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Gli uomini nei cieli di Magritte (6) - fine -

Post n°214 pubblicato il 01 Marzo 2013 da lab79
 


Fuori dall'edificio c'è una folla di lampeggianti a separare i curiosi e i giornalisti dalla gente in fuga. Loro due camminano a qualche metro di distanzal'uno dall'altra. Lui dietro e fisicamente devastato dalla sensazione di fallimento incombente. Lei avanti, la schiena dritta e lo sguardo fisso sul nulla. Si ferma all'angolo di Greenwich Street, e si volta verso di lui.

-"Che bisogno c'era di dire che sono solo un'amica?"

Lui non capisce. La guarda negli occhi, e poi qualcosa esplode dentro di lui.

-"A chi cazzo vuoi che importi?! Dovevamo salire! Dovevo arrivare in ufficio! Dovevo avere quei cazzo di documenti!"

-"Che bisogno c'era di dire che lassù c'era tua moglie? Non ti rendi conto di quello che hai fatto, vero? Non ti rendi conto di dove li hai mandati, vero?"

Era convinta che l'avrebbe detto con le lacrime agli occhi, ma ora le palpebre restano asciutte. Alza lo sguardo sui monoliti in fiamme, e così fa anche lui. Restano per qualche minuto in attesa che succeda qualcosa, intanto che il fuoco divora l'acciaio e fa il suo dovere. Cadono fogli, pezzi di vetro, e quelli che per qualche secondo sembrano pupazzi. E invece sono solo esseri umani che piovono giù dal cielo, con l'algida grazia degli uomini dipinti nei cieli di Magritte. Danzano a mezz'aria immobili per un momento, per poi essere sostituiti da altri che li seguono. Lei si chiede cosa mai possa pensare un uomo che cade, se mai sia vero che vedano la loro vita passare davanti agli occhi, o se invece non vedano altro che il futuro ormai perduto che si lasciano alle spalle. Ma in entrambi i casi i loro rimpianti sarebbero tali da ancorarli per sempre al fondo del cielo, impedendo loro di cadere. E invece essi cadono, come se avessero fretta d'arrivare. Chissà gli altri uomini alla finestra cosa pensano. Chissà se approfittano per fare loro un ultimo saluto, chissà se li fermerebbero, se soltanto potessero. "Si fermi, buonuomo! Solo un momento! Il tempo di un caffè, ché la fine del mondo è vicina, che fretta c'è di anticiparla?" "La ringrazio, ma ho molta fretta! Laggiù mi si aspetta!" E chissà la gioia di andare incontro a coloro che li aspettano, di propria volontà.

Lui invece si chiede se mai avrà il coraggio di gettarsi a capofitto nella sua sconfitta con la stessa grazia con cui quegli uomini si consegnano al vento, se anche lui danzerà quella danza la cui musica suona beffarda come un canone inverso, un ultimo gesto di dignità prima della fine.


E poi succede.


Senza rendersene conto entrambi fissano un uomo. Quello cade a testa in giù, con le braccia lungo i fianchi e un ginocchio appena sollevato: lentamente scivola contro il fondo del cielo azzurro, come una goccia orfana della pioggia contro il vetro della finestra, e per ogni secondo che passa, un altro secondo si aggiunge al tessuto del tempo, finché ogni cosa tace, e trasluce di un candore che non può non essere la rivelazione del proprio destino. Tutto si ferma, tranne quest'uomo che scende con una tale grazia che loro due non possono non provare una gioia piena di gratitudine, per ogni istante vissuto invano, ma che alla fine li ha portati distrattamente fino a qui. Ed egli infine giunge a destinazione, fa una giravolta, e posa dolcemente i piedi a terra. Cammina senza fretta nella loro direzione, per fermarsi soltanto ad un passo. Apre la sua valigetta senza dire una parola, e ne estrae un foglio sgualcito che consegna a lei. Poi un rotolo di documenti, che consegna a lui. Sorride dolcemente, e passando in mezzo a loro, se ne va.

Lui srotola i fogli, senza riconoscerli. E il suo telefono, dimenticato nella tasca interna della giacca all'altezza del cuore, prende a squillare.

-"Pronto?"

-"Pronto?! Sono Steve!  Cristo santo, ero convinto che fossi morto! Hai visto che casino sta succedendo? Sono ore che ti cerco! Ma dove eri finito? Sono arrivato nel tuo ufficio alle 8, lo so che avevamo appuntamento alle nove e mezza, ma volevo convincere la tua segretaria a uscire a prendere un caffè. E' venuta, sai? E non solo, mi ha portato i documenti da firmare, li ho qui con me... santo cielo, se non avesse accettato saremmo stati tutti là dentro quando l'aereo si è schiantato...saremmo morti tutti... Ti rendi conto di quanto cazzo sono stato fortunato? Ehi, ma tu come hai fatto a uscire da lì?"

Lui rilegge poche righe dei documenti che ha in mano, e riconoscendoli solo ora, comincia a ridere isterico. Volta le spalle alle torri, e allontanandosi dimentico del miracolo appena vissuto, prende a raccontare di quella mattina incredibile, del risveglio in un letto d'hotel con la sua amante, e di come hanno provato a raggiungere l'ufficio, e di come sono stati cacciati fuori, e di come sono arrivati fino a qui. Lei intanto rimane in piedi sul posto, incurante del destino di quell'amante arido che letteralmente, ora, le volta le spalle, allontanandosi. Apre il foglio piegato in due, e prende a leggere la pagina del suo diario d'adolescente, scritta il pomeriggio stesso in cui ha conosciuto l'amore per la prima volta. E finalmente una lacrima limpida scorre sulla sua guancia, e con un salto questa lacrima piove sull'inchiostro azzurro delle sue parole, a cancellare le amarezze che avevano sepolto la ragazza dolce che ormai aveva dimenticato d'essere mai stata. E con le lacrime che piovono sul foglio, piovono gli uomini sulla terra, finché il pilastro su cui poggiava il loro cielo non cede di schianto, e clemente li seppellisce in una nuvola del colore della terra, mentre lei finalmente ricorda tutto, tutto quanto, e lui di spalle al mondo che finisce non si accorge di alcunché.


-Fine-

 
 
 
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