Il mio tempo libero!
Stare lontano dal male e fare del bene..... nel silenzioso cammino!
Post n°300 pubblicato il 17 Dicembre 2010 da orta0
Ci sono delle cose che dovremmo vedere ma che ci fanno troppo male. Allora la nostra mente le elimina: “Non ti voglio vedere altrimenti starò male” e così le di-mentichiamo. Ma da qualche parte ci sono e di notte quando i guardiani (le censure) delle nostre cantine dormono, tutto ciò che è sopito si risveglia. Così sogniamo mostri, demoni (alcune persone il demonio stesso: non è il demonio, è il male che hai dentro!), campi di concentramento, nazisti e quant’altro di pericoloso che ci terrorizza, ci insegue, ci vuole imprigionare, ci attacca. E’ la nostra vita repressa, rinchiusa, umiliata, incarcerata, sofferente, traumatizzata, che si fa sentire, che vorrebbe la nostra attenzione e il nostro amore. Ci sono delle luci in noi, delle consapevolezze così grandi che se ci fossero dette di giorno non ci crederemmo. Il sogno svela di notte quello che per noi è troppo difficile o forte da accettare; oppure quello che non vogliamo vedere o che è intenso, emotivamente forte; o ancora la nostra verità profonda, così vera, così bella che noi non ci crediamo. Molte persone non credono al proprio valore. Però sognano perle, gioielli, orecchini, pendagli, tesori antichi: “Tu hai un valore, sei prezioso, renditene conto”. Più chiaro di così! Per molte persone, i sogni sono dei raccontini, dei divertimenti; divengono delle verità se le accogli e inizi ad accettare che ciò che vedi ti ri-guarda, sei tu. Il sogno è più reale di quello che noi crediamo perché il sogno parla di noi anche se noi non lo vogliamo, anche se noi rifiutiamo di identificarci in ciò che vediamo, anche se noi rifiutiamo quello che Lui ci dice. Conoscere i propri sogni è un esercizio di grande umiltà. Perché il sogno ti dice: “Tu sei in carcere, accorgitene. Tu hai una rabbia da far a pezzi tutti (e così si sogna di massacrare e di uccidere, oppure denti che cadono). Tu hai qualcosa di morto in te, un cadavere che devi tirare fuori (e si sogna persone morte). In te c’è una battaglia e un conflitto tremendo (sogni nazisti, guerre, sparatorie). C’è qualcosa che dovresti vedere e che non vuoi vedere, che ti insegue (inseguimenti). Hai perso il controllo della tua vita, non la gestisci più tu (un altro guida la tua auto; l’auto non frena); la tua vita sta imboccando una direzione pericolosa, fermati! (sogni un incidente). Sento che non posso contare su di me (sogno di cadere), che non ho appoggi, aiuti, riferimenti; la mia forza profonda, la mia vitalità, la mia sessualità vuole la mia attenzione (serpenti); c’è una parte della mia persona che sta vegetando o che è ammalata (ospedale, medici); ti manca qualcosa (sogni di essere in ritardo, di mancare l’appuntamento, di perdere qualcosa); il tuo istinto, i tuoi bisogni vogliono la tua attenzione (animali). Sei pieno di emozioni dolorose (sangue) o di cui sei in balia (mare in tempesta, onde altissime). C’è qualcosa che sta per nascere (essere incinti): accorgitene; stai per trovare la soluzione ad una situazione difficile (trovi una chiave, un passaggio, strada nuova). Noi possiamo essere scettici, perplessi, indifferenti a tutto questo. Possiamo addirittura ridacchiare. L’atteggiamento che l’uomo ha per i sogni è lo stesso atteggiamento che ha per la propria anima. Perché se accetti questa luce che viene devi fare qualcosa. E questo non ci piace tanto. Se accetti ciò che Dio tenta di dirti allora non puoi più far finta di niente. Per questo è più facile dire: “Sono solo sogni”, come a dire: “Stupidaggini, scemenze”. Per questo è più facile ridere e sghignazzare. Altri vorrebbero leggere un libro e interpretare: il libro dice che questo simbolo vuol dire questo. La loro domanda è: “Cosa vuol dire?”. Non cosa vuol dire ma: “Cosa ti vuol dire”. Non devi chiedere all’esperto, devi imparare ad ascoltare il suo messaggio, a decifrare le sue immagini. Devi iniziare ad accoglierlo, ad amarlo, a fargli spazio, perché ciò che vedi sei tu. Un sogno non è questione di curiosità ma è un messaggio di Dio, del profondo. Un sogno, quindi, non è mai uno sfizio della mente ma una spinta ad agire, a diventare consapevoli. Un sogno è un cammino, una strada: ci puoi credere o no, tutto sta a te. Se ci credi il sogno ti dice: “Tu sei così. Tu stai andando in questa direzione. Lo sai, quindi, non aver paura e affronta ciò che devi affrontare”. Un sogno ti coinvolge. Se non ci credi è solo un discorso da salotto e non serve a niente. RICOMINCIA Se sei stanco e la strada ti sembra lunga, se ti accorgi di avere sbagliato strada …. Non lasciarti portare dai giorni e dai tempi ….. Ricomincia. Se la vita ti sembra troppo assurda, Se sei deluso da troppe cose e da troppe persone ….. Non cercare di capire il perché …. Ricomincia. Se hai provato ad amare ed essere utile, Se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti …. Non lasciar là un impegno assolto a metà …… Ricomincia. Se gli altri ti guardano con rimprovero, Se sono delusi di te, irritati ….. Non ribellarti, non domandar loro nulla ….. Ricomincia. Perché l'albero germoglia di nuovo dimenticando l'inverno, Il ramo fiorisce senza domandare perché, E l'uccello fa il suo nido senza pensare all'autunno, Perché la vita è speranza e sempre, sempre ricomincia... Buon Natale M.P.
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Post n°299 pubblicato il 03 Dicembre 2010 da orta0
Tutti noi abbiamo dei riferimenti, dei padri dell'anima, cioè delle persone che ci hanno aiutato a generare la nostra anima e il nostro mondo interiore: sono i nostri padri. Sono quelle persone che noi guardandole, conoscendole, ascoltandole, seguendole, "ci prendevano". Quelle persone di cui stimavamo la forza di animo, la tenerezza, l'amore, il coraggio di osare, la verità della parola, la radicalità delle scelte, l'esporsi anche al pericolo ma il non venire meno ai loro ideali; persone franche, vere, che non si sono mai concesse al sistema, all'opinione pubblica, al "così fan tutti", e che sono andate per la loro strada. Sono i nostri padri. Magari i nostri genitori fossero anche padri. Magari avessimo riferimenti così! Magari avessimo davanti esempi di persone che con la loro vita ci in-vitano a vivere così la nostra. Persone che risvegliano ciò che anche noi abbiamo e siamo, ma che temiamo di far uscire e nascere. Che miti abbiamo davanti? "Campioni", "Il grande fratello", "L'isola dei famosi", eroi dove ci si svende la faccia, la personalità, la dignità per essere famosi, qualcuno; si fa di tutto pur di essere qualcuno. Personaggi disposti a tutto, a perdere se stessi, a s-vendersi pur di raccattare briciole di notorietà. Che miti abbiamo davanti? Padri, religiosi, politici, funzionari del sistema, marionette, burattini che eseguono, che fanno ciò che altri dicono, come in una catena di montaggio. Non c'è nulla di personale, nulla di coraggioso. Per loro abilità è accontentare, il compromesso, risultare graditi. Oggi la politica (e non solo!) si basa sul target, sull'opinione pubblica, su ciò che la gente vuole: non c'è un idea, un'ideale dietro, si diventa ciò che gli altri vogliono. Oggi le persone chiamano "vita" l'essere graditi, riconosciuti il più possibile: perdere la propria personalità per risultare graditi. Quando mi capita di andare in certi bar e vedere questi uomini che passano le giornate davanti alle slot machine, davanti alle macchinette mi chiedo dov'è finita l'energia maschile? Oppure questi uomini "lamentoni": si lamentano per la politica, per la società, per la moglie, per i figli, per tutto. Ma dov'è finita l'energia maschile? Tutti noi abbiamo delle persone che divengono riferimenti, modelli d'imitazione, che, ammirandoli, plasmano le nostre stesse forze nascoste che vediamo in loro. Certo è un po' diverso avere come riferimento davanti agli occhi Loredana Lecciso invece che un animatore di un gruppo. Guardate ai riferimenti dei vostri figli e potrete intravedere cosa diventeranno. Guardo a questi uomini televisivi "perfetti", "rifatti" chissà quante volte, ma senza vita. Guardate l'espressione degli occhi, del volto: sembrano statue, sono senza vita, non c'è espressività. C'è una bellezza mortale, che sa di non vivo, di artefatto, di costruito. Ti chiedi: "Ma che ci sia qualcosa dietro? Che ci sia qualcuno dentro?". E mi ricordo Madre Teresa: questo volto pieno di rughe, segno di vita, di lotta; di chi s'è appassionato, ha vinto e ha perso; di chi s'è giocato, di chi ha pianto, ha amato, ha rischiato, ha osato e si è fidato. Questi occhi pieni di luce e di luminosità; occhi profondi che ti entravano e che ti scavavano nell'anima. Il suo volto era rugoso ma pieno di pace. La pace di chi aveva armonizzato e riappacificato le forze disgregatrici della vita; di chi aveva trovato una fiducia oltre ogni guerra; di chi aveva trovato un giardino oltre ogni morte; di chi aveva trovato un amore per cui spendersi del tutto: un volto che emanava calma, pace, presenza di Dio. Una bellezza piena di vita, di forza di vivere; una bellezza dove l'anima traspare negli occhi e nel volto. |
Post n°298 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da orta0
SeguiteLo, come io l’ho seguito e trovateLo là dove gli altri non lo trovano più, nella sporcizia, nella bestialità, nel disprezzo, avvicinatevi a Lui e aiutatelo fino a che sia di nuovo uomo”.
