Creato da Solo_Vita il 10/08/2006

Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

Acqua

Post n°196 pubblicato il 03 Aprile 2011 da Solo_Vita

L'estremità del piccolo pontile sembra vacillare ad ogni soffio di vento. Trema ad ogni sussulto come una dama al primo bacio, fragile com'è nel suo legno tarlato e nella sua passerella priva di manutenzione.

All'altra estremità le assi di legno marcio si distendono sino ad arrivare alla piccola spiaggetta. La sabbia a grana grossa, scura, imperfetta, tradisce l'erosione meno nobile rispetto a quella esercitata dal mare.

E' buffo questo specchio d'acqua che sorge su un cratere vulcanico. Ogni estate l'emergenza siccità, mentre poi alla fine dell'inverno sembra sempre necessario dover innalzare le travi di qualche decina di centimetri, saranno trent'anni che gira la voce sul corriere dell'Umbria, perchè -si rischia grosso e andrebbe almeno impedito l'accesso-.

Eppure siamo tutti sempre qua. Ogni volta che le cose vanno bene, tutte le volte che le cose vanno male, quando tutto sembra stagnante come in un'infinita palude.

Sarà il fascino dell'acqua, la sua energia, o magari il suono prodotto dalla brezza che sibila tra le canne. Pare musica.

Mille volte mille giri senza meta sono finiti qui. Per parlare, per stare da solo, per anestetizzare un dolore con tennent's e lucky strike, o magari per fare l'amore.
Sono infinite le lune che hanno reso argento l'acqua davanti a Castiglione del lago,  che hanno fermato attimi a Tuoro, che si sono messe a giocare con una pellicola fotografica sopravvissuta agli anni a San Feliciano.

E sorridi della volte che hai giocato con lui a fare il mare, mentre spegnevi il telefonino e lasciavi che qualcuno si tormentasse mentre la voce metallica della segreteria informava che non eri raggiungibile. Tu, che giocavi al marinaio dalla donna in ogni porto che faceva attendere Penelope.

Suona qualcosa nelle orecchie Vasco, ti prego, mentre il legno scricchiola e l'unico desiderio è quello di svuotare mente, stomaco e cuore da pensieri pesanti come il cielo che sembra appoggiato sulle spalle.
Ma niente, la musica non arriva, mentre qualche schiamazzo lontano è portato dal vento assieme allo sciabordìo delle acque che si frangono sulla prua di una piccola barca a vela che salpa verso il centro del lago. Intravedi una donna con una bordolese in mano, sembra ubriaca, mentre un uomo le cinge saldamente la vita. E' un attimo immaginare una storia, la vita di un altro te.

Sai, a volte è buffo come tu possa venire tormentato da quella stessa vita che hai rifiutato.

-Gli errori capitano a tutti-, troppe volte questa frase ha echeggiato dentro di te, nelle stanze piene di fumo e sesso appena consumato, quando ti ostinavi a scopare forte per dare un resto degno a chi ti dava amore. Tu che avevi solo spiccioli e mai pezzi grossi.

E' strano quando qualcuno ti fa aprire gli occhi rispetto a quella vita al massimo che pensavi di aver condotto, rendendoti consapevole che la differenza tra stringere un pugno di mosche o uno di farfalle è veramente sottile.

Ancora più strano quando è qualcosa a farteli aprire. E non sai cosa daresti per stringere una mano calda, morbida, profumata.

Ma le farfalle sono fuggite dalla mano, le farfalle sono fuggite dallo stomaco.

Buona fortuna.

 
 
 

Il Canto

Post n°195 pubblicato il 25 Marzo 2011 da Solo_Vita

C'è odore di fiori nell'aria ancora fredda.

I pensieri nella testa sono confusi mentre la penombra della stanza è scheggiata dai lampi del vecchio tubo catodico. Sorrisi anni ottanta figli di un palinsesto al risparmio si scontrano con la povera tappezzeria strappata.

Il letto disfatto, un posacenere stracolmo, dall'ultimo mozzicone abbandonato sale perpendicolare un filo di fumo grigio che sembra puntare dritto al cielo, come se il soffitto scrostato neppure esistesse. La bottiglia di Oban è in fin di vita, lasciata com'è con solo due dita di whisky sul fondo.
Nessuna traccia umana all'interno della stanza dell'alberghetto da una stella nel cuore della Città Eterna.

Fuori intanto tardano ad arrivare gli ultimi baci della notte ormai di passaggio, quelli sofferti, sudati, meritati e maledetti perchè, vista l'ora, non potranno avere seguito alcuno.
E scorre il Grande Fiume, testimone di imperatori, puttane, brava gente e anime tormentate alla ricerca di un nascondiglio sicuro e limaccioso.

Sembra impossibile ma c'è ancora chi si chiede se sentirsi felici senza apparente motivo sia una colpa. Si interroga mentre la radio passa un motivetto stupido, candidato a diventare il tormentone, trovandosi di colpo a canticchiarlo mentre un sorrisetto immotivato si distende come una gazzella rattrappita su in alto, verso gli zigomi.

-E' una colpa la felicità?-

Semaforo lampeggiante giallo, la vecchia golf rallenta, si assicura che non arrivi qualche pazzo dell'ultimo minuto e varca l'incrocio.

Al sorriso si è aggiunto un leggero tamburellìo delle dita sulla corona del volante. Cazzo quanto sei bella Roma, mentre scorro dentro di te in questo viale che costeggia il Tevere.

Il mozzicone si è spento e il filo perpendicolare di colpo si spezza come se fosse una cesoia invisibile a tagliarlo -ZAC!-. Rimangono così soltanto i telefilm in milionesima visione ad animare qualcosa che è morto almeno cinquant'anni fa, mentre un brivido corre tra i capelli e le venute intrappolate sulla moquettes dalla notte dei tempi. Chissà che facce avevano gli ultimi due amanti che si sono dati stendendosi senza remore sul pavimento, chissà dove sono, cosa fanno. Come mai tutto passa.

Bolle il Fiume stasera, dicono dipenda dalle piogge dell'ultima settimana e dal caldo che ha sciolto le nevi chissà dove, ma chi lo conosce non sente un borbottìo, bensì un canto.

E lo intona il vecchio Marcello, mentre guarda lo spicchio di cielo che riesce ad intravedere tra i cartoni che lo coprono.
-Una volta era un capitano d'industria e ora guarda com'è ridotto- dicono di giorno i passanti ai bambini che lo incrociano per impaurirli -se non studi farai la stessa fine-.

