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Le elezioni sarde consentono due giudizi, ambedue significativi per la sostanza della politica italiana. Il primo è che una sinistra incardinata sul partito postcomunista non è più una forza di governo in Italia, nonostante sia rimasta la sua egemonia sulla cultura politica del Paese, anche nel mondo cattolico. La seconda affermazione che le elezioni sarde confermano è che la chiave della maggioranza del centrodestra è legata alla leadership di Silvio Berlusconi. I due giudizi dicono cose diverse, perché il primo potrebbe essere vero anche se non fosse vero il secondo. E la speranza di Casini e ora di Fini e un po' meno di Bossi è stata quella di fissare un’identità politica all'interno della maggioranza berlusconiana ma distinguendosi dal leader. Anche questa è fallita.
Il partito postcomunista si è spaccato tra la sinistra antagonista nelle sue varie forme e una rete di poteri locali in cui le stesse riforme introdotte dalla sinistra hanno finito per determinare la frantumazione del partito nelle reti di interesse dei vari assessorati. La politica della sinistra postcomunista si è spaccata tra un anticapitalismo astratto e un potere corrotto.
Il tentativo di Veltroni di nascondere questa spaccatura della figura del Partito democratico lo ha condotto paradossalmente a eliminare la componente cattolica dossettiana ancorata alla Costituzione come mito fondatore e che aveva pensato con Arturo Parisi a un Partito democratico come partito della Costituzione. Veltroni pensò di poter fare un partito neoliberale fondato sull'immagine del leader e sul suo linguaggio come diverso rispetto alle componenti politiche del Pd. Cercò di produrre una leadership personale che andasse oltre le componenti politiche strutturate che costituivano la sostanza del Pd per fondare un’alternativa a Berlusconi con Veltroni omologo a Berlusconi. Il suo tentativo significava nascondere sotto il suo volto la disgregazione ideale e pratica della sinistra. Essa ha cessato con Veltroni di essere un’alternativa di governo: e perciò la maggioranza di Berlusconi è l'unico governo possibile che abbia oggi il Paese.
La seconda notizia che viene dalle elezioni sarde è che Berlusconi va. E che nelle zone in cui è forte la crisi economica il consenso è maggiore. La grande crisi del sistema che attraversa il mondo pone l'accento sui governi nazionali, sul sistema Paese. Sia l'Unione europea che le Nazioni unite sono quadri istituzionali che divengono operativi solo a partire dagli Stati nazionali e da quello che essi decidono. Quando il capitalismo entra in crisi, le alternative rivoluzionarie e sociali perdono il loro fascino innanzi al problema della conservazione del livello di vita. Accadde negli anni Trenta del Novecento, accade negli anni Duemila.
Berlusconi si fonda su un chiaro mandato popolare che le elezioni sarde hanno riconfermato in occasione di una sfida proposta da un uomo credibile come Renato Soru, ancora più imperniato sul tentativo di riprodurre a sinistra una imitazione di Berlusconi. Ciò mostra che il nesso della leadership tra popolo e governo è la chiave in cui la democrazia può affrontare la crisi mondiale del sistema economico. Le elezioni sarde gettano luce sulla maggioranza di governo in cui sia Bossi che Fini hanno messo l'accento sulle differenze da Berlusconi. L'unità della maggioranza consente le differenze, ma chiede la loro composizione nell'unità della leadership.
Il presidente della Repubblica deve tenere conto di una realtà che si impone con urgenza del suo esistere e chiede al sistema costituzionale di accettare le novità che il nesso democratico tra leadership e maggioranza popolare impone e che la crisi del sistema economico rende necessaria.
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:18
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:17
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il 25/07/2017 alle 17:16
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il 25/07/2017 alle 17:14
Inviato da: Leonard Swhan
il 25/07/2017 alle 17:13