Vai più a fondo nella tua vita. Entra nella tua insoddisfazione: entra nei tuoi problemi e nei tuoi malesseri; entra dentro di te e smettila di viverti accanto, di viverti da fuori, di viverti da spettatore. Non ti accontentare di rispostine prefabbricate, da libro. Quello che cerchi è ciò che ti nutre l’anima. Non ti accontentare di cosucce che ti diano la parvenza dell’incontro, della ricerca, della conoscenza di te e di Dio: cerca le esperienze vere, quelle “dure”, quelle “che ti fan male”, quelle che ti scombinano perché solo quelle ti fanno andare nel fondo delle cose. Non ti accontentare di avere un’idea della vita, di Dio, dell’amore o della verità: scoprila tu, entraci dentro, conoscila di persona e saprai cos’è. Non evitare ciò che ti è scomodo: tutto ciò che abita in te ti appartiene, tutto ciò che è in te è degno del tuo amore; tutto ciò che è in te ti riguarda: entraci. Nessuno lo può fare per te. Ti posso incoraggiare; ti posso sollecitare; ti posso dire quanto sia meraviglioso vivere così; ti posso comunicare con tutto l’ardore di cui posso che è davvero così, che l’ho sperimentato, che l’ho visto in tante persone, che è proprio vero. Ma ti devi fidare. Cioè, tocca solo a te “prendere il largo” . Questo non lo posso fare io. Quando hai trovato la Vita, quando sei immerso nella corrente non sai dove andrai ma sai che in ogni caso andrà bene così; sai che questo sì che è vivere; sai che non vuoi altro che questo. E allora prega, congiungi le mani in preghiera e rivolgiti a Dio, ma se tutto questo non ti fa sentire suo Figlio, non ti fa sentire che Lui ti vuole, che a Lui non devi dimostrare nulla, che Lui non pretende da te e che Lui non si merita a forza dei nostri sacrifici, se non te lo fa sentire così vicino da toccarlo, così chiaro da vederlo, così percettibile da ascoltarlo a cosa ti serve? “Cosa facevi prima dell’illuminazione?”. “Mangiavo, bevevo, leggevo, dormivo, studiavo, lavoravo”. “E dopo l’illuminazione?”. “Mangiavo, bevevo, leggevo, dormivo, studiavo, lavoravo”. “E la differenza?”. “Prima non lo sapevo e non ne ero cosciente, adesso sì”. Prima la giornata sfilava senza un senso profondo; adesso c’è un motivo per vivere.
Il mestiere più grande è educare gli uomini a ritrovare la propria vita, la propria dignità, la propria libertà. Che c’è di più grande di ridare agli uomini fiducia? Che c’è di più grande che gli uomini ritrovino la forza di vivere e si rialzino dalle loro cadute? Che c’è di più grande che gli uomini riscoprano quanto sia bello e intenso vivere? Che c’è di più grande che gli uomini ritrovino il coraggio di vivere, di uscire dalle proprie prigioni, dai propri rifugi e si sentano degni di vivere così da sperimentare la forza e la bellezza dell’esserci? Che c’è di più grande di quando gli uomini si sentono felici di essere quello che sono? Che c’è di più grande di quando gli uomini percepiscono di non essere qui a caso, ma che si sentano amati, voluti, scelti dalla Vita per compiere un viaggio, per realizzare una missione, perché hanno qualcosa di grande, di prezioso, di loro, di proprio da dare e da donare a questo mondo? Che c’è di più grande di far sentire agli uomini che sono vivi, che sono degni di vivere, che non si devono nascondere, che non devono mascherarsi ma che possono essere quello che sono, che non devono dimostrare chissà cosa o chissà che, ma che possono semplicemente espandersi, esprimersi, essere se stessi? Che c’è di più grande che gli uomini possano vivere la vita senza temere, nella fiducia che c’è un Padre che li protegge, che non li abbandonerà, che li accompagna e che un giorno li abbraccerà? Che c’è di più grande della vita? Che c’è di più grande di salvare un uomo, di riportarlo a vivere? Il Talmud (viene citato anche nel film Schindler’s list) dice. “Chi salva un uomo salva il mondo intero”.
Questo è ciò che vuole Gesù da ciascuno di noi; questo è ciò per cui vale la pena di vivere e tutto il resto, direbbe S. Paolo, è spazzatura, vanità, niente di fronte a questo. E allora lavora per i tuoi figli, dagli una posizione, un’istruzione tutto il bene di cui hanno bisogno: ma non ti serve a niente se tutto il tuo lavorare non arricchisce la loro vita interiore, se non li fa più sorridenti, più creativi, più liberi, se non li fa “pescatori della loro vita” a che serve? E allora datti da fare e agisci: ma non ti serve a niente se tutto quello che fai non ti fa “pescatore di vita”, cioè se non ti fa più sensibile, meno duro e intransigente con te e con gli altri, se non ti fa più molle, flessibile, capace di ricevere e di donare, più aperto nei confronti delle mille sfaccettature della vita e delle persone. E allora vivi, costruisci, relazionati, ma se tutto questo non ti fa più vitale, più felice, più inserito nel grande mistero della Vita, se non ti da la sensazione della meraviglia di questo movimento che noi chiamiamo esistenza, se non ti fa grato di esistere e ricco delle tue giornate a che ti serve? M.P. |
Post n°297 pubblicato il 25 Novembre 2010 da orta0
Aprire gli occhi è doloroso. Molte persone preferiscono vivere nell'illusione piuttosto che scoprire la realtà. Preferiscono ingannarsi. E questo dice quanta falsità regni in certe vite. "L'Italia va male perché le leggi non vengono applicate: ci serve più controllo, più polizia, più autovelox nelle strade". E' questione di applicare le leggi o di cambiare il nostro modo di vivere? "Il disagio dei giovani è dovuto a questa società e al fatto che hanno tutto". Io mi faccio una domanda: "Ma chi la compone questa società? Da quali persone è fatta la "società"? Il richiamo costante e continuo dell'avvento è quello di vigilare, di essere svegli, di non essere addormentarti. "Esci dal sonno; vieni alla luce; svegliati; renditi conto che in certi giorni e in certe zone di te vivi nel buio". Ma per uscire dal sonno devo prima accettare di dormire. Per accendere una candela devo accorgermi che c'è buio. Non permettere che le cose da fare ti diano ansia: resta sveglio. M.P.
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Post n°296 pubblicato il 20 Novembre 2010 da orta0
È atroce avere sotto il patibolo gente che ti schernisce con le stesse parole che Satana aveva usato nei suoi assalti: "Se tu sei il Figlio di Dio, buttati dal pinnacolo del tempio e fatti salvare!". Ti crederanno, se ti salverai dalla morte! E capi e soldati ripetono: "Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto!". È questa la radicale incomprensione del mistero di Gesù e del mistero di Dio. Proprio perché Gesù è il Cristo di Dio, non salva se stesso, perché il suo potere senza limiti riguarda la salvezza degli altri, non la sua. Questa è la logica dell'amore: donare, spendersi per altri, dimenticandosi.
La regalità di Cristo è vera proprio nella debolezza perché capace di annullare l'abisso tra il peccato dell'uomo e la santità di Dio: "Oggi sarai con me in paradiso". Gesù è Re, nessuno è più importante. Il suo regno è già presente e ne facciamo parte, chiunque noi siamo. Dov'è questo regno che è invisibile agli occhi? Nella società dove cresce solo il nulla, quello che non si vede e non si comprende, è deriso. Solo chi conosce il Re, ne sospira la presenza.
Una vecchietta serena, sul letto d'ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla. "Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire". "Lo so", rispose il parroco. "C'è una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano". "Un cucchiaino?", esclamò il parroco autenticamente sorpreso. "Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?". "Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alle cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo vicino al mio posto guardavo subito se c'era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato". "E allora?". "Significava che il meglio arrivava alla fine. È proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno davanti alla mia bara si chiederanno: perché quel cucchiaino? Voglio che lei risponda che io ho il cucchiaino perché sta arrivando il meglio".
Al termine della strada non c'è la strada, ma il traguardo. |
Post n°295 pubblicato il 12 Novembre 2010 da orta0
“I nostri desideri, a volte consci altre volte inconsci, determinano comportamenti e scelte ed hanno dunque una stretta correlazione con il nostro destino.
Sapere quello che vogliamo della vita è importante e la vita fa parte del processo d’espressione della nostra identità. Se desideriamo qualcosa con passione e intensità, ci convertiamo nel nostro desiderio; quando amiamo, siamo noi stessi l’amore.” Siamo molto più di ciò che generalmente pensiamo, siamo creature cosmiche capaci di amare e di creare bellezza I desideri sono impulsi complessi che hanno come origine l’istinto; essi costituiscono la base della nostra motivazione a vivere. Oggi l’uomo è angosciato di non poter più guadagnare; si teme di perdere il lavoro; si teme che il futuro porti malattie o tribolazioni; c’è chi è ossessionato dalla paura delle malattie; c’è chi teme di rimanere paralizzato in una carrozzina o su di un letto. C’è la donna che è angosciata che possa capitare qualcosa a suo marito (e hanno cinque figli!); c’è chi è terrorizzato dalla possibilità di perdere il partner. C’è il timore di una guerra mondiale o di esplosioni atomiche; c’è il mostro del terrorismo islamico; c’è la paura di inondazioni o calamità naturali. Quando si ascoltano i discorsi della gente si percepisce l’angoscia in frasi del tipo: “Il mondo va sempre peggio; la gente è sempre più cattiva; non ci sono più valori; dove andremo a finire?; la criminalità organizzata è sempre più potente; la globalizzazione ci distruggerà; una volta non era così, ecc”. L’angoscia paralizza, toglie il fiato, non ti permette di procedere. Chi ha vissuto o vive gli attacchi di panico conosce bene questa sensazione: ad un certo punto, un po’ all’improvviso, inizi a sudare, le gambe vacillano e hai la sensazione di morire. E’ terribile! L’angoscia è così: ti paralizza, ti toglie il fiato, ti ferma le gambe, ti sembra di morire. Essere angosciati fa parte della vita. Non ci si può sottrarre a quest’esperienza. Questo vuol dire che in certi giorni della vita tutti noi ci sentiremo un po’ angosciati. In fin dei conti il solo fatto di vivere comporta un’angoscia, visto che si muore! Solo lo stolto o il superficiale non sente la bellezza e la meraviglia, ma anche la drammaticità e la tragicità della vita: si muore e si perde tutto. Ma tutto di tutto! Alcune persone però sono angosciate da tutto, da cose per cui non vale proprio la pena. Un uomo è caduto in depressione perché il nuovo arrivato lo ha spodestato dal suo banco di lavoro, così lui ha adesso deve passare su di un’altra scrivania e la deve pure condividere con un altro. Molte persone sono prese da un autentico panico quando si tratta di entrare dentro di sé. Finché c’è da fare, organizzare, fare per gli altri, tutto va bene; ma quando c’è da guardarsi dentro, da mettersi davanti lo specchio, allora sono presi da una paura folle. Sono terrorizzati da sé; hanno la paura di scoprire chissà cosa; hanno il terrore di essere rifiutati se poi emerge qualcosa; hanno la paura di perdere la “bella facciata” che si sono costruiti.
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Post n°294 pubblicato il 03 Novembre 2010 da orta0
Che differenza c'è tra amore e amicizia? Un’ amicizia si può trasformare in amore col tempo, l'amore in amicizia no.