E piange il Vecchio, ma senza lacrime.Non ne ha più. Sogna una donna, l'unica, tutte le notti, sperando di poterla riabbracciare, baciare, amare di nuovo.

Ha scelto di starle vicino lui, proprio accanto al letto del Tevere, scrigno torbido dell'unica amata di sempre. Lei che non potendolo scegliere a vent'anni, lo aveva scelto per sempre.

In notti come questa sembra di sentirlo cantare, provate ad ascoltare. E' bellissimo.

Nel frattempo una golf passa con la musica a tutto volume, il conducente intravede una sagoma stretta tra i cartoni, impreca, e affonda il piede sull'acceleratore.

Nessuna traccia della felicità, una cesoia invisibile l'ha tagliata via, neppure fosse fumo.

Un'altra primavera sta per arrivare.

Buona fortuna.

 
 
 

Nuovi Giorni

Post n°194 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da Solo_Vita

Un soffio di brezza leggera agita il foglio denso di parole scritte con la penna buona, sul tavolinetto dello studio.
Porte e finestre serrate, eppure da qualche parte giunge quest'alito in grado di destare dal sonno della ragione quell'istinto che sembrava essere stato definitivamente sopito.
Le parole sussultano, come l'indice dell'uomo nella Cappella Sistina, incerte se scoppiare fragorose nell'aere gelido come un sepolcro o serbare ancora le loro energie per chissà chi, chissà quando.

Provano ad esplodere, ma gli occhi del giovane sono distanti, persi, imbambolati.
Fissano una porzione scrostata di muro, venuta alla luce dopo che un vecchio dipinto ad olio si è fracassato a terra qualche giorno fa senza alcun segnale premonitore.
Rappresentava una scena bucolica, due giovani in mezzo ad un prato che banchettavano con aria spensierata, mentre non distante scorreva placido il fiume. Tutt'intorno pace, tranquillità, un'infinita linea orizzontale che attraverso lo spazio da sinistra a destra, senza sorpresa alcuna.

Giorni, mesi, anni da bambino ad immaginare chi fossero, se attendessero qualcuno, cosa contenesse il loro cestino di vimini.
Giorni, mesi, anni da adolescente turbato a pensarle in pose oscene, scoprendo di fronte a quel dipinto da quattro lire quanto il diventare uomo potesse essere una forza incontrollata in grado di stringerti di colpo un nodo alla gola, rendendoti improvvisamente il corpo smanioso e la mente rigida.

Ora invece nessuna emozione, il palmo delle mani appoggiato sui braccioli della poltrona di pelle e la schiena perfettamente infossata nello schienale. Fuori un'alternanza indistinta di soli e lune senza alcuna capacità di scalfire la tana.

Poi un altro soffio di brezza, gridano le parole, impossibile non compiere una faticosissima deviazione degli occhi verso la carta da lettere porosa pregna di inchiostro blu.

<Quando hai mal di stomaco, quando preferiresti rimanere chiuso fuori dal mondo che festeggia, quando le stelle sembrano girarti contro e quando invece hanno preso una cotta per te.
Cercami, tra gli occhi della folla, nel silenzio della tua anima, nel sogno che sembrava realtà.
Non abbandonarmi, ti prego. Dammi una ragione di vita.
Io, che senso potrei mai avere, senza qualcuno che crede in me?>>

Una scarica elettrica attraversa i muscoli. Il battito accelera. Il diaframma stira forte i polmoni.
Il cervello si attiva per calcolare il percorso da fare per giungere alla porta ed aprirla. Tornare al mondo, tornarci ora.
Infine un terzo soffio di brezza si distende nella stanza. E' un sospiro, un gemito, un'imprecazione che svuota la cassa toracica: un nome di donna rimane biascicato a mezz'aria, giusto un istante prima che tutto torni nella perfetta, totale immobilità di qualche minuto prima.

Non ha molto senso l'amore, senza qualcuno che riesca a scandirne chiaramente il nome.

Buona fortuna.

"Notti fredde e silenziose: esplorate.
Schiene madide di sudore: sfiorate.
Occhi lucidi e speranzosi: ingannati.
Limiti di velocità: superati.
Buonsenso: cacciato via a calci in culo.
Leggi della fisica: umiliate.
Dignità: rimasta impigliata al cartello indicante il passaggio di provincia su una strada che corre verso il mare.
Sogni: assenti.
Sapori: non pervenuti.
Parole: finite.
Ritratto di un guerriero che c'era, poi è sparito e non si sa dove sia. Vivo, morto, sospeso tra cielo e terra, nessuno lo sa.
Ricordi di una vita che fletteva al vento come una spiga di grano maturo tenuta a penzoloni sulle labbra, appena poco sopra una terra feconda e profumata.

Improvvisi, laceranti, avvisi ricodano intensi attimi."

 
 
 

L'Ultima Puntata Dell'Angelo

Post n°193 pubblicato il 14 Ottobre 2010 da Solo_Vita
 

Sembra bollire il mare nero in questa notte scura, senza stelle, senza luna. L'estate si sta dileguando, lasciando il posto libero ad uno stato di caos in attesa che il generale inverno venga a prendere le consegne.

E' sempre così in questa fase: la lotta di potere per occupare l'aria delle notti sospese tra tramonti arancio e albe rosa si combatte tra le ultime correnti calde africane e le prime che scendono dal grande Est, caricate di gelo dalla corsa a perdifiato sulle steppe.

E il mare sta lì.

Percepisci chiara la sua inquietudine a pochi metri da te, mentre annusi l'aria in piedi sull'ultima lingua di banchina che si allunga verso l'infinito.

Alle spalle il piccolo faro di Castiglione cerca di penetrare la notte densa, in cui gli unici contrasti di bianco sono figli della spuma che, abbondante, si manifesta con le sue mille bollicine che in un attimo scompaiono per poi ricrearsi.
E' il soffio rabbioso dell'infinito questo, sembra quasi la copiosa saliva ai lati delle fauci di un cane idrofobo, bramoso di esplodere ed azzannare da un momento all'altro.

C'è rabbia. La rabbia del mare, la tua. Quella di chi sente in balia degli eventi, da sempre sotto un cielo che se è limpido ti colora di blu mentre se è grigio ti tinge di un'aria malinconica e triste.

