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Sole ad Oriente

Consapevolezza non è semplice conoscenza: essa corrisponde al grado in cui la conoscenza diventa totalmente e istintivamente applicata alla vita, poiché entra a far parte del bagaglio interiore della persona; a quel punto essa non ha più necessità di attraversare esperienze per imparare, né patirne le conseguenti sofferenze...

 

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MAHATMA GANDHI


"Parla solo se quello che dici è vero, utile, amorevole."
 
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JIDDU KRISHNAMURTI


"Sai cosa significa imparare?
Quando impari veramente, impari dalla vita; non c’è un insegnante particolare da cui imparare. Tutto ti è di insegnamento: una foglia morta, un uccello in volo, un profumo, una lacrima, il ricco e il povero, coloro che piangono, il sorriso di una donna, l’alterigia di un uomo. Impari da ogni cosa, quindi non hai bisogno di guide spirituali, di filosofi, di guru. La vita stessa ti è maestra, e tu sei in uno stato di costante apprendimento
."
 
 
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« L'orgasmo fa male all'amore?Le catene che ci portiamo dentro »

Le trappole della mente

Post n°1207 pubblicato il 12 Aprile 2011 da 22k
 

 

3.4. Il successo
 
Ecco un altro grande mito dell’uomo! Avere successo! Quante persone conoscete che
perseguono con tutte le loro forze questo obiettivo? Una probabilmente l’avete davanti a voi alla mattina quando vi guardate allo specchio, non è vero? E gli altri? Possiamo dire tranquillamente otto su dieci.
Il successo è il grande sogno, la grande illusione della realizzazione di sé. Siamo tutti
convinti che quando realizzeremo il successo avremo trovato la pace e la pienezza; il pieno riconoscimento sociale, l’ammirazione incondizionata.
 
Già. I primi problemi sono di natura, per così dire, di significato: cosa è il successo?
Successo significa riuscita. La riuscita è sempre legata a qualcosa da raggiungere. Molto spesso però il successo sociale non è ben definito. Non vi è cioè un punto di arrivo che sia inequivocabilmente “l’obiettivo” per tutti; il successo è spesso “far
carriera” o “arrivare in alto” o “diventare ricchi” o qualcos’altro ancora, ma non meglio
precisato, una cosa sembra però chiara a tutti: bisogna avere successo.
 
Perché la gente ricerca il successo? Le ragioni sono più d’una ma ad un’analisi appena
appena più accurata, si scopre che buona parte di queste ragioni sono segni di debolezza.
 
Vi sono sostanzialmente due aspetti psicologici nella ricerca del successo: l’autoapprovazione egocentrica e l’approvazione degli altri: vediamoli più da vicino.
Il mito del successo, affonda le sue radici nella logica dicotomica sconfitta/vittoria. La vittoria è sempre stata ricercata per la sua associazione con il concetto di sopravvivenza: è infatti evidente che vincere nella guerra o nella lotta con un avversario, comporta la possibilità di assicurarsi il “bottino” del perdente, sia esso un territorio, una borsa di denaro, o preziose risorse naturali. L’aumento del proprio “bottino” comporta, o dovrebbe comportare, un incremento della possibilità di sopravvivenza e quindi un avvicinamento all’idea di immortalità. Allo stesso modo la sconfitta rappresenta ovviamente l’altra parte della medaglia.
 
Il concetto quindi della vittoria/sconfitta ha un contenuto competitivo che pone il mondo in generale come un grande campo di battaglia. Ovviamente per la mente che, come abbiamo visto, ragiona per identità e differenze, se essere competitivi, vincere, è buono, esso diventa un valore condiviso. Il successo è il risultato di una lotta, che può essere sia concreta che simulata; può riguardare la guerra vera e propria oppure
una qualsiasi simulazione della stessa, come una competizione o uno sport, oppure la
vita di tutti i giorni sul lavoro per giungere ad una vittoria che può essere rappresentata da una promozione o dal raggiungimento di un obiettivo economico.
 
Fin qui tutti siamo perfettamente d’accordo, non è vero? Questa accondiscenza verso questo schema genera il valore, come abbiamo visto, condiviso da tutti; ciò porta di conseguenza che il successo sia da tutti (o quasi) considerato da raggiungere; questo aspetto comporta un’altra conseguenza: che a fianco della ricerca del “bottino” vi è
una gratificazione sociale nel conseguimento del successo e questo porta ad una nuova dipendenza: il bisogno dell'approvazione degli altri. Spesso molto spesso, il successo è ricercato soprattutto per il prestigio e l’approvazione che ciò comporta nell’ambito sociale. 
 