L'amicizia è la prima fase in cui due persone si conoscono e stringono un legame più o meno forte a seconda della confidenza che hanno deciso reciprocamente di dare. Allo stesso tempo ci sono persone con un’insoddisfazione dentro, un tormento, una inquietudine e una irrequietezza e cercano di trovare qualcos’altro; quello che si ha, per quanto si ha, non basta più. Spesso si ha tutto, ma quel tutto che si ha non basta. Infatti la felicità non sta nelle cose, ma nei valori. Le cose sono uno strumento per raggiungere i valori, ma non sono i valori. Desiderare un telefonino è un buon desiderio, ma è solo uno strumento. Perché raggiunto il telefonino, che fai? Che te ne fai di un telefonino quando non chiami nessuno? In realtà tu non desideri un telefonino, ma dei valori che con il telefonino puoi vivere: l’amicizia, l’avventura, la libertà. Non il telefonino, ma ciò che è dietro il telefonino. Non sono le cose che fanno felici ma i valori, ciò che è dentro le cose e che non si può comprare. Un giorno il discepolo andò dal maestro: “Sono dieci volte che chiedo a quella ragazza di fidanzarsi e da dieci volte mi dice di no. Cosa devo fare, maestro?”. “Cambia ragazza!”. Se non sei contento perché continui a vivere sempre così? Se questo modo di vivere ti lascia insoddisfatto, continuando così, cosa pensi di avere? Se facendo A ottieni sempre B, devi cambiare A. La gente vorrebbe per sé una vita diversa facendo sempre le stesse cose: ma com’è possibile? “Ogni volta che vado da mia madre ha sempre qualcosa da dire su come si veste mia moglie”. “Se ogni volta che vai, succede sempre così, fai qualcosa di diverso”. Sapete cos’ha fatto quell’uomo? Ci va senza moglie! Ogni azione è preceduta da un’altra azione. Se non posso cambiare ciò che fai tu, posso cambiare ciò che faccio io. E se io faccio qualcosa di diverso, forse tu avrai una reazione diversa. Dobbiamo imparare e insegnare che il potere è nelle nostre mani: basta col prendercela con il mondo, con gli altri, con chi c’è vicino, per quello che fa o non fa con noi. Non ci piace una cosa: cambiamo il nostro modo di agire e anche l’altro dovrà cambiare il suo. “Il senso della comunicazione è dato dalla risposta ottenuta”. Non ti piace la reazione di uno? Lui non lo puoi cambiare, allora cambia tu, il tuo modo di porti! Into the wild è un film molto famoso che molti hanno visto. Racconta la storia di Christopher McCandless, un giovane che subito dopo la laurea vagabonda per due anni alla ricerca della libertà e della felicità. Morirà a ventiquattro anni e prima di morire scriverà nel suo diario dentro al Magic Bus: “La felicità è reale solo quando è condivisa”. L’amore allora è condivisione. L’amore è volere che tutti vivano, che tutti possano diventare il meglio di sé, che possano esprimersi, che possano fiorire, che possano essere al massimo di sé. L’amore non è dare ma darsi. Per questo tutti possono amare, anche se non hanno nulla o se sono poveri. Per l’amore basta avere un cuore. Ci si converte non perché ce l’ha detto Madre Teresa di Calcutta o San Francesco d’Assisi, perché qualcuno ci dice che è buono così o che sarebbe importante. Ci si converte perché si vede che se si vive così si muore. Conversione vuol dire vivere meglio; Finalmente qualcuno ha fatto breccia nel suo cuore, ha smesso di giudicarlo da ciò che si vede dal di fuori e si sono incontrati nel loro intimo. L’amore (incondizionato) produce dignità: valgo per il fatto di esserci e di esistere. La conclusione, infatti, è ovvia: L’amore è gratuità. E’ l’amore che ci salva la vita. E’ quel giorno in cui, in qualche modo, abbiamo sentito qualcuno che ci ha detto o fatto sentire: “Non voglio nulla da te, non sono qui per questo. Sono qui perché tu sei importante per me e ti aiuterò, se lo vorrai, ad essere il meglio per te”. L’amore è: “Voglio il meglio per te. E sarai tu a decidere cos’è meglio per te”. Per alcune persone l’amore è cambiare l’altro. Ma l’amore, invece, è mettersi a disposizione. Madre Teresa diceva: “Esiste un solo Dio, ed egli è il Dio di tutti. Perciò è importante vedere tutti gli uomini come uguali davanti a Dio. Io ho sempre detto che dobbiamo aiutare un indù a diventare un indù migliore, un musulmano a diventare un musulmano migliore, e un cattolico a diventare un cattolico migliore”. Se amo un poeta, lo aiuterò a diventare poeta. E se amo un fiore lo aiuterò ad essere un fiore. Se amo mio figlio che è un musicista, lo aiuterò ad essere tale anche se a me la musica non piace. Se amo mio marito che è un’artista, lo aiuterò ad essere così, anche se vorrei che stesse più tempo con me. Se amo una coppia divorziata, non vorrò che si rimettano insieme ma che trovino la nuova migliore vita per loro. Se mi amo, mi aiuterò a diventare il meglio di me, anche se chi è vicino ha altre idee. Se amo Dio lo aiuterò a risplendere in questo mondo, per quello che Lui è. L’amore non è dare, ma darsi. Ti dono quello che sono perché tu sia il meglio e il massimo di te. E quando sarai diverso da me e te ne sarai andato allora saprò che ti avrò veramente amato. Muhammad Yunus, Nobel per la Pace nel 2006, bengalese, è l’inventore del microcredito. Dà dei piccoli crediti (anche solo dieci-venti dollari) alle donne del Bangladesh perché possano produrre i loro piccoli prodotti. Quando gli chiesero qual’era la motivazione di tutto questo disse: “L’amore è condividere. Io sono un uomo felice e voglio che anche tu lo sia e che anche loro lo siano. L’amore è condividere. Io sono diventato (credo) ciò che potevo essere: ecco io lo voglio per tutti”.
Ascolto la voce di Gesù che dice a me, come a Zaccheo: “Scendi!”. Da cosa devo scendere? Dove mi sono messo più in sù degli altri? In cosa mi credo più o migliore degli altri? “Scendi!”. Se non si scende si vive in aria. Ma la vita è qui in terra.
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Post n°293 pubblicato il 29 Ottobre 2010 da orta0
Per farsi incontrare non deve essere sopra gli altri, perché se ci incontriamo dobbiamo farlo sullo stesso piano, alla pari. Non uno più su e uno più giù: alla pari. L'unico livello uguale per tutti gli uomini è appunto l'umanità. A quante persone bisogna dire: "Scendi!". "Ma non vedi che ti atteggi come fossi Dio? Ma non vedi che sei sempre superiore a tutti? Non vedi che non ti apri mai? Non vedi che non ti mostri mai veramente per ciò che sei?". Con molte persone a volte si parla a livelli diversi. Non c'è verso di parlare da uomo a uomo, si mettono su un altro piano rispetto a te: ti devono sempre insegnare; ti devono sempre dire cosa fare; ti fanno sempre pesare il ruolo; ti devono mostrare la loro saggezza; ti fanno capire che sanno più di te e che li devi ascoltare; non scendono mai al tuo livello; sono superiori a certe cose e a certi discorsi. Tutto questo per dire che cercare è sfidare e vincere ciò che il mondo può dire di te e superare la paura del giudizio; è non farsi paralizzare da ciò che potrebbe dire incontrare il Signore; è dar credito al desiderio e al fuoco che si sente dentro e non a tutti i "se" e i "ma"; è, insomma, voler con tutte le forze e con tutto noi stessi vederlo. Gesù cerca ognuno di noi. Quand'eravamo piccoli giocavamo a nascondino. Una sera un amico si nascose bene bene. Nessuno lo trovò. Ma non solo nessuno lo trovò, nessuno pure lo cercò. E quando lui dopo un'ora uscì dal suo nascondiglio, si accorse che tutti noi ce ne eravamo andati e che c'eravamo proprio dimenticati di lui: era come se non ci fosse. Chi incontra per davvero Dio non sarà mai più lo stesso, Dio ti cambia la vita. Anche il resto della gente quel giorno aveva "incontrato" Gesù, o meglio l'aveva visto, non l'aveva incontrato nel senso di averlo fatto entrare dentro di sé, nella casa della propria esistenza. L'aveva lasciato fuori, non l'aveva incontrato! Hai sempre dovuto essere diverso da quello che realmente eri perché nessuno ti accettava, nessuno aveva occhi per te. Ti sei costruito una maschera, uno schermo, una corazza e hai cercato che nessuno vedesse oltre. Ma Lui ti dice: "Ma pensi che io non sappia cosa c'è dietro? Lasciami entrare, lasciami amare ciò che sei, lasciami amare non solo la tua forza ma anche la tua debolezza. Io voglio te e non la maschera che ti sei costruito". L'amore ti cambia la vita. Se aprirete quella porta non sarete mai più gli stessi. L'amore vi cambierà la vita. Ma ne vale la pena, ne vale infinitamente la pena; ne vale proprio la pena! La paura bussò alla mia porta. M.P.
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Post n°292 pubblicato il 23 Ottobre 2010 da orta0
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Post n°291 pubblicato il 17 Ottobre 2010 da orta0
Spesso ci si chiede, siamo ancora capaci di riconoscere la Sua voce, sommersi come siamo da un mare di altre voci e altre parole che ci raccontano altri fatti, giudizi sui fatti e anche fatti senza giudizio? Frastornati da trilli e squilli d'ogni genere e specie, dai transistors ai telefonini; collegati in reti (volevo dire irretiti...) che avvolgono l'intero pianeta; bombardati da infiniti messaggi trasmessici da altrettanti infiniti mezzi di comunicazione. Poi quando per un attimo si rimane da soli ci si accorge che mai prima d'ora c'era stata così tanta solitudine e così poca comunione! Perché? Perché abbiamo perso i contatti con l'eterno. Tiriamo fuori allora questa pazienza nelle avversità, la perseveranza nella preghiera, la speranza nell'aiuto divino e la preghiera della fede. Pazienza nelle avversità per questa umanità provata dalle contrarietà della vita: omicidi, adulteri, pedofilia, usura, malattie, abbandoni, divisioni, morte prematura, incidenti, offese subite e procurate, fallimenti… etc. Alcune volte le avversità sono causate dalle persone, altre volte dalla natura. La perseveranza virtù che non deve essere intesa come una forma di testardaggine che si deve adottare per cercare di piegare Dio a fare, o meglio, a concedere ciò che io voglio. Speranza nell'aiuto divino. Tutta la storia della salvezza è un aiuto che Dio offre all'uomo; una mano tesa all'umanità afflitta dal peccato e dalle sue miserie. Tutta la storia è un parlare continuo di Dio. Per cui, una preghiera, che gode della pazienza e della perseveranza, porta alla certezza che Dio esaudirà i desideri che albergano in ogni cuore... perché il Signore è Fedele al suo progetto d'amore per l'umanità. Preghiera della fede. La preghiera autentica nasce dalla fede e porta alla fede. Nasce dalla fede in Qualcuno e corrobora la fede dell'orante. La preghiera esige una fede forte e salda… da una fede del genere ci si accorge che non si può evitare di pregare: fede e preghiera sono inscindibili. Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere. Insistere. Ma non è della preghiera che vi voglio parlare. Ma di quell'ultima, indigesta, bastarda domanda di Gesù che mi martella nelle tempie: "Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?" A dire che forse dobbiamo, come cristiani, fare meno teoria e discorsi astratti, e chiederci se la nostra fede è maturata o no. Se il dono di Dio è stato accettato con amore, oppure è stato collocato in qualche angolo sperduto della nostra vita e ce ne siamo dimenticati, accantonato perché semplicemente dono "scomodo". ma la preghiera del cuore ha fatto ciò che umanamente era impossibile… È tempo di fedeltà, di non mollare, di non demordere. Proprio perché i tempi sono caliginosi. Oggi, durante le nostre assemblee, con la nostra presenza, la nostra vita, il nostro desiderio, potremo dire: sì, Signore, Maestro, se oggi verrai, se ora è la pienezza, troverai ancora la fede bruciare. La mia.