E ogni volta il cielo che ti colora ha un nome diverso, occhi diversi, un tono di voce che diverrà inconfondibile, una pelle liscia a profumata come nient'altro prima. Ogni volta.
Attrae l'attenzione coi modi gentili, ti seduce con l'aria dell'amante consumata, annienta le tue difese con sorrisi disarmanti, ti fidi, ci cadi, sei suo.

E tu prendi i suoi colori, gli odori, i sapori: il grano del biondo, il vetro degli occhi di ghiaccio, il caramello della pelle bronzata dal sole, il rosso del sangue pompato con forza, il blu della follia prima di mollare gli ormeggi e salpare verso l'istinto.

Ti lasci andare ad un tango mai provato, certo di poter condurre una danza che ti fa sentire come un pittore fortunato che impara a mettere su tela il ritratto fedele della vita, che impara a dipingere la paura, il coraggio, l'amore.

Poi però cambia il vento, passa la stagione, si placa lo scirocco ed arriva il maestrale, così è inevitabile rimanere sconcertato, spiazzato, impreparato.

Non si è mai pronti per un cambio repentino, è sempre difficile abbandonare qualcosa che ha occupato uno spazio dentro di te.
Conduciamo esistenze placide, incolori, lineari e poi di colpo, in una giornata assolutamente uguale alle altre, mentre le nostre solite consuetudini ci fanno compagnia tutto cambia.
Come quando un colpo di vento apre le finestre della sala da pranzo e non capisci perchè, come un fulmine a ciel sereno, come un sogno che continua per trenta secondi dopo che ti sei svegliato prima di sparire per sempre.

I desideri si vestono di lei, le sue canzoni preferite diventano le nostre, siamo capaci di calcarne i lineamenti ad occhi chiusi, con delle semplici tempere a sogni.

Poi, senza preavviso, la muta, repentina e violenta come il cambio di pelle dei serpenti. Tratti del viso tesi stirano sorrisi che iniziano a latitare, mentre le parole si fanno rarefatte, come aria di alta quota, come aria di miniera nel centro della terra.
Istintivo avere paura, sciocco pretendere di cambiare il corso delle cose, naturale sentire il peso della gravità che schiaccia le spalle e ricorda che sei sullo stesso pianeta di tutte le altre delusioni, dei piccoli sogni, delle speranze che vanno e che vengono.

Non esistono strategie vincenti quando si hanno le carte sbagliate in mano. A volte la Donna di Cuori, vale molto più del tuo asso.

Godi, vivi, incazzati e mentre ancora stai vincendo comprati un plaid: ti sarà utile per surrogare il suo abbraccio nelle prime, fredde, sere di inizio autunno.

Buona fortuna.

 

A Volte Dovremmo Avere La Capacità Di Stare Zitti, Altre Invece Di Parlare. E' Delle Persone Intelligenti La Capacità Di Discernere Tra Questi Momenti.
Perchè ti rendi conto della fortuna che hai soltanto quando questa ti abbandona.
Succede con le carte, quando corri in moto col vento che ti preme sul petto, quando improvvisamente i tuoi colpi magici diventano soltanto insolite stravaganze.
Culo per terra ed occhi al cielo: sta a te scegliere a quale delle due percezioni dare la priorità.
Uno scrittore che diventa geloso delle sue stesse parole non merita un foglio bianco da scrivere.

 
 
 

Un'Ottima Annata

Post n°192 pubblicato il 18 Settembre 2010 da Solo_Vita
 

Non fa più male il sole di settembre.

Ha perso il suo vigore, si concede al massimo il lusso di una prolugata, dolcissima, carezza. Finito l'impeto di luglio e agosto, mesi di passioni bruciate una dopo l'altra, ora c'è spazio solo per la splendida complicità che accompagna senza violenza le foglie verso il giallo, come un abbraccio d'amore che t'impedisce di respirare ma al quale non vorresti mai sottrarti.

Con loro finiscono a terra e marciscono anche le potenti fiammate estive che hanno acceso i sensi, stretto gli stomaci e fatto accelerare i cuori, splendidamente spavaldi sotto un chiaro di luna disteso sulla sabbia fine di una caletta appoggiata sull'orlo del Tirreno e dimenticata dal tempo.

E' un caleidoscopio di sensazioni la notte di settembre, con la sua arietta fresca che già chiama i primi cardigan a proteggere la pelle ancora abbronzata, mentre la voglia di concedersi un bagno salato è ancora una vera e propria esigenza, una necessità innegabile.

Dentro settembre c'è di tutto.

Le vite che vanno improvvise e giovani, senza lasciarti neppure il tempo di dire -grazie- per ciò che ti hanno insegnato e quelle che arrivano, magari facendo un gran casino, dentro appartamenti troppo piccoli, sconvolgendo le certezze di ragazzi mai troppo trentenni per sentirsi padri.
Ed è paradossale, ma è molto più facile immaginare una cellula che diventano due, poi quattro, poi otto e così via sino a formare una vita, piuttosto che pensare al mistero eterno che incombe su ciascuno di noi.
Sì che questa esistenza nella quale ci hanno catapultato assomiglia a certe settimane di vacanze prenotate con troppo anticipo sulle ali di un entusiasmo presto sfumato: al momento di partire girano quasi le palle perchè non ci va, ma poi quando dobbiamo abbandonare la villeggiatura ci sentiamo sempre tristi e malinconici pensando a quello che stiamo lasciando e che non volevamo neppure.
Noi, eterni insoddisfatti. Noi da sempre incapaci di passare la mano anche con le carte cattive.
Noi, con queste esistenze  che abbiamo cominciato per istinto ed alle quali poi ci affezioniamo, afflitti da implacabili strette allo stomaco al momento di vidimare il nostro biglietto per la gita in traghetto sullo Stige.

Ma non è tutto.

Dentro ci sono i fragorosi silenzi di chi ha scelto di sparire dalla vita altrui, sperando di sedare così un dolore in realtà inevitabile, come solo l'amore rifiutato sa dare. Tutta quell'energia che se non è convogliata su un'altra anima si ritorce su chi l'ha creata, mandandolo in corto circuito e devastandolo, scarnificandolo, rendendolo meno di niente. Dovrebbero scriverlo sul bugiardino di questo gran bel sentimento, anche se poi non cambieremmo di una virgola. Ci scommetto: troppo bello poter dare alla felicità un taglio di occhi, un timbro di voce, un profumo della pelle per rinunciarci a priori.

