Creato da Seventeent il 18/06/2007
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Post N° 120

Post n°120 pubblicato il 16 Maggio 2008 da Seventeent

non so se.. ve l’ho mai detto.. ma io…

AMO QUESTA DONNA !!!

 

 

QUI LO DICO …   
E qui lo ANNEGO…..

Luciana Litizzetto,
Torino 1964
ex professoressa di Lettere ed Educazione musicale

Il mio sogno proibito

Una Donna, un Mito

Ti aspetterò sempre,
in silenzio…
sperando che un giorno
finalmente
ti accorgerai di me… !!!



Una categoria umana da evitare accuratamente? Più delle spine nel branzino? 
Quella dei Dotti Medici e Sapienti. Quelli cioè che la sanno e te la spiegano sempre.
Tu comunichi una notizia che può variare dall’appuntamento col
gommista all’arrivo della sonda Cassini...e loro? La sanno già. Anzi.
Te la spiegano meglio e nel dettaglio.
Tu prepari il sugo e loro intervengono con pareri e consigli. 
Tu racconti agli amici una barzelletta e ti interrompono
continuamente per puntualizzare. 
Tu chiedi l’ora e questi partono dal funzionamento della meccanica
interna dell’orologio. 
Tu domandi che tempo fa e loro te lo dicono partendo dal Big Ben.”



Avete presente quella trasmissione
di RaiTre che si chiama Milano-Roma?
Quella dove due tipi fanno il viaggio insieme parlottando per ore del più
e del meno? Bene.
Anch’io l’ho girata. E sapete con chi?
Chi potevano affiancare a una
duchessa qual io sono?
Rocco Siffredi, che domande...!
Il più famoso attore porno i
taliano.
Un totem erotico locale.
Certo. Con me. 
Che non ho nulla
che ricordi anche solo vagamente Ramba Malù.
Rocco Siffredi pare sia un fenomeno della natura.
Non si offendano i maschietti, ma si parla di misure ai
confini della realtà.  Roba che potevamo girare i remake
di Rocco e suo fratello o al limite di Uccellacci uccellini.
Ventisette centimetri è tanto.
È come una mensola del tinello, di quelle che ci appoggi
sopra le piante grasse.
Un promontorio della paura. Cape Fear.
Con lui al fianco mi sentivo serena come l’ultima moglie di Barbablù.
Dicono che in situazioni imbarazzanti bisogna sforzarsi di
essere se stessi.   Ma se non so neanche io chi sono... 
Gli chiedo: «Ma come fai quando devi rigirare la scena?
Lo riponi nell’apposita vaschetta salvafreschezza?»  

Fa finta di non sentirmi.
Lo incalzo. «Quindi sei un libero professionista... non
smetti mai... ti porti anche il lavoro a casa... » 
Silenzio.
«Usi il Viagra? La pillola che fa diventare dure anche
le lumache?
Mi han detto che i panettieri non la prendono perché
fa diventare duro anche il pane...»   Non ride.
Povero Rocky horror... mi gira cento porno all’anno,
sarà stanco come una bestia.  Magari guido un po’ io.
Un paio di centimetri mi separano dal suo grande
cocomero.
O come lo vogliamo chiamare? Cannone di Na­varone?
Stelo di giada? Nibelungo? Stecco ducale? Sturm und
Drang? Sacro Aspromonte?
Gli dico: «Lo conosci quel film porno con Gilbert Bécaud
e Gilbert Belcul: Chi ha spompè la Pompadour?».  Dorme.
Io faccio quell’effetto lì agli uomini.

