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La débacle di Barack, il re dei lobbysti

Post n°2552 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da Antalb
 
Tag: Obama

Luna di miele è diventata da tempo un’espressione stantia, presidenti e primi ministri di tutto il mondo si trovano realtà faticose da affrontare subito, e il consenso si erode facilmente. Ma quella di Barack Obama, presidente tanto pompato da essere icona pop e micidiale veicolo di marketing, si può definire una autentica débâcle. Non fosse per l’ipocrisia che ne ha circondato l’irresistibile ascesa, gli untuosi media europei lo darebbero già per arrogante presidente in crisi dopo quindici giorni di Casa Bianca. Sarà stata la maledizione del giuramento sbagliato, e ripetuto senza telecamere e in gran segreto, sarà perché a fare troppe promesse, e a inneggiare all’era nuova, si rischia grosso in quella democrazia compiuta che sono gli Stati Uniti d’America, ma Barack Obama è stato costretto mercoledì a dire «Yes, I screwed up», sì, ho fatto una cazzata; poiché l’argomento era la rinuncia del suo mentore e amico, Tom Daschle, difeso a spada tratta come ministro ideale della Sanità, e poi obbligato al ritiro per una questione di tasse non pagate, la figuraccia è seria, altro che dream team e nuova era di responsabilità.

Le scelte sospette erano cominciate con Bill Richardson, governatore del New Mexico scelto per il Commercio, costretto ad abbandonare ancora prima dell’insediamento del presidente a causa del suo coinvolgimento in un’inchiesta aperta da un grand jury federale su alcuni episodi di corruzione. Martedì Nancy Killefer, responsabile della verifica sul budget federale, aveva ammesso di aver evaso le tasse per una collaboratrice domestica nel 2005, e aveva lasciato il posto, costringendo così alla resa anche di Daschle, accusato di non aver dichiarato centoventimila dollari durante la sua attività di lobbysta per Alston&Bird, uno dei primi cinquanta studi legali degli Stati Uniti, e per UnitedHealth Group, un gruppo assicurativo molto attivo proprio nel settore della Sanità. Proprio della Sanità avrebbe dovuto diventare Segretario Daschle, secondo i desideri di Obama. Il presidente ce l’ha fatto invece a far confermare Timothy F. Geithner, ex governatore della Federal Reserve di New York, al Tesoro, nonostante le prove di un’evasione fiscale poi sanata, ma è un incarico già macchiato e compromesso.

Il fatto è che Barack Obama dell’outsider ha solo la retorica, aiutata dal colore della pelle, ma è un vero insider, anzi è il principe dei lobbysti, nel senso di uomo dei poteri e degli interessi più forti. Dodici segretari e sottosegretari sono della stesa pasta, primo William Lynn, esponente dell’industria delle armi, nominato numero due del Pentagono con l’incarico di presiedere il comitato per l’acquisto delle armi. Capito il conflitto di interessi? Ma Obama non ha rinunciato a Lynn e agli altri.

Il ministro del Tesoro, il criticatissimo Geithner, e il superconsigliere Lawrence Summers, sono legati a Citigroup, e alle banche di Wall Street responsabili in grande parte dell’attuale tremenda crisi economica. Tra le promesse elettorali già abbandonate naturalmente spiccano le iniziative cosiddette pacifiste e di distensione. Basta avere l’attenzione di separare la propaganda delle dichiarazioni dalla realtà delle decisioni e la parola terribile, continuità, spunta. Obama aveva promesso il richiamo delle truppe in Irak «entro un anno», ora parla di «ritiro sostanziale» di un numero non precisato di soldati, mentre gli strateghi del Pentagono spiegano che una parte delle truppe Usa rimarrà almeno fino al 2011.

Aveva enfaticamente annunciato la fine delle operazioni di «rendition», i rapimenti segreti all’estero di presunti terroristi e il loro trasferimento in altri Paesi, dove verrebbero torturati, ma nel decreto presidenziale, si limita ad auspicare la fine di queste pratiche. In Afghanistan non si capisce ancora se la grande operazione annunciata per sconfiggere i talebani avrà o no un seguito.

Infine, certo di aver dimenticato numerosi altri bluff e «cazzate» varie, come quella tanto strombazzata sull’aborto, che è un mero ripristino, come ai tempi di Bill Clinton, del finanziamento alle organizzazioni favorevoli alla pratica, vi invito a seguire la stampa americana. È già pronta ad azzannare il dream president, per fortuna.

 
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