Ci sono poi le parole di chi ne ha pronunciate tante, forse troppe, per far capire al mondo il suo disagio, rimanendo incompreso. Arrivando addirittura a sentirsi diverso da tutti, incompatibile con gli incastri di una società usa e getta, disperandosi del suo stesso esistere.
Sino a che una notte non è stato ascoltato dalla luna e portato da una fata sin lassù, per farci l'amore come sognava da sempre. Unirsi alla luce nel bel mezzo della notte nera. Brividi e parole. Una splendida melodia suonata dal silenzio. Viaggio di sola andata per le stelle.

C'è spazio anche per i pensieri sottili ed impalpabili che solo l'immaginazione sa regalare. Un piccolo gesto, un sorriso, un lampo negli occhi, che accendono la fantasia e colorano i pensieri di un turchese intenso anche quando il cielo è grigio.
Piccoli ninnoli brillanti che mescolano argento indiano, gocce di luce e lampi biondi con ricordi che sanno di caffè, incenso, lavanda e salsedine.
E ti fanno sentire vivo. Anche quando il cuore sembrava volersi fermare. Anche quando le navi partivano verso il largo e tu dovevi rimanere lì, ancorato ad uno scoglio sferzato dal maestrale.

Perchè a volte la vita si colora anche di questo in settembre, coi chicchi d'uva sempre più grossi e profumati e le cantine pronte a mettersi in pancia tutto quel prezioso succo.
Passerà del tempo, ci sarà un'incubazione fatta in barriques, diventerà vino e poi saremo veramente pronti per comprendere tutto nella sua interezza, centellinandolo a piccoli sorsi. Solo interponendo il giusto numero di albe e tramonti tra l'uno e l'altro momento però, mai prima.

Forse anche noi dovremmo fare così: prendere il bello maturato sino ad ora, coglierlo, spremerlo ed aromatizzarci l'anima prima che tutto diventi spoglio e poi nudo, ubriacandoci di intenso, di forte, di vissuto, di occhi, di baci, di carezze, di notti insonni, di chilometri fatti senza rispetto, di sogni mai svaniti nonostante tutto e tutti.

Voglio vendemmiare queste sensazioni, farle mie e non separarmene mai più perchè ormai ne sono certo: col suo bene e col suo male questa sarà comunque ricordata come un'ottima annata.

E lo dico sorridendo, mentre scendono grosse lacrime salate.

Buona fortuna.

 
 
 

Agosto

Post n°190 pubblicato il 04 Settembre 2010 da Solo_Vita

E' una città vuota questa Firenze. O forse piena.
 
Vuota del suo caos, del traffico, del trambusto, dei ritmi frenetici, delle foto dei giapponesi e dei tacchi di Gucci che sorreggono giovani caviglie dell'est che accompagnano annoiati miliardari settantenni coi loro occhi avidi di decolltè e le loro mani eternamente appoggiate sui glutei scolpiti. Che fastidio.
Non ci sono le urla degli ambulanti, pronti  a richiamare i turisti con le loro esclamazioni curiose in tutte le lingue.  Sarei proprio curioso di sapere che idea si fanno all'estero di noi dopo averli sentiti...maremmamaiala!>

Sono chiuse le botteghe orafe che mi circondano mentre l'Arno, qualche metro più sotto, scorre placido carezzando gli argini neppure fosse un amante che gioca col viso del suo amore clandestino.
Alle tre di notte di un mercoledì di agosto Firenze mi si para davanti come una donna che ha diviso il letto con me e si è appena svegliata.
Senza trucco, senza orpelli, senza alcun modo di modificarsi. E' al naturale.
Sono spente le vetrine che attirano gli occhi dei visitatori provenienti da tutto il mondo, nessun tavolino fuori dai bar per poter bere un aperitivo che mescola in parti uguali aperol, prosecco, soda e suggestioni.
 
Siamo soli, io e Lei. Mi piace.
 
Passeggio su Ponte Vecchio e riesco a sentire il rumore dei miei passi che sovrasta lo scorrere delle acque.
 
La luna in cielo s'è fatta spicchio, ha la gobba verso levante ed è di un bel giallo intenso, ,quasi volesse ridurre al minimo la sua capacità di illuminare tetti e colline intorno alla città per non guastare una magia che cresce attimo dopo attimo.

Città vuota dicevo, ma anche piena.
 
Piena di sensazioni che vanno al di là del semplice vedere/udire/toccare/annusare/gustare ma che si pongono su un livello ben superiore, qualcosa di inconscio e potente.
Mi sento vibrare dentro come la corda di uno strumento. E' come se percepissi la bellezza del mondo, la facessi mia rielaborandola e poi l'amplificassi verso l'esterno usando il mio vivere come una potente cassa di risonanza. Sono lo spot vivente di quanto possa essere bello VIVERE.
Le strade silenziose e sonnolente sono piene delle grida della mia anima che urla con tutte le sue forze che ci sono, che sono qui, che sono felice di potermi ancora permettere gesti folli come una passeggiata nel cuore della notte a tre ore dalla sveglia che mi farà approdare alla solita quotidianità.

Tutto è uguale, tutto è diverso.
 
Si va oltre il concetto di proprietà, si superano le regole, non esistono clichè da rispettare e seguire alla lettera. Stanotte sono me stesso, come te Firenze.
Con la tshirt ed i bermuda, senza cravatte ed occhiali sempre pronti ad ipnotizzare un ipotetico pericolo. Senza titoli -non serve a niente essere dottore ora-, senza cellulare, senza quel nodo che mi lega a filo doppio alla realtà.
 
Stanotte sono solo me stesso, così pieno e così vuoto, mentre passeggio e mi ritrovo cronicamente innamorato di qualcosa: una statua, una colonna, un muretto, un tabernacolo.
Tutto quello che mi riporta al nostro primo incontro di dieci anni fa, mi suscita la stessa sensazione che provo per te. Sentimento puro, incondizionato, senza compromessi.

E' amore, sei tu, sono io, siamo noi.

Ed in questa notte così ricca, così incapace di contenere sotto il suo cielo tutto quello che sento dentro di me vorrei urlare al mondo quanto sia stata dura uscire da quel reparto per lasciarti riposare, per lasciarvi riposare.
Ve lo siete meritato questo sonno: tu dopo dodici ore di travaglio, Lui dopo un viaggio che l'ha fatto approdare a questo nostro anomalo, pericoloso e bellissimo mondo.