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Post n°290 pubblicato il 09 Ottobre 2010 da orta0
Non cantare, non benedire, (e che importa se si è s-tonati!) è non volersi lasciare coinvolgere, è non voler dar voce a ciò che si ha dentro e la preghiera, l'invocazione, la supplica a Dio più che con le parole si rivolgono con il canto, con le urla, con le grida, perché pregare non è dire parole ma dar voce a ciò che abbiamo dentro, alle nostre emozioni, alla vita che c'è in noi e che vuole essere liberata. Benedico ed elevo a Dio il mio grazie e il mio canto non perché sono cieco e non vedo tutto il male, l'ingiustizia, il sopruso che ci sono nel mondo e intorno a me (e a volte dentro di me), ma perché guardando alla bellezza che mi circonda pur in mezzo a tante crudeltà, guardando alla meraviglia in cui sono immerso pur in mezzo a tante cose incomprensibili, guardando alla bellezza della vita pur in mezzo alla sua parzialità ne scopro i lineamenti della totalità. Nouwen dice: "Non si costruiscono i conventi per risolvere i problemi ma per lodare Dio in mezzo ad essi". Lodare (dal greco aineo) vuol dire "assentire, approvare, dire di sì, essere contento". Lodo la vita non perché tutto sia roseo ma perché le dico di "sì", perché la accolgo così com'è, perché cerco di viverla per com'è, perché sento che ha un valore inestimabile, enorme. Lodare è rimanere fedeli a ciò che sì è: non rifiutarsi, non lasciarsi soli, dirsi di sì. Lodare è essere fedeli ad ogni sentimento, esprimerlo, cantarlo e dargli voce anche si tratta di grida, di urla di rabbia o di disperazione; lodare è essere fedeli allo stupore e all'incanto della vita e alla sua drammaticità. Lodare è sentire in te e rivolgerlo a Lui il grido del fratello che soffre, che è disperato, che nel silenzio urla contro una vita che non gli piace; è piangere e lasciare scorrere le proprie lacrime di fronte all'impotenza di non poter fare niente; è permettersi di commuoversi e lasciarsi riempire dalla felicità fino a scoppiare, fino a sentirsi così pieni e ricchi da urlare di felicità; è non decidere noi cosa è bene e cosa è male per la nostra vita, ma dirle di sì. Lodare è essere fedeli a Dio, dirgli di "sì" anche quando non capisco: e allora Gli esprimo la mia confusione e la mia disperazione, ma canto anche il mio essere nelle Sue mani e che tutto andrà bene. Lodare è essere fedeli a Dio che è Padre, che è buono, e mi impedisce di fossilizzarmi solo sul negativo, solo su ciò che non va bene, solo su ciò che è parziale, limitato o insufficiente; lodo perché vedo oltre, perché vedo che potrà essere anche se oggi non lo è (e a volte mai lo sarà su questa terra), lodo perché vedo con gli occhi del Creatore. |
Post n°289 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da orta0
Ma cos'è la fede? Oggi sappiamo cosa avviene nel nostro cervello. Oggi sappiamo cose che solo dieci anni fa ci sarebbero sembrate incredibili. La fisica quantistica ci dice: "Quando tu pensi emetti dei pacchetti di onde elementari (si parla di tachioni, particelle senza massa) che alla velocità di 857 milioni di km al secondo (!) raggiungono tutto ciò che risuona nell'universo alla stessa frequenza. Se tu hai paura di essere derubato, con quale frequenza ti stai sintonizzando? Con la frequenza: "Rubami!". E che cosa potrà accadere, secondo te? Se tu hai paura che tuo figlio faccia un incidente stradale, ti stai sintonizzando con la frequenza "incidente stradale". E' molto pericoloso questo. Se tu ti pensi "non so come, ma ce la farò", il tuo cervello va a sintonizzarsi con la frequenza "ce la farò" e in qualche modo, a te oggi non conosciuto e incredibile, farà in modo che tu ce la farai. Se tu pensi e vivi: "Sono nelle mani di Dio, Lui mi ama e i suoi angeli mi proteggono", allora ti sintonizzi sulla frequenza "al sicuro; sono protetto", e ti attiri nient'altro che ciò. Inoltre oggi sappiamo che il cervello conscio è delegato per pensare: il suo ruolo è quello di verificare se quello che pensiamo è proprio quello che vogliamo. Il cervello inconscio è delegato a trovare soluzioni. Facciamo un esempio. Tu vorresti guarire (e magari dici anche agli altri che guarirai), ma dentro di te invece non ci credi, hai paura e ti comporti da malato. Cosa fa il tuo cervello inconscio? Va a cercare soluzioni! Ma cosa gli hai dato tu come messaggio? "Malato" e lui non potrà che confermarti questo, sintonizzandoti su questa frequenza d'onda. Quindi ti farà conoscere altri malati come te, magari una struttura di ricovero, un medico che è bravo ad accompagnare i malati, ecc. Ma la frequenza è sempre la stessa: "Malattia". La fede è così: fa uscire, fa nascere, qualcosa d'imprevisto, di "oltre", di "incredibile" per le nostre menti ristrette, per cui l'impossibile diventa possibile, realtà. Dobbiamo insegnare agli uomini ad aver fede. Aver fede non vuol dire pregare di più (casomai la preghiera è un mezzo per aver più fede). Aver fede vuol dire avere la certezza che ce la faremo. Aver fede vuol dire essere certi che l'aiuto o quello che ci serve, che oggi non abbiamo, arriverà. E quando non arriva, rimanere fissi che arriverà, perché arriverà. Non dire "impossibile" solo perché nessuno l'ha mai fatto. |
Post n°288 pubblicato il 28 Settembre 2010 da orta0
Se fai quello che hai sempre fatto
Quando hai un obiettivo, va avanti con tutto te stesso. Se credi in qualcosa, non farti deviare da niente: vai deciso per la tua strada e perseguitala. Se qualcosa ti ha fatto vibrare il cuore, ti ha ridato vita, ti fa vivere, non lasciarlo per nessun motivo. L’importante è non abbandonare mai, bisogna dare delle lezioni, bisogna far capire che la destra non deve sapere mai cosa fa la sinistra, sii caritatevole, sii umano ma non lasciare che l’orgoglio si impadronisca di te! Non puoi dividere ciò che ti piace da ciò che non ti piace di te. Le parti di te che ami, che apprezzi, le doti belle, ecc. Le parti di te che non ti piacciono, quelle di cui ti vergogni, quelle che rifiuti, quelle che nascondi e che vorresti eliminare. Ma non puoi dividere la tua ricchezza dalla tua povertà, perché se lo fai ti condanni all’infelicità. Entrambe hanno bisogno di vivere dentro di te. Se non ascolti i tuoi bisogni, le tue intuizioni, i tuoi sogni, se non ascolti ciò che hai dentro, se fai finta di niente, se non lo vedi, tu ti crei il tuo inferno. La nostra vita dipende da noi, dal coraggio, dall’osare, dal credere a ciò che Dio ha posto in noi. Tu hai un Bambino dentro di te (sei tu nella tua parte divina, luminosa): se non lo fai nascere, se lo fai morire, se lo lasci là, tu rinunci a vivere, ad essere ciò che puoi essere. La Vita che c’è in te vuol vivere, vuol uscire, vuol nascere. Tu però, per paura, non la fai nascere: lei però vuol uscire. Per non sentirla tu ti devi anestetizzare, devi diventare sempre più insensibile. Allora lei urla di più perché vuol uscire ma tu cerchi di soffocarla, sempre per paura. E più lei urla e più tu devi diventare sordo: bene, viene un momento in cui non senti più nulla, in cui la crosta che tu hai messo è diventata troppo spessa e diventa insuperabile. Il troppo tardi si riferisce a questa vita, perché in realtà in Dio nulla è mai troppo tardi. Ma in questa vita a forza di tralasciare e di non ascoltare tu puoi far morire Dio, il Dio in te. Le perle più preziose e uniche sono non in ciò che conosciamo, in ciò che è accettato da tutti ma proprio in ciò che ci sembra impossibile, in ciò che rifiutiamo, in ciò che noi escludiamo. Hai bisogno di tenerezza. La mente dice: “Eh no, tu sei il capofamiglia, tu devi dare, tu non devi ricevere”. Ma cosa succede se per una vita non ricevi mai? Cosa succede se non vieni mai accarezzato? Cosa succede se non sei mai “bambino”? Cosa succede se fai sempre l’adulto che dà? Hai bisogno di stare da solo. C’è un uomo che era commerciante e aveva sempre vissuto molto tempo lontano da casa. Non è che facesse chissà cosa fuori: ma aveva tempo per stare con sé, per guardare la tv, per stare con i colleghi, ecc. Quand’era a casa lui e sua moglie stavano benissimo e si amavano molto. Lui era felice di tornare e lei era felice di ritrovarlo. Un giorno lui va in pensione e quindi non è più in giro. Dopo un anno, lui fa un tumore al fegato. “Cosa gli manca?”, gli chiede il suo dottore. E lui, ridendo: “Il mio lavoro”. Il medico però lo prende sul serio. Così cambia: decide alcuni giorni la settimana di coltivare il suo orto a cento chilometri da casa: sta via, lavora la sua terra e quando torna a casa lui e sua moglie sono felici di ritrovarsi. Il tumore gli è passato. Non so se sia stato quello, però… Aveva tralasciato un valore, un bisogno (stare da solo), per lui fondamentale. Hai bisogno di essere autonomo. Ma se non ci si ama, se si scappa da sé, che vita si può fare fuori di sé? Se quando vedi questa cosa, ti fa male, ti fa soffrire, pensi che perché non la vedi, non ti faccia male? Mi chiedo: cosa accadrà nel tempo, negli anni, se tu sorvoli sempre dal guardarti dentro? Cosa accadrà se certe cose non vuoi affrontarle? Cosa accadrà se non vuoi ascoltare le tue emozioni antiche, sepolte, lontane? Cosa accadrà se non vuoi vedere che tu sei aggressivo, che a volte ferisci e che devi cambiare? Cosa accadrà se pensi di essere così, che questo è il tuo carattere, che tu sei così? Cosa accadrà se fai finta che siano tutte “stupidaggini” tutto ciò che sappiamo dell’animo e dello spirito, e non ti verifichi e non ti fai aiutare e non sviluppi e non evolvi? Sai cosa accadrà. Accadrà che farai la fine del ricco. Accadrà che tu, giorno dopo giorno, ti sarai creato il tuo inferno. E verrà un giorno in cui non ti sarà più possibile uscire, perché la crosta sarà così grossa e spessa che sarà invalicabile. Allora inizierai a dire: “Com’è duro vivere! Nessuno ti regala niente! L’amore: tutto finisce e tutto passa, poi! Sì, sì, belle parole, ma la realtà è un’altra!”. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, diceva Fabrizio De Andrè. C’era un uomo (di nome Ezechiele e che abitava a Cracovia) che faceva almeno una volta la settimana questo sogno: sognava che sotto il ponte del palazzo del re di Praga si trovava un tesoro nascosto. Ma lui abitava a Cracovia. Siccome però il sogno era ricorrente tutte le settimane, decise di andarci. Quando arrivò, scoprì con sgomento che il ponte era sorvegliato dai soldati giorno e notte. Sarebbe stato impossibile scavarvi la buca per trovare l’eventuale tesoro (ammesso che ci fosse, poi!). Tutte le mattine andava a vedere… ma non c’era niente da fare. Il capitano dei soldati, vedendolo per molte mattine, gli chiese che cosa facesse tutte le mattine lì. Il capitano quando sentì il racconto dell’uomo e del suo sogno, si fece una grande risata: “Ma lei crede a questi sogni? Ma come si può essere così stupidi? Pensi che anch’io ogni settimana sogno che vi è un tesoro sotto la stufa nella casa di un certo Ezechiele, che abita a Cracovia! Ma sarebbe stupido che lo seguissi, non gli pare! Tanto poi che metà degli uomini di Cracovia si chiama Ezechiele”. L’uomo ringraziò il capitano, tornò di corsa a casa sua, scavò sotto la sua stufa e, effettivamente, lì c’era un incredibile tesoro. La differenza dove stà ? Credere ai propri sogni. Credere all’impossibile.
