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Un libro ed una rosaBarcellona l'ho cercata tempo fa, quando ancora non sapevo che fare della mia vita e ogni strada sembrava possibile. La prima volta che la cercai fu un azzardo, una piccola follia da niente proposta per dimostrare che si: per avere qualcosa bastava volerla. Le dissi di raggiungerla via mare, e in cuor mio le avrei proposto di attraversare il mondo, prima di arrivare a destinazione, pur di farlo insieme a lei. Sogni da adolescenti, quando pensi ancora che l'amore chissà cosa sia, e allora lo immagini eterno come i tramonti dell'Amore ai tempi del Colera. La seconda invece un'avventura, una pazzia da raggiungere in macchina con gli amici, senza tappe intermedie. Con l'idea semplice di arrivarci e non dormire mai, all'età eterna in cui nulla spegne una fiamma che ci teneva vivi, e che alimentavamo con l'alcol, le ragazze, le sigarette perennemente in bocca, e una voglia di vivere che non ci lasciava una tregua per immaginare quello che saremo diventati poi. Ma nessuna delle due si risolse in un viaggio. La terza invece, è un'occasione finalmente raccolta dagli scafali bassi della libreria, che mio figlio si diverte a svuotare con le manine agili, come se volesse già scoprire cosa si cela dietro ai libri. Trovare tra le guide delle nostre visite passate quella di un posto che non avevamo ancora raggiunto, e dirsi: perché no. Barcellona si è presentata così, un caso voluto dal capriccio di un bimbo che ventiquattro mesi fa, nemmeno c'era. Hai voglia a dire che la vita non sia fatta di cambiamenti.
Così ci siamo armati di un biglietto aereo, scarpe comode per due, passeggino per uno e un po' di spirito di avventura per tutti, alla ricerca di un nido passeggero dove accocolarci la sera e svegliarci la mattina, senza altri pensieri a parte noi. E quello che abbiamo scoperto è che non riusciamo a rinunciare al vizio di fare un chilometro di troppo, e farlo a piedi, e di ritornare di un'ora troppo tardi, quando la stanchezza è davvero troppa, ed esserne felici comunque. E Barcellona ha fatto di tutto, indulgente com'era, perché non ci sentissimo minimamente in colpa. La Teleferica che sale al Montjuic, e la lunga passeggiata a scendere dal lato opposto per vedere la fontana illuminata a festa, tra spruzzi colorati e la meraviglia da bimbi che ha colto ognuno di noi, è uno dei migliori esempi. Ma potrei ricordare semplicemente le passeggiate oblique ad attraversare il Barri Gòtic e il resto della città vecchia, tra palazzi dai balconi fioriti e i negozietti in cui abbiamo comprato le bambole di pezza per i bambini dei nostri amici, incluso un pirata dai capelli ricci che abbiamo tenuto per noi. Oppure la passeggiata lungo la Rambla il giorno di Sant Jordi, lei con una rosa ed io con un libro in mano, che è una delle tradizioni più semplici che si possano immaginare. Un pranzo in piedi al mercato della Boquerìa, qui e là un uomo con la chitarra, un tavolino in mezzo alla piazzetta, il risuonare contro i vecchi muri di pietra delle arie di O' sole mio cantate dalle voci pulite degli artisti di strada. Il senso di meraviglia di un bimbo di poco più di un anno e mezzo, quando ha scoperto da dove veniva quel canto. La nostra meraviglia a vederlo dormire, colto dalla stanchezza, tra le nostre braccia o sdraiato sul passeggino, cullato dagli scossoni dell'autobus. I suoi saluti e le sue moine alle ragazze che ci passavano a fianco, e che indossavano una primavera tiepida e come ripulita dal vento del mare, e che per lui è ancora di là da venire. Ed io mi sono ritrovato in un mondo che parla quella che era la mia lingua, e per più di un momento ho davvero pensato: resto qua.
Cosa ci siamo portati via, infine? Tante foto, ricordi e souvenir.
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