Da una recente indagine sociologica condotta da me stessa su
di un campione strettamente personale risulta che la specie
umana maschile si può verosimilmente suddividere in due
grandi sottogruppi:
i maschi distrat­ti e i maschi pignoli.   
Quali i migliori? Difficile dirlo.
Partiamo dai primi: gli sbadati, gli svaniti, i cloni di Mister Bean.
Non avrebbero tanto bisogno di una fidanzata quanto di un’insegnante di sostegno.
Perdere e dimenticare è l’attività principe delle loro giornate.
Vanno a comperare il giornale e lo lasciano all’edicola, tolgono l’autoradio ma la sistemano sul tettuccio, hanno il telefonino ma si scordano di accenderlo, perdono le chiavi e anche la copia, il portafoglio e anche la patente, cambiano la batteria dell’auto una volta al mese perché dimenticano sistematicamente i fari accesi e tamponano spessissimo perché quando guidano fanno qualsiasi altra cosa fuorché guidare. E poi si fanno male
continuamente. Si inciampano, si slogano, si sbucciano, si tagliano...
roba da quarta elementare.
I maschi pignoli non sono certo meno faticosi. Tutt’altro.
Cronometrano quanto ci mettono da casello a casello,
stabiliscono con precisione millimetrica il consumo della loro
auto che di solito è un cartone, impilano gli asciugamani per
sfumatura di colore, lucidano gli angoli delle scarpe con lo
spazzolino da denti, compilano gli specchietti delle agende
dei soldi in entrata e soldi in uscita segnando anche lo stick
e il biglietto del tram, tengono a memoria la cadenza del
ciclo mestruale della fidanzata e scrivono una S sul
calendario per ricordarsi i giorni in cui hanno fatto sesso.
Sempre molto pochi.
Il massimo è il marito della mia amica Elvira. Pignolo
e maniaco della pulizia. Mentre mangiamo, lui lava già
i piatti.
Quelli che stiamo usando. Quando alla moglie
incinta si ruppero le acque, invece di tranquillizzarla la
inseguì con lo spazzolone del Mocio Vileda.
«Però mi piaci, che ci posso fare? Mi piaci» cantava
Alex Britti. Giusto. Ma è giusto anche quello che mi ha detto
l’altro giorno una mia amica napoletana:
«Se metti ‘o
rhum in coppa a ‘nu strunz non diventa ‘nu babà!»

C’è un segnale inequivocabile. Un’azione apparentemente
innocua.
Un piccolo gesto che annuncia che... ok, hai cominciato
finalmente a prendere la tua vita tra le mani. È quando riesci
a dire al tuo parrucchiere che il taglio che ti ha fatto fa schifo.
Che persino la cavia peruviana di tua cugina è pettinata meglio.   
Che la frangia non te l’ha scalata,
te l’ha mozzata come la coda di un
mulo e che, per non dare nell’occhio,
non ti rimane che ragliare.
Che se quella che ti ha fatto è una tinta,
che vada pure a graffitare le
metropolitane di Milano. 
Che persino le siepi di agrifoglio
tremerebbero all’idea di farsi potare
da lui.
Prima o poi ci farò un libro: Lo Zen e
l’arte di mandare a stendere il tuo
parrucchiere. 
Devo spiegarlo io?
I capelli di una donna sono il termometro
della sua anima.
Quando una purilla sta male, cosa fa?
Va dal parrucchiere.
Prima ancora che dall’analista. 
Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa. 
E magari, all’improvviso l’incoscienza, gli dice la fatidica frase:
«Fai tu».
Dire a un parrucchiere «fai tu» è un po’ come decidere di fare
boungee jumping senza elastico. 
Armato solo del suo ego colossale, come un boia al patibolo,
lui darà mano alle forbici e taglierà. Tanto.
Quei bei tagli asimmetrici, sfilacciati, impettinabili, portabili
al massimo in sfilata a Milano Collezioni. 
E mentre mieterà e falcerà, ti dirà: «Tesoro, sei bellissima..,
ti mancano solo le ali per essere un angelo...», e tu penserai:
Ho le scapole alate, andrà bene lo stesso?”. 
E soprattutto: “Quanto ci metterà mai un capello a ricrescere?
Un mese? Un anno? Un decennio?”.
Meglio così, comunque, che scegliere l’acconciatura sfogliando
quei tremendi giornali che trovi solo dai parrucchieri, stampati
in una specie di segreta tipografia di categoria. 
Un misto di teste a pera e tagli da Basil l’investigatopo.
E poi c’è il tocco finale. Una volta bastava la lacca a inchiodarti
le chiome come Marion Cunningham di Happy Days.
Adesso si va di gel, olio, schiuma, silico­ne... E così esci dal
negozio che ci hai i capelli unti come dopo
una settimana di influenza.

*__^

 
 
 
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