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Ovatta

Un paio di settimane fa, di questi tempi, ero per lavoro a Cagliari. Partenza in un brutto giorno per gli aereoporti del Nord Italia. Molti i voli, sul tabellone, accanto alla cui sigla veniva affiancata la parola “delayed” (quando buttava bene), o “canceled” (quando buttava proprio, ma proprio, male). A Cagliari,  invece, avrei trovato 18 gradi, 12 quella sera in cui avrei riprovato che sensazione dà un giubbino legato in vita a fare le veci del marsupio, mero contenitore di portafogli, sigarette, accendino ed i-pod.

Raggiungo l’hotel prenotato nel centro di Cagliari su una impersonale ed asettica auto a noleggio, il navigatore mi guida sicuro, sapiente ma non intelligente: è certo delle mappe inserite, ma non sa quanto obsolete, in effetti, esse siano. Prima ancora di entrare avevo già acquistato una  T-shirt di cui mi ero invaghito nello stesso istante in cui vi avevo posato lo sguardo, in un negozio di souvenir incontrato dieci metri prima. Una doccia veloce, dieci minuti sul letto a sciallarsi un attimo, una sigaretta ad occhi chiusi per distendersi bene, e via in giro per la città.

Bellissima, molto più ricca di storia di quanto.. non saprei se dire “ricordassi” o “sapessi”, ma l’ignoranza si può manifestare in varie forme. Sono ormai le nove e mezza, ed a causa del pranzo saltato e dell’ora e mezza a vagare senza meta prefissata, turistòs-fai-da-te armato solo di gambe ed un senso dell’orientamento inferiore al necessario, si fanno sentire i morsi della fame. Decido di entrare al primo locale avessi incontrato. Un messicano, ma tant’è. Entro. Mi tolgo la curiosità di assaggiare un’Ichnusa (“Biooonda Sardegna”), anche due, e perché non tre, mentre cheto lo stomaco con delle tortillas. Nel frattempo, non so perché (oh, non so mai niente!), sento l’esigenza di scrivere un messaggio ai miei. Mai fatto, in vita mia. Sempre l’ultimo della classe a telefonare a casa, durante le gite scolastiche. Una sola telefonata a metà della gita. Per dire che stavo bene, che mi stavo divertendo, che saremmo rientrati alle ore XX del giorno YY. Stop. Eccomi quindi a scrivere due righe sul fatto che l’aereo non era scivolato sul ghiaccio e che Cagliari meritava una visita.

Dieci minuti dopo, un messaggio di risposta. “Non perderti le emozioni. Buona serata.”

Sto camminando in una via parallela a quella di destinazione, c’è un pub, sembra carino, decido di entrare. Che non c’è nessun pericolo ch’io mi perda un emozione. Anzi. Ho da ovattarle, cazzo.