Il problema però è che questo modo di pensare porta con sé una visione del mondo simile ad un arena in cui combattere, fortemente conflittuale, e ciò ovviamente causa i conflitti.
Infatti la logica sconfitta/vittoria porta la soddisfazione del vincente, ma anche il  dolore e la sofferenza del perdente, che poi spesso, vuole rifarsi o vendicarsi o
riprendersi ciò che ha perduto. Potete facilmente intuire quanti guai questo abbia portato nel mondo.
 
Se si pone l’accento sulla competitività, la conflittualità e le sue nefaste conseguenze, sono alle porte. Come è evidente, se voi fate la guerra al vostro collega per quella poltrona, magari con qualche trucchetto non proprio corretto, non aspettatevi certo amore e dedizione!
 
Allo stesso modo se andate a caldeggiare l’invasione da parte del vostro governo di qualche nazione straniera, non stupitevi se poi troverete “terroristi” che fanno attentati ai vostri turisti connazionali o mettono bombe nelle vostre piazze.
 
Il successo ha più facce e spiegazioni: da un lato è ricercato per l’idea di miglior vita che dovrebbe derivarne, e dall’altro è considerato un mezzo di elevazione sociale. Entrambi gli obiettivi comportano altre reazioni, di segno opposto; ciò è vero soprattutto a livello di società nel suo complesso, che va a registrare inevitabilmente un aumento complessivo e consistente di conflittualità. E’ appena il caso di ricordare che là dove gli strumenti di competizione sono più evoluti (ad esempio elevati livelli culturali ed economici) la competizione stessa assumerà caratteristiche meno violente, ma dove coloro che soccombono non hanno reali strumenti per competere, la rivolta
violenta sarà la reazione più probabile: la violenza è sempre l’ultima spiaggia, l’ultima
risorsa di una difesa disperata.
 
Il successo di pochi è la sconfitta di molti (e varrebbe la pena di ricordare che la vittoria di molti è la sconfitta di pochi); la gioia di pochi è il dolore di molti. Il dolore provocato tende sempre a ritornare verso chi lo ha originato. Le guerre sono sempre
state composte da due facce complementari, due forze contrapposte che si fronteggiano per un successo da raggiungere. Alla fine del processo c’è sempre morte e disperazione per tutti. 
 
3.5. L’amore
 
L’amore è un altro concetto chiave che tendiamo sistematicamente a confondere nell’analisi della sua intima natura. Cos’è l’amore?
 
Parliamo qui dell’amore passionale tra uomo e donna, l’amore che è anche amore fisico, sessuale, ma anche affettivo e di affinità.
 
Che idea abbiamo dell’amore? Beh, qui abbiamo l’imbarazzo della scelta: milioni di note e di inni sono stati scritti sull’amore: quante canzoni, quanti struggimenti, cuori infranti, dolori, sofferenze, suicidi, omicidi, per amore.
 
L’amore è stato definito in modi diversi nelle canzoni, nelle poesie, nei romanzi della
letteratura.
 
L’amore è “per tutta la vita”, l’amore è “non poter vivere senza te”, l’amore è “mi manchi da morire”, l’amore è “se mi lasci mi uccido”; L’amore è “se scopro che
mi tradisci ammazzo te e quell’altro”; l’amore è “se mi lasci non vale” o “ritornerò in
ginocchio da te”, “senza te scoppierei”.
 
L’amore è spesso (quasi sempre) un insieme di passioni e desideri incontrollabili e incontrollati, dove la dipendenza di una persona dall’altra è spesso totale.
 
Certo, l’amore è sicuramente un sentimento positivo che porta l’amante ad avere un
trasporto positivo verso l’amato: si vuole il bene dell’amato, si vuole la sua felicità, questo è vero.
 
Però accanto a questo aspetto “altruistico” vi è un’altra componente che vuole il possesso dell’altra persona, la sua costante presenza “non penserai per caso di
lasciarmi qui da sola, vero? ”o “dove sei stata per tutto questo tempo?”, la sua
incontestabile devozione “mi ami, ma quanto mi ami?”, la sua assoluta fedeltà “fai troppo lo spiritoso con quella lì, guarda che ti controllo” oppure “perché sei vestita in questo modo per andare in ufficio?
Mettiti qualcosa di più...serio”.
 
Inoltre l’amore è spesso visto come la realizzazione dei propri desideri più dettagliati sul proprio compagno; è cioè spesso la ricerca del proprio ideale d’uomo e
di donna, sia per gli aspetti fisici che psicologici: lei dev’essere alta tot, pesare non
più di tot, con gli occhi di quel colore, con quel tipo di viso o di gambe o di seno ecc., poi dev’essere intelligente (deve sempre essere intelligente anche se nessuno ha ben chiaro cosa ciò significhi, ognuno ha la sua idea di “intelligenza”), colta (come? come Einstein, come Montale o come un commercialista?), brava in cucina (e in tutte le altre stanze) e poi una brava mamma, figlia, e soprattutto... nuora.
 