Mi viene da piangere, ma è solo gioia liquida:
da quattro ore sono diventato padre.

Buona fortuna.

 
 
 

Parole

Post n°189 pubblicato il 21 Agosto 2010 da Solo_Vita
 

Parole, parole, parole.

Parole che scivolano come sabbia tra le mani, mentre una città timida si ripopola e si prepara all'imminente fine dell'estate, quasi fosse una sorta di rito collettivo al quale è obbligatorio partecipare.
I volti perdono colore giorno dopo giorno, i copioni delle giornate si fanno standard, i giri di amicizie tornano quelli di sempre senza inutili stravaganze esotiche. I centocinquanta chilometri che separano dal mare improvvisamente è come se fossero elevati alla seconda tanto sembrano insormontabili.

E' sempre così l'estate, come una bella donna che ti fa l'occhiolino, si fa invitare a bere e poi dice che ha mal di testa e scappa via lasciandoti in compagnia dell'ennesimo tuo film.
Sono ormai poco più che pulviscolo di stelle i ricordi di quelle estati bambine che duravano una vita, coi cartoni al mattino, le interminabili partite al pallone nel campetto della parrocchia, la mamma che chiamava a perdifiato dal balcone per far rientrare all'ora di cena.

Oggi è diventata cinica, spietata, veloce, non si innamora più come faceva una volta. Non facciamo più l'amore con quella porca dolcezza fatta di oscenità sussurrate.
Lei arriva, ammicca, riscalda prima l'aria e poi il cuore, per poi sparire nascosta tra le righe vuote di un sms che non arriva più.

Rimani così, impotente, ad osservare dall'alto le luci di questa città che non ti ha mai capito, coi suoi riti pagani fatti di aperitivi e cene che non hai mai adottato, le sue persone omologate a mode dettate dal negozio "in" e i pellegrinaggi nei locali preventivamente approvati dai tipi "giusti".

Sei stanco.

Ed anche fermamente convinto che l'assenza di amore e di sole siano quasi completamente sovrapponibili.
Il colorito si attenua, la vitalità è ridotta, diventa difficile difficile distinguere il momento del sonno da quello della veglia. Tutto si fa più complesso, macchinoso, innaturale.

A giugno tutto sembra eterno, indistruttibile, con l'inverno lontano mille anni e il tuo sogno da cavalcare senza difficoltà.
Ci sali davvero su quell'onda, ne godi la spuma, ti inebri del suo aroma salato, ti sembra quasi di poterla gestire, governare. D'un tratto però la tavola vibra sotto i tuoi piedi e tu ti trovi scaraventato in un ambiente ostile, innaturale, privo di ossigeno. Non sei nato pesce, ma uomo: non hai branchie, nè tantomeno pinne che possono farti tornare su. Ti devi dimenare sperando che la Vita possa notarti, gettandoti una cima per tornare su. Puoi urlare se vuoi, ma non servirà.

Arranchi un pò prima di renderti conto che a settembre i sogni finiscono, la realtà reclama il suo spazio e tu sei nuovamente solo a giocare alla vita.

Lei si è divertita come il gatto -sazio- col topo che viene torturato sino alla morte ma mai mangiato, al più esposto come trofeo di una caccia senza dignità. Tu preda impotente.

Vaghi così per una notte vuota di fine estate, immaginando i dialoghi delle coppie che trovi nelle altre auto lente per la città, senza meta come te ma piene di parole caricate di illusioni tipiche delle storie che nascono.
Ci saranno promesse, giuramenti, dichiarazioni destinate ad essere completamente stravolte, ma nel gioco è compreso anche questo. Tu lo sai.

Ti tornano alle mente le sue bugie così vere e trasparenti da sembrare di cristallo, le sue mani fatte di carezze ed il suo corpo coperto di baci infiniti.

Sorridi amaro: nonostante tutto basterebbe un suo cenno e tutto ricomincerebbe splendidamente da capo, ma non accadrà. La buona sorte talvolta si manifesta attraverso percorsi tortuosi, ogni peccato richiede sempre adeguata espiazione.

Buona fortuna.

"Più continuo a deridere te e la tua gente e più stai lì ad attendermi, come una donna stupidamente innamorata dell'uomo sbagliato. Sai che non ti voglio eppure anche stasera eccoti, avvolta nell'abito discreto di chi non ostenta, col trucco leggero fatto di poche luci al neon, col tuo Duomo arrampicato sulla punta del centro storico in paziente, secolare attesa di preghiere rubate alle imprecazioni di un popolo abituato da sempre a far lavorare molto più la testa del cuore. Anche stavolta però sono tornato...e tui sempre ad attendermi. -Cin Cin Arezzo- allora, sei rimasta una delle poche..."

 
 
 

Fate Il Vostro Gioco

Post n°188 pubblicato il 26 Luglio 2010 da Solo_Vita

In passato era diffusa la convinzione che le streghe si riunissero ai crocicchi delle strade.
Per tale motivo, in prossimità di quei luoghi, venivano costruiti dei tabernacoli con lo scopo di proteggere dal male sia il posto, sia le anime che fossero transitate di lì. Previdenti "gli antichi".

Migliaia di volte, senza neppure accorgermene, sono passato al cospetto di queste costruzioni. Vere e proprie Maestà o semplici crocefissi poco importa, la mia Toscana è piena di questi parafulmini dagli influssi negativi. Catalizzatori di guai che scaricano il pericolo chissà dove, ma lontano dalle vite ignare che distrattamente proseguono la loro corsa verso chissà che cosa. Mistero.
Per questo, specie quando mi trovo in campagna, nel momento di dover scegliere tra la strada dalla quale vengo e le due opzioni so di avere sempre un occhio benevolo su di me. E mi sento più sereno.

Sapete, sembra una cosa da poco ed invece non è così. Specie quando si gioca con la propria esistenza. Unica, monouso e a scadenza indeterminabile.
Immedesimatevi un attimo e capirete.

Quante volte nella vita ti trovi in situazioni simili.

