Il regno di Dio

Colui che può negare Dio davanti ad una notte stellata, davanti alla sepoltura de' suoi più cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o grandemente colpevole. G. Mazzini

 

SERVI DI DIO

 

AREA PERSONALE

 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 4
 

 

"Colui che nega l'assunzione della Madonna è della stirpe del serpente; chi vi crede è figlio di tanta Madre"

Post n°8 pubblicato il 30 Aprile 2013 da ilregnodidio2013

 

 

 

 

 

Il servo di Dio Padre Matteo da Agnone, al secolo Prospero Lolli, nacque ad Agnone in Molise nel 1563.

La sua fanciullezza fu segnata da un grave incidente. Mentre infatti maneggiava per gioco un'arma da fuoco, un colpo gli partì accidentalmente uccidendo un coetaneo. Per sfuggire alla giustizia, i genitori lo nascosero lontano da casa, presso amici.

Dotato di viva intelligenza, il giovane studiò filosofia e medicina presso l'Università di Napoli e, pur essendo il suo direttore spirituale un gesuita, abbracciò l’ideale francescano.

Fu accettato presso il convento di Napoli della Concezione e fece il noviziato a Sessa Aurunca, prendendo il nome di Fra Matteo. Dopo breve permanenza nella provincia religiosa di Napoli, per interessamento delle sue sorelle, fu accolto nel convento di Serracapriola (FG).

Nel 1592, dopo un soggiorno a Bologna per seguire le lezioni di Pietro Trigoso da Calatayud, famoso teologo bonaventurista, fra Matteo fu ordinato sacerdote e divenne un famoso predicatore.

La sua spiritualità è incentrata sulla passione di Cristo e sull’assunzione in Cielo della Madre di Dio. Fu superiore locale e provinciale, maestro dei novizi, oratore dotto e devoto. Ebbe dal Signore il dono della profezia e dei miracoli. Andando a predicare ad Agnone, si riconciliò pubblicamente con la madre del compagno d'infanzia da lui accidentalmente ucciso, con grande commozione di tutti. La popolazione edificò un convento, di cui P. Matteo divenne guardiano, dove rimase fino al 1616.

 IL CARISMA DI ESORCISTA

Il cappuccino conduceva una vita di estrema penitenza.

Operava guarigioni con il segno di croce, era dotato del dono di profezia e di discernimento e soprattutto fu potente esorcista.

Questo carisma si manifestò mentre era ancora a Bologna per compiere gli studi nei quali eccelleva, ma si riteneva sempre il più indegno di tutti. Una donna di Castelbolognese, posseduta da tredici anni dal demonio, fu condotta a Bologna per essere esorcizzata ma, durante l’esorcismo, i demoni per bocca dell’ossessa iniziarono a gridare: «Fate pure quanto volete che noi non usciremo da qui, giammai, se non viene Fra Matteo d’Agnone, l’umiltà del quale sopra ogni altra cosa ci cruccia e ci flagella».

Il frate era nella sua cella a studiare e quando vennero a chiamarlo rifiutò di seguirli, pensando a un inganno diabolico. Ma per ordine del superiore fu costretto a recarsi in presenza dell’ossessa e subito il demonio esclamò: «Eccolo…che vuole questo Fra Matteo da me? Io non posso più soffrire di vederlo». E fuggì via in quell’istante, lasciando libera la donna.

Tre mesi prima di morire, Padre Matteo da Agnone fu assegnato al convento di Serracapriola, dove morì e dove ancora si trova la sua tomba. Il Processo diocesano sulla fama di santità è iniziato ufficialmente il 19 giugno 1996.

LA SUA OPERA DI ESORCISTA CONTINUA ANCHE DA MORTO

Il carisma di esorcista di P. Matteo da Agnone è stato riscoperto da Padre Cipriano de Meo (classe 1924), decano degli esorcisti, nonché vice postulatore della causa di canonizzazione di Padre Matteo.

In 56 anni di ministero esorcistico, Padre Cipriano ha sperimentato che al contatto con la tomba di Padre Matteo d’Agnone e con le sue reliquie, le persone disturbate danno in escandescenze, e il demonio si manifesta in loro con violenza. Per bocca degli ossessi, il diavolo lamenta che l’invocazione di Padre Matteo lo tormenta.

Padre Cipriano ha raccolto in due voluminosi tomi i colloqui col demonio da lui registrati durante gli esorcismi dal 1986 al 2003. La lettura è un forte stimolo alla fede e un importante supporto alla causa di canonizzazione di P. Matteo.

Ecco alcuni brani del colloquio dell’esorcista con satana, in cui il nemico ammette la santità del Servo di Dio:

Il demonio con rabbia: «Matteo mi è antipatico perché puzza di Cristo! … è puzza di beatitudine, di santità, ed io non lo sopporto…Non voglio sentire parlare di colui che mi potrebbe provocare grossi danni se gli dai man forte. Tu non lo devi far conoscere a nessuno».

Esorcista: «A me la causa di beatificazione di Padre Matteo sta a cuore…».

Demonio: «Tu non sai cosa ci sta combinando. Smetti di portare avanti quella causa!».

Esorcista: «Perché parli così?»

Demonio: «Perché quel morto è molto pericoloso, più pericoloso di quando era vivo; e lo sarà ancora di più se quella causa andrà avanti e se quel maledetto verrà glorificato per colpa tua».

 

 

 

 
 
 

.......perchè il Dio che affligge è anche il Dio che consola.....

Post n°7 pubblicato il 25 Aprile 2013 da ilregnodidio2013

Marthe Robin 

Nacque a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme, Francia) il 13 marzo 1902, sesta figlia di modesti contadini, all'età di 16 anni é colta da un male misterioso che in poco tempo la riduce alla paralisi, fino alla morte. Totalmente paralizzata, al buio (perché ipersensibile alla luce), senza poter dormire, mangiare, bere, suo unico cibo sarà l'ostia consacrata.

