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Il ritiro Usa: missione compiuta in Irak

Post n°2352 pubblicato il 18 Novembre 2008 da Antalb
 
Tag: Bush, Irak

L’Irak oggi è finalmente un Paese che si avvia alla normalità, è democratico e ormai quasi completamente pacificato. È un Paese che torna ad avere un sistema bancario, una catena di distribuzione alimentare, istruzione libera, istituzioni degne di questo nome, relazioni e accordi internazionali normali. È questo il senso dell’accordo di domenica, che stabilisce un rientro graduale, oltre il mandato delle Nazioni Unite, delle truppe americane. L’accordo è possibile, e i 150mila soldati se ne possono andare da Bagdad e dalle altre città addirittura tra meno di un anno, dal resto dell’Irak fra tre anni, perché la missione è compiuta. Di Saddam Hussein resta solo un atroce ricordo, gli unici fatti di sangue possibili sono i tristemente famosi attacchi suicidi, non certo la guerra civile che veniva data per scontata e perpetua dai denigratori mondiali dell’operazione.

Mentre George W. Bush lascia la presidenza dopo due mandati, è giusto ricordare che ha vinto anche lui, il presidente detestato al quale sono stati imputati errori terribili, sconfitte, tradimento della Costituzione, perfino il declino economico e l’isolamento internazionale degli Stati Uniti. Il famoso discorso di proclamazione della vittoria dalla portaerei, subito dopo la guerra lampo cinque anni fa, è stato sicuramente uno sbaglio, almeno nel linguaggio cinico della propaganda, anche se Bush non ha mai detto che la guerra sarebbe finita in pochi mesi, solo che era stata vinta. Ma anche la scelta indovinata del generale Petreaus l’ha fatta lui, solo contro il resto dell’establishment politico e militare che era pronto alla fuga, e dopo aver coraggiosamente assunto sulla presidenza, e dunque su di sé, gli errori commessi da Dick Cheney nella prima disastrosa fase di ricostruzione. È giusto anche ricordare che il terrorismo islamico ha le unghie spuntate, che Osama Bin Laden deve starsene nascosto nelle grotte del Waziristan, che l’Europa vive più sicura. Un presidente di guerra paga prezzi altissimi di impopolarità immediata, l’esperienza di Harry Truman insegna qualcosa, ma la storia gli sta dando ragione già oggi, ancora prima del trasloco da Pennsylvania Avenue. George W. Bush ha sanato la ferita inferta al mondo l’11 Settembre del 2001. Sarà lui a firmare l’accordo bilaterale tra Stati Uniti e Irak, lo «Status of Forces Agreement». Vedremo dalla fine di gennaio, sono i primi cento giorni che contano, che cosa sarà capace di fare il nuovo presidente e i suoi ministri. In Irak la missione è compiuta, anche alla faccia dei pacifisti europei, quelli della piazza e quelli dei palazzi di governo. L’Afghanistan è invece in una fase di gravissima crisi, liberato, ma ancora assediato, dai talebani. Barack Obama non potrà evitare di misurarsi con questo problema, e non gli serviranno, quando si tratta di guerra, e guerra giusta, le citazioni di Martin Luther King, gli adoratori dei giornali e delle tv, e nemmeno i suoi influenti amici di Wall Street. Il presidente degli Stati Uniti è un uomo solo.

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