necessità del bastone per camminare … La sua pelle, giorno dopo giorno, sembrò essere sempre più liscia e più rosea … il suo sorriso sempre più quello di un ragazzino …

“Si” – disse tra sé e sé Graziella, osservando il nonno Valentino – “questo giardino ha davvero qualcosa di magico!”

E Graziella non sbagliava affatto, perché quel giardino incantato, aveva fatto di tutto per riavere vicino il suo vecchio padrone, l’unico che davvero l’aveva amato e curato e che avrebbe potuto continuare a farlo ….

 

DONNAVITTORIANA

 
 
 

Il sole e la luna!

Post n°13 pubblicato il 09 Dicembre 2010 da lemagichefiabe
 

 

IL SOLE E LA LUNA

 

Due guanciotte incorniciate da riccioli ribelli, nasino a patatina, occhi dolci color miele: era così la piccola Anna, dolce e carina.
Viveva in una piccola casa di campagna ed ogni sera restava col nasino in su a guardare il cielo, ammirando le tante stelle che lo costellavano.
Ma ciò che più attirava maggiormente la sua attenzione era lei: la Luna … quella luna così splendente e misteriosa.
Anna, incantata dalla sua luce, immaginava di poter volare lassù per poter scoprire cosa nascondesse quella palla che lei credeva essere magica..

Una calda sera di Agosto in un cielo particolarmente acceso di stelle, la Luna apparve con il suo abito più elegante: rosso, splendido! …
Anna cominciò a sognare ad occhi aperti e sognò addirittura di sostituirsi a lei…
Ed Anna divenne così la Luna!

Era meraviglioso: tutte le stelle intorno le facevano una gran festa; intonavano canti per lei; danzavano incoronandola come una regina.
La Luna era felice, poteva finalmente osservare tutte le meraviglie della natura, estasiarsi con i profumi che dalla Terra arrivavano sino a lei, gioire nell’ascoltare il vocio allegro dei bambini nelle serate di festa, cullarsi con le odi d’amore che dal mare venivano rivolte solo a Lei ….

Un giorno accadde un fatto veramente straordinario: una luce improvvisa la abbagliò, proveniva da una stella luminosissima, la più luminosa, che le mandò un raggio di calore …
Era Lui: il Sole..
Un senso di stordimento la pervase tutta …
Non le importava più dei canti e delle attenzioni delle amiche stelle e neanche il mare riusciva più ad incantarla, il suo unico pensiero era Lui, il Sole …

Lo aspettava, lo sognava ma lui appariva al mattino proprio quando lei doveva andar via. Uno strano destino questo, non si sarebbero mai incontrati ed avrebbero continuato a rincorrersi proprio come il giorno e la notte ….

Ma un giorno, per una strana magia, il Sole e la Luna si ritrovarono stretti in un lungo abbraccio, la terra si oscurò per pochi minuti … poi la magia finì e i due si lasciarono …

Di colpo Anna si svegliò da quel bellissimo sogno e tornò a malincuore alla vita di sempre …

Ma accade che ancora oggi Anna, ormai adulta, quando sente parlare di questo fenomeno che gli scienziati definiscono Eclissi, lei vede uno straordinario incontro d’amore tra il Sole e la Luna e con la sua mente torna nuovamente ad essere protagonista di quell’amore.

 

 

Eden58ac

 
 
 

Waly e il falco dalla coda rossa

Post n°12 pubblicato il 04 Dicembre 2010 da lemagichefiabe
 

Waly  e il falco dalla coda ro

 

WALY E IL FALCO DALLA CODA ROSSA


C'era una volta un piccolo falco.
Un falco diverso dagli altri, era tutto bianco e amava volare all'incontrario.
I suoi coetanei non lo prendevano in giro, ma lo guardavano con stupore e un po' impauriti per quella diversità così evidente.
Waly, così si chiamava, era amico del vento.
Giocava con lui nello sfidarsi a volare controcorrente e a rimanere immobile mentre il vento soffiava a più non posso.

Un giorno un giovane falco dalla coda rossa si avvicinò a Waly e un po' intimidito e un po' fifone gli chiese: " Ma come fai a volare così e come mai sei tutto bianco tu, ma ... ma sei sicuro di essere un falco?".
Waly si guardò le ali e guardò il vento, si perché lui era capace di vedere il vento, rimase in silenzio per un po' e poi rispose: "Tu sei un falco dalla coda rossa così ti hanno sempre detto, ti hanno insegnato a volare nel giusto verso, almeno così ti hanno dato la direzione".
Il falco dalla coda rossa allora capì e volò verso il suo nido.
Waly andò a giocare con il vento poi si posò su un ramo di faggio che si rifletteva in un piccolo laghetto. Si specchiò le sue bianche penne e il lago gli sorrise.
Non c'era nulla in quella natura che lo reputasse diverso e non c'era nulla che contestasse il suo modo di volare.