Alla fine del settembre 1930 Marthe vede il Cristo che le chiede:

"Vuoi essere come me?"

 Marthe risponde con l'accettazione.

Riceverà le stigmate e, da quel momento, ogni venerdì rivivrà la Passione di Cristo. Accetta di entrare nell'agonia di Cristo dal giovedì alla domenica, fino al dono delle stimmate.

Soffre anche vessazioni diaboliche.

Il mercoledì sera Marta riceveva l'eucaristia. Secondo le testimonianze di numerosi sacerdoti, l'ostia sfuggiva dalle loro dita come aspirata dall'essere di Marta, che entrava subito in estasi.

Padre Finet la faceva uscire dall'estasi il giovedì mattina, affinché potesse ricevere altre visite. Il giovedì sera, Marta entrava in agonia. Nulla le era imposto.

Il Signore, ogni settimana, le proponeva di entrare nella sua Passione, per amore. Padre Finet la sentiva dapprima dire "no" alla vista di una tale prova, ma ogni volta il "no" era seguito da un "sì"; e, allora, Marta si abbandonava tutta, e senza resistenza, alle sofferenze della Passione.

Il venerdì, per due ore, la Santa Vergine si tratteneva presso di lei, ai piedi della sua croce. Poi Marta viveva la morte di Gesù, la sua discesa agli inferi e la sua risurrezione. E non ritornava in sé che la domenica o, più frequentemente, il lunedì.

Di anno in anno, Marta era condotta più profondamente nei misteri della sofferenza redentrice di Cristo e ciò fino all'abbandono più sconcertante.

Negli ultimi mesi, il principe delle tenebre, vedendo la sua nemica riportare tante vittorie per la conversione delle anime, si mise a tormentarla più che mai, moltiplicando i suoi misfatti, giurando di andare sino alla fine. Da parte sua, la Vergine sosteneva potentemente la sua "amata bambina".

Alla festa di Ognissanti del 1980, Marta fu colta da una insopportabile torsione della colonna vertebrale; poi, all'inizio del 1981, fu presa da una tosse straziante che non l'avrebbe più lasciata. Nello stesso tempo, per sua intercessione, si ottennero grandi vittorie della grazia: occorrerebbero libri e libri per raccontare tutto.

Nel 1989 é stato introdotto il processo per la sua beatificazione.

La piccola Marthe, pur al centro di fatti straordinari, volle essere sempre e soltanto una umile figlia della Chiesa. Soleva, infatti, dire: "Non parlate di me, il mio compito é quello di pregare ed offrire".

 Sulle visioni della Vergine, Marthe Robin non ha mai detto molto: esperienze personali, da custodire nel cuore.

E' stata la fondatrice dei Foyers de Charité (Focolari della Carità).

 "I Foyers de Charité cono delle comunità di battezzati, uomini e donne, che sull'esempio dei primi cristiani mettono in comune i loro beni materiali, intellettuali e spirituali, vivono nello stesso spirito il loro impegno di realizzare la famiglia di Dio sulla terra, con Maria per Madre, sotto la guida di un sacerdote, il padre, in uno sforzo incessante di Carità tra di loro, e portano nella loro vita di preghiera e di lavoro una testimonianza di Luce, di Carità e d'Amore, secondo il grande Messaggio di Cristo Re, Profeta e Sacerdote » (P. Finet).

 Il loro compito primario è un servizio di accoglienza, in un clima di fraternità e di silenzio, per quanti desiderano sperimentare realmente un autentico incontro con Dio, nell'ascolto della Sua Parola e nell'esercizio della preghiera, in ordine ad una donazione più totale a Cristo, nella Chiesa e per la salvezza dell'uomo. I Foyers sono nati in Francia dall'incontro tra MARTHE ROBIN e il padre GEORGES FINET, il 10 febbraio 1936, e sono più di 70 nel mondo. Se vi recate in Francia, a  Chateauneuf-de-Galaure, é possibile visitare la casa natale. Alcuni parenti vi accoglieranno e vi mostreranno la camera dove per molti anni é vissuta, paralizzata e nella sofferenza.

 "Ho assistito due volte alla sua passione, un venerdì pomeriggio, per venti minuti circa, in ginocchio, ai piedi del suo letto, con padre Finet, nel giro di venti anni… Ho visto, era tutta bianca e gemeva secondo un ritmo che era pressappoco quello del cuore, con grida a volte più forti, a volte più flebili; a lato degli occhi, lungo la piega delle guance in direzione della gola - Marta era distesa - c'erano due tracce di sangue misto a un liquido acquoso, più che acquoso, piuttosto grumoso, poiché rimaneva mescolato al sangue. Padre Finet con una lampadina a dinamo, che accendeva con il pollice, rischiarava il suo corpo.

"I miei sacerdoti, i miei sacerdoti, dammi tutto per loro. Mia Madre e io li amiamo tanto. Dammi tutte le tue sofferenze, tutte quelle che tu soffri in questo momento, tutte quelle in cui vuole immergerti il mio Amore; dammi il tuo isolamento e la tua solitudine, e la solitudine in cui Io ti metto; tutto e senza sosta per i miei sacerdoti. Offriti al Padre con me, per loro; non temere di dover soffrire troppo per i miei sacerdoti; essi hanno un bisogno così reale di tutto ciò che sto per fare in te a loro vantaggio…".

Ho compreso veramente che Marta era per me una sorella quando una volta, mentre stavo per lasciarla, mi chiese di baciarla. Le diedi un bacio sulla fronte e sentii sulle labbra la corona di spine: ciò mi impressionò molto.