E che dire di come dev’essere Lui? Prima di tutto affascinante (cioè?), poi forte sia
fisicamente che psicologicamente “una che dia...come dire, sicurezza ad una donna, ecco sicurezza”(fisicamente forte come? come Tyson o come un maratoneta?, come un ballerino classico o come un ciclista da Parigi-Roubaix?), poi dev’essere intelligente (vedi sopra), di successo (dove, in che campo, a confronto di chi?), sensibile (a che cosa?), comprensivo (sicuramente verso l’amata, ma verso la suocera dell’amata?), buon padre e ovviamente bravo... genero.
 
Infinite e imprecise sono le nostre aspettative nei confronti dell’altro. Siamo bravissimi a chiedere ciò che vogliamo o crediamo di volere, e molto meno bravi a riconoscere quanto di meno diamo, rispetto a ciò che chiediamo.
 
L’amore è troppo spesso egoismo mascherato da altruismo; possessività verso “l’amato”.
Troppo spesso la persona amata è soprattutto una cosa “di proprietà”, che nessuno deve insidiare od avvicinare; una persona che deve fare quello che l’altro desidera. Inoltre troppo spesso si crea una dipendenza dall’altro: un “bisogno”, un “desiderio” dell’altro senza il quale “non si può vivere” senza il quale “la vita non ha più
scopo” una sorta di tossicodipendenza psicologica.
 
Tutti abbiamo avuto modo di sperimentare questo stato psicologico e le sue conseguenze, quando si è arrivati alla rottura, spesso in età giovanile, di un rapporto sentimentale interrotto nostro malgrado, che ci ha causato grande dolore. Vi sono intere vite che vengono distrutte da questo. Nonostante ciò, pochi si pongono domande circa la natura di questi tipi di legami psichici, su cosa li determini e su cosa
significhino. Si preferisce ignorare la questione o ricorrere a frasi fatte del tipo  “l’amore è inesplicabile” o “si tratta di una magia” o altre cose del genere.
 
In realtà esistono dei meccanismi psichici ben precisi, anche se diversi da caso a caso e da persona a persona, che creano i presupposti perché una determinata relazione abbia inizio e perché abbia poi anche termine; gli psicologi si trovano quotidianamente di fronte a queste situazioni.
 
Esiste comunque anche il vero sentimento d’amore, quasi sempre mescolato a quello
appena visto, che agisce all’interno di un rapporto sentimentale. Vi sono degli  elementi che aiutano ad individuarlo: innanzitutto vi è il desiderio, l’aspirazione
a volere il bene dell’altro più che il proprio; c’è cioè l’obiettivo di rendere l’altro felice,
anche se ciò può causare qualche dispiacere o privazione da parte di chi ama; la cosa che più interessa a chi ama, non è sapere quanto l’altro lo ami, ma quanto l’altro sia felice e quanto l’altro cresca e si liberi dalle sue incapacità, sofferenze e limiti.
 
Un esempio importante di questi aspetti dell’amore è dato dalla vita stessa: sembra quasi che la vita stessa sia concepita per essere una “scuola d’amore” che,
proprio come le scuole normali, procede per livelli di difficoltà sempre maggiori, per
insegnarci a liberarci dell’egoismo.
 
All’inizio della vita c’è l’infanzia: in questa fase dell’esistenza non viene richiesto alla
persona di amare: è semplicemente amato senza condizioni; viene accudito in tutti i suoi bisogni, viene sopportato dai genitori se non dorme di notte, viene nutrito e curato che il bambino se lo meriti o meno, perché l’amore è incondizionato.
 
Crescendo, all’infanzia si sostituisce la fanciullezza: in questa fase cominciano a presentarsi i piccoli doveri: inizia l’educazione morale. Il fanciullo deve cominciare ad essere un po' autonomo e responsabile: deve fare i compiti, tenere in ordine le
cose, comportarsi educatamente con genitori ed estranei: l’amore comincia ad essere un poco condizionato, o almeno ne è un po' condizionata la sua manifestazione: cominciano a manifestarsi delle aspettative.
 
Poi arriva la gioventù. In questa fase, il sentimento d’amore inizia non più ad essere
unicamente indirizzato verso i genitori ma si rivolge anche ai coetanei, soprattutto dell’altro sesso. ma non solo. E’ il momento dell’integrazione all’interno del gruppo di riferimento, cioè gli amici, la squadra, la gang, ecc. All’interno del gruppo l’accettazione del giovane è vincolata al rispetto delle “regole” del gruppo stesso e l’amore e/o
l’amicizia è fortemente condizionata da questa integrazione: il “prezzo” per essere amati è più alto: non è più scontato né incondizionato. In questa fase può già accadere che si ami senza essere corrisposti: cosa inaspettata ed imprevedibile rispetto alla vita in famiglia.
 
