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Crollo di un'idea: stanno insieme ma non c'è un perché

Post n°2575 pubblicato il 20 Febbraio 2009 da Antalb
 


Se stiamo insieme ci sarà un perché, e vorrei riscoprirlo stasera, cantava Riccardo Cocciante. Anche lo stare insieme dei leader (ma non solo dei leader) del Pd dovrebbe avere un perché, ma dubitiamo che una sera possa essere sufficiente per riscoprirlo. Nel giorno in cui si discute del fallimento di Veltroni, e deinomi dei suoi improbabili successori (D’Alema è ormai un fanfaniano Arieccolo, e su Bersani ha ragione Guzzanti: sembra il Ferrini di «Quelli della notte»), sarebbe forse più opportuno spostare il dibattito dalle persone ai contenuti, alle idee, e a quel «perché».


Perché è fallito il progetto-Pd? Veltroni mercoledì s’è generosamente assunto ogni responsabilità. Ma il suo mea culpa rischia di essere fuorviante. L’impressione è che il Pd sia naufragato non a causa di una cattiva gestione, ma più tragicamente per l’assenza di una ragione sociale. Qual è infatti la ragione sociale del Pd? Quale il suo progetto di società? Quale la sua idea fondante?


Mercoledì Peppino Caldarola ha scritto sul Giornale che il Pd, così com’è stato concepito e allevato, è un partito senza identità, «non è più di sinistra ma neppure di centro, non è praticamente nulla». Verissimo. Ma ci chiediamo se avrebbe potuto essere altrimenti. Non bisogna dimenticare, infatti, che quella del Pd è una storia che non parte dalle primarie di un anno e mezzo fa, e nemmeno dalla fusione tra Ds e Margherita. Parte da molto più lontano, parte dal Partito comunista italiano, e ancor prima da un’ideologia - il comunismo, appunto - che sul mondo aveva una visione chiara, forte, precisa, dogmatica.


Il Pci era una Chiesa, e le Chiese possono anche riformarsi nella liturgia, nell’organizzazione interna e nella strategia comunicativa: ma non sulla fede. Se crolla quella, crolla tutto. Quando il Pci ha dovuto prendere atto del fallimento del suo Verbo fondante, è stato come se il Vaticano avesse dichiarato l’inesistenza di Dio. È stato, più in concreto, il prendere atto che la lotta tra le due grandi ideologie ottocentesche, il socialismo e il liberalismo, si era conclusa con la vittoria della seconda. E si era conclusa così proprio perché il liberalismo non ha una visione totalitaria sulla vita e sull’uomo,non si basa su una Verità assoluta,e quindi èriformabile. Al contrario, il marxismo- leninismo non può essere riformato.


La sinistra italiana, a differenza di quella di altri Paesi occidentali, viene da quella visione del mondo non riformabile. E quando il comunismo ha cominciato amostrare i suoi errori e i suoi orrori, il Pci ha cercato di smarcarsi, anche coraggiosamente, ma ottenendo il solo risultato di arrivare all’autodistruzione. Prima ha cambiato nome,da Pci a Pds; poi in Ds; poi in Pd, con un patto disperato con una parte degli ex nemici della Dc.


È stato un lungo processo di erosione dei propri principi e dei propri punti di riferimento. Si è iniziato con il rinnegare modelli stranieri prima esaltati; poi facendo sparire simboli e padri fondatori dal proprio Pantheon; infine accettando una visione dell’economia magari ancora un po’ statalista, ma di fatto totalmente integrata nell’una volta aborrito capitalismo.



Che cosa è rimasto di quell’Idea, di quel Dogma, di quella Fede? Nulla, e qui risuonano profetiche le parole pronunciate già quarant’anni fada Augusto Del Noce: il Pci, diceva, è destinato a diventare un grande partito radicale di massa. E infatti, in che cosa si distingue oggi il Pd se non nell’appoggio - peraltro condizionato dalla presenza dei teodem al proprio interno- a battaglie quali quelle sui cosiddetti «diritti civili» dei radicali? Ma i radicali c’erano eci sono già, senza il bisogno del Pd: e il loro pensiero è ormai largamente trasversale tra destra e sinistra.


Veltroni non ha fallito. È soltanto l’erede di un fallimento, e di un fallimento che nessun amministratore delegato sarebbe riuscito a evitare. Chi è rimasto attaccato all’Idea, e continua orgogliosamente a chiamarsi «comunista», è stato spazzato via dal parlamento per volontà popolare. Chi ha cercato di riformare l’irriformabile, ha sostituito le vecchie idee - cupe e anche terribili, machiare e forti - con generiche parole d’ordine: la solidarietà, il progresso, l’onestà. Faceva perfino tenerezza, mercoledì, vedere alle spalle di un esponente del Pd un poster con l’immagine di Berlinguer e la scritta «Nel cuore degli italiani onesti». Troppo vago, troppo vacuo, troppo poco, troppo retorico per essere un «perché» che faccia stare insieme.



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