Racconta Jean Guitton (Académie Francaise), nel libro citato in Bibliografia:

 "Rassomigliava ad una bambina, perfino nella voce. Era gaia più che gioiosa, la sua voce esile e bassa, il suo canto quello di un uccello. I suoi modi esprimevano l'essenza indefinibile della poesia. Non aveva nessun talento, salvo nella sua giovinezza, quello del ricamo. Al di là di qualsiasi cultura, al di là della povertà, si nutriva dell'aria, del tempo e dell'eternitá. Perfino al di là del dolore. E tuttavia, subito presente a tutto e a tutti..... Marthe era semplice.... Quello che prevaleva in Marthe era la sua capacità di sacrificio, a imitazione di Cristo.... Con parole semplici suscitava in noi una di quelle emozioni rare, improvvise, dolci, un po' malinconiche e tuttavia radiose, che vi rendono consapevoli del vostro destino. E questo risvegliava in voi il desiderio di cui parla Nietzsche: divenire ciò che siete in un modo più nobile.... Parlando con Marthe sorgeva il desiderio di assomigliarle. Risvegliava in ciascuno la sua essenza. Senza volerlo, avvicinava ciascuno alla fonte di questa essenza. Nella camera buia ci si sentiva uniti agli altri, uniti a Dio.... Fu una mistica di prima grandezza.... Se l´albero si deve giudicare dai frutti, in Marthe i frutti sono buoni: i Foyers de Charité dimostrano la sua dimensione missionaria."

 Marthe aveva il dono del consiglio e quello di leggere nei cuori, grazie ai quali aiutò molte persone, laici e religiosi, a risolvere difficili questioni spirituali. Diede importanti consigli al Presidente de Gaulle, a cardinali, vescovi, filosofi e scienziati.

 

 Marthe riuscì a curare, attraverso l’intercessione della Madonna, molte persone. Quando ricevette le stigmate la gente iniziò ad arrivare numerosa da ogni parte della Francia per vederla. Talvolta incontrava più di 60 persone al giorno e nonostante le sue sofferenze manteneva la sua abituale giovialità e il suo sorriso mentre ascoltava, rasserenava, convertiva. Riceveva lettere da tutto il mondo, erano tutte richieste di aiuto da parte di persone di ogni età.

 Nel 1940, dopo un’offerta fatta al Signore, autorizzata da Padre Finet, sopraggiunse una quasi totale cecità, unita a una ipersensibilità alla luce che obbligava Marthe a vivere al buio. "Gesù mi ha chiesto gli occhi", diceva la mistica.

 Il filosofo Jean Guitton andò da lei ben quaranta volte. Rimase colpito da questa umile contadina che malgrado non fosse mai uscita dalla sua fattoria sapeva illuminare e aiutare gente semplice e dotti uomini di cultura e di scienza.

 Marthe aveva il dono della veggenza, conosceva le cose lontane e quelle future, aveva una infinita capacità di donare amore e prendere su di sé i mali altrui.

 Vide per decenni ogni settimana la Madonna. Tutti i venerdì, prima della fine della passione di Gesù che viveva sulla sua carne, la Santa Vergine le appariva ai piedi del divano su cui Marthe giaceva.

 Marthe Robin morì il 6 Febbraio 1981.

 Il 1 novembre 1986 è stato emanato il decreto di riconoscimento dell’Opera dei Foyers de charité. Nel 1996 si è conclusa dopo 5 anni l’inchiesta diocesana per la beatificazione di Marthe Robin voluta dal vescovo locale Monsignor Marchand. L’incartamento è stato trasmesso ed è attualmente all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi.

 
 
 

S + A + L + U + S + T + R + I = TRILUSSA

Post n°5 pubblicato il 20 Aprile 2013 da ilregnodidio2013

 

«Fin da bambino - ha scritto - per un istinto profondo ed invincibile ho avuto una fede assoluta in una Provvidenza che regna sugli uomini, in una Bontà e Saggezza suprema che governano il mondo: in Dio. Mi piace soprattutto dirlo ai ragazzi, perchè in questo argomento la mia fede è rimasta assoluta, intatta e semplice, come quando ero ragazzo. E mi ha sempre aiutato e confortato nella vita». 

 

Carlo Alberto Salustri nasce a Roma nel 1871 e nella stessa città muore nel 1950.

Autore di tanti sonetti romaneschi, firmati con lo pseudonimo di Trilussa (anagramma del suo cognome) e pubblicati sui giornali dell'epoca.

Nei suoi scritti, sembra quasi strano notare riferimenti sulla religiosità, dato che ha fatto vita mondana, eppure .......si nota una profonda, spiccata e solida religiosità.....

 

credo in Dio Padre onnipotente, ma.....

c'hai quarche dubbio? tiettelo pe' te.

La fede è bella senza li chissà,

senza li forse, senza li come e senza li perché.

 

ER CONSUMO DE LA FEDE  

Quer San Pietro de bronzo che se vede
drento San Pietro, 
co' la chiave in mano,
a furia de baciallo, 
piano piano j'hanno magnato
più de mezzo piede.

E quella è tutta gente che ce crede: 
perché devi pensà ch'ogni cristiano
ch'ariva da vicino o da lontanolo logra
co' li baci de la fede.

Però c'è un sampietrino
che m'ha detto
come er consumo pô dipenne pure
che lo vanno a pulì cór fazzoletto

Ma questo qua nun sposta la questione:
e, a parte quele poche fregature,
è un gran trionfo pe' la religgione.

 

Trilussa, insieme alla mamma, pregò tante volte davanti alla Cappella dei Miracoli e nell'anno 1926 compose un sonetto tutto dedicato alla Vergine Maria:

 

Il sonetto sulla Madonna

Quann'ero ragazzino, mamma mia me diceva:

"Ricordate, fijolo, quanno te senti veramente solo

tu prova a recità 'n'Ave Maria.

L'anima tua da sola spicca er volo

e se solleva come pe' maggìa".