Arrivi ad un punto in cui finisce la strada dalla quale provenivi e se ne aprono altre due.
Percorsi che ammiccano, che provano a sedurti con gambe ambrate e profumi floreali, altri che invece tentano di comprarti con l'illusione di un fruscìo fatto con banconote verdi da cento euro che sembrano non finire mai. Magari che si contrappongono a percorsi dei quali puoi intravedere solo il sacrificio che sarà necessario, il sudore, la fatica. E' allora il gioco diventa facile, la scelta quasi obbligata.
Sorrisi, parole dolci, il tocco leggero di un dito indice che sfiora il tuo profilo nella calda penombra di luglio. Tende che si gonfiano per effetto del vento, candele a creare atmosfera. Sospiri.
Denaro facile, sballo, l'ammirazione della folla, la capacità istintiva di raccogliere il consenso altrui.

Tutto facile, tutto disponibile, tutto pronto per te adesso. Sei il protagonista dello show, il vincitore del Grande Fratello senza dover passare neppure dai provini.

E' allora che sei lì, con poco tempo a disposizione e con l'impossibilità di tornare indietro perchè la prima regola è che il tempo viaggia solo in avanti, questo lo sanno anche i bimbi. -Cosa vuoi fare? Svelto, punta e fai il tuo gioco-

Destra o sinistra dunque? E quando si tratta di capire cosa sacrificare?

Mettersi in gioco per provare a costruire qualcosa attraverso quella stradina così impervia oppure andare sull'autostrada del bastare a se stessi dove non esistono limiti e traffico?
Chi ama vivere alla grande sa quanto sia importante poter viaggiare col gas spalancato, inutile negarlo. Godimento puro.

E quando s'incontrano i bivi di altre persone? Come reagire?
Alla fine gran parte dei nostri percorsi sono simili a quelli degli altri, nonostante sia bello pensare alla nostra unicità assoluta come una certezza. Una sorta di illusione anestetica con cui calmarci nelle notti più agitate -Ma si, come me non c'è nessuno. Ora però meglio dormire, ok?-

Talvolta è bello percorrere assieme quelle strade ma se al momento di arrivare al bivio le scelte sono diverse come comportarsi? Salutarsi? Scendere a compromessi?
E se mentre si passeggia con qualcuno arriva un altro che sembra piacerci di più è possibile abbandonare il vecchio percorso? Come relazionarsi con chi ci aveva fatto forza e compagnia sino a quel momento?
Come comportarsi quando la strada buona per noi corrisponde a quella cattiva per l'altro? -So che mi capirai mentre faccio questa scelta, scusami ma non posso diversamente, prova a metterti nei miei panni...lo capisci vero?-

Ovviamente non ho alcuna risposta a queste domande, ma solo una certezza: oggi al mio bivio avrei dovuto trovare un tabernacolo a proteggermi ed invece c'era solo un simulacro fatto coi miei occhi umidi, il pugno fracassato contro la porta ed i tuoi tacchi davanti a me che stavano iniziando a percorrere l'altra strada rispetto a quella che avevo scelto.

E' sempre brutto giocare a texas hold'em con la vita e perdere la mano più ricca. Destino infame quello dei giocatori:

ogni volta per tentare di recuperare devi raddoppiare la posta.

Buona fortuna.

 
 
 

La Rondine

Post n°187 pubblicato il 27 Maggio 2010 da Solo_Vita
 

Cade la pioggia sul piccolo cimitero di campagna.

Grandi goccioloni freddi impattano col marmo chiaro dei sepolcri, coi petali vellutati delle rose rosse che giacciono sulle tombe degli amanti, bagnano senza premura la ghiaia dei vialetti. Sembrano lacrime quando si distendono sul vetro che protegge le foto dei trapassati, sembrano soffrire e consumarsi mentre si allugano sino a diventare un rivolo sempre più sottile ed inconsistente mentre percorrono l'immagine, quasi fossero la carezza sofferta di una madre premurosa.
Colpisce il cielo nero, tanto che sembra debba farsi notte da un istante all'altro nonostante siano le tre di pomeriggio di un giorno sul finire di maggio, mentre l'aria è inquieta, elettrica, carica di energia.
La senti mentre inspiri a fondo riempiendo i polmoni che si espandono sino a dilatarsi al massimo della loro capacità.

Nel frattempo, intorno al muretto tirato su a secco che delimita il piccolo camposanto, la natura esplode con tutta la sua violenza.
L'erba è di un verde intenso, profumata e rigogliosa. Qua e là piccoli fiori gialli rompono la tinta monocroma, minacciata più in là anche da ciuffi di violette che sembrano sospese sul nulla tanto il loro stelo è sottile.


E' anche così che si combatte l'eterna battaglia tra la vita e la morte, tra il giorno e la notte, tra la terra che ingoia i cadaveri e quella che coccola e alleva i suoi fiori, le sue piante, i suoi dolci frutti che diverranno cibo per i bimbi, cuccioli di uomo.

Pare incredibile pensare che tutto questo sia opera della stessa Mano, tanto che persino il Vecchio seduto al riparo della piccola tettoia che fa da rimessa interna al cimitero non riesce a cogliere il senso del tutto, nonostante gli oltre ottant'anni d'esperienza su questo piccolo pianeta verde e blu.

Si pone domande, da sempre, trovando soltanto rare volte le risposte che cerca.

Trascorre qui gran parte delle sue giornate il Vecchio, lo fa da quando il cuore del grande amore della sua vita ha smesso di battere, in una sera di maggio che poteva essere stasera tanto il tempo era brutto e scuro.

Da quel momento non s'è mai scatenato un temporale senza che lui fosse qui, accanto a Lei, a confortarla lucidando la lapide con quel vecchio panno di camoscio che porta sempre con sè.

L'amore si palesa anche così, con gli occhi che fissano una foto scattata durante una vacanza lontana ma che vedono oltre: una vita assieme, fatta di gestualità, di piccoli riti, di coccole e litigi. Anni fatti di giorni che visti da questo presente, sembrano fatti con uno stampo forgiato nelle fonderie della felicità...ecco il solito potere di obliare il male della mente umana. -Rimozione- la chiamano i dottori, per fortuna che esiste.

Non distante da qui la pioggia continua a cadere.
Tamburella forte sul tetto della vecchia fiat Punto, mentre l'audiocassetta inserita nel mangianastri propone vecchi successi di quasi trent'anni fa. I favolosi anni ottanta.

Marta non era ancora nata allora, ma le labbra che la baciano per la prima volta si.

Lo fanno con un misto di decisione e dolcezza, un qualcosa di totalmente irresistibile per chi come lei desiderava senza sperare, perchè certi momenti mal si addicono ad una ventenne di buona famiglia e coi capelli color del sole come lei.

