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Semplicemente (1)Spazzolava i morbidi capelli neri seduta davanti allo specchio, con noncuranza ma senza fretta, ben conscia dello sguardo di lui che indugiava, creduto non visto, sulla pelle nuda della sua schiena. Avrebbe sorriso della sua ingenuità, se non fosse stato per lo specchio rivelatore nel quale vedeva il riflesso di lui, che arrampicava lo sguardo sulla sua schiena con una lentezza infinita, una vertebra per volta, fino a giungere al taglio netto dei suoi capelli che ondeggiavano ipnotici all’altezza delle spalle. Non c’era desiderio in quello sguardo, non più almeno, e nemmeno tenerezza: solo un tepore languido rimasto alla fine di poco meno di mezz’ora di sesso. Il loro contratto era giunto a compimento. Le clausole pattuite erano state soddisfatte, e il prezzo era stato pagato. Avrebbe potuto alzarsi, raccogliere le sue cose e andarsene fuori dalla stanza, lasciandolo a smaltire la sbornia sulle lenzuola anonime dell’hotel. Ma preferiva restare ancora qualche minuto, e prepararsi con calma. Si rivestiva in silenzio, in piedi e di spalle al letto, senza pudore. Infine, si truccava di un trucco leggero, che rendeva evidente la sua giovane età. Nel silenzio della stanza si sarebbe potuto indovinare ogni suo gesto, anche nella più buia delle notti, e raramente questo silenzio veniva interrotto. Certe volte lei stessa canticchiava un motivo malinconico che non ricordava di aver mai sentito da nessuna parte, non tanto per colmare il silenzio, quanto per coagularlo intorno al vuoto che ormai la separava da lui, e renderlo lentamente vero. Conosceva la malìa dell’incanto che emanava da ogni suo gesto. Per intuito o per esperienza sapeva che questo spazio non era suo, ma una rappresentazione della femminilità ancestrale che gli uomini custodivano nel cuore. Sapeva che in fondo ogni uomo pagava per vedere questo momento, e che l’alcol, la notte, l’hotel, e il furore con cui scopavano non erano altro che tappe obbligate per arrivare fino a questa soglia. Sapeva che era per questo momento che cercavano lei, e nessun’altra. E a questo momento lei si dedicava con cura, come se lo dedicasse a se stessa. In questa illusione gli uomini lenivano le loro malinconie, le loro tristezze, e le debolezze di uomo che non volevano far trapelare fuori da quella stanza. I più timidi fingevano di dormire, con il braccio virilmente appoggiato nell’incavo tra la fronte e il naso, e nella chiusura imperfetta di questa saracinesca infilavano lo sguardo. Altri, più temerari, restavano sdraiati di lato, il gomito nel cuscino e la testa appoggiata al palmo della mano, con l’aria di chi sta per cominciare una conversazione. La spiavano dal letto sfatto, ognuno secondo la propria indole, ma tutti col timoroso rispetto dovuto a qualcosa di sacro. Non importava che fino a pochi minuti prima l’avessero piegata ai loro capricci, soggiogata alle più disparate parafilie, di cui lei docilmente accettava di diventare oggetto. Quel momento era finito, ed ora lei non apparteneva più a loro, né ai loro desideri. La vestale si rivestiva, e a quel rito si poteva solo assistere nascosti tra le pieghe ancora calde delle lenzuola. [continua] |
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