Il giorno dopo mentre Waly riposava su una roccia si avvicinò il falco dalla coda rossa, si guardarono e senza chiedersi nulla cominciarono a volare, all'inizio ognuno verso la propria direzione poi si ritrovarono a volteggiare insieme in alto sopra le cime delle montagne.
Erano felici perché entrambi avevano le ali ed erano falchi ma avevano ognuno la propria identità.
E non importava il modo di volare e cosa  avrebbe loro insegnato il vento, ma come insieme erano riusciti a volare sopra ogni cosa.

 

Piumarossa70

 
 
 

La piccola Stella del cielo.

Post n°11 pubblicato il 27 Novembre 2010 da lemagichefiabe
 

La piccola Stella del cielo

 

La piccola Stella del cielo.


C’era una volta, e forse c’è ancora, una piccola stella che passeggiava e giocava felice per la volta del cielo.
Non doveva preoccuparsi di nulla, non c’erano pericoli di nessun genere dove viveva. Si ritrovava con i suoi luminosi amici e trascorreva ore a giocare a nascondino tra le meteoriti ed i piccoli pianeti.
Ogni tanto si fermava ad osservare tutti quei corpi celesti, a volte tanto più grandi di lei, a volte molto più piccoli. Perdeva anche intere giornate a guardarli girare sempre nello stesso modo, percorrevano vie che ormai conoscevano a memoria, tante le volte che le avevano attraversate.
C’era però un pianeta che l’affascinava particolarmente: non era né grande né piccolo, ma, di tutti quelli che aveva visto fino ad allora, era il più particolare.
Il pianeta che ammirava ogni sera si chiamava Terra ed il particolare che la stupiva era il fatto che essa fosse abitata, a differenza di tutti gli altri che aveva visto e conosciuto.
Ogni tanto anticipava i suoi genitori ed i suoi amici sulla strada ed andava, correndo e saltellando, verso il suo amico Sole, l’unico al quale era permesso di osservare bene quegli esseri minuscoli che vivevano sul pianetino.
Adorava passare le sue giornate a guardare il via vai dei puntini che correvano avanti e indietro alla ricerca di qualcosa che non era dato loro conoscere.
Accadde però un giorno alla piccola stella di assistere ad uno spettacolo imprevisto. Il via vai continuava come al solito, ma qualcosa era cambiato: dal suo posticino riusciva a vedere una luce abbagliante come quella del suo amico Sole e non riusciva a comprendere da dove provenisse.
- Ciao Sole, ma cosa sta succedendo laggiù? Sei stato tu a fare quella luce?
- No, piccola. Sono stati gli uomini.
- E come hanno fatto? Quella luce è come la tua! E quelle nuvole sono come quelle che portano i temporali e la pioggia!
- La luce che porto io è luce di felicità, le nuvole che conosci tu portano la vita. Quella luce e quelle nubi invece portano solo tristezza ed abbandono.
- Ma come è possibile?
- Vedi piccola, gli uomini non sono in pace come lo siamo noi, stelle e pianeti. Noi abbiamo un intero cielo in cui vivere e spostarci. Loro hanno solamente dei piccoli spazi che devono condividere e non ne sono capaci.
- Non mi piace quello che sta accadendo. I più piccoli piangono, non è giusto!
- Non tutto ciò che fanno gli uomini è giusto.
- Basta! Non voglio più vedere!
La piccola stella intristita ed arrabbiata decise di andarsene. Salutò il Sole e raggiunse i suoi genitori. Raccontò loro ciò che aveva visto e cominciò a piangere. Tutti cercavano di consolarla. Persino la Luna le mostrò il suo sorriso più bello, ma fu tutto inutile.
All’improvviso però accadde qualcosa che la stupì e che le colmò il cuore di gioia.
Vide un bambino che stava guardando in alto, nel cielo, verso di lei come se riuscisse a vederla. E poi sentì la sua voce … quella voce melodiosa e curiosa di chi scopre il mondo per la prima volta.
- Mamma, ma cosa sono quelle luci lassù?
- Sono le stelle caro.
- E cosa sono le stelle?
- Piccole luci che rappresentano coloro che ci vogliono bene.
- Davvero?
- Sì. Ora dormi e loro ti veglieranno.
La piccola stella sentì tutto questo e continuando a guardare il bambino si mise a parlare con sua madre Stella.
- Mamma, cosa significa tutto ciò?
- Significa che noi siamo importanti per loro. Diamo loro la possibilità di credere in qualcosa.
- Ed è una buona cosa?
- Buonissima! Senza di noi rischiano di perdersi nel buio. Ma grazie alla nostra luce e a quella della Luna sono in grado di ritrovare la giusta strada.

La piccola stella guardò ancora una volta il bambino negli occhi e vi lesse una promessa.
-Tu sarai la mia stella!
Da quel momento capì che non lo avrebbe mai abbandonato.


Pix612

 
 
 
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