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Post n°287 pubblicato il 21 Settembre 2010 da orta0
Quanta gratuità c’è e quante cose fa un genitore per suo figlio? Eppure fare tutto questo lo fa felice! E’ il segreto della vita…
… Fai qualcosa di gratuito ogni giorno per essere ogni giorno felice.
Perché più dai (gratuità) E più avrai (felicità). Le parabole sono un modo amorevole e non violento di dir qualcosa e di far vedere altre verità. Una parabola è una storia, un racconto, che non ti forza a credere: ti fa vedere una cosa, ma senza accusarti, senza giudicarti. Se vuoi capire, lì capirai tutto: parla di te ma non parla a te. C’è una donna, ha cinquant’anni. E’ da vent’anni (!) che vorrebbe imparare a suonare la chitarra ma si vergogna. Lei è un’esponente in vista della città, è un magistrato e teme il giudizio dei suoi colleghi. E ogni anno si dice: “Quest’anno mi iscrivo o no?”. E poi non lo fa. Allora le si potrebbe dire: “Ma svegliati, fallo e basta! Ma che te frega!”. Ma così sei diretto, forse troppo, forse potrebbe prenderlo come un attacco; se le dici così magari lei comprende: “Ma sei proprio stupida a non farlo! E che sei un magistrato!!!”. Ma se tu le racconti una storia, lei capisce (se vuole capire). Le dici: “C’erano un padre e un figlio che andavano in città a vendere i loro prodotti con il loro asino. Lungo la strada la gente li vide e disse: “Guarda quelli! Hanno l’asino e loro camminano a piedi!”. Allora il figlio monta sull’asino… Dopo un po’ passano vicino per delle case e la gente commenta: “Ma guarda quel figlio! Lui giovane sull’asino e il padre, che è vecchio a piedi!”. Allora fanno cambio: il padre sull’asino e il figlio a piedi. Ma dopo un po’ di strada dell’altra gente dice: “Ma guarda te, che padre! Il padre sull’asino e il figlio, poverino, a piedi!”. Allora montano tutti e due sull’asino… Ma dopo un po’ finché vanno in paese, la gente dice: “Ma guarda te, non hanno proprio pietà per quell’animale”. Tu non dici altro, e lei, se vuole e se può, capisce. C’è un ragazzo che vorrebbe dire ad una ragazza il suo sentimento di amore. Ma ha paura di essere rifiutato o di ricevere un no. Ma intanto il tempo passa. Si potrebbe dirgli: “Svegliati e vai, prima che qualcun altro te la 'rubi'”. Ma potrebbe sentirsi giudicato e dire: “Vedi, non sono capace neanche di dire quello che ho dentro!”, e così otteniamo l’effetto contrario di quello che vogliamo. Perché non dirgli, ad esempio: “Sai un giorno mi hanno portato del tiramisù, buonissimo. A me piace tantissimo il tiramisù. L’ho messo in frigo e aspettavo, aspettavo, aspettavo l’occasione buona, migliore per mangiarlo… ma ho aspettato troppo e quando sono andato per mangiarlo non era più buono”. Gli dici questo, e se vuole capire, lui capisce. Perché non solo dobbiamo stare attenti a dire le cose, ma anche a come le diciamo. Quando dici una cosa ad uno e lo ferisci non passa più il tuo messaggio (anche se magari era buono e vero), ma la ferita. E non si può poi giustificarsi dicendo: “Io gliel’avevo detto!”. Sì, d’accordo, gliel’avevi detto. Ma come gliel’avevi detto? Amore è comunicare senza ferirsi e relazionarsi in maniera sana e positiva. Le parabole sono simili. C’è una quantità (dieci; cento, che è dieci volte dieci); poi si perde qualcosa e non c’è più la totalità. C’è una ricerca che può richiedere anche tempo. E poi c’è una grande festa quando si ritrova ciò che si è perduto. Nella vita ci si perde. Quando pensiamo al “perdersi” pensiamo spesso all’allontanarsi dalla chiesa o al fare qualche peccato che ci allontana. Sì, è una possibile lettura. Ma qual è la cosa più grave che possiamo perdere? Noi stessi. Per molte persone la vita è una malattia. Sì, vivono, vanno al lavoro, hanno una famiglia, ma tutto è pesante, sempre difficile e niente mai appassiona o suscita veramente emozione. Ci si diverte anche un po’, ma nel profondo c’è un senso di tristezza, di amarezza, di inutilità, di scoraggiamento. E se glielo chiedi non sanno dirti il perché. Ti dicono: “E’ così, ma non so il perché. So solo che sono scontento, depresso, insoddisfatto”. Perché? Perché non sono al loro posto nel mondo, magari i suoi valori sono stati accantonati. Si trovano fuori posto. Quando siamo fuori posto, quando cioè tralasciamo i nostri valori, ciò che è importante per noi (che a volte neppure sappiamo), quando non percorriamo la nostra strada e non viviamo la nostra missione nel mondo (magari per paura o perché ci è comodo così o per evitarci dei cambiamenti), allora siamo scontenti e ci ammaliamo di mal di vivere. Siamo non più sulla nostra strada ma su di un’altra che non è la nostra: e lì non possiamo stare bene! La biologia racconta benissimo questo mal di vivere. Una pecora, come quella del vangelo, si allontana dal gregge. La pecora non ha senso dell’orientamento né fiuto: quindi più cammina e più si allontana. Ma una pecora fuori del gruppo, fuori del branco, in natura, non ha scampo, è morta. Lei non lo sa ma il suo cervello sì. La natura è meravigliosa: cosa fa infatti il suo cervello? Il suo cervello necrotizza la corteccia surrenale (che secerne il cortisone) e così la pecora è senza forze, esaurita e crolla di fatica. E’ la soluzione perfetta: così stanca e sfinita, si ferma e smette di allontanarsi dal gruppo; se così non avvenisse si allontanerebbe sempre di più. Questo permette al cane e al pastore di cercarla e di trovarla. Quando viene ritrovata, le cellule corticosurrenali producono una scarica di cortisone, la pecora si rialza, vacilla un po’ e poi torna di corsa nel gregge. Quando siamo sempre stanchi, quando tutto ci costa fatica, quando siamo depressi, è perché non siamo al nostro posto nel mondo. Ci siamo persi, viviamo lontani da noi e dai nostri valori. La stanchezza, come per la pecora, è un modo “gentile” della natura per non farci allontanare ancor di più. Allora: quando sono infelice di tutto, quando niente mi riempie, mi entusiasma, quando mi sento sempre depresso o triste, quando sono sempre insoddisfatto vuol dire che mi sono perso. Sono come quella pecora: fuori dal mio gregge, fuori di me, fuori dai miei valori, fuori dalla mia strada. Per quanto lontani si vada, per Dio non siamo mai troppo lontani. “Per quanto lontano o in basso sei caduto, non è mai troppo tardi. Quanto tu ti “fai”, ti butti nell’alcool, rovini la tua famiglia o i tuoi figli, perdi tutti i tuoi soldi, vieni scoperto a fare qualcosa che non avresti dovuto fare (o mille altri errori), tu perdi il tuo valore. Agli occhi di chi ti è vicino e del mondo, tu non vali più niente (è per questo che si prova vergogna). Ai tuoi stessi occhi non vali più (e questa è la cosa più difficile da accettare): “Guarda cos’ho fatto? Imperdonabile! Come ho potuto? Che vergogna!”. Ma il vangelo è il recupero di tutto ciò che era perduto. Nel vangelo, se tu sei morto puoi tornare in vita e a vivere. Nel vangelo, se tu sei ammalato puoi tornare a guarire. Nel vangelo, se tu sei paralizzato puoi tornare a camminare e se sei cieco puoi tornare a vedere. Nel vangelo, se tu sei andato a fondo puoi tornare a galla. Nel vangelo, se tu sei diventato un peccatore puoi essere perdonato e tornare puro e integro. Nel vangelo nessuna esperienza negativa è veramente definitiva, se tu lo vuoi, nessun errore (agli occhi di Dio) vi farà perdere mai la vostra dignità e il vostro valore. Il vangelo non a caso dice: “Dieci dramme e cento pecore”. Dieci, cento indicano una totalità. Tu vivi, sei contento del lavoro, della famiglia: tutto va bene. Ma c’è qualcosa che ti manca. Non sai cosa, ma senti che non basta, che non sei mai veramente felice, proprio soddisfatto della tua vita. C’è sempre una irrequietudine, un’agitazione, un nervosismo lieve ma presente. E’ la situazione delle tue parabole: ci sono nove dramme, ma in realtà manca qualcosa. Ci sono ben novantanove pecore, ma in realtà ne manca. Non ci potrebbe accontentare? Sì, si può… molti lo fanno. La maggior parte delle persone non vive male, anzi. Ma le manca sempre qualcosa. Il vangelo dice: “Cerca quel di più, cerca quel qualcosa che ti farà vivere in pienezza, appassionato, impegnato, coinvolto, dentro e che ti farà sentire così terribilmente vivo”. Il vangelo è chiaro: “Non ci può essere gioia vera e profonda finché non si è trovato proprio quello” (15,6.9). Il pastore deve lasciare tutte le sue novantanove pecore (le sue certezze) e fare un cammino per trovare la gioia. La donna deve accendere la luce (consapevolezza), lasciare i suoi lavori (dedicarsi cioè a quello e non ad altro) e cercare, per trovare la vera gioia. Bisogna lasciare molti tesori (che ti possono essere rubati e che tu temi di perdere) per trovare il vero tesoro che non ti può essere rubato. Perché la gioia più grande sta nel tesoro più grande. E’ il salto della fede: quello che fa di un uomo religioso un uomo di fede. Lasciare certezze, regole, sicurezze, farsi scombussolare, fare un viaggio che ti porterà lontano, molto lontano, che ti farà diverso, per trovare non un tesoro ma il Tesoro. Un uomo uscì correndo dalla sua casa alla vista di un monaco che attraversava il suo villaggio e lo afferrò per il collo della tonaca: “Dammela! Dammi la pietra”. Il monaco chiese: “Di quale pietra stai parlando?”. E l’uomo rispose: “Ieri notte Dio mi è apparso in sogno e mi ha detto: “Un uomo passerà per il tuo villaggio domani a mezzogiorno. Se ti darà la pietra che ha nella sua sacca sarai l’uomo più ricco del mondo”. Quindi dammi la pietra”. Il monaco rovistò nella sua sacca e ne estrasse un diamante enorme, il diamante più grande del mondo. Allora disse: “E’ questa la pietra che vuoi? E’ grossa come un pugno; l’ho trovata nella foresta, Prendila è tua!”. L’uomo gli strappò la pietra dalle mani e corse a casa. Quella notte però non riuscì a chiudere occhio. Al mattino, trovò dove il monaco dormiva sotto un albero frondoso, lo svegliò e gli disse: “Riprenditi la pietra, ma dammi la ricchezza che ti permette di dar via un diamante come questo”.