Ormai so'vecchio, er tempo m'è volato,

da un pezzo s'è addormita la vecchietta,

ma quer consijo nun l'ho mai scordato.

Come me sento veramente solo

io prego la Madonna benedetta

e l'anima da sola pija er volo.

 
 
 

“Improvvisamente ho capito l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato”

Post n°4 pubblicato il 17 Aprile 2013 da ilregnodidio2013

 

la conversione dell’avvocato Alphonse Marie Ratisbonne 

 

Ratisbonne, di famiglia ebrea, ateo, scettico, cinico e fortemente anticlericale, trascorse la vita nell’ozio e nei piaceri ma in pochissimi istanti e attraverso esperienze apparentemente casuali abbandonò tutta la sua vita passata per dedicarsi a ciò che per tutta la vita aveva odiato: Dio e la Chiesa.

Tutto accadde

nel 1839, Alphonse ha ormai 27 anni, è  laureato in giurisprudenza e già avviato alla carriera di banchiere e prima di sposarsi con sua cugina Flore, decide di fare un ultimo viaggio in alcune grandi città europee. In questi momenti gli torna alla mente suo fratello, Theodore. Non lo sente da molti anni, infatti Theodore si è fatto sacerdote cattolico. Alphonse non poteva sopportare la scelta del fratello, perciò aveva troncato i rapporti con lui. Ma a sua insaputa, il fratello prete lo affidava tutti i giorni alla Immacolata Concezione, affinché potesse cambiar vita (e pensare che il dogma dell’Immacolata verrà proclamato solo anni dopo!).  

Alphonse nel suo lungo viaggio si ferma anche a Roma, dove constata le condizioni degli ebrei nel ghetto. Nella Città Eterna incontra un suo vecchio amico, il barone Theodore de Bussierè, convertitosi da poco al cattolicesimo. Costui farà da guida per la città ad Alphonse e agli altri ebrei in viaggio con lui, a una condizione, di portare al collo la medaglia miracolosa di Catherine Labourè, in futuro poi santa Catherine. Alphonse non ha alcun problema, la porta come fosse un ninnolo, col senno di poi capirà.

Il 20 Gennaio 1842 l’amico Theodore lo porta con sé per una commissione, il pagamento per il funerale di un uomo importante deceduto due giorni prima, che sicuro diventerà molto importante per Alphonse.

Il calesse arriva alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, vicino a piazza di Spagna. Il barone entra e Alphonse, per non rimanere al freddo decide di seguirlo a sua volta. Essendo buio, egli viene attratto da una luce particolare proveniente da una cappella laterale.

E in un singolo istante tutto cambiò: d’un tratto si trovò in ginocchio a contemplare la bellezza di una donna stupenda in piedi davanti a lui. La sua immagine era molto simile a quella della medaglia che aveva al collo. Lo stesso Alphonse racconta questa visione: “Ho alzato gli occhi verso la luce e vidi, in piedi presso l’altare, grande, maestosa, bella e graziosa la Beata Vergine Maria…”.

La Madonna non parla, ma Alphonse percepisce dal solo sguardo della Vergine un forza tremenda. “Improvvisamente ho capito l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato” scriverà successivamente. Capisce tutto da solo, senza che la Beata Vergine dica nulla, i suoi occhi bastano a fargli vedere l’abisso del male. Dopo solo undici giorni dall’evento miracoloso, Alphonse decise di farsi battezzare ed adottare come nome quello di Marie. Tutti i suoi amici, la sua famiglia e anche la sua futura moglie lo abbandonarono, ma questo non gli tolse in nulla la grazia trovata. Ciò che lo colpì maggiormente, subito dopo la celestiale visione, fu di scoprire che l’uomo per il quale De Bussierè era venuto in quella chiesa romana era il conte de la Ferronay, ministro del re di Francia morto due giorni prima dopo aver fatto richiesta al suo confessore di offrire la propria vita per la conversione di un peccatore, Alphonse stesso.

Ratisbonne diventò sacerdote e dopo sei anni di studi entrò prima nell’Ordine dei Gesuiti ed in seguito andò nella Congregazione delle Religiose di Nostra Signora di Sion ad aiutare suo fratello Theodore.

Fondò una sede di questa Congregazione in Palestina.

Morì il 6 maggio 1884 a Gerusalemme, all'età di 70 anni, quarantadue anni dopo l'apparizione, invocando Maria (che forse rivide in quel momento). «Vi dirò il mio segreto. Io racconto tutto alla Santa Vergine, tutto ciò che può tormentarmi, darmi pena e inquietarmi; e dopo la lascio fare». Sono queste le parole che Alfonso Ra­tisbonne ci ha lasciato.

 
 
 

"Ogni giorno avete il Figlio di Dio nelle vostre mani...."

Post n°3 pubblicato il 12 Aprile 2013 da ilregnodidio2013

 

Il Servo di Dio, il Prof. Enrico Medi diceva:

“Sacerdoti, io non sono un prete e non sono mai stato degno di poterlo diventare. Come fate a vivere dopo aver celebrato la Messa? Ogni giorno avete il Figlio di Dio nelle vostre mani. Ogni giorno avete una potenza, che l’arcangelo Michele non ha. Con la vostra bocca voi trasformate la sostanza del pane in quella del Corpo di Cristo; voi obbligate il Figlio di Dio a scendere sull’altare. Siete grandi. I più potenti che possono esistere. Sacerdoti ve ne scongiuriamo, siate santi! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, siamo perduti…”. 


