All your two-bit psychiatrists
are giving you electroshock
They said, they'd let you live at home with mom and dad
instead of mental hospitals
But every time you tried to read a book
you couldn't get to page 17
'Cause you forgot where you were
so you couldn't even read
Don't you know they're gonna kill your sons
don't you know gonna kill, kill your sons
They're gonna kill, kill your sons
until they run, run, run, run, run, run, run, run away
Mom informed me on the phone
she didn't know what to do about dad
Took an axe and broke the table
aren't you glad you're married
And sister, she got married on the island
and her husband takes the train
He's big and he's fat
and he doesn't even have a brain
They're gonna kill your sons
don't you know they're gonna kill, kill your sons
Don't you know they're gonna kill, kill your sons
until they run away
Creedmore treated me very good
but Paine Whitney was even better
And when I flipped out on PHC
I was so sad, I didn't even get a letter
All of the drugs, that we took
it really was lots of fun
But when they shoot you up with thorizene on crystal smoke
you choke like a son of a gun
Don't you know they're gonna kill your sons
don't you know they're gonna kill, kill your sons
Don't you know they're gonna kill, kill your sons
until they run, run, run, run, run, run, run away
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Post n°233 pubblicato il 12 Agosto 2016 da street.hassle
Sfogliando le pagine si imbatté in una prosa che attirò la sua attenzione; si intitolava "Curtius" e prese a leggerla avidamente. Era molto breve e si risolveva in due brevissimi capitoli. Quando ebbe terminato Sesil si leccò le labbra tumide e uscì con un'imprecazione colorita in inglese. "L'ha mai letta?" Fece ad Atwater. L'ufficiale scosse il capo: "Non ricordo nulla con quel titolo. Ho letto parecchio di quel librone, ma soprattutto le poesie e parte del poema maggiore. Magari alcune prose, ma non ricordo Curtius." Il pescatore gli allungò l'edizione e disse sommessamente: "Legga. Lo legga. Lo trovo molto istruttivo su David Fitzroy." Leslie afferrò il libro e prese a scorrere le parole del piccolo racconto. Chissà perché sentiva che doveva farlo ad alta voce. Avevano portato il ragazzo in ospedale tre mesi prima. Si era addormentato su un carro che portava fieno ed era caduto con le ruote che gli passavano sopra e gli tritavano le gambe sotto il ginocchio. L'avevano portato in ospedale che era tutto viola e le macchie del vomito gli inondavano la camicia di canapa. Nemmeno si pensava di poterlo salvare, tantomeno di salvargli le gambe ma, si sa, i miracoli avvengono, e Curtius era riuscito a preservare le sue estremità a prezzo di dolori indicibili e sofferenze inenarrabili. Anche adesso, mentre mordeva la coperta per non urlare, si chiedeva se fosse più fortunato o dannato ad essersi aggrappato con i denti al suo essere integro e ad averlo difeso contro tutte le previsioni. Tanto per tirarlo su il medico gli aveva comunque annunciato che doveva convivere con la possibilità di restare storpio. E allora, si diceva Curtius, perso per perso vale la pena di tenersi quelle propaggini inutili e soffrire tutto il dolore del Mondo, come quel Cristo che pendeva incassato e scarno dalla parete? Sollevò la coperta e fissò le gambe dentro la gabbia di ferri che gli era stata costruita intorno. La carne era enfiata e violacea, e mandava cattivi odori. Capì subito che si stava consumando forse per la dabbenaggine di qualche dottore, forse per un inevitabile giro del Destino. Tirò su il panno e girò la testa verso il muro, disperato e scosso dalla pena fisica. E fu proprio allora che si accorse che la porticina che dava sulla stanza confinante era semi aperta e poteva vedervi dentro. Per Lui fu come si fosse spalancato il sole sopra un paesaggio incrostato di nebbia. Poteva occhieggiare nella stanza e vedere una ragazza distesa nel suo letto che lo osservava a sua volta. Era pallida, ma bellissima, riusciva addirittura a individuarne gli occhi, così grandi da colmarle quasi tutto il volto, talmente profondi da attirarlo nella sua direzione, simile al pozzo che custodisce l'acqua. Curtius si sentiva bruciare. Aveva finito i liquidi ma non osava suonare il campanello poiché temeva che l'infermiera, una volta giunta nella stanza avrebbe chiuso immancabilmente la piccola porticina e gli avrebbe negato la visione della sua personale salvezza: il volto della ragazzina che faceva capolino, ora con un grande sorriso stampato sulle labbra enfiate. Il ragazzo avrebbe voluto parlare ma la voce non gli perveniva: gli saliva fino in gola ma lì si annichiliva e si disperdeva dandogli solo un grande raspare e la sensazione di fastidiosa impotenza. Tentò più volte finché, alla fine, si rassegnò e rimase, muto, a osservarla mentre i dolori forti alle gambe gli davano tregua e andavano in libera uscita. Per un attimo, mentre scendeva la sera, gli sembrò che potessero essere fratello e sorella o due teneri amanti, separati da qualche disavventura nella vita, e iniziò a fantasticare non togliendo per un attimo lo sguardo dalla ragazza. Il crepuscolo calava con dolcezza e iniziava a stingere i contorni. Ma anche se non la vedeva più chiaramente, sapeva che la fanciulla era sempre lì, con gli occhioni spalancati e il sorriso gigantesco, e questo gli offriva lenimento alla pena. Dimenticava di essere un mezzo uomo. (continua) |
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