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Post n°286 pubblicato il 19 Settembre 2010 da orta0
“Quando ti trovi di fronte ad un problema, trova soluzioni creative”. Gesù non loda l’amministratore per ciò che ha fatto. Non dice: “Ha fatto bene a fare così” e quindi: “Se tu puoi rubare, intascare, fai altrettanto!”. Gesù loda la capacità di reazione di fronte ad una situazione compromessa: non si è rassegnato, non si è buttato giù, non ha ”pianto il morto”; ha trovato una soluzione creativa di fronte ad un reale problema. Il padrone lodò l’amministratore disonesto”. Per quanto santo fosse quel padrone non è pensabile, non è sensato che, derubato dal suo amministratore, gli abbia detto: “Bravo! Hai fatto proprio bene! Ti stimo per ciò che hai fatto!”. Cosa vuol dire allora quella frase. Ma se tu sai che la parola “padrone” del versetto 8, “κυριος”, vuol dire anche “signore”, allora cambia tutto. Adesso sì che capiamo. Il versetto finiva: “Il ‘κυριος’ (e si poteva tradurre padrone o Signore) lodò il comportamento di quel padrone”. Chi scrisse non capì il senso e scelse “padrone”. Non è il padrone che loda l’amministratore (assurdo: nessun padrone và contro di sé), è Gesù che dice a quell’amministratore: “Hai agito con scaltrezza e astuzia, in maniera creativa” (a conferma di ciò il fatto che “κυριος” usato in forma assoluta in Lc designa solo per alcune volte Dio, le altre diciotto sempre Gesù). La parabola dunque finiva così: “Gesù lodò il modo di agire di quell’uomo” (non quello che ha fatto). L’amministratore è un uomo che sa valutare molto bene la realtà e Gesù vuole che impariamo da lui. Lo schema è semplice. Situazione: non può più lavorare lì. Quella strada non è più praticabile. Valutazione: altri lavori non sono possibili; altre strade simili neppure. Strategia: bisogna operare in maniera diversa, con un’altra logica. Bisogna cambiare strada. Scelta creativa: si fa degli amici concedendo uno sconto sul loro debito. Cambiamento di strada. Quando una cosa non funziona più, è inutile insistere, lottare, illudersi che potrà cambiare. Quando una cosa non funziona più bisogna semplicemente cambiare. C’era un uomo (fatto reale riportato da Bandler e Grinder) che si credeva Gesù Cristo. Gli psichiatri avevano provato tutti i metodi classici, ma nessuno riusciva a fargli cambiare idea. La situazione sembrava senza vie d’uscita e irrisolvibile. Così un giorno Bandler va da questo uomo e gli chiede: “Lei è Gesù Cristo?”. E l’altro: “Sì, figlio mio”. Al che Bandler gli dice: “Torno tra un istante”. L’uomo rimane un tantino confuso; tre o quattro minuti dopo, ecco che Bandler torna con un metro a nastro. Chiede all’uomo di allargare le braccia, ne misura l’apertura, misura quindi l’altezza dell’uomo, e se ne va. L’uomo che si proclama Gesù Cristo resta un tantino incerto. Qualche minuto dopo Bandler ritorna con un bel trave di legno, un'altro appuntito da una parte, un martello e dei chiodi. Bandler richiede: “E’ lei Gesù Cristo?”. E l’uomo: “Lei lo ha detto, io lo sono!”. Bandler: “Bene, bene!”. Così distende l’uomo sopra il trave, gli apre le braccia (l’uomo è totalmente confuso ed esterefatto), prende un chiodo e il martello. In quell’istante l’uomo gli chiede: “Ma si può sapere cosa sta facendo?”. Bandler: “Lei è Gesù Cristo, sì o no?”: L’uomo: “Gliel’ho detto, io lo sono”. Bandler: “Bene, bene, perché io sono il governatore romano Ponzio Pilato e lei sa bene cosa adesso gli faccio…”. Non finisce di dire queste parole che l’uomo si mette ad urlare: “No, no, lo giuro, non sono io Gesù Cristo, non sono io…”. Caso risolto. L’uomo non si definì mai più Gesù Cristo. Viktor Frankl visse nei campi di concentramento dove perse tutta la sua famiglia. In quella situazione non si poteva sopravvivere se non si fossero trovati dei motivi sensati per poter accettare quell’esperienza orribile. Così si disse: “Questa sarà la mia università di vita!”. E sopravisse! Quando una cosa non va sei tu che devi cambiare; quando ti trovi in una situazione difficile, trova una soluzione creativa, diversa. La gente, invece, si ostina a ritentare sempre la solita cosa. Ma l’hai già provata, non funziona, perché vuoi sbattere la testa contro il muro? Cambia strategia, vedi le cose in maniera diversa. E, invece no, la gente continua a sbatterci la testa e a farsi male e poi dice: “Non c’è niente da fare!”. No, invece di voler passare per il muro, bastava girarsi e accorgersi che dall’altra parte c’era la porta. Alcune persone non si perdonano più certi errori e continuano a fustigarsi. Ma fustigarsi è farsi del male ogni giorno. Alcune persone continuano a rimuginare e a ripetersi che cosa avrebbero dovuto fare in quella situazione, come avrebbero dovuto comportarsi; che non si doveva agire così, ecc. Tutto vero, ma ormai è successo. Che si fa? L’uomo onnipotente, orgoglioso dice: “Non dovevo farlo. L’ho fatto, imperdonabile!”. E non si perdona perché l’errore distrugge l’immagine di bravo cristiano, di bravo uomo, e lui non può accettarlo, non può vedersi così. Certo avremmo dovuto fare diversamente ma non lo abbiamo fatto, non ne eravamo capaci, non ci siamo accorti o semplicemente non è andata così. E allora? Vogliamo ucciderci per questa cosa? A che ci serve morire (dentro o fuori che sia)? Cosa risolviamo? Ciò che è stato fatto è stato fatto; il passato non si cambia più. L’unica cosa che puoi fare è imparare a non ripetere e perdonarti. Una volta erano colpe imperdonabili avere un figlio fuori dal matrimonio; lasciare il sacerdozio; rimanere incinta senza essere sposata; avere avuto una relazione con un'altra persona, ecc. Chi si macchiava così aveva finito di vivere perché la società (e lui stesso) lo marchiavano per sempre. Eri finito! Eri per sempre una persona minore (svalutazione), un “poco di buono”. Se sbagliavi eri finito per la società e per la religione di allora, avevi perso al faccia e non c’era nessuna possibilità di reintegro. C’è una donna che non è stata affettiva con suo figlio. Lei lo sa e suo figlio ne ha sofferto molto. Adesso non è capace di dirgli di no; gli dà tutto, gli permette tutto, gli lascia fare tutto perché vive di rimorsi. Avrebbe dovuto essere diversa, non lo è stato e adesso cerca di compensare. Così aggiunge danno a danno. Perdonati: dovevi essere diversa, non lo sei stata, adesso però basta. Quante persone dopo un errore, un atto realmente grave, “fanno una croce” su di sé sentenziandosi una condanna di morte! Hai rubato; hai tradito il partner, hai sbagliato ad educare i figli, ecc.: fatti oggettivi. Di fronte a certi errori non c’è altro da dire: “O.k, ho sbagliato!” oppure: “Sì, ho agito io così!”. Ma non perde la propria dignità. Quando sbagliamo dentro di noi una vocina dice: “Fai schifo! Oddio che ho fatto! Ma perché l’ho fatto! Sarebbe stato meglio morire piuttosto che…”. “Ho sbagliato ma non sono da buttare”. Qualunque cosa tu faccia, perdonati. Perdonarsi vuol dire: “Io ho fatto questo… (e bisogna non dirselo solo fra sé e sé nella propria testa; bisogna dirlo a qualcuno perché solo dicendolo a qualcuno lo sentiamo anche noi e possiamo accettarlo). E poi: “So che questo ha creato questo… (dolore, sofferenza, ferite, perdite)”. “Sono cosciente di questo e mi scuso con le persone che ho ferito (e si va dalle persone a cui si è fatto del male e si chiede scusa)”. E poi, fatto tutto, si dice: “Adesso però basta”, e si torna a vivere liberi e a testa alta. Proprio nel momento in cui l’amministratore ha sbagliato si accorge degli altri e li aiuta. Non è da imitare il comportamento ma il senso di ciò che fa quell’uomo. Finora aveva sfruttato quelle persone e le aveva trattate senza cuore e senza umanità. Per lui erano stati degli esseri da spremere il più possibile. Adesso si accorge che sono degli uomini. E perché se ne accorge? Se ne accorge perché adesso anche lui si trova nella loro condizione. Anche lui adesso è un debitore verso il suo padrone come prima loro lo erano verso di lui. In quel momento nasce la misericordia. Un uomo perfetto non può avere misericordia, né amore. Un uomo perfetto non può che rifarsi alle rigide regole, alle norme e sentenziare: “Hai sbagliato, paghi, ben ti stà, dovevi pensarci prima!”