Nacque a Porto Recanati nelle Marche, il 26 aprile 1911, da genitori originari di Belvedere Ostrense (Ancona) e in questo paese trascorse l’infanzia insieme alla famiglia ed ai nonni, dove frequentò la scuola elementare. 
Il 20 ottobre 1920 ricevé la Prima Comunione, nella cappellina privata della casa di Belvedere; giovanissimo si trasferì a Roma per continuare gli studi nel collegio S. Maria e all’Istituto Massimo, dove fu tra i fondatori della Lega Missionaria Studenti. 
Si laureò nel 1932 a ventuno anni, in Fisica pura con Enrico Fermi, e fu assistente del prof. Lo Surdo fino al 1937, anno in cui conseguì la libera docenza in Fisica terrestre. Sposò nel 1938 Enrica Zanini, laureata in Chimica e Farmacia e dalla loro unione nacquero sei figli; nel 1942 ottenne la cattedra di Fisica sperimentale all’Università di Palermo. 
La prima tesi sul neutrone è opera sua e pure le prime esperienze sul radar, che incontrarono però l’ignorante rifiuto delle autorità pubbliche di quel tempo. Dopo cinque anni le scoperte dello scienziato Enrico Medi vennero confermate dall’americano Van Allen; durante la Seconda Guerra Mondiale si stabilì a Belvedere Ostrense, impegnandosi ad alleviare le sofferenze della popolazione. 
Nel 1946 venne eletto all’Assemblea Costituente e nel 1948 fu confermato deputato al Parlamento; eletto presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica, realizzò una rete di osservatori geofisici in tutto il mondo. Nel 1952 fu chiamato alla cattedra di Fisica terrestre all’Università di Roma e dall’anno successivo rinunciò alla carriera politica per dedicarsi solo alla scienza e all’apostolato; ebbe il dono di intuire il potere di divulgazione della televisione per la scienza e realizzò alla RAI corsi di fisica sperimentale molto seguiti. 
Nel 1958 fu nominato vicepresidente dell’Euratom, in questa veste organizzò nei sei Stati membri, centri per la ricerca scientifica, facendo approvare nella Comunità Europea la legge per la protezione dalle radiazioni nucleari. 
Scienziato assai stimato e uomo di grande fede, offrì la sua mente e il suo cuore per il progresso dell’umanità. Fra il rammarico generale, nel 1965 si dimise dall’Euratom per gravi motivi di coscienza; nel 1966 fu nominato dalla Santa Sede membro della Consulta dei Laici per lo Stato della Città del Vaticano, nel contempo costituì la Coming, società di progettazione industriale. 
Ritornò in politica nel 1971, come consigliere al Comune di Roma e ancora nel 1972 come deputato al Parlamento.

Morì a Roma il 26 maggio 1974 e venne sepolto nella tomba di famiglia a Belvedere Ostrense. 
Oltre ad essere un genio della scienza, aveva spiccate doti di scrittore e di oratore che con slanci mistici, con l’entusiasmo dell’apostolo e con sentimenti di poeta, attirava folle di ascoltatori e seguaci. Il suo instancabile apostolato attraverso innumerevoli conferenze, dibattiti, scritti, partecipazioni televisive e interventi radiofonici, aveva due punti di riferimento: l’Eucaristia e la Madonna. Tutta la sua vita è stata un atto di amore verso Dio e il prossimo, sempre sorridendo, ottimista, felice, anche nelle difficoltà, incomprensioni, critiche e malignità, si presentava come il messaggero dell’amore. 

Autentica figura del laico cristiano, delineato nel Concilio Vaticano II col decreto sull’Apostolato dei laici. Con il consenso della Santa Sede, nella Diocesi di Senigallia si è aperto il 26 maggio del 1995, il processo per la sua beatificazione.

Con i Santi 

Il Professor Medi aveva un rapporto speciale. Ad uno in particolare, San Corrado, si rivolgeva di continuo, stabilendo un contatto diretto e quotidiano, e riscotendo poi, dalla sua protezione un notevole successo. Gli affidava tutta la sua vita, la famiglia, la politica, persino la scienza, perché questa era il primo grande dono fattogli da Dio. Il Professore gli parlava come ad un amico sempre presente, gli confidava crucci e dolori, gioie e passioni. La sua devozione era spesso premiata.

Ai santi poi, dedicava i più bei discorsi, molti dei quali, purtroppo sono andati persi perché pronunciati a braccia e mai trascritti, tale era l’amorevole foga e la sincera riconoscenza dai quali traevano origine. Molti altri invece nascevano da un profondo studio del singolo caso. Il Professore si documentava a fondo su ogni Santo, ne leggeva la vita, le eventuali opere e solo dopo una lunga "full immersion" nel suo mondo e nelle sue idee, scriveva i più ispirati discorsi. Discorsi formati da nobili parole che arrivavano sino al profondo dell’animo di tutti coloro che li ascoltavano, coinvolgendoli e commovendoli ad un sol tempo. Spesso poi, il Professore era in grado di trovare spunti innovativi, particolari sconosciuti ai molti e di far brillare la figura del Santo preso in esame, di una luce nuova. Ogni occasione era buona per indagare sul mistero della Santità, mistero che lo affascinava profondamente. Lo studio dei santi non mirava solo a ricordarne e riammirarne l’opera, ma soprattutto a riattualizzarne ogni singolo messaggio. “La Santità - scrisse una volta- è un’opera d’arte dello Spirito Santo e come di un opera d’arte non si possono dare definizioni. Se l’arte fosse definibile non sarebbe più tale perché sarebbe ripetibile e finita, come una macchina. Un capolavoro ha sempre il carattere della unicità e non ha vere ragioni della sua bellezza; è bello perché lui realizza una particolare bellezza e, con ciò stesso, la definisce. Quello che si può dire, con poverissime parole è appunto che ogni santo risplende di una luce tutta propria inconfondibile: più i vertici sono alti e più sono distinti”.