Dopo la gioventù, abbiamo l’età adulta. I rapporti affettivi si fanno ancora più complessi: se nel gruppo giovanile si veniva accettati ed amati perché facenti parte
del gruppo (ciò è quasi sempre sufficiente), nell’età adulta si viene accettati se “gli altri” trovano che il modo di vivere dell’adulto sia conforme a quanto essi ritengono giusto, se le opinioni dell’adulto sono condivisibili, se il suo modo di intendere la vita è giusto; in altri termini l’amore e l’accettazione bisogna “meritarlo”.
 
Dopo l’età adulta la situazione è quella della vecchiaia. In questa fase dell’esistenza
l’amore degli altri è perla rara: spesso si è vissuti come un peso da parte dei più giovani, che preferiscono restare con chi è nel pieno della vita, in grado di godere di quanto la vita può offrire sotto ogni profilo. In questa fase l’amore non è più del
tutto possibile guadagnarselo perché poco dipende da ciò che l’anziano è o fa mentre
invece molto dipende dagli altri.
 
Ciò è quello che generalmente succede dal lato della ricezione di amore ed  accettazione da parte del mondo. C’è poi l’altra medaglia, quella della donazione
d’amore, cioè delle caratteristiche che hanno i sentimenti verso l’altro.
 
Come abbiamo visto, nella fase di ricezione si nota un progressivo aumento delle condizioni a cui è soggetto l’amore degli altri, mentre dal lato della donazione abbiamo un processo inverso: più si percorre nella vita più ci è richiesto un amore incondizionato.
 
Passando dall’infanzia alla fanciullezza l’amore che davamo era in cambio di cibo e
protezione (anche se non ne avevamo coscienza), poi diventa un amore dato in cambio di meno garanzie (il cibo c’è ancora e la protezione pure, però bisogna
cominciare a fare i compiti, a tenere in ordine la stanza ecc. ecc.); poi con la gioventù
l’amore che dobbiamo dare ai genitori è dovuto nonostante i molti obblighi che derivano (studiare, ordinare la casa, spesso lavorare, dare una parte della propria paga o comunque chiederne sempre meno, essere più indipendenti e al contempo più utili in casa, accudire ai fratelli più piccoli, accompagnare i genitori che non sono più così autosufficienti ecc. ecc.
 
Arrivando all’età adulta, gli obblighi aumentano ancora: nascono i figli che richiedono
l’amore incondizionato visto prima; i genitori sono ormai anziani e bisognosi di molte cure: l’amore che vi viene richiesto è sempre più totale e coinvolgente, sempre meno potete pensare a voi stessi, a ciò che amate fare; sempre più persone ruotano
intorno a voi, avendo di voi bisogno in tutto: pappe e pannolini per il piccolo,
consigli per il ragazzo più grandicello, soldi per l’università del più grande, compagnia per i genitori, pazienza con i colleghi e amici.
 
Passando poi alla vecchiaia, l’amore che tendenzialmente si dà è senza ritorno: i figli
sopportano a fatica i vecchi genitori; nella vita sociale si è quasi sempre emarginati se non vilipesi ed umiliati. Ci vuole veramente un cuore grande per riuscire ad amare il mondo quando si è vecchi; il mondo stesso è sempre meno comprensibile, caratterizzato da tecnologie e confusione, dove perfino i giovani faticano a tenere il passo.
 
Vi è quindi un percorso sempre più irto verso la capacità di superare il proprio egoismo: mentre ci si addentra nella vita, aumenta ciò che ci viene richiesto e
diminuisce ciò che ci viene concesso. Il prezzo per riuscire ad andare avanti è quello di
imparare ad accettare la vita, il mondo e soprattutto gli altri, per quello che sono, ad
amarli, accettarli, comprenderli, nonostante tutto.
 
E’ nella vecchiaia che la sfida arriva al suo culmine: il corpo che si deteriora, insieme spesso ad alcune delle nostre facoltà mentali, sono lì a dirci della nostra fragilità, a dispetto di ciò che eravamo, della forza di cui ci vantavamo, della sensazione di
vigore ed invincibilità che respiravamo. La morte alle porte è in definitiva una grande maestra di vita.

ELITHEO CARRANI
 
 
(Estratto dal capitolo 3 de: "La psicoanalisi del Buddha e il peccato originale")
 
 
 
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