. Solo chi ha provato, sperimentato su di sé cosa voglia dire sbagliare, sentirsi uno schifo, sentirsi indegni, sentirsi colpevoli può conoscere la misericordia. Chi non hai mai sbagliato (ed è impossibile per un uomo!) non conosce che la regola: “Te l’avevo detto, lo hai fatto, paghi tutto”. Chi non sbaglia mai non può che giudicare: “Che gente!”. Chi non sbaglia mai non conosce Dio perché, tutto sommato, crede di potersi meritare l’amore. Tutti dicono di sbagliare ma la maggior parte delle persone, dentro di sé, crede di non fare grossi errori. Il guaio è che non è che non li faccia, ma che non accetta di vederli, così continua a mantenere integra l’immagine di brava persona. Per questo poi è spietata con la gente. Dentro di sé dice: “Per fortuna che io non sono come loro!”. Dentro di sé dice: “Io non lo farei mai” (ma lo dice solo perché non si conosce per davvero). L’uomo del vangelo compie un cambio: prima aveva messo tutte le sue energie per defraudare i debitori. Adesso le usa per aiutare i debitori. E ci mette tutta la sua passione e la sua grinta. Trasforma un errore in una forza. Se tu sei stato alcolista e ne sei uscito, non puoi che mettere tutta la tua energia per aiutare altri ad uscire. Se tu sei stato “un poco di buono” e ne sei uscito non potrai che lottare per aiutare altri ad uscire. Se tu hai vissuto nella paura e nel terrore di tutto, adesso che ne sei uscito, non potrai che dire a tutti quanto sia meraviglioso vivere senza paura, e non potrai giudica chi vive così. Se tu hai fatto un grosso errore, non puoi giudicare gli altri che lo fanno perché tu sai quanto dolore e quanta lacerazione c’è dietro (il che non vuol dire che li giustifichi o che dici che hanno fatto bene). Non potrai che aiutarli in questo doloroso passaggio. Il perfetto non conosce tutto questo; il perfetto ha troppa paura di scoprire il suo lato ombra. Gesù non è molto preoccupato dal nostro sbagliare. Gesù è più preoccupato dal nostro non voler ammettere di sbagliare, dal nostro far finta di niente, dal nostro credere di essere “tutto sommato” a posto. E’ importante esser consapevoli che, le colpe, i segreti di famiglia, le vergogne, i figli illegittimi e i tradimenti si trasmettono nelle nostre memorie a livello biologico. Così i nostri figli pagheranno le nostre colpe non perdonate. La Bibbia dice le colpe dei padri ricadono sui figli. E’ proprio così. Una donna ha tradito suo marito. La cosa dopo un po’ di tempo è finita e nessuno lo sa. Ma non è vero che nessuno lo sa perché tu lo sai e lo sanno anche le tue cellule. La colpa è inscritta dentro di te e se non te ne liberi la passerai ai tuoi figli, senza che neppure lo sappiano. Sei stata con tuo marito ma per tanto tempo hai pensato e amato un altro uomo, anche se non è successo nulla. Puoi dire: “Beh, non ho fatto niente. Beh, non è successo nulla”. Ma il tuo cuore e le tue memorie sanno tutto. Se non ti perdoni questo rimane in te e passa ai tuoi figli. Vivi una vita vuota e ti senti in colpa. Non rimanerci per te e per chi ami. Ti senti in colpa per certe scelte: non rimanere in colpa, per te e per i tuoi figli perdonati. Ti senti in colpa perché non sei come i tuoi genitori ti volevano? Perché non realizzi le aspettative che gli hanno su di te? Perché hai deluso te stesso? Perdonati, per te e per chi ami. Ti senti in colpa perché quando tua madre è stata male prima di morire avresti dovuto starle più vicino e aiutarla di più, e prenderti più cura di lei ma non l’hai fatto? Perdonati. Ti senti in colpa perché sei una persona gelosa, perché hai un carattere difficile, perché non riesci a trattenerti e scoppi di rabbia, perché ripeti i soliti errori: perdonati! C’è chi sbaglia una volta (errore) ma c’è chi sbaglia ogni giorno (colpa). La colpa è quella voce che tutti i giorni ti ripete: “Non dovevi farlo; cos’hai fatto?; se gli altri sapessero!”. La colpa ti tiene legato al tuo errore e ti punisce non una volta (errore) ma tutti i giorni della tua vita. Se vuoi essere libero, liberati dalle tue colpe. Liberarsi dalle colpa implica: 1. riconoscere di aver sbagliato (come ci si può liberare da ciò che non si vede?); 2. ammettere l’errore e sentire tutta l’intensità delle emozioni collegate; 3. agire con le persone se sono interessate (chiedere perdono a loro); 4. fare un gesto fisico, reale, che rompa il legame con la colpa (una donna che si sentiva in colpa con il padre, ora morto, ha scritto una lettera, è andata in cimitero e in presenza di un testimone gli ha letto a voce alta la lettera, dove gli ha scritto tutto ciò che doveva dirgli). Vivi da perdonato perché da colpevole si è destinati solo al giudizio e al patibolo. La libertà è verità. La verità è libertà. M.P. |
Post n°285 pubblicato il 07 Settembre 2010 da orta0
Quando hai un obiettivo, va avanti con tutto te stesso. Se credi in qualcosa, non farti deviare da niente: vai deciso per la tua strada e perseguila. Se qualcosa ti ha fatto vibrare il cuore, ti ha ridato vita, ti fa vivere, non lasciarlo per nessun motivo.
Non farti fermare dal dolore o dalla sofferenza. Quante volte le persone dicono. “E’ difficile!”. E’ vero, tutto è difficile prima di essere facile! E’ meglio soffrire un po’ all’inizio che soffrire tutta la vita. Si usa “odiare” per indicare che in certe situazioni non si può venire a patti, a compromessi: bisogna proprio rifiutare la situazione e bisogna essere radicali, decisi e risoluti. Il punto è che spesso tutto questo è inconscio o poco consapevole. Allora tutti questi “legami”, questi genitori interiorizzati, questo super-io dentro di noi, queste autorità che ci sono dentro di noi, come dei giudici, come dei tiranni, ci costringono a fare e a vivere delle cose che non vogliamo e che non sono per noi. Una volta piangere era segno di debolezza, la regola era che mostrare i sentimenti è “male” e che si soffre in silenzio, credo che invece piangere sia normale, un po’ come la pioggia: anzi è bene che ogni tanto piova così la terra (il cuore) si ammorbidisce. Credo che essere duri nel tempo fa diventare insensibili, allora, per me, ben venga la “mollezza”, il pianto e la vulnerabilità. E quando accade non mi vergogno più. Se altri invece la vivono, non li giudico, perché è la loro vita. Quando vivi la tua vita e non ti sottrai a tutto ciò che vi è in essa, e devi confrontarti con le tue paure e i tuoi mostri, con il vedere cose che non vorresti vedere di te, e devi diventare adulto, responsabile e devi andare per la tua unica e irripetibile strada, non chiedendo approvazione e conferma da nessuno, si soffre, si fatica, si piange, è dura. Allora: odiare padre, madre, moglie e chiunque altro vuol dire che più nessuno, se non che io, sono il responsabile della mia vita. Costruisciti la tua vita, smettila di piangerti addosso e di accusare gli altri, la società, la vita, gli amici, la famiglia che non ti ha dato quello che ti doveva dare, prendi la tua vita, modellatela, costruiscitela, vivila e segui la tua missione”. Non c’è nessuna autorità a cui devi obbedire se non che a te e al Dio che c’è in te. Sei il pieno e unico responsabile della tua vita. A chi piace essere rifiutato? A chi piace essere trattato come un pazzo? A chi piace essere deriso? Diventare adulti vuol dire rimanere da soli, ma bisogna che sia così: quando sono solo, non posso che fare questa strada solamente, perché è la strada del mio cuore e per nessun altro motivo. Se non si è in grado di stare nella solitudine non si può essere autonomi. La domanda non è solo: “Cosa voglio fare/essere?” ma anche: “Lo posso fare/essere? Ne ho la capacità?”. Perché se non ce l’ho è inutile iniziare ciò che poi non posso affrontare. Siamo noi che facciamo. Non funzionerà: e poi quella è la nostra vita, la loro se la costruiranno loro! “E se ti sbagli?”. Le cose non cambiano: siamo noi a cambiare. M.P.
