TRIONFO E FESTA AL SENATO
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« Parenti serpenti: è scop... | La svolta: oltre Forza I... » |
In queste ore il Congresso americano sta dibattendo su un nuovo piano di aiuti al settore auto. 25 miliardi di dollari di incentivi sono arrivati. Altrettanti sono richiesti. I parlamentari si stanno esercitando nell’attaccare i costumi allegri degli amministratori delle Big Three (Ford, Gm e Chrysler). Meno sul fatto che un dipendente dei «Tre» in America costa all’azienda 70 (settanta) dollari l’ora (comprese pensioni e sanità) e che i contribuenti americani (molti dei quali non hanno assistenza sanitaria) potrebbero essere chiamati con le loro imposte a sostenere questo settore. Toyota sempre in America paga i suoi 50 dollari.
Anche in Europa i costruttori chiedono a gran voce un aiuto. Un pacchetto da 40 miliardi di euro è in rampa di lancio: pur vincolato alla ricerca e alla costruzione di modelli verdi.
Perfino in Cina i costruttori locali chiedono aiuti al governo centrale: erano abituati a una crescita delle vendite del 20% l’anno. E oggi si sono fermate.
In tutto il mondo vi è un comune denominatore: l’industria automobilistica impiega molti collaboratori e almeno altrettanti vi sono indissolubilmente legati nell’indotto. Il varco aperto dagli aiuti alle banche ha rotto gli argini: non è detto che chi sbaglia (i banchieri nella fattispecie) debba pagare. Il fallimento delle banche porta alla paralisi dell’attività economica e la caduta delle regine dell’auto porta alla disoccupazione di milioni di persone. E dunque si salvi chi può e si aiuti chi non sa fare.
È un crinale molto pericoloso per due motivi fondamentali.
Gli aiuti nazionali rischiano di creare una nuova ondata di protezionismo. Esattamente ciò che ha tramutato la crisi del 1929 in Depressione. L’Europa esporta auto per circa 120 miliardi di euro. Quando il mercato viene distorto con gli interventi pubblici, diventa conseguente la richiesta di limitare l’entrata sul mercato di concorrenti anche se più efficienti e con prodotti migliori o a più basso costo. È una spirale pericolosa: l’obiettivo finale non è quello del miglior servizio o prodotto, ma quello della protezione dei posti di lavoro.
Una seconda preoccupazione nasce dalla selezione degli «aiutati». La domanda corretta non è chi aiutare, ma «chi non aiutare?». In un momento di crisi economica i quattrini pubblici, per definizione limitati, a chi devono essere negati? Il tessile, solo per fare un esempio, perché tenerlo fuori? Gli agricoltori, che proprio mercoledì manifestavano, come non considerarli? E la moda, le costruzioni, le telecomunicazioni (che tutti dicono strategiche) o il cemento e l’acciaio? Cosa facciamo prendiamo il bilancino dei dipendenti oppure quello dell’innovazione? Quando ci si ferma? Tutte domande che non hanno ovviamente una risposta. Se non quella più scontata: verranno aiutati coloro che sapranno avere le armi di convinzione più forti nei confronti della politica. Le crisi sono gravi, le loro soluzioni anche di più.
Perfino in Cina i costruttori locali chiedono aiuti al governo centrale: erano abituati a una crescita delle vendite del 20% l’anno. E oggi si sono fermate.
In tutto il mondo vi è un comune denominatore: l’industria automobilistica impiega molti collaboratori e almeno altrettanti vi sono indissolubilmente legati nell’indotto. Il varco aperto dagli aiuti alle banche ha rotto gli argini: non è detto che chi sbaglia (i banchieri nella fattispecie) debba pagare. Il fallimento delle banche porta alla paralisi dell’attività economica e la caduta delle regine dell’auto porta alla disoccupazione di milioni di persone. E dunque si salvi chi può e si aiuti chi non sa fare.
È un crinale molto pericoloso per due motivi fondamentali.
Gli aiuti nazionali rischiano di creare una nuova ondata di protezionismo. Esattamente ciò che ha tramutato la crisi del 1929 in Depressione. L’Europa esporta auto per circa 120 miliardi di euro. Quando il mercato viene distorto con gli interventi pubblici, diventa conseguente la richiesta di limitare l’entrata sul mercato di concorrenti anche se più efficienti e con prodotti migliori o a più basso costo. È una spirale pericolosa: l’obiettivo finale non è quello del miglior servizio o prodotto, ma quello della protezione dei posti di lavoro.
Una seconda preoccupazione nasce dalla selezione degli «aiutati». La domanda corretta non è chi aiutare, ma «chi non aiutare?». In un momento di crisi economica i quattrini pubblici, per definizione limitati, a chi devono essere negati? Il tessile, solo per fare un esempio, perché tenerlo fuori? Gli agricoltori, che proprio mercoledì manifestavano, come non considerarli? E la moda, le costruzioni, le telecomunicazioni (che tutti dicono strategiche) o il cemento e l’acciaio? Cosa facciamo prendiamo il bilancino dei dipendenti oppure quello dell’innovazione? Quando ci si ferma? Tutte domande che non hanno ovviamente una risposta. Se non quella più scontata: verranno aiutati coloro che sapranno avere le armi di convinzione più forti nei confronti della politica. Le crisi sono gravi, le loro soluzioni anche di più.
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:18
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:17
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:16
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:14
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:13