Enrico Medi riceveva continui inviti per pronunciare i suoi rinomati discorsi, su questo o quell’altro santo o sulla santità in generale, e ogni volta accettava con umiltà e rispetto, ci teneva a giustificare la pochezza delle parole disponibili davanti alla grandezza dell’argomento trattato.
Eppure sempre forte era il richiamo che sortiva su di Lui un tale compito, perché i Santi solo legati indissolubilmente a Dio, e parlare di loro, immergersi nelle loro storie, rileggerne l’opera e il messaggio, a Dio lo facevano sentire sempre più vicino.
Fu così che parlò a lungo nel ’48 di Giacomo Cusmano, fondatore del “Boccone del povero” a Palermo, a Torino nel ‘ 56 di Francesco Faà di Bruno, santo della Restaurazione, e poi ancora di Luigi Orione a Napoli nel ’65, a Forlì nel ’71 di benedetta Bianchi Porro e in un’altra occasione del novello beato Massimiliano Kolbe, commemorò a Roma, madre M. Caiani la fondatrice delle Suore Minime del S. Cuore e tanti altri ancora. 

CON PADRE PIO

 “Beata Tu, o Pietrelcina, perché hai visto nascere Padre Pio ...” scriveva il Prof. Medi nel discorso rivolto ai Pietrelcinesi, durante la solenne commemorazione di Padre Pio, in occasione della festa patronale della Madonna della Libera. E continuava: “Perché nell'istante in cui l'uomo nasce, respira e viene a contatto con le prime molecole, che entrano dentro i suoi polmoni e nella sua vita, le prime molecole di quel paese lasciano in lui una traccia misteriosa, che noi diciamo siano una traccia genetica, per tutta la sua vita”.

 L’incontro con Padre Pio, cambiò la vita di Enrico Medi per sempre. Il primo incontro fulminante fu seguito da tanti altri, sempre densi di significato e di luce. Spesso il Professore si tratteneva alcuni giorni a S. Giovanni Rotondo, voleva vivere la quotidianità di Padre Pio, stargli vicino e assisterlo in ogni sua manifestazione d’essere, godere il più possibile del suo consiglio e del suo calore. Approfittava di ogni occasione per poter correre dal Santo e ricevere la Sua benedizione speciale, che questi gli faceva con gioia e paterno affetto.

Il Prof. Medi, infatti, vedeva nel Santo le virtù del credente esaltate all’ennesima potenza, non perdeva occasione per metterne in risalto l’umiltà, la serenità, si sforzava per trasmettere a chi lo ascoltava il Soffio della santità di Padre Pio. Gli parlava della sua famiglia, della moglie e delle figlie e il Padre mandava la Sua santa Benedizione anche a loro.

“Gli ho parlato delle 4 Marie, è sembrato meravigliarsi ma si è ricordato subito di loro. La benedizione per Enrica, ma era implicita: è una cosa sola con me… Dopo la Comunione l’ho pregato ancora per gli occhi di Enrica, ha detto sì sorridendo e ha baciato il Crocefisso: questo il suo ricordo. Per le scale ”La benedico di nuovo”.

Tre volte benedetto e accarezzato da Padre Pio: “sono felice”, scrisse in una lettera. Ma non era solo Enrico a correre dal Padre, spesso era lui a farlo chiamare, soprattutto nel periodo delle elezioni a San Giovanni Rotondo.

A Pietrelcina, tutte le porte erano aperte per il Professore, tutti lo sapevano essere uno dei figli prediletti del Santo. Ma ciò che più affascinava Enrico, riempiendogli il cuore di gioia, una gioia che poi era in grado di trasmettere nei suoi discorsi, era assistere alla Santa Messa di Padre Pio.

Come uno qualsiasi dei pellegrini, alle 4.30 aspettava dietro il portone della Chiesa, alle 5 entrava e si sistemava nel coro per servire la Messa. “La Santa Messa di Padre Pio era un rivivere fisicamente tutta l’Agonia del Getsemani, del Calvario, della Crocifissione e della morte. Quando assistevamo alla Santa Messa si vedeva l’ansia di una creatura, che da una parte era presa da una sofferenza immensa, dall’altra non voleva che questa sofferenza si riversasse sui fratelli che aveva accanto. Come il Signore quando fu sul Calvario. Era un fremito continuo di un’immensa ansia”.

Per una lunga conferenza a Cerignola, nel giugno ’69, il Professore scrisse a lungo sul Padre, non perdendo l’occasione per ribadire le tre grandi virtù del Frate Santo: umiltà, obbedienza e carità. Ma i suoi non erano solo intuizioni, sensazioni evinte dall’assistere alla Santa Messa, le sue erano certezze, derivate dalle stesse confessioni che il Santo era solito regalargli durante i loro profondi incontri.

“Un giorno mi disse: tu devi capire cosa significa ogni giorno ammazzare il Padre, il mio Dio, ammazzare Gesù”… così raccontò una volta all’amico Enrico.

Ma al Professore non bastava dimostrare continuamente il suo Amore e la sua devozione al Padre, essergli sempre vicino, condividere le sue angosce e i suoi crucci, volle fare qualcosa di più. Voleva essere per lui il figlio migliore; voleva dimostrare concretamente il suo amore profondo, aiutandolo a realizzare un grande desiderio del Padre: “La Casa Sollievo della Sofferenza". Il desiderio era che fosse la più grande, la più tecnicamente e umanamente perfetta, con tanti medici e chirurghi, che prestavano la loro opera gratuitamente.

Scrisse il Professore in merito: “Dal punto di vista spirituale e medico la casa è un successo; solo la Provvidenza, per le preghiere della Santa creatura che è Padre Pio, poteva far rifiorire nel deserto una pianta così ricca di frutti”.