E' strano sentire stavolta la punta della lingua che cerca la sua, per poi accarezzarla, tormentarla. E' un'emozione diversa.

Sente scivolare le mani affusolate lungo le gambe nude, nervose, toniche. Trattiene il respiro mentre s'insinuano gentili sotto la gonna marrone a coste, incapace di proteggerla da una sensualità che esplode in tutta la sua violenza.

Si sente rimbalzata tra un girone infernale ed un cerchio di paradiso mentre la punta delle dita inizia a sciogliere il suo desiderio, con un incedere che istante dopo istante si fa più deciso ed avido di piacere. Sempre più profondo. Sino all'esplosione coincidente con l'arrivo della bocca, proprio lì.

L'aria all'interno dell'abitacolo è satura di fumo di sigaretta che ha accompagnato le mille parole precedenti al primo bacio ed inumidita dai gemiti che si fanno sempre meno celati, con l'imbarazzo che mano a mano si dissolve. Prendono la forma della condensa sui vetri, che pare voler nascondere agli occhi del mondo la prima volta in cui Marta si lascia baciare e toccare da un'altra donna. La prima volta che gode senza vergognarsi di non essere compresa.

E la vita scorre, quattrocento metri oltre il cimitero, nel piccolo boschetto di querce.

Neppure Marta riesce a trovare le risposte che cerca, ma si fa bastare gli occhi profondi della sua insegnante di piano, con quelle mani affusolate che suonano una dolcissima, perversa melodia che ha avuto il suo preludio nelle lunghe serate invernali passate ad apprendere i rudimenti della musica davanti al caminetto di casa. La vita va.

Per Marco invece non è la prima volta.

Le grandi gocce di pioggia si mescolano a quelle del suo sudore freddo, col kway incapace di proteggerlo adeguatamente dalla furia della natura.

Poco gli importa però, mentre abbandona poco distante da dove è seduto adesso il suo vecchio motorino, un Piaggio -Ciao- comprato coi risparmi del padre talmente tanti anni fa che gli sembra di ricordare la vita vissuta da un altro.

Tituba Marco, lo fa per un istante ogni volta che ha scaldato sul cucchiano la soluzione che si inietta da ormai quasi dieci anni.

In quell'istante di indecisione si dice che dovrebbe smettere, che sarà veramente l'ultima volta, che tanto lui può vivere anche senza. Già, per uno che ha perso tutti gli affetti cosa sarà mai vivere senza eroina?

Passata quella manciata di secondi, aspira con la vecchia siringa il composto e dopo aver accarezzato, quasi coccolato, la grossa vena che ha sul braccio sinistro inserisce l'ago e preme sul tampone. Dolcemente, come in un bacio, come nella carezza nei confronti di una lapide.

Ancora una volta è questione di attimi, la siringa che esce, la testa che si fa leggera, il mondo che torna a colori.

Non ha domande Marco, nè tantomeno risposte mentre tutte le sensazioni di quest'universo gli entrano dentro, lo attraversano, ci fanno l'amore, lo scopano. Ora vede il vecchio sotto la tettoia, vede Marta piangere dopo il piacere, vede l'erba del prato maltrattata dal vento che s'è improvvisamente fatto fortissimo.

Vede tutto, sente tutto, è come una vela in balìa delle correnti impazzite e capricciose di primavera. Come una falena il cui mondo coincide con quel vecchio neon penzolante dal soffitto.

Non vede più niente Marco ora, il respiro si fa affannoso, gli sembra di dover inspirare cemento liquido da quanto è difficile.

Meglio trattenerlo allora, è tutto così istintivo e leggero mentre i contorni di questo mondo di merda si fanno sfuocati ed indefiniti. E' bellissimo, vorrebbe prolungare all'infinito la sensazione di essere felice, di essere bello, di essere Dio...e lo fa.

Ora tutto è chiaro, dall'alto, mentre sul mondo laggiù ha smesso di piovere, il Vecchio è tornato a casa e la Punto è ripartita verso la "zona bene" della città.

La solita, quieta normalità si sta riappropriando della situazione. Chissà come fa ogni volta ad aver voglia di avvolgere nuovamente questo folle e stanco mondo.

Che sia colpa della bellezza nella quale -dicono- siamo immersi? Pensare che a me spesso sembra solo merda.

Quante domande, nessuna risposta.


Buona fortuna.

 

 

 
 
 

Un Romantico A Milano

Post n°186 pubblicato il 12 Maggio 2010 da Solo_Vita
 

La sensazione è quella di stare di fronte ad un acquario.

Anzi, non di fronte, proprio dentro.

Pesci di tutti i colori e dalle forme più disparate mi fluttuano intorno, mentre i rumori del mondo hanno assunto la voce graffiante del primo Billy Idol che ascolto in cuffia.
-Milàn l'è semper Milàn- Milano è sempre Milano, mi dicono.
E non posso certo contraddirli. Chiunque essi siano.
 
Così i passi si susseguono mentre percorro Corso Vittorio Emanuele.
Ogni volta la solita sensazione, eppure sempre diversa. Provo a chiedermi cosa sarà ma il dubbio vive solo un attimo, sino a che desideri, sogni ed emozioni si perdono nello sguardo di una giovane donna che mi accompagna per almeno cinque passi buoni, in questo momento così assurdo corrispondenti tranquillamente ad una vita. Poi sparisce dentro una vetrina colorata.
-Ma cos'è poi questa famosa vita?-
 
Nel frattempo il primo timido sole di primavera mi scalda il viso.
Accarezza dolce la fronte, gli zigomi, si appoggia gentile sulle forme della città, sui palazzi, sui gazebi che sovrastano i tavolini all'aperto.
Si fa complice dei primi giochi di corteggiamento dei ragazzi, con la punta delle loro dita pronta ad indugiare su un profilo, su una zip inespugnabile, sul soffio leggero di una nuvola. Giorni, ore, minuti vissuti nell'incertezza di un bacio da azzardare, di una mano da stringere, di un sogno da dichiarare.
 
Mi spacca il cuore di emozione vederli alle prese con le prime grandi incertezze -m'ama o non m'ama-, mentre  penso che l'ultima scelta che m'ha causato il batticuore è stata la tachicardia dovuta alla Redbull che ho preferito al Burn.
Questione di softdrinks, una cosa seria.
 