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Post n°284 pubblicato il 06 Settembre 2010 da orta0
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Post n°283 pubblicato il 04 Settembre 2010 da orta0
Bisogna passare sempre per la porta stretta! Noi viviamo in una società di persone anestetizzate, drogate, attaccate. E non ce ne accorgiamo! Siamo come i bambini che si attaccano al biberon. E chi è attaccato è un parassita, cioè, succhia il sangue degli altri per vivere. Vi sono molti casi pietosi, di cui se ne occupano diverse associazioni umanitarie ….. ma spesso, spesso tra chi chiede aiuto è nascosto oltre che un parassita, un/a delinquente che non riesce a cambiare il suo modo di vivere. Essere voluti bene dagli amici è una cosa buona e bella. Andare bene a scuola è una cosa buona. Essere stimati e rispettati è una cosa buona. Essere belli e attraenti; sentirsi in grazia è una cosa buona. Essere efficienti, organizzati, sapersi ben programmare è una cosa buona. Tutte cose buone, ma sono una droga quando iniziamo a sentire che senza di loro non potremo più vivere. Allora abbiamo paura di perderle. Allora ci si attacca e con tutte le forze ci si lega. In quel momento non più le cose servono a noi, ma noi serviamo le cose. Non più amiamo le persone ma abbiamo assoluto bisogno di essere amati. In quel momento perdiamo la nostra libertà. Cosa non facciamo per essere voluti bene! Alcune persone pur di essere amate, riconosciute, pur di ricevere briciole di amore, si sposano con "personaggi" che mai non le potranno amare; altre mandano giù di tutto e immolano la propria vita solo perché temono di cambiare o di rimanere da sole; altre si impediscono di esprimere le loro doti, la loro creatività, la loro emotività e fantasia; altre si distruggono nel posto di lavoro per ricevere (e non arriva mai!) un "bravo", un "grazie!". Noi abbiamo bisogno di essere amati, di essere riconosciuti, voluti, accolti, abbracciati, che qualcuno stia con noi. C'è stato un tempo (quand'eravamo bambini) in cui non potevamo viverne senza e abbiamo fatto di tutto pur di averne almeno un po'. Ma se per fare questo oggi perdiamo la nostra identità, ci adattiamo e siamo disposti a tutto, allora quest'amore ci rende schiavi, dipendenti e fa di noi qualcosa che non siamo. E ce ne dobbiamo staccare, anche se è difficile, anche se è doloroso, anche se è lacerante. L'amore è una faccia della medaglia. L'altra è la libertà. Una medaglia ha sempre due facce. Non c'è amore vero senza libertà. L'amore è la faccia bella della vita. La libertà la faccia esigente. L'amore crea unioni, la libertà crea persone. L'amore senza libertà crea solo legami di fusione, di confusione, di simbiosi e di paura. E' come essere ancora attaccati al cordone ombelicale. Non si è sciolti, slegati, indipendenti. L'amore con la libertà crea una persona che non marcia più al ritmo dei tamburi della società, ma segue la danza, la musica che sgorga dal proprio cuore. A volte è in sintonia con quella degli altri, a volte no. Chi è libero può seguire Iddio. Chi è occupato segue (ovviamente) qualcun altro. Se la persona al suo interno è troppo debole e fragile, non cresciuta, l'amore non potrà svilupparsi nonostante tutte le loro buone intenzioni. Bisogna guardarsi per quello che si è e fare i calcoli su ciò che si è e non su ciò che speriamo o che desideriamo. Allora, per non prendere cantonate dalla vita, bisogna inseguire non solo ciò che si vorrebbe fare od essere, ma ciò che si può fare ed essere in base alle nostre reali possibilità ed energie attuali. Alcune persone continuano a fallire perché si pongono degli obiettivi troppo alti, presumono da sé, non calcolano chi sono, cosa possono dare e quanto possano impegnarsi. Bisogna sempre fare i conti con la realtà, con la dura e cruda legge della realtà. Perché la realtà è l'unica cosa che esiste, il resto è fantasia della nostra testa. Confessiamocelo: molti di noi vorrebbero essere diversi e invece siamo questo. Molti di noi, come vorrebbero cambiare la loro storia, il loro passato, le loro scelte! E invece sono queste. Molti di noi vorrebbero vivere in un altro mondo, in un mondo che non c'è, che non esiste e che non ci sarà mai. Non in questo così crudele, difficile e duro, invece, questo è l'unico mondo che esiste. Vorremmo essere più semplici, più simpatici, più intelligenti, meno ansiosi. Vorremmo non aver detto quel "sì" o invece, avere avuto il coraggio di dire quel "no". Vorremmo non aver incontrato quella persona; vorremmo che le persone che ci sono vicine fossero diverse, che ci aiutassero di più, che si accorgessero di quanto abbiamo bisogno d'amore. Vorremmo che la gente ci apprezzasse di più e sparlasse un po' meno di noi. Vorremmo che non ci fossero tutte queste guerre e tutto questo odio in giro. Vorremmo avere più tempo da vivere, più tempo per i nostri figli, per noi, per ciò che ci appassiona e meno tempo di lavoro e di costrizioni sociali. Ma la realtà è questa. M.P. |
Post n°282 pubblicato il 01 Luglio 2010 da orta0
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Post n°280 pubblicato il 10 Giugno 2010 da orta0
Se non riconosci il tuo bisogno di piangere; se non accetti e senti il tuo dolore non puoi essere felice né guarire. Una volta si diceva con orgoglio: "Un vero uomo non piange mai!". Così gli uomini si facevano "il cuore col pelo"; "Un vero uomo non cede mai, non si inchina, non si abbassa a niente", che è proprio il contrario di ciò che afferma le beatitudini: "Beati coloro che si piegano!". Oppure: "Un vero uomo non fa mai vedere ciò che prova", così non si poteva mostrare né l'amore che si provava, né la tenerezza, né la commozione, né la sofferenza. Essere "duri" era un modello ….. "Un vero uomo non ha bisogno di nessuno, non chiede aiuto a nessuno". Così capitava che le persone erano dentro ai loro problemi e ci annegavano sempre di più. Ciò che è tragico è che tutto questo è disumano e noi lo abbiamo elevato a santità, a modello; ciò che è tragico è che sono state le scienze umane ad insegnarci la falsità delle nostre convinzioni, mentre da sempre avevano le beatitudini (che sono il centro del messaggio di Gesù) e il vangelo che ci insegnavano tutto il contrario. Vulnerabilità è commuoversi quando tuo figlio fa la Prima Comunione; vulnerabilità è sentire la rabbia e l'urlo dentro di fronte a certi fatti di cronaca; vulnerabilità è la tenerezza di fronte a chi soffre, ad un bambino piccolo o a tutto ciò che è piccolo; vulnerabilità è accettare che si deve morire e che tutto finisce. Le beatitudini non vogliono dire: "Si è felici solo se si piange o se si soffre" ma "si è felici solo se si è in grado di sentire" la vita, solo se non si ha il cuore come un sasso o una pietra. E se tu non provi nulla, se tu non sai piangere, se tu non accogli la tua sofferenza, allora sei insensibile e non puoi percepire la vita. Ascer, felicità, in ebraico è Elohim א "nel principe/principio" רש (sar) mentre Adamo è Elohim א "nel sangue" מד (dam). Elohim è l'uomo che diventa divino, che si sviluppa fino a somigliare e a diventare immagine di Dio, come dice la Genesi all'inizio della Bibbia. Elohim è ciò che siamo in profondità, nella nostra essenza, nel nostro essere profondo. L'uomo non lo sarà mai, ma è più o meno in cammino verso di esso. Per tutti questo è un cammino che avviene nel sangue (A-dam), nella fatica, nella lotta. L'uomo è fatto di Dio (Adamo è Dio, Elohim, nel sangue) ma deve raggiungersi. Ma cosa ha fatto Adamo? Ha tradito il suo compito, il suo essere, il suo nome e ha voluto essere Dio (la tentazione del serpente) in "un attimo, subito", magicamente. Ha voluto saltare questo cammino doloroso: ma non si può, dice la Bibbia, non è possibile. Quando l'uomo vuole saltare questo cammino evolutivo doloroso allora "si perde" (peccato), allora la sua vita non potrà che essere un cammino solo di sangue, solo di morte, solo di alienazione. Per noi occidentali la felicità è una meta: "Arrivo lì e sarò felice"; "Quando avrò quello allora sì che sarò felice". Così ci illudiamo che quando avremo tanti soldi (meta) saremo felici. Così lavoriamo anni e anni per raggiungere la meta: avere tanti soldi nel conto in banca. Così ci distruggiamo e facciamo orari impossibili perché il conto corrente si impingui e quando raggiungiamo la nostra meta (se la raggiungiamo!) ci accorgiamo che non siamo felici. Anzi iniziamo a pensare (distorsione della mente): "No, mi sono sbagliato, sono troppo pochi questi soldi; ma quando ne avrò di più allora sì che sarà felice…". E così continuiamo a correre. Così ci illudiamo che quando raggiungeremo quel titolo di studio (o quel posto di lavoro) allora sì che varremo. Così spendiamo tutto per raggiungere quel traguardo, sacrifichiamo i nostri anni più giovani, sacrifichiamo tempo, sole, pace, relax, amicizie, relazioni, intimità, per raggiungere il nostro traguardo. Alcuni poi non arrivano mai al traguardo e così hanno un motivo per vivere: raggiungere il loro sogno impossibile. Ma vivranno sempre nel tentativo di raggiungere qualcosa di cui si rendono ben conto che non avranno. Ci sarà, quindi, in loro un senso di frustrazione e un rammarico tremendo. Hanno associato che felicità=quel traguardo; e siccome mi accorgo che non posso averlo=non sarò felice. Chi lo raggiunge, invece, avrà un'amara sorpresa: non basta, ce n'è un altro. Perché se il tuo valore dipende da una meta raggiunta rimane la realtà che tu non hai valore. E così ri-inizierai una nuova rin-corsa per un altro traguardo. E correrai sempre in ri-cerca di qualcosa che non prenderai mai e che ti sfuggirà sempre. Quante persone hanno ragionato così: "Quando sarò sposato (meta) allora sì… quando avrò un figlio (meta) allora sì… quando sarà passato questo periodo (meta), allora sì… quando conoscerò l'uomo giusto (meta), allora sì… quando cambieremo di casa (meta), allora sì… quando andrà via il mio capo (meta), allora sì…". Tutta la nostra educazione si fonda su quest'impianto: "Quando raggiungerai… sarai felice". "Se vesto così (mezzo), allora sarò accettato". "Se ti alleni e sei bravo (mezzo), giochi la partita di calcio, altrimenti te ne stai in panchina (traguardo)". "Se fai così (mezzo), allora ti voglio bene (traguardo)". "Studia (mezzo) e avrai un bel lavoro (traguardo)". E' tutto così! Tutto ha un obiettivo, uno scopo: ma tutto dev'essere fatto per un motivo? Ma ci dev'essere uno scopo per tutto? La felicità ha uno scopo? Non è che si possa fare qualcosa anche senza motivo, disinteressatamente? Non è che la felicità venga da ciò che si fa senza motivo, ma solo per spinta del cuore? Non è che la felicità sia fare le cose per piacere, per passione, per entusiasmo?
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La sera quando i pensieri, i ricordi
Si fanno più intensi
Accendi una candela
Sarà la luce del tuo Angelo.
Nella penombra,Egli saprà farsi sentire
Saprà farsi ascoltare.
In quei momenti non avrai freddo
Ma sentirai la pelle d’oca,
sentirai nel tremolio della fiamma
il volteggiare delle Sue ali,
sentirai nel calore della fiamma
il Suo alito baciare il tuo viso.
Egli sorriderà hai tuoi sogni
E veglierà il tuo sonno.!
( michael)
ORME
Orme di piedi
sfiorano fili d'erba.
Orme in scia
alla ricerca del tempo
trascinano un ricamo
su quel prato decorato di fiori.
Petali riflessi nella notte
oscurano le stelle,
leggeri desideri sfiorano
la luminosità dell'anima.
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