Ma il desiderio di compiacere il Padre andava ancora oltre; il Figlio Prediletto sognava infatti anche un altro dono, quello di un centro di ricerche scientifiche nel campo medico-biologico, che fosse da esempio per il mondo intero. Centro al quale affiancarne un altro, riservato esclusivamente alla formazione per laici che desideravano, in qualsiasi campo, mettersi al servizio della Chiesa. Quest’ultimo sogno però, nonostante fosse stato fortemente voluto dallo stesso Padre, non passò mai alla pratica. Il Professor Medi fu partecipe, fino alla fine, delle gioie e dei dolori del Frate Santo. Fu infatti uno degli ultimi a vederlo vivo e a ricevere l’ultima benedizione. Scrive ancora in merito: “Il Padre sapeva che era l’ultima benedizione e con il cuore commosso, alzando gli occhi al cielo, quasi traforando le arcate del convento, avvenne quella Benedizione”, così raccontò qualche giorno dopo la morte di Padre Pio, con somma commozione.

La notizia della morte lo colse lontano, impegnato in un viaggio di lavoro. Incontenibile fu il dolore per non poter assistere agli ultimi respiri del Padre, ma tornò subito a San Giovanni Rotondo e vegliò la notte intera, accanto alla salma, perso nell’estremo saluto. Estremo saluto che ripeté durante il funerale, davanti ai suoi fratelli, figli anch’essi del santo Frate, tutti fratelli che conoscevano il Professore, per il suo speciale rapporto con il Padre comune a tutti, un rapporto che non poté interrompersi con la morte di Padre Pio, ma che continuò e continuerà in eterno. Il Professore non smetterà di visitare San Giovanni Rotondo e non perderà occasione per parlare del Padre, per ricordarne la figura grandiosa, soprattutto ai Gruppi di preghiera di Padre Pio, costituitisi in tutta Italia.

 E la Madonna?

 A testimonianza dell’estrema devozione che Enrico Medi nutrì per tutta la vita verso la Madre di Dio, ci sono le sei figlie femmine del Professore che si chiamano tutte “Marie”. Lui La chiamava la “Bella Signora”, questa Madre cui faceva continuamente riferimento, a Cui dedicava preghiere soavi e bellissime.

Nel libro “Astronauti di Dio”, ha scritto: “Il Signore ha creato la Vergine Maria e in Lei ha raccolto tutto ciò che di bello e di grande, di meraviglioso, di stupendo e di armonico, può essere nel disegno di una creatura umana”.

“Non disperiamo se è , com’è, Mediatrice di tutte le Grazie, la Mediatrice per eccellenza della Divina Misericordia. Lasciamo nelle Sue mani la libertà di tessere la tela del Mondo, Lei che legge negli Occhi di Dio, saprà trarre il più meraviglioso disegno d’Amore e di gioia”.

Il cuore di Dio e il cuore della Madonna erano legati da un unico filo inscindibile, questo filo non era astratto, sfumato, ma vero e tangibile, riscontrabile in ogni miracolo, in ogni atto di Maria e dei Suoi figli. Questo appunto il compito di ogni figlio devoto e pio, quello di calibrare il proprio cuore al Battito Eterno, di unirsi anche lui a quel filo che tutto può e tutto sente.

La Madonna era per lui una sorta di riassunto universale, in lei tutto era spiegato e chiaro e, per poter vivere nella Luce, a Lei si doveva far riferimento. Spesso nei suoi scritti si fa riferimento alla “Bella Signora”, ai loro incontri, alle sue straordinarie apparizioni: ”Sono andato ora a trovare la Bella Signora, tutta Bianca sorride dall’Alto dicendo “Grazie”, sorride al mio sguardo dicendo “vengo” “. Sempre soavi, lucenti e eterei i termini con cui il Professore soleva descriverla. Ne parlava sempre e La descriveva come una Immagine concreta, Che gli stesse davanti in quell’istante o in ogni istante. Un Immagine vera e luminosa, pura e radiosa, sempre pronta a indicare la strada e a schiarire la mente, liberandola da dubbi e tormenti. Fin dall’infanzia aveva sviluppato con la Madonna una familiarità sconvolgente e commovente insieme, familiarità testimoniata dal tono filiale con il quale Gli si rivolgeva di continuo. Adorava il Magnificat che considerava il canto più bello e non si stancava mai di ascoltarlo ed intonarlo per Lei.

“E’ il canto più bello e più poetico che mai donna abbia pronunciato. A volte non ci pensiamo, ma nel Magnificat ci sono le vere parole di Maria, Magnificat anima mea Dominum. Queste parole sono proprio di Maria. Mai poetessa ha tratto dal fondo del suo cuore un brano così filosofico, di sintesi, di grandezza, di teologia, di costruzione del Mondo, di profezia della storia; qui dentro c’è tutto! C’è il problema sociale, c’è la politica, c’è la grandezza, c’è l’amore, c’è la potenza di Dio, c’è la visione dell’ultimo giorno. C’è Tutto!” , così disse durante la conferenza “L’Ora di Maria”, nel ’54.

Pregava il Rosario con passione, anche più volte al giorno; questo per lui era un momento di estremo contatto con la Madre, era un modo per sentirLa ancora più presente, per godere della Sua pace e della Sua perfezione. Anche in questo caso, il segreto stava tutto nella concretezza dell’atto, nel poter pronunciare parole di conforto e di estrema devozione, stringendo fra le dita i grani del Rosario.

“Sui grani della Tua Corona saliremo uniti verso di Te, con i grani della Tua Corona ci leghi così forte che nulla potrà separarci”.


 Scienza e Fede: avversarie? Assolutamente no!!

 

“Se non ci fosse pericolo di essere fraintesi, verrebbe da dire che il cristianesimo è esattamente scientifico; ma la verità è un altra, è che la scienza per natura sua è cristiana: cioè ricerca della verità, cioè attenta indagine su quella che è la volontà di Dio che si esprime nell'ordine naturale (scienza) e nell'ordine soprannaturale (fede e teologia). Quindi è inconcepibile e assurdo qualsiasi ipotetico contrasto fra fede e scienza, fra vero progresso scientifico e teologia e morale.”