Proseguo.
Sono alla ricerca della verità, così stoppo il lettore e mi tuffo pienamente nei rumori della città.
Clacson, motori, autobus, tram, il brusio fatto delle mille parole delle persone.
Poi tra i tanti, uno attira la mia attenzione: è un suono di tacchi del quale però non riesco ad identificare immediatamente la provenienza.
Sospesa com'è su delle decolltè Gucci, i passi si susseguono fieri e distesi su un filo invisibile appeso a mezz'aria sopra un mondo inutile e pacchiano. [Tutto scompare, la lente si focalizza solo sulla lunghezza d'onda che fa vibrare il petto, neppure fosse una romantica stazione Fm dalla quale ascoltare un lento]
Un filo che finisce proprio dove comincia il mio. Strano il caso. Esattamente dove comincia il mio. BOOM.
Una botta tremenda -Dio scusami non volevo!-, volano i fogli, il telefono scivola di mano e cade a terra, lei quasi perde una scarpetta. La mia Cenerentola, ecco cosa sarà per me d'ora in avanti.
Anche senza cristallo.
 
Il resto sono parole di circostanza, delle scuse, qualche battuta. Un film che se fosse sottotitolato coi  miei pensieri farebbe leggere agli spettatori una sequela infinita di punti esclamativi, figli del mio trovarmi completamente perso dopo dieci secondi dall'atterraggio di emergenza su un sorriso. Il meteorite che impatta con la terra e che quasi la cancella, preparando le condizioni per qualcosa di nuovo e meraviglioso.
Incredibile come un cervello solitamente forzato a lavorare su dei binari di grande razionalità si possa ritrovare ad andare in tilt.
Cenerentola è il virus che vai a cercare per capire cosa si prova ad essere malato di Lei, pur consapevole che una cura non esiste.
Ed invitarla per un caffè riparatore è la chiave d'accesso all'infezione. Il piacere del contagio consapevole.
 
L'espresso nero, bollente, dall'aroma intenso non fa nient'altro che acuire i sensi.
Sarà forse per quello che mi perdo negli occhi chiari, profondi, maledettamente dolci. Me li getta dentro l'anima mentre mi guarda e mi scandaglia, sorridendo e piegando la testa a sinistra ogni volta che il mio accento toscano le fa abbassare le difese, costringendola ad abbandonarsi a quello che sente veramente, senza dissimulare.
Parla Cenerentola, parla tanto, con le sue parole che mi suonano in testa come le note del pifferaio magico. La seguirei ovunque.
Chi l'avrebbe mai detto che sono al cospetto di un promettente avvocato che lavora in uno degli studi più importanti della Città e che ha difeso persone che solitamente vedo sui TG nazionali. Tutto è così naturale, spontaneo, privo di preconcetti e forzature.
Una volta tanto non mi sento l'imputato. Lei non mi deve difendere.
 
-Mamma mia com'è tardi, devo passare da un cliente per una cosa veloce...-
-Vengo con te- diretto, senza incertezze, stupendamente e falsissimamente autoritario.
-Ok-, fintamente sottomessa ma realmente incuriosita.
 
Ed è questo che facciamo. Rotta su Brera, la Milano che più amo, a cercare il destinatario di un plico pieno di marche da bollo e strane sigle.
 
Il film continua, lei si libera del cliente e torna la mia Cenerentola. Sorride.

I vicoli silenziosi ed intimi, l'atmosfera fuori dal tempo, un aperitivo fatto di noi, di una candela e della distratta compagnia di una cartomante vestita di lustrini che legge il futuro dei passanti in grandi tarocchi rettangolari.

Il film si fa sempre più bello.

Vola la lancetta dei minuti, arriva il secondo Americano, poi il terzo. Gli occhi si fanno lucidi, parliamo da ore e mi sembra di conoscerla da una vita. La tensione si allenta, si iniziano a percorrere sentieri lastricati di una sensualità sino a quel momento pesantemente affondata nell'asfalto della reciproca, naturale, diffidenza.
I suoi occhi luminosi ed un pò lucidi sono la leva perfetta per moltiplicare lo scorrere dei secondi e l'incremento del desiderio che inizia a farsi sempre meno celabile dietro parole che si fanno istante dopo istante più dirette e senza filtri.
Non si può nascondere un elefante dietro un fazzolettino. Lei lo sa.
 
Quasi mezzanotte, Lei deve andare. Mi piace pensare che le dispiaccia.
Poi lo dice, è proprio così.
 
Vorrei fermarti Cenerentola, prima che tutto questo mondo torni a mostrarsi per quello che effettivamente è, tenuto insieme da un composto fatto di bugie, sudore e lacrime

-Ti chiamo un taxi-, mentre i quattro minuti che mi separano dall'arrivo previsto di -Mantova23- profumano forte di vita.
Quella intensa, concentrata, prepotente.

Improvvisamente le parole si fanno faticose, pesanti, incollate alla gola. Il respiro è corto, il diaframma non riesce a comprimere e decomprimere i polmoni che così scambiano poco ossigeno al sangue. Proprio ora che ce ne sarebbe bisogno.
Ma il cuore batte, batte forte e il pensiero inizia a farsi sfuocato, barcollante, poco ponderato, stupendamente primordiale ed istintivo.
 
Non ce la faccio, stavolta proprio non ce la posso fare, me ne rendo conto mentre il mio -mi piacerebbe rivederti- si infrange sulla punta della lingua. Morendoci sopra.
Arriva -Mantova23- e l'attimo prima che le apra la portiera dura una vita, tanto che posso vederlo nitidamente.
Ne posso apprezzare la villetta col giardino, i due figli bravi a scuola, il labrador miele che gioca con la palla e lei, sempre più bella col passare degli anni.

Il richiamo roco del tassista mi riporta sulla terra, non c'è tempo da perdere. Nessuno spazio per il romanticismo quando sai di avere ancora quattro ore di lavoro prima di smontare il turno, poverino, quasi lo capisco. Merda.
 
Non una parola che sia una, solo uno sguardo, mentre le nostre mani sono una sull'altra, palmo contro palmo.
Poi ricordo soltanto lei che se ne va, appena qualche istante prima dell'esplosione che ha cambiato per sempre il corso delle cose.
 
Invece di lasciarmi la scarpetta, Cenerentola mi aveva baciato.
E da allora preferisco di gran lunga il veleno al cristallo.

[Quando ti mancherò, rileggi queste parole prima di mezzanotte e rivivrai il sogno stupendo che hai tessuto per me]

Buona fortuna.
 

 
 
 

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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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