Il Professor Medi era fermamente convinto che Scienza e Fede fossero in continuo dialogo e superassero ogni ostacolo, grazie all’intervento della filosofia, che offriva alla scienza stessa gli strumenti per operare e, soprattutto, la possibilità di sintetizzare e raccogliere il materiale via via accumulato.

“La filosofia ha i suoi metodi e i suoi fini, la scienza metodi e finalità proprie, ma esse non possono, pur nella distinzione, ignorarsi. Nell’ultimo fine della verità si incontrano, si aiutano, si intendono. La scienza porge alla filosofia i risultati delle sue certezze, la filosofia offre alla scienza la potenza della sua luce”; così ha scritto il Professore, all’interno di un discorso tenuto alla conferenza “L’avvenire della scienza”, nel 1950, presso l’università S. Tommaso a Roma.

Scienza e filosofia viste, quindi, come diverse facce di una stessa medaglia, ognuna dotata delle proprie qualità, ma entrambe pronte a venirsi incontro, ad aiutarsi, entrambe a reciproco servizio, entrambe parti di un'unica conoscenza, voluta dal Signore. Conoscenza che Dio ha creato per l’uomo e che, per raggiungerla, ha appunto creato vari strumenti, tutti importanti, tutti complementari.

L’idea di questa Conoscenza, il pensiero del percorso arduo e tormentato per raggiungerla, percorso voluto da Dio e che a Dio porta sempre più vicini, ammaliava il Professore. Questa la chiave di lettura del rapporto stretto che lega Fede e Religione, questo il segreto della loro complementarità. Chi cerca di separarle, chi ne rifiuta il nesso, potrà sempre e solo avere di entrambe una visione parziale e distorta, resterà sempre nel buio e nella confusione, faticando il doppio degli altri per raggiungere, sempre e comunque in vano, la luce e la chiarezza.

Da qui la sua incredulità davanti all’ateismo, che considerava una vera e propria follia; non vedere infatti nella scienza la suprema manifestazione del Divino era assolutamente impossibile, per qualunque essere umano sano di mente e dotato di raziocinio.

Segno di squilibrio era poi, sommamente, vedere scienza e fede avversarie, una negazione dell’altra, saperi di due mondi inconciliati e inconciliabili.

“La mente dell’uomo è fatta per la luce, ogni sorgente di luce che si accende nella sua anima non fa che diradare le rimanenti caligini.

Dio è Autore della natura e della rivelazione. Sono due strade diverse che portano alla Sua Parola, nella quale non vi può essere contraddizione.

La Fede è più diretta, tocca argomenti di valore infinito, direttamente Dio; la Scienza indaga la natura con i mezzi che le sono propri.

Man mano che la ricerca scientifica procede, la fede ne riceve conforto: sempre nuove armonie si schiudono al pensiero, la profondità dei misteri appaiono sempre più nella luminosa composizione del Disegno del Creatore che, facendo l’uomo signore della terra, centro della creazione e dell’universo, lo ha chiamato ad una vita soprannaturale”; questo un brano tratto da alcune conferenze tenute a Siena nel ’70.

Scienza Magistra Vitae, che insegna all’uomo la via per raggiungere i segreti che il Signore ha celato dentro la natura, i segreti che stanno alla base di tutta la Creazione.

Ma come si possono trovare e capire quei segreti se si nega la Fonte stessa che li ha pensati e generati? Come si può studiare o dominare qualcosa del quale si disconoscono le radici stesse? Queste le grandi domande che pone a tutti coloro che si professano atei e che si professano anche Scienziati, sprecando la loro esistenza a rincorrere una verità che mai potranno cogliere e comunque capire.

Gli stessi studi scolastici si orientano su una errata e menzognera concezione di separazione degli ambiti: dalla pratica passano alla teoria, dal fisico all’immateriale. Il Professor Medi sosteneva invece che “la Rivelazione e la teologia hanno illuminato e permesso il nascere e lo sviluppo della Scienza”.

Solo correggendo dall’origine questo terribile errore, permettendo ai giovani di crescere con la giusta visione delle cose, si permetterà lo sviluppo di una società consapevole e devota al Signore.

La scienza infatti, vista con il giusto appoggio della fede, avrebbe anzi una valenza fortemente sociale, proprio perché in grado di mettere tutti d’accordo, di accomunarli davanti ad una verità oggettiva ed inappuntabile. Verità che per essere tale, non può che essere Emanazione divina e quindi inscindibile da una Verità di Fede.

Attraverso la scienza il Signore migliora le condizioni di vita dei Suoi figli, rendendoli però consapevoli e attivi, non passivi ed incapaci.

Tutte le macchine che la scienza stava creando miglioravano nettamente la qualità della vita. Proprio in questo suo grande potere sta nascosto il pericolo della scienza, quello di portare l’uomo che la pratica, che ne coltiva le leggi, verso lo strapotere.

La scienza per essere compresa ed utilizzata al servizio degli altri, quindi per l’unico scopo per il quale è stata creata, deve essere sempre e comunque accompagnata dall’umiltà e, in questo, trova il collegamento della fede.

Solo chi vive nella Luce di Cristo può conoscere la vera umiltà.

”L’uomo fa della vera scienza quando dimentica se stesso e si affida interamente alla luce che dalla natura promana: egli sa di non essere creatore di nulla e che la sua grandezza è solo nella fedeltà con cui accetta il vero”.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: ilregnodidio2013
Data di creazione: 05/04/2013
 

MISTICI

Angela da Foligno Marthe Robin -  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

luciacortipostulazionecostante9marziodgl13francisk0pulce740antf1logicosbrucculeri.taniavitocannillomariangela.cucinellamolly740roberto.catarsifontanacostatinograzia.pa09
 
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963